Londra, Febbraio 1873
Il gelo si stende
lentamente come un mantello sopra Londra. Cerco di camminare più veloce ma la
piccola non riesce a stare al passo e loro sono vicini.
Troppo.
Ormai non ho
più nemmeno la forza di
prenderla in braccio per farla riposare un po', però mi rendo conto che
se dovesse iniziare a lamentarsi o a fare i capricci sarebbe la
fine.
Sono sulle nostre tracce e
qualcuno ci ha tradite.
È impossibile
che siano riusciti a trovarci così in fretta, qualcuno deve aver
parlato.
«Mamma...» mormora sull'orlo
della lacrime.
«Shh...siamo quasi
arrivate.» sussurro in modo tale che solo lei possa sentirmi. Le ho mentito, è
vero, ma non posso farle carico della mia paura.
In strada non c'è nessuno e a volte le sue scarpettine
fanno un po' troppo rumore rimbombando per i vicoli in cui passiamo, ma non ne
può fare a meno. Non posso chiederle di toglierle. Le mie le ho gettate in un
cassonetto, se tutto va bene potrò recuperarle non appena li avrò
depistati.
Nella mia testa riesco a
sentire solo il cuore che batte fuoriosamente nel petto e i nostri respiri ansanti. Richiamando un'ultima volta
tutta l'energia che mi è rimasta in
corpo, prendo la piccola tra le braccia tenendola stretta a
me.
Potrebbe essere l'ultima volta
che posso farlo. Ricaccio indietro le lacrime pregando qualsiasi divinità che si
sia minimamente interessata a noi
in questo momento di aiutarci.
Le dita dei piedi iniziano a mandarmi fitte di dolore
che sembrano quasi tagliarmi in due. Si stanno lentamente congelando e presto
diventeranno blu se non trovo un riparo per entrambe, ma non possiamo fermarci,
né chiedere aiuto. Gli umani non potrebbero fare nulla. Sarebbero solo un
ostacolo e verrebbero uccisi all'istante.
"Non vogliamo te, ma la bambina", sussurrano alla mia
mente.
Aumento il passo, sono vicini.
Entriamo in un vicolo per cercare di
depistarli tagliando buona parte del centro città.
Non è esattamente il
luogo ideale in cui cercare rifugio, ma è un rischio che devo
correre.
Quei mostri non metteranno le
mani su mia figlia. Mai.
Improvvisamente sento un influsso di potere molto
simile al mio. «Alek!» bisbiglio nella notte continuando a
camminare.
Una figura scura si staglia
poco lontano da noi rimanendo
immobile nell'ombra creata dai due edifici posti uno accanto all'altro. Il
respiro viene a mancare per qualche secondo prima di vedere due mezzelune
azzurre risplendere nell'oscurità.
Inevitabilmente le lacrime iniziano a scendere copiose
lungo le mie guance privandomi di tutta l'adrenalina che avevo accumulato in
corpo perché ora, è salva. Le ginocchia cedono, ma riesco ad evitare l'urto
alla piccola che si era aggrappata al mio collo cercando di consolarmi dopo
avermi sentita
singhiozzare.
«Tirati su.»
ordina Alek dopo essersi avvicinato.
«Mi hanno trovato.» singhiozzo con la voce rotta dal
pianto. «Devi...»
Sbuffa sonoramente
rimettendomi in piedi: «Cosa vuoi che faccia?» chiede ironicamente, come se la
cosa non lo toccasse minimamente.
È
solo un ragazzo ma sa essere crudele come pochi uomini sulla faccia della
Terra.
«Mettila in salvo. Portala da suo padre.»
lo prego sperando di aver messo abbastanza distanza tra noi e i nostri
inseguitori.
«Io?» domanda incredulo.
Annuisco
ripetutamente obbligando la
piccola a sciogliere la presa per andare in braccio ad Alek che la accoglie
malvolentieri.
Il volto di Alek
scatta verso destra ed i suoi
occhi si accendono nuovamente. È pronto ad utilizzare ogni potere in suo possesso pur di
salvare sia la sua vita che la nostra essendo il capostipite della razza. Li
sente anche lui. Stanno arrivando.
«Portala dal padre.» lo supplico nuovamente cercando il
suo sguardo.
Posso distrarli.
Seguiranno me pensando che non mi dividerò mai da mia figlia e questo darà tempo
a lui di allontanarsi il più possibile dalla città.
«Ti uccideranno.» mi fa presente come se mi avesse
letto nel pensiero. Frettolosamente copro le orecchie alla bambina impedendole di sentire
altro.
«Perché non può rimanere insieme
a noi? Vuoi veramente affidarla ad un essere umano?» domanda inorridito alla sola idea che la piccola
non cresca con i nostri valori e il nostro sapere.
«È suo padre.» gli ricordo. Hector la terrà al sicuro e
quando si accorgerà di quanto è straordinaria, la terrà ancora più stretta a sè.
«Come farà a proteggerla?» sbotta infastidito, ha capito
che il solo modo per farmi desistere è quello di indurmi a riflettere sulle mie
scelte. Il problema è che ho avuto tutto il tempo di pensare ad un piano
B.
E l'unica possibilità è Hector. So
che non è abbastanza mettere un oceano di distanza, ma devo pur tentare. Finchè
mi sarà possibile li poterò lontano da lei. Forse in Russia.
«Il mondo in cui lui vive...Sarà al
sicuro.»
«Ripeto: è un essere umano.»
sbuffa scocciato. Non può capire quanto questa sia la decisione migliore per lei.
Se dovesse continuare a vivere insieme alla nostra gente si esporrebbe a
sempre più pericoli e finirebbero col trovarla.
Non deve accadere.
