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Autore: Zaafira    05/02/2012    6 recensioni
Lucrezia è stata scaraventata nel 'quattrocento, un'epoca MAGNIFICA.
“O chiara stella, che coi raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?”
Comento de’ miei sonetti - Lorenzo de Medici.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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1. Forse è il destino.

 
“O chiara stella, che coi raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?”

Comento de’ miei sonetti - Lorenzo de Medici.

 

-Ma dove stai andando? Dove mi porti? – Chiese Fioretta con voce indignata.
Lucrezia stava ancora trascinando la cugina in mezzo alla folla, lontano dalla vista della famiglia de Medici.

- Penso che il tuo amico e la sua famiglia godano già di abbastanza prestigio, senza bisogno di star lì a guardarli come se fossero dei Re! –
- E in tutto questo non ha nessun peso il modo in cui Lorenzo ti guardava? Dovresti esserne onorata! -
- Onorata! Mio Dio, Fioretta! –
- Puoi dire quello che meglio credi opportuno e nobile, Lullù, ma non potrai mai scappare da un uomo come Lorenzo de Medici! –
- A me non importa se lui è Lorenzo il Magnifico, può essere chi vuole, ma questi giochetti da corte proprio non mi piacciono! – Concluse la frase sottolineando bene le ultime tre parole.
- Come l’hai chiamato? (1) –
- Chi? –
- Lorenzo de Medici! –
- Con il suo nome! – Ribattè la cugina.
- No, l’hai chiamato “il Magnifico”! -
-E allora? Non usa? –
- No! -
- No? –
- No! –
- Ve beh, Fioretta, lo scoprirai fra qualche anno, magari. Lasciamo stare questa faccenda. Dove sarebbe questa festa di paese che io non vedo? –
Fioretta lanciò un’occhiataccia a quella cugina che quel giorno si comportava in modo così strano.
-Fino a metà pomeriggio andremo in Piazza della Signoria, poi, dopo torneremo qui, dove sono organizzati vari giochi. Adesso però, dobbiamo andare un attimo a casa mia che i genitori ci aspettano per andare tutti insieme. –
- Anche i miei genitori? -
- Certo! –
 
