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Autore: Belinda Nero    03/02/2012    3 recensioni
Se sei un pittore l'Arte può diventare un'ossessione, l'ispirazione un miraggio: paura ed esitazione possono prendere il sopravvento, i limiti impedire la realizzazione del tuo sogno. Il Circo è qui per aiutarti.
Se la gloria è ciò che desideri ed i sentimenti ciò a cui ambisci, non resta che credere in te stesso: avere speranza. Le tue mani sono l'unico strumento di cui hai bisogno. Intingi il pennello nel colore e dipingi. Solo questo: dipingi e realizza il tuo sogno.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che cos'è la critica?
Qual'è il suo valore agli occhi del Dio di cui tutti parlano, agli occhi del mondo, ai miei occhi?
E cosa spinge un pubblico a criticare già prima di aver visto, di aver assaporato appieno? Di aver percepito scoppiare l'emozione dentro al cuore, essa sia dolce come la carezza di una madre, cortese come il falso sorriso di un venditore, accogliente come le cosce di una puttana o certo, anche insopportabile, come morsa di gelida acqua attorno ad un corpo, ciò che può provare una sventurata che cade in un fiume e in esso trova morte e fama?
Nella mia mente, torbidamente assopita dal freddo dell'attesa, appare “La morte della Vergine” di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, un olio su tela dipinto nel 1604; che scandalo fu, la Madre di Dio priva di tributo mistico, una faccia smorta, la pelle pallida, il ventre gonfio e le gambe scoperte! Non più ascendeva al cielo ma riscattava il proprio diritto ad una morte terrena, così come terrena era stata la sua vita. Anche allora la critica fece la sua comparsa a braccetto del buon gusto: ma ad essi, io non credo. Non credo nemmeno a Dio.
Credo solo alla forza vibrante dell'ingegno umano e alle pennellate generose di un'abile mano, che non teme la tela bianca su cui dipinge e contro quella si contrae in orgasmi violenti, perchè ama sentir cedere il colore quando lo spalma con tocchi decisi e vigorosi.

