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Autore: Doralice    07/02/2012    17 recensioni
Dal secondo capitolo:
– Spiegami com'è possibile che il tuo migliore amico eterosessuale provi il costante bisogno di baciarti. –
– Lo scambio di effusioni tra amici è del tutto normale. Nella maggior parte dei casi. –
[...]
– Nella maggior parte dei casi, gli amici non fingono di essere morti per tre anni per poi ricomparire come se niente fosse nella tua vita e pretendere che sia tutto come prima. –
Evidentemente Sherlock aveva mancato il punto. E anche in maniera lampante.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terzo ed ultimo capitolo... il più sofferto. Grazie a tutte coloro che mi hanno seguita e recensita in questo timido esperimento: siete voi la mia soddisfazione!

Per non illudervi vi confermo che il rating è quello giusto. Sono rimasta volutamente su un rating basso, perché per ora non credo di essere in grado di scrivere una scena slash a rating rosso: è già difficile descrivere un rapporto sessuale etero... ho il terrore di cadere in errori madornali e/o in banalità lapalissiane se descrivessi un rapporto tra due uomini.

E questo è quanto! Canzone: First Love dei Maccabees. Buona lettura e a presto! :)







First Last Only Love


John aveva aperto la porta senza nemmeno guardare dallo spioncino. La sua intenzione era di mandare affanculo chiunque ci fosse dall'altra parte e poi andare a piangere in un angolo come una donnetta premestruata.

Non aveva messo in conto che dall'altra parte potesse esserci Sherlock. Lo stesso Sherlock che aveva avuto la brillante idea di baciare poco prima. Lo stesso Sherlock di cui aveva ancora il sapore in bocca e di cui non avrebbe mai dimenticato la morbidezza delle labbra.

Gli stai fissando le labbra. Smettila.

John sporse appena la testa fuori per assicurarsi che nessun vicino stesse ficcanasando. Poi afferrò per una spalla Sherlock e lo strascinò dentro, richiudendo velocemente la porta. Lo lasciò immediatamente, come se il banale contatto di una mano su una spalla, con strati di vestiario nel mezzo, fosse chissà cosa rispetto a...

E piantala di fissargli le labbra, Cristo!

Sherlock avanzò dentro l'appartamento e vi si fermò in mezzo, guardandosi intorno. John avrebbe potuto contargli i neuroni al lavoro del dedurre ogni minimo dettaglio della sua esistenza. Si sentiva nudo.

Si schiarì la voce: – Vuoi del tè? –

Sherlock si voltò a guardarlo. No, ad esser precisi, si voltò a radiografarlo. Se prima si sentiva nudo, adesso come si sentiva? Scorticato, aperto in due dal bisturi dei suoi occhi e messo sotto il microscopio.

Mi hai sempre voluto, John. –

Una morsa gli strinse la gola. Una morsa fatta di vergogna e di vecchi rimpianti e di strascichi d'ipocrisia.

Non voglio... – John incrociò le braccia sul petto, ci si strinse letteralmente, quasi a difendersi – Non voglio saperlo. –

È importante che te lo dica. –

Oh, ma per favore! Vuoi solo metterti in mostra come al solito. –

Era una stronzata. Come lo era camminare nervosamente per la stanza. E nessuna di quelle due stronzate avrebbe migliorato la situazione. Non gli avrebbero impedito di sentirsi estremamente infantile e stupido proprio nel momento in cui Sherlock decideva di fare un passo – un enorme passo – verso di lui. Rappresentavano, piuttosto, l'ultimo ed inutile residuo di quella barriera che aveva eretto per difendersi dalle emozioni che l'avevano lacerato per tre anni. Per difendersi da lui.

Fu la voce morbida di Sherlock e spezzare anche quel residuo: – Questa è davvero l'ultima situazione in cui vorrei mettermi in mostra, John. –

Ed è incredibile come certe cose non facciano alcun rumore nel momento in cui si spezzano, mentre sanguinano, quando muoiono.

Hai sempre avuto quel modo di guardarmi. –

John si riscosse dal suo personale dramma e si accorse di avere le guance in fiamme.

Che... quale modo? – borbottò.