«Vai a New York e cerca Prospero
l'Incantatore.»
Trattiene una risata,
decisamente poco adatta al momento.
Un'altra onda di energia ci travolge, ci stanno cercando e sono certa che
nemmeno lui vuole un incontro faccia a faccia. Non quando ha in braccio la
bambina.
«Prospero chi?» domanda
sarcastico.
Gli lancio un'occhiataccia. «Vai!» sibilo
dando un'ultimo bacio a mia figlia con la consapevolezza profonda nel cuore
che quella potrebbe essere l'ultima
volta che la vedo.
«Cosa dovrei
dirgli?»
Estraggo una lettera dalla
tasca della gonna cercando di lisciarla il più possibile. L'ho scritta giorni fa
sperando di non doverla mai usare. Stavo per non farlo, troppo sicura di me
stessa e del nostro rifugio. Per fortuna all'ultimo ho
desistito.
«Consegnagli questa
lettera.»
«Ci esporrai con l'umano?»
domanda iniziando ad agitarsi.
«No. È
una lettera di suicidio.» sussurro evitando di incrociare il suo
sguardo.
Annuisce cercando di tenere la
bambina che sta protendendo le
braccia verso di me per farsi prendere. L'istinto materno si risveglia ma devo
rimetterlo al suo posto.
«Beh, mi
sembra più che appropriato.» commenta.
«Mamma...» mi chiama e nei suoi occhi iniziano a
formarsi piccole lacrime.
«Ci vediamo presto, d'accordo amore?» le
sussurro baciandole le guance. È uno strazio, come se il mio cuore si
stesse poco a poco lacerando.
Improvvisamente lo sento battere più lentamente e il
mio corpo rallentare.
«Sono qui!»
esclamo disperata. Sono troppo vicini, li prenderanno se non si allontanano
subito da qui.
«Vai!»
urlo.
Mi volto prendendo un sacco d'immondizia
lasciato lì accanto per metterlo sotto la giacca creando un rigonfiamento.
Quando sono soddisfatta dell'aspetto esco fuori correndo a perdifiato dal
vicolo cercando di attirarli nella mia direzione.
Alek deve essere
libero di uscire dalla città senza averli addosso, ma per fortuna lui è così
potente da riuscire a mascherare la sua
aura a piacimento.
****
Non si sarebbe mai dovuta creare una situazione simile.
Mai.
Invece con Charlotte siamo stati
troppo permissivi. Si è innamorata di quell'insulso umano ed ora mi ritrovo a
dover fare da balia alla loro figlia. Come se fosse normale che io, Alek van
Whagner, mi dovessi far carico di una simile responsabilità.
La piccola sembra tranquilla nonostante quello che è
successo, forse Charlotte è sopravvissuta ed è quel legame che riesce a farla
rimanere così calma. Effettivamente tutti noi ci saremmo dovuti accorgere
se fosse morta...
Sbuffo guardando
l'uomo entrare in una paninoteca. Hector Bowen.
«Perché siamo qui?» domanda
innocentemente. I suoi grandi occhi neri puntati nei miei. Prego solo che l'umano non si accorga di
quelle mezzelune che fanno capolino ai lati dell'iride. Hector potrebbe non
accorgersene mai, ma dubito che lasciare una bambina di sei anni alla deriva
senza sapere come controllare i suoi poteri o come utilizzarli, possa
nasconderli più di tanto.
Potrebbero rivelarsi in qualsiasi
momento.
«Non parlare con nessuno va bene?» l'ammonisco iniziando a mutare il
mio aspetto per rendermi irriconoscibile. Non posso di certo mostrare il mio
reale aspetto a quell'uomo, devo sembrare una persona autoritaria e di rispetto.
Per fortuna i miei poteri mi consentono di mutare in qualsiasi cosa voglia, è
uno dei tanti benefici di essere nato in una delle più antiche famiglie che
abbiano mai solcato questa terra.
«Alek.» mi chiama cercando di attirare la mia
attenzione.
Mi afferra timidamente la
mano stringendola forte. «La mamma...»
«La aspetteremo insieme. Sarò sempre qui, ma tu ora
devi andare con un amico della mamma che ti terrà al sicuro,
d'accordo?»
Annuisce fissando
insistentemente la punta delle scarpe. Prendo una spilla assicurando al
cappottino la lettera scritta da sua
madre.
«Tornerò a prenderti. Te lo prometto.»
Sono ancora riluttante a lasciarla nelle
mani del padre, ma questa è l'ultima volontà della madre e non posso
negargliela. Rimarrò comunque nelle vicinanze, seguendola e interverrò
nel caso fosse in pericolo, perché
lui -al contrario di quello che pensa Charlotte- non potrà mai proteggerla come
io posso fare.
Hector esce frettolosamente dal locale
addentrandosi nella città. Lo seguiamo a debita distanza finchè non entra in un
portone adiacente ad un teatro.
«No!» esclamo guardando i manifesti affissi ai lati della
porta. D'un tratto capisco esattamente il motivo per cui Charlotte era convinta
che sarebbe stata al sicuro con suo padre, la magia può essere scambiata per
mera illusione. Gli umani sono troppo ottusi per comprendere che sono immersi in
un mondo pieno di energie e
misteri.
Celia sarà al sicuro
perché non dovrà nascondersi.
Mi
inginocchio davanti a lei per guardarla negli occhi: «Ricordati...non sarò mai
troppo lontano da te.»
Mi stringe forte
annuendo ripetutamente contro il mio collo.
«Andiamo. L'umano ti aspetta...» sussurro portandola dal padre. Charlotte farà meglio
a sopravvivere e venire a prenderla.
Farla crescere in una sorta di circo, è un affronto
alla nostra natura.