Fioretta prese per mano Lucrezia e, a passo svelto, si incamminarono verso casa.
Percorsero per intero una strada piena di negozietti e botteghe tutte quante uguali; su ogni vetrina erano esposte calzature di ogni tipo, dalle più costose alle più umili, da quelli che sembravano stivaletti a quelle che sembravano ciabatte estive. Se si sbirciava all’interno si potevano vedere i commercianti intenti a fare, più o meno, le stesse cose. Alcuni avevano in mano grosse forbici arrugginite, intenti a tagliare strani tipi di pelle; altri, con una spazzola di ferro, grattavano su alcuni tessuti per prepararli alle conciature successive e, altri ancora, prendevano le misure ad alcune persone che erano entrate nel negozio per farsi fare le scarpe.
Era strano come, pur essendo un giorno di festa, molti di quei negozi rimanessero aperti.
Arrivate in fondo alla via (2) girarono a destra, ma non prima di aver dato uno sguarda alla grande quantità di bancarelle che riempivano Piazza della Signoria.
- Spero che mio padre mi compri qualcosa oggi. – Sbuffò Fioretta mentre si infilava tra la gente.
Arrivati infondo alla strada svoltarono a sinistra e proseguirono dritto.
Più avanzavano più Lucrezia sentiva un odore strano, sgradevole.
Poi, di fronte a lei, lo riconobbe.
Era il Ponte Vecchio, famosissimo in tutto il mondo per le oreficerie di lusso che lo occupavano interamente.
Ma Lucrezia non vide lo spettacolo fantastico e maestoso che si sarebbe aspettata.
Infatti, ai lati della strada, correva un rivoletto di quello che sembrava (e che in realtà era) sangue.
Vedendo che la cugina, con molta disinvoltura e pochissima preoccupazione, si tirava lo scialle fino al naso, per evitare di sentire l’odore che proveniva dal ponte e dal piccolo rivoletto accanto alla strada, fece lo stesso, continuando a seguirla verso il ponte.
A quel punto capì da cos’era dovuto tutto quello.
Infatti il famoso ed elegante Ponte Vecchio era occupato dai beccai (3), che, ognuno nella propria bottega, faceva il suo lavoro, tagliando e macellando pezzi di carne, conservandoli in grandi casse piene di neve fresca, caduta quella stessa notte.
Spesso si vedevano gli scarti volare giù dal ponte e arrivare direttamente nelle acque ghiacciate dell’Arno, con un leggero tonfo.
Lucrezia, vedendo le condizioni igieniche di quelle macellerie, si promise di non mangiare carne, ma solo frutta e verdura.
Passato il ponte, presero la via che incontrarono subito dopo e girarono a destra, nella strada che dava direttamente sull’Arno.
La terza casa, evidentemente, era quella di Fioretta.
Era una piccola casetta dove probabilmente abitava una sola famiglia. Sembrava una di quelle case a schiera che riempono le periferie nel Duemila.
Era a soli due piani, bianca con le rifiniture verdi scuro e con un piccolo giardino con un leggero strato di neve che lo copriva, come una sottile coperta.
Dagli angoli vicini ai muri si potevano vedere delle piante rampicanti, congelate ormai da qualche mese, che si aggrappavano debolmente alle pareti, come per cercare ancora qualche speranza di sopravvivenza.
La porta di casa non era molto diversa da quella della casa di Lucrezia: una porta di legno lavorata a mano e fatta sicuramente su misura – dal momento che le case non le facevano tutte uguali e non c’era nessuno standard – chiudeva l’entrata con grassi chiodi piantati in mezzo. Vicino a questa si trovava un grosso campanello di ferro che bisognava suonare per avvisare i proprietari della casa della propria presenza.
E così, infatti, fece Fioretta.
Dopo pochi secondi, con forti rumori e cigolii, la porta fu aperta da quella che doveva sicuramente essere la domestica di Fioretta.
Era una ragazza giovane, sulla ventina, che portava un vestito sciupato e un grembiule bianco. Sarebbe potuta anche essere una bella ragazza, se avesse avuto un vestito un po’ più femminile e i capelli un po’ più curati, che, invece, portava legati da un nastro, forse per comodità.
-Salve, Fioretta. La stanno aspettando di là. –
- Salve Lucrezia! – Fece un gran sorriso. – Anche i tuoi genitori sono tornati, la signora Rosa è una donna così buona, così gentile! E’ molto carino da parte sua venire qui così spesso a trovare la signora Maria. –
- Ve bene, Lidia, abbiamo capito. – Disse bruscamene Fioretta, come se quel discorso la infastidisse.
Ma la cosa che aveva tolto il fiato a Lucrezia era il nome di sua madre.
Rosa.
Anche sua madre, la sua vera madre, si chiamava così. Si chiamava perché era morta.
Quindi Lucrezia si chiese se nell’altra stanza ci sarebbe stata proprio sua madre, se ci fosse stata la possibilità di rivedere la persona che aveva perso nell’altra vita.
Per questo seguì velocemente la cugina, senza guardare l’aspetto della casa.
Poi arrivarono in un salottino dove c’erano quattro poltrone che avevano l’aria estremamente scomoda e un lettino. Sembrava piuttosto una barella, dove stava adagiata una donna dai lunghi capelli biondi. Doveva essere giovane, ma sembrava una donna di sessant’anni. Stava lì sdraiata, coperta fino alla testa.
Capì che doveva avere al massimo quarant’anni e lo capì dagli occhi. Infatti erano ancora vispi e i lineamenti erano ancora troppo delicati per essere quelli di una vecchia.
Poi mi girai verso l’altra donna che sedeva, invece, su una poltrona.
Era lei.
Lo capiva, i lineamenti erano proprio quelli. Però Lucrezia, nell’altra vita, non aveva mai visto la madre così  vecchia e sciupata. Eppure anche lei doveva essere sulla quarantina.
Non era brutta, ma non sembrava una quarant’enne del Duemila. Teneva in braccio una bambina di due anni, molto simile a quella che a casa vedeva sempre nelle foto appese ai muri.
D’istinto Lucrezia le andò in contro.
-Che fai? – Chiese la madre con voce aggressiva – cosa vuoi? –
- Abbracciarti. –
- Gli abbracci non servono a niente, bambina mia, allontanati. – la squadrò dall’alto in basso – E non essere sempre così volgare. Le madri, dopo i dieci anni non si abbracciano, vero bambina mia? – E sorrise alla piccolina che teneva in braccio. – Ricordati che anche i tuoi giorni sono contati – Concluse.
Poi per curiosità guardò suo padre. Anche lui era molto simile, ma non uguale. Infatti, nell’altra vita, non l’aveva mai visto in una forma tale a quella che aveva in quel momento.
Era almeno venti chili in meno e i capelli erano molto più lunghi e meno brizzolati.
Era lo stile di vita differente che determinava quelle diversità o erano semplicemente altre persone?
Rosina, non essere sempre così dura con lei. – La rimproverò il padre. – E’ una brava ragazza. –
- E vorrei proprio vedere che non lo fosse! L’ho cresciuta io, ci ho messo il mio stomaco a crescerla così com’è. Però, piccola bambina, non riesce ancora a capire che la dolcezza nella vita non aiuta. Forse è colpa mia, che, quando l’ho messa al mondo, l’ho amata così tanto, prima di capire che la stavo solo danneggiando. –
Gli occhi della madre scintillavano di sentimento, mentre parlava della sua primogenita. Era una persona strana e particolare, percepì subito Lucrezia, divisa tra l’affetto materno e i doveri che quest’ultimo comporta.
- Poi presto giungerà il momento di sceglierti un marito, Lucrezia. Tuo padre ha già diverse idee. –
- Rosa, lasciala in pace, un poco. – Intervenne la madre di Fioretta, Maria. – Lasciale godere questi giorni, questi anni, che di tempo ce n’è per sposarsi. –
Lucrezia si avvicinò a sua madre e subito la sorellina allungò le mani per andarle in braccio e lei, con una dolcezza infinita, la sollevò e se la strinse al petto.
Avrebbe sempre voluto avere una piccola bambina da coccolare e fortunatamente in quella vita poteva averla.
Era molto bella, assomigliava a lei da piccola. I capelli erano neri, scurissimi, e ricci, le incorniciavano le testa mettendo in risalto i grandi occhioni verdi.
Sembrava proprio che la sorella le fosse molto legata; infatti, in braccio a Lucrezia, sembrava molto più tranquilla.
Poi la madre di Fioretta si scoprì, lasciando vedere il grande pancione che aveva in grembo, ormai doveva essere sicuramente al nono mese.
In quello stesso momento dal piano di sopra arrivarono cinque bambini più o meno della stessa età. Tre andarono vicino alla madre di Lucrezia e due di fianco a quella di Fioretta.
Dovevano per forza essere gli altri figli delle due famiglie.
Ovviamente Lucrezia si soffermò a guardare i tre che andarono da sua madre. E rimase di sasso quando si rese conto che erano tutti e tre uguali.
Impossibile, pensò Lucrezia.
Tre gemelli!
Dovevano avere all’incirca dieci anni, cosa che li rendeva sgradevoli a Lucrezia che odiava i bambini di quell’età.
L’unica differenza che li distingueva era una lettera ricamata sulle loro mantelline di lana, diversa per ogni fratello. A, E, F.
-Mamma abbiamo fame. – Disse uno dei tre gemelli.
- Bene, tra poco andremo a mangiare, Alessandro. – Rispose lei.
- E dove andiamo a mangiare? – Chiese un altro.
- Alla Taverna dei Signori, Fabrizio. (4) – Rispose nuovamente lei, con la stessa calma.
L’unica non più calma era Fioretta, che saltò in piedi improvvisamente – Davvero? Davvero? Davvero? – Continuava a gridare.
-Calmati immediatamente, Fioretta. – La rimproverò la madre.
- Ma madre, non ti rendi conto che in quella taverna mangiano i più ricchi di Firenze? Magari al tavolo vicino al nostro ci saranno i de Medici! –
- Fioretta, se tu conoscessi le dinamiche di quel posto sapresti che ciò è impossibile, loro stanno al secondo piano, nel soppalco, dal quale si vede l’Arno dalle finestre.
Infatti il secondo piano è molto più costoso.
Però ci saranno molte persone importanti in ogni caso.
Diceva prima Rosa che dobbiamo cercare un marito alla nostra Lucrezia, vero? Non c’è posto migliore per guardarsi intorno. -
 