Anni di addestramento lo fecero istintivamente retrocedere in posizione di difesa quando Sherlock gli si avvicinò con decisione. Ma non poté che restare annichilito mentre lui lo afferrava per le spalle e lo trascinava davanti allo specchio dell'ingresso.

Questo. –

È un fatto. Se il più abile consulente investigativo del Regno Unito pensa che tu sia sempre stato attratto da lui, deve essere vero. E la conferma stava proprio davanti ai suoi occhi. Era così reale. Così maledettamente reale e... e imbarazzante e – Cristo santo! – come aveva potuto Sherlock fare finta di niente in tutto quel tempo?!

Tu mi osservavi. – realizzò, mentre l'imbarazzo andava a sciogliersi nello stupore, creando uno strano ibrido che gli faceva martellare il cuore.

Sherlock non distoglieva gli occhi dai suoi, nel riflesso dello specchio. Era come avere due Sherlock che lo osservavano. Quello dello specchio mosse le labbra e contemporaneamente quello alle sue spalle sussurrò “Sì”. Solo un “Sì”. Lapidario e senza alcuna sfumatura, eppure traboccante di tutte le emozioni che in quel momento impregnavano l'aria del minuscolo monolocale.

Quando? – volle sapere.

Le ciglia di Sherlock fremettero appena. Unico, delicato segno tangibile di ciò che stava provando.

Sempre. – soffiò.

Era una cosa bellissima, semplicemente bellissima. E agghiacciante.

John non riusciva a muoversi, lacerato tra il desiderio di tirare un pugno allo specchio per incrinare quel volto perfetto che lo scrutava, e l'istinto di voltarsi e morderlo a sangue che l'aveva preso fin dal momento in cui aveva messo piede là dentro.

Non mi hai mai detto niente. –

Si accorse di parlare a fatica.

Cosa potevo dirti? – Sherlock inarcò un sopracciglio e voltò le spalle allo specchio e a lui – “John, sei attratto da me, fattene una ragione e andiamo a letto insieme”? –

Come si potrebbe illustrare la reazione che ebbe John Hamish Watson? Il principio di erezione che lo colse sarebbe già più che eloquente. Si aggiunga che si strozzò con la propria saliva e dovette cercare sostegno posando una mano alla parete, poiché le gambe smisero di reggerlo a dovere.

John era stato in guerra e anche da civile non è che i momenti di adrenalina fossero mancati. Aveva sperimentato più volte quella sorta di furia berserker che ti offusca il cervello e ti manda le pulsazioni fuori fase, che ti spinge oltre i limiti, che ti rende una bestia letale.

Questo era diverso. Era peggio. Questo contemplava la furia e il sesso. Insieme. Era il risultato di tre anni di menzogne e disperazione e desideri repressi. Il risultato di una provocazione assolutamente gratuita e palese da parte della fonte di tutti i suoi drammi.

Fallo. –

John annaspò: – Cosa...? –

Scorse la figura alle sue spalle.

Picchiami. –

Oh, Dio...

Il mondo attorno a John si mise graziosamente a roteare. Stava sperimentando un infarto e le mani gli prudevano dalla voglia di menarlo.

No. – rantolò, girando stupidamente su stesso, lo sguardo allucinato che vagava attorno a sé alla disperata ricerca di un appiglio, un... un qualcosa – qualsiasi cosa dannazione! – potesse distrarlo.

Sì, John. –

No, Sherlock. –

Fammela pagare. –

Oh, quale dolcissimo invito. Il respiro di John si fece difficoltoso mentre immaginava senza fatica alcuna come avrebbe voluto fargliela pagare.

Non in questo modo. – scandì.

Sherlock lo osservò curioso, la testa inclinata di lato: – Perché no? –

L'incredulità non era sufficiente per definire lo stato di John. Era un fottuto detective o no? Deduceva quante volte una persona aveva fatto il giro del mondo dal modello del suo orologio, era mai possibile che non arrivasse a capire quanto poteva essere pericolosa quella situazione?

Si lasciò scivolare alla scrivania, la testa tra le mani, fissando sconvolto un punto della carta da parati davanti a sé.