Sono un pittore e lo si intuisce dal mio aspetto. Alla pallida luce del tramonto, il mio volto si intravede appena, nascosto com'è dalla sciarpa che ho tirato su come morbida barriera alla brezza serale: ma il resto è visibile ed è il mio biglietto da visita. Un cappotto lungo e vecchio, logoro, un abito che si vedrebbe meglio appeso su una gruccia in soffitta, grigio e smorto se non fosse per le macchie di colore che lo decorano come pezze cucite con imprudenza; spessi pantaloni di un tessuto una volta pregiato, scarpe che hanno camminato tanto e che mostrano incuranti le punte smangiate. Nonostante faccia freddo non indosso guanti e le mie mani ruvide e callose, abituate a tenere in mano il pennello come uno scrittore la stilo, sono intirizzite. Puzzo di vernici, solventi, colle. I miei capelli sono impiastricciati degli stessi composti e non mi sono curato di lavarli quando sono uscito in cerca di ispirazione.
Camminando senza meta sull'asfalto umido, ho scorto questo circo da lontano e come Icaro tanto affascinato dal sole, l'ho raggiunto ebbro dello stesso desiderio. Stavo cercando da tempo qualcosa di simile e come un miracolo è apparso davanti ai miei occhi stanchi per il troppo dipingere. Mi sono mischiato alla folla già presente davanti ai cancelli.
Tutto questo nero e bianco delle tende e dei lembi di terreno visibile mi attrae: sussurra la lotta continua di concetti opposti, il bene e il male, il positivo e il negativo. Non c'è spazio per le ambiguità, se non nel cielo grigio che tuttavia è indifferente a ciò che succede quaggiù sulla terra: ironico.
Ogni circo sprizza talento e magia, inganno ed illusione: ma in questo si percepisce qualcosa di più, qualcosa di diverso che non ha troppo a che vedere con l'inusuale scelta di aprirlo al crepuscolo, azzardata ma vincente, tante le persone che già vorrebbero pagare il biglietto. La sensazione non è neppure influenzata dal profumo di caramello che aleggia goloso fra noi. C è ben altro, solo che la gente non riesce a coglierlo ed allora critica: detesto questo comportamento, l'insofferenza, l'incapacità a pazientare. Potrebbero smetterla di lamentarsi e soffermare l'attenzione su ciò che già vedono di splendido, cogliere frammenti di piacere qua e là e limitarsi ad essi, solo ad essi. Ma non lo fanno e continuano a giudicare prima di sapere, di avere il mosaico completo della situazione, conoscere i fatti, i motivi, i perché: dentro di loro, hanno già catalogato il circo prima ancora di esserci entrati e scalpitano come cavalli nervosi.
Detesto la critica e ai miei occhi non vale nulla; eppure dipendo da essa come una pianta dall'acqua e dal sole.
Non accade spesso che qualcuno abbia tanto interesse in me da voler sondare con dedizione la mia anima attraverso le mie pennellate, arrivando più vicino al mio inconscio di quanto io l'abbia mai afferrato realmente: ma quando succede, mi sento vivo e potente. Solo in quel momento ho la certezza che la mia arte mi ha reso immortale ed allora non desidero altro che dipingere ancora ed ancora.
Sono uno schiavo ribelle del giudizio altrui: ma esso è per lo più superficiale ed ignorante e ciò mi distrugge, annientando in me anche l'ispirazione.
Perché attendo riconoscenza, rispetto e lode da chi ben prima di varcare i cancelli del circo o della mia arte già determina cosa gradisce e cosa no?
Non smetto di riflettere finché qualcosa scatta: si ode uno scoppiettio, sfrigolano bagliori e si accendono in luci colorate. Inclinò la testa per leggere meglio l'insegna incandescente che dà nome al circo,“Le Cirque des Rêves”. Un titolo altisonante che una madre non esita a tradurre: “il circo dei sogni”.
I cancelli si aprono ed io entro, come tutti gli altri. A passo lento, procedo tra le tende e mi accorgo che solo esse sono bicolori: il resto è frizzante di tonalità diverse. Sono colorati i vestiti degli artisti che con gioia catturano sorrisi, lo sono i dolciumi nelle bancherelle, i pupazzi mossi dai polpastrelli di burattinai. Sono però tutte tinte pastello, diafane e sospese nel tempo, malinconiche, fiabesche ma irreali, così come le forme che non hanno nulla di regolare o geometrico.
Rido, perchè ora davvero penso di aver varcato la soglia del mondo dei sogni o piuttosto, di essere entrato in un quadro di Picasso nel suo periodo rosa: eppure questo è l'unico colore che non scorgo.
Passeggio fra le attrazioni come un bambino troppo cresciuto e pigro per volersi ancora emozionare davanti a vecchi, misteriosi trucchi.
Tra la folla intravedo una ragazza che mi ammicca: ha il volto dipinto di bianco, lacrime tinte di scuro, una bocca a cuore anch'essa dipinta di nero e il collo lungo da cigno. Credo sia molto bella, nonostante il cerone confonda i tratti del suo volto: vorrei posarle le mani sul corpo, per sentire se è vera e pulsante o è piuttosto una bambola in un mondo di balocchi. Fremo perchè l'eccitazione si fa pressante, ma lei non ha tempo e io non ho cura che di vederla come una modella, piuttosto che come una donna.
Pur ammirando le opere dei grandi pittori, nei miei quadri ritraggo il vero, ciò che vedo in Natura. Agile mimo, lei sarebbe perfetta, nuda e fredda come una statua, bianca come il latte, la Galatea di Pigmalione; eppure la lascio indietro e sfuma dai miei pensieri, come vapore troppo leggero.
I ragazzini sono chiassosi e si entusiasmano facilmente: più in là c'è un coniglio che corre e crudelmente lo vogliono catturare per il loro divertimento. E' la metafora perfetta dell'ispirazione che mi rifugge, costringendomi ad essere vuoto e patetico come la gabbia da cui è scappato l'animale.