 
Mezz’ora dopo le due famiglie erano alla Taverna dei Signori, vicino a Piazza della Signoria.
Di certo non era proprio il ristorante di lusso che si era aspettata Lucrezia, anzi, al contrario, sembrava una di quelle osterie di montagna del Duemila.
Quindi non osava immaginare come dovessero essere le taverne per non ricchi.
Nonostante questo il posto non era troppo male e, dopotutto, non era nemmeno troppo sporco. La puzza degli odori della cucina, però, invadeva tutte le sale, sia quello al primo piano e, sicuramente, anche quella del soppalco.
La taverna era arredata in modo molto semplice.
I tavoli erano disposti vicino ai muri, con tovaglie verdi, tovaglioli in tinta e bicchieri in terracotta che davano al tutto un’aria – pensò Lucrezia – un po’ contadina.
Al centro di ogni tavolo c’era un mazzo di fiori, lunghi e con lo stelo ricoperto di piccoli fiorellini gialli. (5)
Aspettarono un po’ prima di essere accomodati al loro tavolo e, nel frattempo, Lucrezia si guardò intorno.
Sembrava che davvero quel posto fosse frequentato da persone abbienti, infatti, erano tutti vestiti in modo elegante, per quei tempi.
Nel mazzo del tavolo che era stato assegnato alla famiglia di Lucrezia e Fioretta, però, c’erano anche due grosse rose rosse.