John... –

Il calore di una mano, le dita sottili tra i capelli. John strinse gli occhi e sospirò pesantemente, sentendo il sangue che tornava ad affluire all'inguine.

Non voleva fargli male. Non poteva. Non in quel modo. No no no no. Era intollerabile.

Scostò la sua mano con un colpo secco e si grattò la testa, scompigliando i capelli, strofinando il viso, ringhiando di disappunto con la faccia ficcata nei palmi.

Non aveva mai fatto l'amore con un uomo, John. Ma su internet si trovava di tutto – forse anche troppo – e lui era un tipo curioso. E adesso gli era assurdamente naturale immaginare di sperimentare su Sherlock certe cose. Applicarle bene, sì, fino ad annullare quel dannato cervello che si ritrovava e imporgli una fisicità dalla quale si ostinava a tenersi lontano.

John desiderava annientarlo.

Troppo cerebrale. Stai diventando come lui.

Ma che gli stava succedendo? Era un uomo terra-a-terra, santo Cielo. Un medico e un soldato: l'apoteosi della praticità. Gli piacevano le cose semplici.

Il sesso, dal suo punto di vista, non doveva implicare lo stress di pensare, solo la fatica fisica di agire. Quella sacrosanta fatica che ti fa sudare anche in pieno inverno col riscaldamento staccato, che ti fa pulsare la testa per il calore, che spinge i muscoli fino ai limiti, che ti toglie il fiato e la facoltà di parlare fino a crollare privo di forze, tremante e sudato. Non c'è mai stato niente di cerebrale in questo, grazie a Dio.

Pensi troppo, John. Non fa per te. –

C'è sempre un punto di non ritorno nella vita di uomo. John credeva di averlo varcato nel momento in cui aveva confessato – smozzicato, strappato dal cuore e sputato tra i denti come un pensiero deforme, masticato da anni di rimuginazione – a Sherlock ciò che provava.

John si sbagliava. Fu quello il momento in cui varcò il punto di non ritorno.

Capì che stava succedendo con sorprendente lucidità. Lo capì dall'istante in cui si rialzò e si voltò verso di lui e si guardarono in silenzio, la sedia tra di loro come un'ultima, labile barriera, e una vita di cose non dette che parevano riecheggiare in mezzo a loro, amplificandosi, aprendo in due le loro anime spietatamente.

John batté le palpebre e fece un profondo sospiro. La tensione della rabbia si sciolse in qualcosa di nuovo, di più sottile e penetrante. I muscoli si rilassarono, la mente smise di lavorare.

Il silenzio della stanza venne spezzato dallo stridio della sedia che John scostò con un piede. Fece un passo avanti, solo uno. Era sufficiente. Sherlock non indietreggiò, non lo fermò, non fece nulla. Nemmeno quando gli posò una mano sul petto e lo spinse, con delicata decisione, verso la parete alle sue spalle.

Infilò due dita nella piega della sua sciarpa e tirò. Piano. Tirò fino a che il nodo non si allentò. Fino a che la stoffa non scivolò via, rivelando il collo candido.

Non c'era niente altro al mondo per John che quello: il suo collo nudo. Era banale come un romanzetto d'appendice, come una commediola romantica, eppure era così e basta, e non ne provava vergogna. C'era solo Sherlock, con il suo odore e la stoffa della sciarpa ancora chiusa nella sua mano e quella pelle diafana, increspata dai brividi, sotto la quale pulsava lieve una vena.

Era materiale e tangibile. Per la prima volta da quando lo conosceva, John sentì che lo stava toccando davvero. Perché era lui a volerlo. Era Sherlock che si era resto materiale per lui. Solo per lui.

~

Svuotato. Sherlock si sentiva svuotato. Era questo l'effetto delle endorfine post-orgasmiche? Era meglio dei cerotti alla nicotina. Decisamente meglio.

Mosse la testa sul cuscino, chinando le labbra sulla mano di John, strofinandole appena su quella pelle che sapeva di loro. Lui rispose nel sonno, istintivo come sempre, stringendosi di più a lui, avvolgendolo. Un calore disumano irradiava dai loro corpi, rendendo l'ambiente sotto le coperte piacevolmente soffocante.

