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Autore: Hikari93    06/02/2012    9 recensioni
«Mou Hitori No Boku, secondo te…» accennò naturale, voltandosi altrettanto spontaneamente, come poteva essere il lavarsi i denti di mattina, alla sua destra, verso il letto. Per un attimo impercettibile, un istante lungo meno di un battito di ciglia, Yugi si stupì, si finse stupito, doveva farlo. Era giunto all’infantile convinzione che l’unico modo per smettere di patire la perdita del suo più caro amico era quella di illudersi che non se n’era mai andato. Più ci pensava e più si sentiva egoista e vigliacco; Atem doveva andarsene, e probabilmente lui lo aveva sospettato da sempre, preferendo, anche in quell’occasione, illudersi e pensarla diversamente, accantonando la probabilità, se non la certezza, che davvero potesse accadere che si separassero.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atemu, Yuugi Mouto
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ricominciare da zero

 

 

    Prologo
     



 

 

La notte scura incombeva, coi suoi nuvoloni estesi, su Domino.
Era tardi, aveva le palpebre pesanti, eppure non riusciva a prendere sonno. Yugi stava lì, seduto comodamente sulle sedia della sua scrivania, coi gomiti poggiati su di essa, e scrutava il cielo minuziosamente, come se cercasse di riconoscere anche il più piccolo dettaglio che si differenziasse da quella vasta distesa omogenea. Aggrottò le sopracciglia quando i suoi occhi color ametista parvero incrociarsi con un puntino luminoso; era la serata delle stelle cadenti, a quanto dicevano, ma fino ad allora, forse per le nuvole grigie che oscuravano la visuale, forse per sfortuna, non ne aveva visto nemmeno mezza.
A quanto pare, la scommessa tra Jonouchi e Honda, su chi avvistava più stelle cadenti, è saltata, ridacchiò.
Cacciò fuori tutta l’aria che aveva tenuto custodita nei polmoni durante l’analisi di quel qualcosa che aveva creduto di vedere, e che in realtà era stato solo frutto della sua immaginazione, e si accucciò sul legno della scrivania, le mani sulla testa. Non era veramente deluso, più che altro avvertiva un vuoto enorme in prossimità del petto, che si stava espandendo giorno dopo giorno e che, sapeva, prima o poi lo avrebbe consumato.
Negava persino a se stesso l’origine di tale tristezza dilaniante.
«Mou Hitori No Boku, secondo te…» accennò naturale, voltandosi altrettanto spontaneamente, come poteva essere il lavarsi i denti di mattina, alla sua destra, verso il letto. Per un attimo impercettibile, un istante lungo meno di un battito di ciglia, Yugi si stupì, si finse stupito, doveva farlo. Era giunto all’infantile convinzione che l’unico modo per smettere di patire la perdita del suo più caro amico era quella di illudersi che non se n’era mai andato. Più ci pensava e più si sentiva egoista e vigliacco; Atem doveva andarsene, e probabilmente lui lo aveva sospettato da sempre, preferendo, anche in quell’occasione, illudersi e pensarla diversamente, accantonando la probabilità, se non la certezza, che davvero potesse accadere che si separassero.
«Mou Hitori No Boku» ripeté col solo vuoto della stanza ad ascoltarlo «secondo te cos’è questa strana sensazione che avverto con sempre maggiore intensità? M-mi fa male, sai? Dapprima era semplicemente bizzarra, curiosa, qualcosa a cui non avevo dato troppo peso. Non aveva avuto importanza, Mou Hitori No Boku, e probabilmente non ne ha nemmeno adesso» sorrise amaro.
No, non ne aveva, di importanza, soprattutto in quel momento.
Non ne avrebbe avuta mai più.
«Sai» ricominciò Yugi, trovando come unico rimedio al suo dolore quello di parlarne; a vuoto sì, ma gli serviva confidarsi con qualcuno, qualcosa, come si faceva con i diari segreti. «A causa tua ho preso un brutto vizio» sorrise, ma fu faticoso tirar su gli angoli delle labbra «parlo da solo. A proposito, ti ricordi di quella volta, quando la mamma ci sorprese? Beh, a essere sinceri, ci ha beccati più di una volta.»
Appoggiò la guancia umida al pugno che serrava sempre con più forza, quasi potesse, così facendo, reprimere le lacrime che non la volevano smettere di uscire. Si domandò per quale motivo, anche a un mese di distanza, qualunque cosa facesse, qualunque cosa provasse, a ritornargli alla mente c’era sempre e solo Atem.
Ripercorreva ogni volta tratti della loro strana avventura, ricordandosi delle parole dette, dei consigli datisi, di ciò che l’uno aveva imparato dall’altro, e arrivava alla conclusione che, sebbene avessero convissuto quasi in simbiosi per diversi anni, si erano detti troppo poco. Yugi, in particolare, non glielo aveva mai confessato.