Al piano di sopra, nel soppalco, appoggiati alla ringhiera che guardavano la sala sottostante c’erano due fratelli che, nonostante avessero entrambi più di venticinque anni e uno dei due fosse sposato con figli, continuavano a comportarsi come due adolescenti.
-Oh, fratello, ho pensato di essere cortese con la mia dama e ho fatto mettere due rose nel suo mazzo. –
- E come facevi a sapere che quello sarebbe stato il suo tavolo? –
- Perché ho detto chiaramente alla donna che affida i tavoli che, prima di affidare un tavolo a quelle persone, doveva mettere due rose rosse nel loro mazzo. –
- Sei patetico. E perché mai due rose? –
- Fratello! Come sei rozzo! Te la vuoi ingraziare o no questa fanciulla? –
- Quale fanciulla? – Chiese improvvisamente una voce dietro di loro, che fece sobbalzare Lorenzo.
Fortunatamente era solo Antonio de Pazzi, figlio della sorella Bianca e di Guglielmo de Pazzi.
Era un ragazzino molto bello, di sedici anni, con i capelli neri e molto corti e gli occhi azzurri.
-Allora, quale fanciulla? Coinvolgete anche me, non sono un bambino. –
- Oh, nipotino, lo sappiamo bene che non sei un bambino, sappiamo come stai diventando grande e in quali bellissime taverne passi le tue serate. La discrezione non è il tuo forte anche se devi imparare ad essere discreto se vuoi intraprendere la carriera politica come dice tua madre. – (6) Lo rimproverò Giuliano.
- Dove passo le mie serate non è affar tuo. -  
- Certo, allora non è affar tuo nemmeno sapere di quale fanciulla stavamo parlando. –
- Non importa, non è molto difficile capirlo. Per esempio, io, se dovessi parlare di qualche fanciulla qui presente, parlerei di quella dal vestito blu, nel tavolo lì sotto, la vedete? –
- Eccome se la vediamo, giusto, Lorenzo? – Lo stuzzicò il fratello.
- Mi pare di intravederla. – Rispose lui, con un ghigno.
- Beh, io quella me la sposerei. Anche se non è ricca come noi, io la sposerei proprio. Almeno potrebbe rendere leggermente piacevole il matrimonio, nevvero, Lorenzo? E’ vero che il matrimonio è la maggior disgrazia di un uomo? –
Lorenzo lo guardò, con aria innervosita.
-Me lo devi ricordare ogni santo giorno della mia vita com’è il matrimonio? Cosa domandi a fare se conosci già la risposta? Certo che è una disgrazia, per quelli come noi, che si sposano per accrescere il prestigio della famiglia. Clerice è stata scelta da mia madre a Roma, io non l’avevo mai nemmeno vista. Per fortuna il suo aspetto è nobile e grazioso, ma è bella solo se rimane in silenzio. E la sua bellezza mi giova davvero poco, dal momento che passa le sue serate a pregare e a stringere il rosario tra le mani, a leggere la bibbia ai bambini, per Dio! L’avrei preferita brutta, ma di piacevole compagnia.
Penso di averle visto l’ombelico solo quando sono stati concepiti i bambini, povero me, più pudica di un frate francescano e un monaco di clausura messi insieme. – Sbottò il Magnifico.
Giuliano, nel frattempo, se la rideva.
- Ti fa ridere? Fra un poco dovrai sposarti anche tu. –
- Certo, fratello, ma non sono il cocco di mamma, la cara mamma Lucrezia non andrà a Roma a cercare una moglie anche a me. –
- Non farne una questione di favoritismi, Giuliano, perché sai benissimo che non ce ne sono. Tu, al contrario di me, hai sempre detto che la moglie te la saresti scelta da solo e quindi nostra madre, che sta invecchiando, ha lasciato perdere. –
- Con te avrebbe lasciato perdere? –
- I se e i ma non scrivono la storia, Giuliano. –
- Fatto sta – Riprese il nipote – che io vorrei proprio sposarmela quella. Anche l’altra biondina non è male, ma la mora, Dio, è uno splendore. Mai visto capelli così belli, un viso più stupendo, lineamenti più perfetti.
- Piantala Antonio se non vuoi essere buttato giù dal soppalco. – Lo rimproverò Lorenzo con una leggera stizza.
- Comunque, Antonio, vai errando di sicuro. Sono d’accordo sulla bellezza della fanciulla, ma ce n’è stata una più bella, più bella di tutte le fanciulle d’Italia.
Purtroppo, come tu ben saprai, morì ormai due anni fa.
Parlo di Simonetta Vespucci,  (7) moglie di Marco Vespucci, mia amata donna. Ogni tanto ancora la sogno, lei sì, che fu la più bella donna mai comparsa a Firenze, la Venere vivente.
Vi ricorderete il torneo cavalleresco (8) a cui partecipai nel millequattrocento settantacinque, che vinsi con tanta fierezza, solo per avere in premio un suo ritratto del Botticelli. –
Lorenzo gli appoggiò una mano sulla spalla, per consolarlo.
-Lo so fratello che lei se n’è andata e che era l’amore della tua vita, la stella più bella che illuminava le tue notti, ma è andata. E invece tu sei qui, pronto ormai a riprendere la tua vita, a sposarti, a mettere al mondo dei bambini, dei quali è impossibile stancarsi. E poi pensa alla ragazza che stai corteggiando, che pende da ogni tuo gesto. La suddetta, così per dire, si è accorta della tua presenza e ti guarda. Che, vorresti spezzarle il cuore? –
- Lorenzo! Non potrei mai fare una cosa simile! – E, alzando lo sguardo verso Fioretta, le fece l’occhiolino e lei, facendo finta di niente, da lontano, accennò un sorriso.
La cugina, dopo un secondo, le diede una gomitata.
- Ah, Lorenzo, quella è selvatica! –
- Penso proprio che le chiederò la mano. –
- Se non chiudi quella boccaccia, Antonio, tu non avrai più nessuna mano! –
 