Tentò di mettere a fuoco quello che era successo, ma i ricordi e le sensazioni andavano a mescolarsi, confondersi, creando un confuso patchwork emotivo che gli faceva venire i brividi, gli offuscava la mente, gettandola in quella nebbia che aveva permeato ogni loro gesto e respiro. Quella nebbia dalla quale ancora si sentiva avvolto, umida sulla pelle. Rendeva tutto più denso e ovattato, avvicinando, quasi livellando quegli estremi di cui erano fatti loro due. Amalgamandoli come perfetti ingredienti di una ricetta che poteva funzionare solo in questo modo.

Ciò che era certo era che John lo aveva aggredito. Correzione: Sherlock si era fatto aggredire. E denudare e divorare. Palmo a palmo, lentamente, sistematicamente. Non gli aveva lasciato alcun margine, John, mentre lo rivoltava come un calzino. Senza alcun pudore, né reticenze di sorta. Eppure con una delicatezza tale da farlo tremare per l'emozione.

Era così che si sentivano le persone quando lui deduceva ogni anfratto delle loro esistenze? No, Sherlock era certo di non aver mai detto a John in quelle ultime ore “Fuori dai piedi”. Era certo di non avergli detto un bel niente, impegnato com'era a ricordarsi di respirare. Ad accettare di avergli permesso quella pericolosa esplorazione.

Ad assimilare l'idea che stava facendo l'amore con lui.

Il suo fantasmagorico cervello era andato in tilt, lasciandolo nelle sue mani. Lasciandolo in balia di qualcosa che nemmeno poteva immaginare. Ignaro e stupidamente fiducioso.

Ma era il dopo che l'aveva annientato definitivamente. Era l'abbraccio costrittivo, la presa soffocante in cui John l'aveva stretto fino ad addormentarsi. E quell'assurda sensazione. Casa. Essere a casa, nel concetto del tutto emotivo del termine. Essere a casa, dopo un viaggio durato mille anni nei freddi siderali di una galassia che non ti conosce e non ti vuole. Essere a casa e ritrovare quelle cose così scontate e insignificanti, come l'odore familiare del tè e la propria poltrona preferita e lo scorcio che si vede dalla finestra del salotto, sempre lo stesso, sempre uguale, così rassicurante nella sua banalità. Quelle cose, sì, che nel loro essere insignificanti, quando sei solo, ci indugi fino a farti sanguinare il cuore.

Le braccia di John erano la sua poltrona preferita, la sua bocca che giaceva socchiusa sulla sua spalla era l'odore del tè. John era la sua casa.

John. –

Il vago grugnito che gli arrivò alle spalle indicava chiaramente che il richiamo non era affatto andato a buon fine. Sherlock schiuse le labbra sulla sua mano e mordicchiò.

John. – ripeté, ruotando gli occhi.

La mano di John si ritrasse, scivolò fino alla sua spalla e premette per girarlo. Steso sulla schiena, Sherlock subì con piacevole curiosità il bacio a stampo che gli scoccò sulle labbra. John nascose poi il volto nel suo collo e mosse la testa quasi rudemente, come un cane che cerca le coccole.

Sherlock percepiva il calore morbido delle labbra e il ruvido della pelle che avrebbe avuto bisogno di una rasata. Quel contrasto assurdo gli strappò un sospiro che s'infranse tra il cervello e il cuore, gettandolo nuovamente nella nebbia. Con un certo – falsissimo – disappunto, giunse alla logica conclusione che da quel momento sarebbe stato sempre così: un minimo gesto da parte di John e le facoltà intellettive di Sherlock Holmes si sarebbero praticamente annullate.

John, devo parlarti. – riuscì a dire mentre lui, nel dormiveglia, lo costringeva in un abbraccio senza vie d'uscita.

Dimmelo domani mattina. – biascicò John sul suo collo.

È già domani mattina. – obbiettò Sherlock.

L'orso in semi-letargo che aveva tra le braccia ringhiò indispettito. Alzò infine la testa e si stropicciò gli occhi.