«Avrei voluto avere più tempo» mormorò. «Per fare cosa? Non lo so, qualunque cosa, purché ci vedesse fianco a fianco» sospirò, e frattanto si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Anche se sono sicuro che, se mai potessimo vederci anche soltanto per un secondo, saresti deluso di trovarmi in questo stato, Mou Hitori No Boku. Non mi reputeresti più coraggioso, come credevi che fossi, perché non sto dimostrando di esserlo» abbassò pian piano il tono di voce, temendo che qualcuno davvero potesse sentirlo.
Strinse i pugni ancora più forte, tanto da sentire quasi le unghie nella carne. Le guance si stavano facendo sempre più rosse, e Yugi pensò che sul suo viso, più da bambino che da adolescente, quelle scocche color fuoco dovessero somigliare a due pomodori troppo maturi. Il cuore aveva accelerato notevolmente la sua folle corsa e il piede aveva cominciato ad andare su e giù, battendo frenetico sul pavimento, per l’agitazione mista a vergogna.
«S-se fossi stato veramente coraggioso, ma anche solo un po’ di quello che pensavi tu, ti avrei detto che cominciavo a provare qualcosa d-di più verso di te. Lo so che non sarebbe cambiato niente, che alla fine ogni cosa sarebbe andata al suo posto esattamente com’è stato, ma almeno non avrei avuto il rimorso di non averci nemmeno provato.»
Provato a fare cosa, poi? A vivere intensamente quel po’ di tempo che la vita ci avrebbe permesso?
Si alzò lentamente e cominciò a muoversi per la stanza come un pesciolino rosso chiuso in una boccia di vetro, andando avanti e indietro senza uno scopo preciso, senza sapere cosa fosse necessario dire ancora. Non sapeva se a causa dell’amore che aveva scoperto da poco di provare da sempre o per colpa della mancanza di Atem in lui come entità, ma si sentiva uno sciocco. E il culmine lo raggiunse, secondo lui, quando pensò che con un solo bacio di Atem sarebbe potuto sopravvivere per sempre.
Sto capendo così che tu, Mou Hitori No Boku, eri diventato una parte di me molto più importante di quella che credevo. Non eri soltanto il coraggio che mi  mancava, l’audacia e la forza di affrontare qualsiasi pericolo, perché, pian piano, il sottile confine che separava le nostre due entità si è rotto del tutto, si è assottigliato a tal punto che una parte troppo importante, vitale, di me si è riversata in te e parte di te in me. Mi hai dato tutto quello che non avevo, e sono diventato un altro grazie e te. Eppure, da quando te ne sei andato, non mi sento più la stessa persona che tu eri riuscito a creare, come se ti fossi ripreso ogni cosa concessami, come se me l’avessi strappata via.
Perché io ero te e tu me. Come succede per una medicina, il mio corpo si era assuefatto alla tua presenza, e con te anche all’esistenza di una parte di Yugi Muto più forte. Adesso è sparito tutto, e ciò che mi resta è il sentimento di amore che ho scoperto di provare per te e la paura di dimenticare sia questa emozione, al momento forte, che te. E, visto che un pezzo del mio essere è già venuto via con te, se mai mi dimenticassi di te sparirei del tutto? Perché sai, la metà di me che resta, quella che abita in questo corpo, è legata indissolubilmente all’unica cosa che riesca a ricordarti; se quella sparisce, per un motivo o per un altro, potrei dirmi addio.
Non aveva nemmeno più la forza di camminare.
Tante volte, avvicinatosi al momento cruciale del dichiararsi a qualcuno che non c’era più, era stato capace di indietreggiare, di non muovere un altro passo, ma quella notte aveva ceduto, lasciando che tutte le sue illusioni cadessero come un castello di carte barcollante.
Fu forse l’istinto a guidarlo verso l’ultima prova tangibile dell’esistenza di Atem, quella da cui era cominciata ogni cosa: lo scrigno che aveva contenuto i preziosi pezzi del Puzzle Millenario.
Si sedette nuovamente. Aprì quel piccolo scrigno, lo guardò quasi con dolcezza, come se lì dentro ci fosse ancora il Puzzle, ancora Atem, e lo richiuse subito, sperando che almeno un pizzico della sua terribile sofferenza venisse chiusa lì dentro.
Il primo sorriso sincero, anche se nascondeva sempre un’ombra di tristezza, si fece strada sul viso ancora arrossato di Yugi. Poggiò la guancia sull’oggetto e chiuse gli occhi, troppo stanco persino per andare a letto e infilarsi sotto le lenzuola. Ascoltò il suo respiro farsi sempre più calmo, e il fresco sulla pelle, infine, divenne solo l’ombra di quello che era.
«Desidererei soltanto poterti dire che ti amo» mormorò.
I sensi si inibirono velocemente, e per Yugi non ci fu altro che un sonno indubbiamente diverso dagli altri.
 