-Cosa prendi, Fioretta? – Chiese il padre.
- Non saprei, penso i ravioli ignudi. –  (9)
- E tu, Lucrezia? –
- Pensavo a un brodo di carne, per riscaldarmi bene. –
- Benissimo, di contorno prendiamo una porzione per sette persone di fritto misto(10) e siamo a posto, grazie. –
Concluse il padre di Fioretta.
Rosa, la madre di Lucrezia, si stava già guardando intorno, quando una donna della sua età le andò incontro, salutandola affettuosamente.
-Signor Donati! Che piacere vederla, come sta? – Chiese la donna, rivolgendosi al padre di Lucrezia.
Quindi quello doveva essere il suo cognome, Lucrezia Donati. (11)
-Buon giorno a lei, signora Ardinghelli. Procede tutto a meraviglia, mia figlia, la primogenita, Lucrezia, -ricorda? – ormai ha diciotto anni compiuti e sta giungendo il momento di trovarle marito, ed è sempre un dispiacere per un padre sapere che presto arriverà il momento di lasciar andar via la propria bambina, nevvero? Ma non voglio annoiarla con le mie ciance! –
- Annoiarmi, ma si figuri! Lo sa che il mio bambino, Niccolò, ormai di anni ne ha venti! Aspetti che glielo presento, lo vado a chiamare! Magari potrebbe essere un buon pretendente per vostra figlia! –
Fece l’occhiolino al signor Donati e tornò al suo tavolo a chiamare un ragazzo alto e ricciuto, con il volto imbronciato che, da lontano, squadrò Lucrezia, poi un po’ rincuorato, si alzò dalla sua  tavola e andò verso quella di Lucrezia.
Non era un bel ragazzo, o forse lo era, Lucrezia non sapeva dirlo, dal momento che per tutto il tempo successivo non lo vide mai sorridere.
Gli occhi erano annoiati e spenti, nonostante vedessero chiaramente la bellezza di Lucrezia, non interessandosene più di quanto una persona normale si interesserebbe di un gatto randagio.
Lucrezia non se ne sentì offesa, dal momento che quel ragazzo non le sarebbe mai interessato, anche se capiva benissimo che non aveva molta scelta.
- Piacere, il mio nome è Niccolò e sono secondogenito della famiglia Ardinghelli. (12) –
- Piacere, il mio nome è Lucrezia e sono primogenita della famiglia Donati. –
- Bene, contenta che vi siate conosciuti. – Disse la madre del ragazzo. – Del resto discuteremo tra genitori. –
- Sarà una conversazione interessante. – Proruppe Rosa. – Avete ancora quelle vigne nelle campagne fiorentine?-
- Certo, vanno a gonfie vele. Mio marito sta acquistando anche altri terreni nelle coste della Romagna, che, magari, un giorno, speriamo di dare in mano a Niccolò, quando, ovviamente, si sarà fatto una famiglia tutta sua. –
- Certo, magari possiamo incontrarci un pomeriggio di questi, per discuterne. –
- Sì, sarei molto contenta di vedere mio figlio maritato con una ragazza così bella. Non se ne trovano di così belle in giro, di questi tempi. –
Dalla sala al piano superiore cadde un bicchiere, che finì sul pavimento, rompendosi in mille pezzi.
 