Sherlock inghiottì a vuoto, imponendosi di non indugiare troppo sulla bellezza innominabile di John che si risveglia. Spettinato. Nudo. Dopo aver fatto l'amore con lui.

Cosa c'è? – borbottò infine.

Dobbiamo trovare una soluzione. –

Lui roteò la testa e lo guardò vagamente confuso: – Per cosa? –

Per questo. – precisò con un gesto impacciato della mano.

Lo sguardo di John saettò dalla mano al suo volto, senza capire. Sherlock ricordò allora che le tempistiche di John al mattino erano sempre decisamente rallentate. Si predispose dunque a spiegare, con calma e chiarezza, il suo punto di vista.

A lungo andare tutto questo complicherebbe notevolmente le... –

Il discorso venne interrotto da una crescente sequela di “Aspetta”. Infastidito, Sherlock si zittì e restò in attesa. John era irritato e anche un po' spaventato: era palese che avesse frainteso qualcosa.

Se solo ti azzardi a provare a negare quello che è successo... –

Ecco, per l'appunto.

Non essere ridicolo, John. – sbottò, seccato dalla sua incapacità di capire.

Allora che diavolo c'è? –

Se mi avessi lasciato finire... –

Sentiamo. –

Erano insieme da un paio d'ore e già litigavano. A pensarci bene, litigavano da sempre.

Dio, quanto mi mancava!

Sarebbe assurdo continuare con questo tira e molla, John. – sentenziò, mettendosi a sedere, allontanandosi almeno un po' dal suo sguardo preoccupato e dal suo odore invadente e da quel calore insopportabile che gli confondeva le idee.

Vorresti, poi, che i nostri futuri incontri si svolgano qui? – aggiunse, avvolgendosi nel lenzuolo e scivolando fuori dal letto – Escludo che possa durare, in questa maniera. –

Andò verso il cucinino, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Biscotti. Un tè. Aveva una fame...

Alle sue spalle, John si schiarì la voce: – Che possa durare cosa? –

Sherlock alzò gli occhi al cielo. Non è che non ci arrivava, voleva sentirselo dire. Le labbra s'incurvarono in un sorriso. Era così da lui.

Tutto questo, John. – disse semplicemente, mentre apriva e chiudeva le antine della credenza.

John gli si avvicinò. Aveva addosso i pantaloni del pigiama. E niente altro. Silenzioso, aprì un'antina in basso a destra e ne tirò fuori una latta contenente del tè. La posò sul ripiano, davanti a lui, e lo guardò dritto negli occhi.

– “Tutto questo” cosa? – insisté in tono fermo, entrando in modalità soldato duro e puro che non ha intenzione di mollare l'osso.

Era pericoloso quando faceva così. Perché era bravo nella sua testardaggine e perché Sherlock iniziava a non capire niente quando gli mostrava quel lato di sé così diverso dal dolce, paziente, ingenuo dottor Watson.

Perché tieni il tè lì? – gli chiese, aprendo la latta e annusandone il contenuto.

Perché è il punto meno umido della cucina. – spiegò velocemente – Potevi arrivarci anche da solo. – gli fece notare, alzando le sopracciglia.

Sherlock gli scoccò un'occhiata di traverso.

– “Tutto questo” cosa, Sherlock? – ripeté, ostinato.

Io e te, John. – si arrese infine, con un sospiro.

Non era in grado di tenergli testa, non in quel momento. Lo ammise con sé stesso e fu meno traumatico di quel che credeva. Aveva tutte le scusanti del caso, dopotutto.

Si è appena preso tutto di te. Corpo, anima, mente. Pure quel cuore che credevi di non avere, mentre lui ce l'aveva in mano fin dall'inizio. Da sempre.

Mentre metteva l'acqua a bollire, un altro sorriso gli increspò le labbra. E stavolta non tentò nemmeno di nasconderlo.

E cosa suggeriresti di fare? – gli stava chiedendo John.