Non sapeva dove si trovava, e non c’erano dei punti di riferimento che potessero aiutarlo a realizzare ciò che lo circondava; l’unica certezza era il bianco che aleggiava intorno al suo corpo forse sospeso o forse appoggiato a terra, non lo capiva.
«Saresti disposto a tutto per esaudire il tuo desiderio?» si fece udire una voce irriconoscibile. Yugi era certo di non averla mai sentita.
«Ogni cosa» rispose solo, e sebbene la consapevolezza che quanto gli stesse accadendo era solo un sogno fosse forte, si permise di credere in quella voce, frutto, probabilmente, della sua fantasia.
«Saresti anche disposto a rinunciare alla tua vita?»
Yugi si fece cogliere impreparato, sulle prime. Ci ragionò un po’, e poi, con la sicurezza di star solo sognando, annuì convinto. Non sarebbe accaduto niente, perché ormai ogni singola traccia di magia nella sua vita era finita. Rimaneva soltanto la più o meno dolorosa realtà.
«Ebbene, che si avveri ciò che desideri» annunciò la voce, e il suo tono sembrava talmente sicuro di sé che Yugi ebbe paura di aver commesso un grosso sbaglio. Temette quasi che quel sogno fosse più vero di quanto dovesse essere. «Potrai incontrarlo di nuovo, ma partendo dalle origini.»
«Che cosa significa?» trovò il coraggio di dire.
«Che dovrai ricominciare da zero» spiegò. «Ma lo capirai meglio quando ti troverai faccia a faccia con la realtà e, soprattutto, quando farai chiarezza su quello che senti.»
Yugi ci capiva sempre meno di quella visione a metà fra il sogno e la realtà: voleva soltanto svegliarsi. Stava per aprir bocca – senza sapere nemmeno dove rivolgersi, visto che la voce si udiva ovunque intorno a sé e non proveniva da un punto preciso – ma la voce parlò prima di lui, anticipandolo: «Adesso puoi andare, il tuo desiderio è stato esaudito.» Una luce nera, simile a un vortice, si espanse verso Yugi, spaventandolo sempre di più. Era un incubo, doveva esserlo! «Non ricorderai nulla, e solo se riuscirai a ricostruire quello che avevi, allora il tuo desiderio potrà realmente realizzarsi» aggiunse la voce. Forse stava per dire altro, ma Yugi non poté più udirlo, perché vi erano le sue stesse urla di terrore a sovrastarlo.
D’improvviso finì tutto.
 
 

 
 
 







Un prologo corto e scemo su una coppia che ultimamente mi sta prendendo tanto.
Vedrò di prendere questa storia con calma, perché vorrei strutturarla bene (sì, sì, tutte parole, poi dovremo vedere a fatti Cx).
Credo che il pezzo in corsivo di Yugi sia la cosa più sdolcinata che abbia mai scritto, e non so se sta bene detta da lui e, soprattutto, se sta bene nella fic o stona (in ogni caso, piazzo l’avviso OOC, se poi, secondo voi, lo posso togliere, lo faccio con molto piacere).
Non preoccupatevi se avete capito poco dell’ultima parte, perché nel prossimo capitolo si spiegherà tutto.
Grazie per aver letto. 

   
 
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