Smettetela!” vorrei urlare a loro “non vedete? Continuerà a scappare finché voi tenterete di afferrarlo con così tanta determinazione e rabbia!” ma so che è inutile, poiché io per primo non riesco a stare fermo ad attendere che il mio personale coniglio torni a me di propria volontà.
Continuo nel mio giro e vedo altre cose. Non so da dove, ma mi cadono addosso petali e coriandoli e fra le mie ciocche chiare, seppur maschili ed aggrovigliate, sembrano fiori tra la chioma di Flora nella “Primavera” di Botticelli.
Davvero, non riesco a pensare che all'arte. Vorrei non averla mai studiata e non aver mai posato pennello su tela, non averne subito tanta fascinazione. Ma la vedo dovunque, anche in questo circo! Così forse intuisco cosa c'è di meraviglioso entro i cancelli del “Le Cirque des Rêves” e comprendo la seduzione del suo nome: quaggiù prendi coscienza di ciò che sogni, di ciò che brami con passione.
Ogni persona in questo circo adesso sta facendo i conti con i propri sogni ancora irrealizzati; magari accantonati e dimenticati, a favore di una vita monotona e consueta, rassicurante ma tetra. 
-Apre al Crepuscolo, Chiude all’Alba- cita un'insegna nera e bianca: credo di sapere perchè. Il circo lavora di notte, perché la notte è amica dei sogni.
La notte ti permette di scorgere particolari che alla luce del sole non noteresti affatto: è una confidente preziosa, ma è anche cruda e volgare. Non usa mezzi termini per spaventarti, cela i tuoi peccati ma non lesina commenti sarcastici: ciò che fai di giorno seguendo lo schema della società, dice, non è ciò che fai sotto i raggi della luna, quando ti senti veramente libero di importi se hai abbastanza volontà per farlo. Volontà per realizzare i sogni.
Lavoro sempre al calare delle tenebre, come il più classico vampiro che non sono, ma di cui condivido lo stile romantico: non ho mai pensato però che un giorno avrei abbandonato le mie tele per filosofeggiare in un circo.
Sorrido. Sorrido e poi rido, scuoto la testa incredulo. Porto infine una mano alla fronte per scostarmi i capelli dagli occhi. Li ho legati in una morbida coda dietro la nuca, ma la frangia sfugge sempre all'elastico. Ed è in quel momento preciso che davanti a me, come l'apparizione di una fata, compare una bambina: è piccola e mora, il suo viso è tondo come una bella mela. Ha un sorriso gentile e gli occhi scuri mi scrutano con un'ambigua consapevolezza. Sa di essere diversa e ne è fiera, ma allo stesso tempo teme se stessa. Veste con un costume prezioso, un corpetto pieno di pietre brillanti, una gonna a ruota; intorno al collo ha una collana decorata da una medaglietta a forma di stella in cui c'è scritto “Celia” e forse questo è il suo nome.
Nei palmi aperti regge in stabile equilibrio una statuetta di pietra, rappresentazione perfetta del “Perseo” di Benvenuto Cellini: l'eroe è in piedi sul corpo di Medusa appena decapitata e con la mano sinistra solleva trionfante la testa del mostro, tenendola per i capelli. Non mi intendo di scultura come di pittura, ma ne sono ugualmente fervido ammiratore perchè è arte anch'essa: e certo è sublime questo fanciullo che pare vivo, con i muscoli tanto ben definiti, le membra così flessuose, la pelle levigata che non s'addice ad un uomo e che, eppure, fa di Perseo una giovane tentazione.
Riconosco l'opera all'istante e lei annuisce a conferma, forse leggendomi nel pensiero.
Improvvisamente scosta i palmi l'uno dall'altro, facendo mancare la superficie a reggere la statuetta: con sgomento seguo la sua traiettoria verso il basso, finché essa non impatta a terra spaccandosi in mille pezzi. Rimango a fissarla per qualche istante, angosciato. Poi rialzo gli occhi e guardo la bambina.

Perché l'hai fatto?” le domando contrariato. Lei ride e la sua risata mi ricorda il suono di leggeri campanellini, adorabile.
Guarda le mie mani” mi suggerisce e io le osservo, più per obbedienza che per interesse. Le tiene con il palmo aperto rivolto al cielo, le dita rilassate, staccate ancora quanto basta per aver fatto cadere la statuetta. Intorno a noi colori, risate, profumi, magia. La vita scorre frenetica, ma tutto mi appare al rallentatore, tranne i suoi movimenti.
Perché l'hai fatto?” chiedo ancora e la mia voce ora vibra di irritazione.
La bambina non cambia espressione e continua a fissarmi serena ma divertita, maliziosa. Il paragone con la “Gioconda” di Leonardo è immediato.