La signora Hudson non ha ancora trovato a chi affittare la tua vecchia stanza. –

Era facile in quel silenzio improvviso, dentro quel minuscolo appartamento, divenire chiaramente consapevoli di tutti quei lievi rumori che riempivano l'aria. I passi ovattati dei piedi di nudi di Sherlock che si muovevano davanti alla cucina, il lieve scricchiolare della fiamma del fornello sotto il bollitore bagnato, quel tipico suono sordo che fanno le foglie sfuse del tè quando le pigi nel filtro. Il respiro lento e regolare di John, a un passo da lui – materialmente ed emotivamente.

Mhm... – fece John.

Lui gli proponeva di tornare a vivere insieme e la sua risposta era solo un insignificante “Mhm”? Sherlock s'impose di non apparire mortalmente offeso come si sentiva dentro.

E poi John fece una di quelle sue cose. Quelle, per capirci, che Sherlock ormai se le aspettava da lui, perché lo conosce, perché era ben consapevole dell'innata capacità di John di sorprenderlo ogni volta, come solo lui sapeva fare. Quelle cose che tuttavia, per la loro stessa natura imprevedibile – sì, anche per un genio come lui, sopratutto per un genio come lui – lo lasciavano sempre completamente spiazzato.

Quella cosa, John, la fece piano, quasi temesse, con qualche gesto inconsulto, di farlo scappare via come una bestia selvatica spaventata. E Sherlock si rese conto di non aver avuto intenzione di scappare fino che John, con quel suo modo cauto e circospetto, non lo mise letteralmente alle strette.

Socchiuse gli occhi, e non poté fare a meno di chinare la testa seguendo il suo movimento. Perché John – c'era da ricordarlo – era più basso lui. E allora com'è che in quel bacio era stato proprio John a sollevargli il mento? Com'è che si stava facendo baciare, quasi stesse subendo invece che partecipare?

Sarebbe sempre stato così? Si sarebbe sempre ritratto come uno sciocco gattino che non vuol farsi prendere per la collottola, ogni volta che John gli avrebbe posato una mano sulla nuca per spingere le sue labbra contro le proprie?

Sherlock indugiò in quegli assordanti quanto inutili interrogativi, finché la voglia di lui prese il sopravvento e spazzò via ogni pensiero coerente dal suo straordinario cervello.

Un rumore umido e l'improvviso freddo delle labbra nude, prive di quel contatto.

Anch'io, Sherlock. –

Aveva parlato? Perché aveva parlato, cosa c'era da dire? Di cosa stava parlando? Aveva importanza?

Cosa? – gli chiese, del tutto disinteressato, seguendo con sguardo famelico le labbra di lui.

Non l'aveva baciato abbastanza. Ne aveva ancora bisogno.

Ti amo. E voglio tornare a vivere con te. –

Lo sguardo risalì il volto fino agli occhi. Lì si fermò e per la seconda volta nella sua vita in sole poche ore, Sherlock Holmes si sentì aperto in due. Lasciò che quella dolce ferita sanguinasse, esposta e vulnerabile, affinché le parole di John vi entrassero dentro, s'insinuassero in ogni piega, si mescolassero al suo flusso, fino a raggiungergli l'anima. Lasciò che gliela marchiasse, come poco prima aveva lasciato che gli marchiasse il corpo. Glielo lasciò fare, nonostante – o forse proprio per? – la paura che tutto questo gl'incuteva.

La paura di John, del potere che ormai era capace di esercitare su di lui. La paura della solitudine – specchio della sua stessa solitudine – che gli aveva letto negli occhi ogni volta che l'aveva spiato da dietro quel cipresso. La paura di ammettere che Sherlock Holmes è un essere umano e come tale ha la necessità imperativa di amare e di essere amato. La paura di essere ormai invischiato fino al collo in qualcosa di sconosciuto e innominabile, che tutto il genio e la scienza di Sherlock non avrebbero mai potuto districare. Qualcosa che non puoi dedurre, non puoi sperimentare, non puoi risolvere come un enigma... puoi solo viverla e, se sei fortunato, condividerla.

La paura di averlo scoperto così, questo qualcosa, nel modo meno prevedibile eppure più banale: facendosi possedere. Corpo e mente e prima ancora cuore, sempre il cuore. La paura di sé stesso. La paura di loro.

Una paura deliziosa e ricca di aspettativa, come lo erano i loro baci.

   
 
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