 
 
 
 
 
(1)    Non sapendo precisamente quando venne dato a Lorenzo de Medici il titolo di “Magnifico” ho fatto in modo che Fioretta ancora non conoscesse quel termine che invece Lucrezia conosceva benissimo.
(2)     Via dei Calzaiuoli
(3)    Nel 1442 l'autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e il decoro, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul Ponte Vecchio per renderli un po' isolati dai palazzi e dalle abitazioni del centro. La disposizione mirava soprattutto ad eliminare le consuete, maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all'Arno durante il trasporto degli scarti più minuti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano ora disperdersi direttamente, senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume. Da quel momento il ponte divenne il mercato della carne ed i beccai, divenuti in seguito proprietari delle botteghe, per ottenere più spazio, vi aggiunsero in modo disordinato delle stanzette aggettanti sul fiume puntellandole con pali di legno.
(4)    Luogo inventato.
(5)    Fiore chiamato Forsythia.
(6)    Antonio (1462-1528) ambasciatore e uomo politico, Gonfaloniere di Giustizia nel 1521.
(7)    Simonetta Cattaneo Vespucci (Fezzano28 gennaio (?) 1453 – Firenze26 aprile 1476) fu una nobildonna del Rinascimento, amata da Giuliano de' Medici, il fratello minore di Lorenzo il Magnifico. Ritenuta dai suoi contemporanei come la più bella donna vivente, fece da modella a Sandro Botticelli per la Nascita di Venere e numerosi altri dipinti. Fu musa ispiratrice anche per numerosi altri artisti, tra i quali si distinse Piero di Cosimo, che dipinse il Ritratto di Simonetta Vespucci, dove compare vestita come Cleopatra con un aspide al collo.
(8)    "Torneo di Giuliano": torneo cavalleresco svoltosi in piazza Santa Croce nel 1475. Giuliano, secondo quanto immortalato dal poemetto Stanze per la giostra di Angelo Poliziano, vi partecipò, vincendo, perché vi era in lizza un ritratto di Simonetta dipinto dal Botticelli, sul quale era riportata l'iscrizione La Sans Pareille, "La senza paragoni". Simonetta fu la trionfatrice e venne proclamata "regina del torneo". La sua straordinaria bellezza e la sua grazia avevano ormai conquistato tutti, in primis Giuliano.
(9)    Ravioli con un ripieno di spinaci, ricotta, uova, parmigiano grattugiato, farina e un pizzico di noce moscata. I sughi più adatti a questo piatto sono il sugo al pomodoro, salvia e burro o il sugo di carne della fiorentina. Questa variazione di ravioli è conosciuta come gnudi a Firenze, che è una variazione dialettale del termine dialettale rinascimentale ignudi.
(10) Verdure fritte.
(11) Lucrezia Donati è esistita realmente ed è stata corteggiata da Lorenzo de Medici che le dedicò moltissimi sonetti.
Personaggio realmente esistito.

   
 
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