Questa” mi mostra la mano destra, alzandola meglio davanti al mio sguardo “è la tua esitazione; e questa” fa lo stesso con la sinistra “la tua paura”. Ora le abbassa entrambe sul suo bel vestito, lasciandole inermi appoggiate ai fianchi avvolti da un nastro di seta azzurra.
Di scatto appoggia sui cocci la punta di un piede calzato da una scarpetta dorata e preme con decisione, come si calpesta una sigaretta sull'asfalto per spegnerla.
Mi accorgo di averla fermata solo quando le mie mani sono già ad avvolgerle le spalle esili, per frenarla: ho gli occhi spalancati per la rabbia, ma la mia bocca ora è esangue, da tanto stirata per il disappunto.
Lei annuisce e ride ancora “questa invece è la tua speranza!” esulta soddisfatta.
Alza l'indice e sento, contro i miei occhi che chiudo per istinto, il suo polpastrello che scende a seguire il profilo del mio naso aquilino, fino ad appoggiarsi sulla mia bocca “che lotta e ti scuote, ti fa muovere e ti esorta: la speranza a cambiare qualcosa” dice.
Poi inclina la testa ed appoggia la guancia calda sul dorso di una mia mano che ancora le tiene la piccola spalla “questa mano invece” cambia guancia, si appoggia al lato opposto “e quest'altra anche, sono i tuoi strumenti. Con queste tu puoi davvero realizzare ciò che sogni”.
Si libera dalla mia presa ed indietreggia. Io sono confuso e sbigottito. Non oso parlare.

E ciò che tu sogni è di riuscire a realizzare opere tanto belle da commuovere gli animi altrui, oggi come domani. Odi le critiche perchè esse sole riescono a scatenare la tua speranza o al contrario la tua paura e la tua esitazione. Ne sei cosciente, lo so, eppure ti ostini a farti condizionare tanto..” la sua voce è aumentata di intensità, ma il suo volto non ha mutato il pacifico splendore.
Guarda ai tuoi piedi” e io come una marionetta ai suoi comandi obbedisco. C'è ancora il Perseo a terra, in mille pezzi.
Quello è il tuo sogno, in frantumi” mi spiega dolce “e rimarrà per sempre tale se continuerai ad obbedire ai limiti che tu stesso ti sei imposto, irragionevolmente”.
Tengo la testa china. Desidero poter piangere, perchè ciò che lei sta dicendo è crudele, ma credo di aver dimenticato come le lacrime possano scorrere giù dagli occhi: l'ultimo pianto è stato tanto tempo fa.

Vorrei..ma..” balbetto “non so.. come fare” mormoro infine sconfitto.
Lei si avvicina. Penso che sia bellissima e che da grande diventerà una donna avvenente; tuttavia ora la vedo come la più temibile attrazione del circo e vorrei che stesse lontana.
Lei riesce a vedere il mio viso che tengo chinato in avanti, il mento tra le clavicole: la pesante sciarpa ora non mi copre più come vorrei. La bambina alza le sopracciglia ed il suo sguardo è fisso e concentrato su di me: mi sta sondando il cuore, lo sento, ma come ci riesce? E' una sensazione calda ed avvolgente, vorrei non finisse mai.

Non ti vuoi abbastanza bene, così non credi in te stesso: è solo questo che ti opprime. Smettila di farti del male da solo”.
Mi chiedo se ha notato che oltre ai calli, le mie dita sono rovinate anche dall'ansia che scarico contro le unghie, martoriandomi la pelle intorno. Sanguino costantemente e lavorare con i solventi non mi aiuta: eppure non smetto di farlo e in questo traggo un masochistico piacere.

Pensi di non avere la forza e la creatività necessaria a raggiungere il tuo sogno” comincia di nuovo a parlare lei, con la sua voce limpida e squillante “pensi di non essere dotato di abbastanza pazienza” continua, mentre i musicisti vicini cambiano melodia ed il profumo di crepês attira i bambini come farfalle sui fiori “infine” conclude la piccola “sei convinto che anche impegnandoti, il lavoro finale non ti porterà mai vera gloria”.
Incantato, seppur rassegnato, annuisco.
Costretta a mettersi in punta di piedi per sopperire alla differenza fra le nostra altezze, mi obbliga a sollevare il mento con indice, medio ed anulare: mi invita così a guardarla direttamente negli occhi che seppur verdi, sono come pozzi profondi.

Allora sappi che Cellini lavorò anni ed anni al suo Perseo. Pensò di arrendersi ma mai lo fece. La fusione della statua in bronzo fu complessa e difficile: soffrì fisicamente, fu afflitto da febbri che lo sfiancarono. Allo stremo della forza, continuò comunque a credere in ciò che poteva fare. Nemmeno un temporale ad abbassare la temperatura della fornace, evento certo funesto, lo distrasse dal suo proposito: quando mancò lo stagno per rendere la sua lega più fluida non si diede per vinto e gettò tutte le stoviglie che aveva in casa nella fusione. Tanti credevano fosse impossibile ottenere con un unico getto un corpo di bronzo come il Perseo, con le braccia tanto proiettate in alto: eppure lui riuscì. Perfezionò la sua statua negli anni, con dedizione: essa divenne la sua amante e lui il suo fedele, per sempre. Cellini ci credette; non permise mai alle sue mani di cedere, fino a far scivolare il suo sogno a terra, per guardarlo frantumarsi e compiangerne le spoglie, come tu ora stai facendo”.
Le sue parole mi trafiggono come le frecce di Amore. Al suo discorso, spudorato vorrei piuttosto domandarle “tu non sei davvero una bambina, giusto? Parli come una donna: una donna che sa molte cose”. Eppure rimango muto a riflettere, mentre paziente lei mi dà il tempo di farlo.
Qualcuno fa scoppiare un palloncino poco lontano da noi ed io sobbalzo: ciò mi risveglia da alcune considerazioni ed è il momento giusto per muoverle un'osservazione.

Cellini usufruì dell'aiuto di collaboratori..”
Lei annuisce “è vero” conferma “ma essi non sarebbero riusciti nell'impresa senza un genio come il suo ad istruirli” punta un dito verso di me “ed un temperamento tanto impetuoso ed energico da essere certo simile al tuo!”.

Io però non ho nessuno ad aiutarmi” faccio notare con stizza.
Tu non ne hai bisogno” mi risponde compiaciuta, illudendomi forse di avere realmente le potenzialità di esprimermi appieno, realizzando da solo il mio sogno.
Tuttavia” mi scopro a dire “ora la statuetta è rotta: e quando è rotta, nulla può ripararla. Un sogno ormai rotto è un sogno ormai distrutto per sempre”.
Lei allora schiude la bocca e mi dà l'idea che non aspettasse altro per poterlo fare. Sospira. Mi sento tremare, ma è piacevole: come soffici dita ad accarezzarmi la schiena.
Allunga le mani davanti a sé. Sotto al mio sguardo allibito, fra i ciuffi di erba che spuntano dall'acciottolato, la statuetta inizia a ricomporsi e lo fa velocemente, diventando più salda e resistente di prima, come se niente ora possa romperla sul serio, non più una caduta.
Il tempo pare scorrere al contrario, mentre il piccolo Perseo torna integro e perfetto: ed a quel punto, si solleva in aria e percorre al contrario la sua precedente discesa, raggiungendo le mani della bambina che si riaccostano quando la statua si appoggia nuovamente sopra ai suoi palmi.
Di nuovo Perseo è in equilibrio e questa volta la bambina lo porge, perchè io l'afferri: lo faccio e tocco la pietra famelico, incapace di credere davvero a ciò che ho visto se non con il tatto che conferma. La statuetta è come nuova.

Tu puoi ripararla quando vuoi!” mi svela allegra e sto per ribattere stupidamente che non è vero, che lo ha fatto lei con chissà quale diavoleria, ma come è nel suo personaggio essere, è già sparita.
Mi siedo su una panchina che trovo tra le tende. Rimango fermo ad osservare il Perseo per intere ore: “posso riparare il mio sogno” è questo ciò che intendeva la bambina e lo capisco in fretta.
Quando credo non sia passato più di mezz'ora, ecco il sole spuntare all'orizzonte. E' l'alba e molte persone hanno compreso in questo circo che i sogni sono fatti per essere realizzati; alcuni li hanno ricordati dopo tanto tempo, altri come me hanno ottenuto da questa visita nuova speranza.
Gli artisti tornano nelle tende. La musica sfuma, fino a spegnersi come le luci dell'insegna. Nel fragore della città che torna a vivere, il circo invece si addormenta e so che questo è il momento per andarmene: esco dal cancello, là dove sono entrato. Quando anche l'ultimo visitatore si allontana, il cancello si chiude.
La mia esperienza intera sembrerebbe un sogno come il nome del circo, ma reggo tra le mani la prova di ciò che ho vissuto, imperniata di incantesimo.
Torno indietro, torno a casa: vivo in un appartamento piccolo e sporco e condivido la mia esistenza con tele bianche sui cavalletti e tele dipinte sulle pareti. Molte di esse le vendo al miglior offerente, forse ciò è denigrante ma è la mia fonte di sostentamento.
Appoggio il Perseo su una mensola. Fremente di rinnovato impulso, raccolgo del colore sulle morbide setole di un pennello: e se inizio a dipingere il capolavoro di Cellini in miniatura, ben presto devio senza rendermene conto, ritraendo un soggetto totalmente diverso che è sorto nel mio cuore.
Ed è nuova ispirazione.

   
 
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