Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: orual    07/02/2012    1 recensioni
Colois è un regno piccolo ed occupato da un nemico più potente. Ed è difficile combattere per la libertà di un regno, anche se il dovere chiama, se non si hanno le idee chiare sulla nostra libertà. Tellin ne avrà di strada da fare, prima di capire dove vuole andare!
"-Tellin, se restate soli, uccideranno anche voi. O potrebbe succedere di peggio.
-Non vedo cosa possa esserci di peggio- si era sforzata di ridere Tellin.
-Si parla di farvi sposare Lord Naro.
Il silenzio era sceso per un momento, mentre il cuore di Tellin mancava di un battito.
-Anche se fosse- proseguì, con uno sforzo eroico –anche se fosse, tu non potresti fare nulla.
-State commettendo un errore, Tellin. E inoltre io ho giurato fedeltà alla Famiglia.
-Obbedire a un mio ordine non è venir meno alla fedeltà.
-Questo dipende dall’ordine, Tellin.
-Oh, questa è proprio filosofia da quattro soldi, Haru. Da quando in qua la fedeltà consiste nel vagliare gli ordini e scegliere quelli che più ci aggradano?
-Damigella, siete troppo colta e intelligente per non sapere che la fedeltà vera non corrisponde alla semplice esecuzione degli ordini. Se voi in preda alla follia mi ordinaste di uccidere voi stessa o uno dei vostri fratelli, sarebbe lealtà la mia obbedienza?
-Stai insinuando che sono pazza?
-Sto solo cercando di dimostrarvi che non sempre l’obbedienza è lealtà, perchè non mettiate più in dubbio la mia formazione filosofica, damigella..."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ecco, stavolta ci ho messo di meno!
Continuo imperterrita, sperando in una recensione... ;)
E ringrazio chi l’ha messa tra le preferite, chi la segue e chi la legge!

 
3.
 
Il Reggente morì a un mese dal diciottesimo compleanno di Tellin. Non ebbe il dono di una morte facile: la sua agonia durò due giorni. Tellin aveva suggerito più volte allo zio di condividere i pasti con quelli che faceva preparare per sé ed i suoi fratelli, ma lui non aveva voluto, o forse non aveva avuto neanche il coraggio di salvarsi la vita. La sua salute era peggiorata in continuazione. Soffriva di atroci dolori di stomaco.
L’estate era arrivata e passata, il caldo aveva finito per portare i primi violenti temporali, che avevano infranto le grandi onde del mare contro Resthaven, il porto di Colois. Dalla città, nelle giornate limpide dell’inizio di autunno si riusciva a scorgere il porto ed il mare, ma le finestre della Casa (almeno quelle non murate) davano tutte a nord, e Tellin guardava poco volentieri alla Collina ed al costone, dalla morte di Tyal.
Eloise era ancora con loro, Allin aveva cominciato a studiare seriamente il Tumano e Tellin detestava insegnarglielo, Putch non aveva avuto attacchi per il periodo più lungo che Tellin riuscisse a ricordare. Ilina leggeva e scriveva spedita, pretendeva che le facessero i boccoli e piagnucolava quando i suoi capelli troppo lisci non tenevano la piega fatta da Em.
E zio Beir peggiorava di giorno in giorno, senza che Tellin sapesse come fare. Preferiva non pensare a quello che avrebbe potuto succedere.
 
Dalla città filtravano poche notizie, tutte portate da Eloise le poche volte che riuscivano a farla uscire per andare a trovare la sua famiglia ed il suo fidanzato. Grimm Dol, il figlio di Em che un tempo aveva fatto parte della Guardia, non dava sue notizie da quasi un anno, ed Em se ne crucciava meno di quanto a Tellin sarebbe parso logico, visto quanto era ossessiva nei loro confronti.
Tellin sentì parlare della Compagnia la prima volta per caso: Eloise lo stava raccontando ad Em nella cucina ariosa, un caldissimo giorno dell’inizio di agosto.
-Un’altra volta, ti dico, e proprio sotto il naso di quei soldati che...
 Sembrava eccitata e divertita (Em aveva il suo immutabile sguardo scettico, ma ascoltava con interesse). Eloise si azzittì di botto quando vide che Tellin era entrata a cercare un frutto.
-Beh?- chiese sconcertata.
Nel piccolo microcosmo quasi interamente femminile che era venuto a formarsi nella Casa non c’erano mai stati segreti. Eloise arrossì subito, e guardò Em, un po’ smarrita. Lei le rispose:
-Perché non dovrebbe saperlo, ragazza?
-Damigella, raccontavo ad Em dell’ultima beffa dei... degli uomini della Compagnia.
-Uomini della Compagnia? E chi sarebbero?- chiese Tellin perplessa, sedendosi ed allungando una mano verso la fruttiera colma.
Eloise, affrettandosi automaticamente a scegliere per lei il pomo più bello, procurarle un piatto ed un coltello e sistemarle tutto davanti, riprese:
-Sono... in città se ne parla da un po’ di tempo. Sono degli... ecco, veramente coraggiosi...
-Sono degli scervellati che pensano di essere spiritosi rubando le bandiere tumane dalle piazze, e facendo altre cretinate del genere- interruppe Em.
-Oh, la gente li ammira moltissimo. Tengono alto il morale, non so come facciano ad essere così bravi- fece Eloise, voltandosi un po’ accigliata verso Em. Era chiaro che anche lei li considerava dei beniamini.
-Non credo di aver capito... questa gente fa... scherzi ai soldati tumani?
Tellin si trovò concorde con lo scetticismo di Em, visto che nella sua esperienza, con i Tumani c’era poco da scherzare.
-Oh, damigella, non sono solo scherzi! Due mesi fa hanno completamente saccheggiato il magazzino delle loro derrate alimentari. Poi scrivono sui muri, strappano i proclami... insomma, non hanno mai fatto nulla di davvero serio, ma la gente si ricorda un po’ di più che non dovrebbe stare a testa china con quelli là, visto che la Famiglia...-
Eloise si interruppe e arrossì, e Tellin capì la sua esitazione di prima e l’ostilità di Em.
-Non sono un granché benevoli con la Famiglia, eh?
-Damigella, non hanno nulla contro di voi, ma sapete, vostro zio...
Quella manfrina l’aveva già sentita da Mastro Temest, ed era meglio risparmiarsela una seconda volta, per cui scosse la mano come per scacciarla. Poteva immaginarselo, quello che dicevano di loro.
-Si fanno chiamare la Compagnia di Colois- aggiunse Eloise, timidamente.
-Beh, se qualcuno dà noia a Lord Naro, non sarò io a protestare- tagliò corto Tellin.
-Sono gente che non ha tanto cervello da riempirci un portauovo. Figurarsi, rubare le bandiere. Naro perderà la pazienza ed alzerà le tasse- brontolò Em.
Ma Tellin ignorando la mela che Eloise le aveva posto sul piatto, si era persa in una fantasticheria.
Sarebbe stato bello potersi opporre ai Tumani così, in modo eroico e mascalzone, ammirati da tutti e lontani e liberi, invece di estenuarsi ore nelle sedute di gabinetto con gente arrogante che non la trattava col rispetto che le era dovuto per far abbassare i dazi commerciali alla sua gente, che in compenso credeva che lei fosse in combutta con gli invasori e le malignava dietro.
Di colpo fu piena di rancore. Em aveva ragione, forse. Non erano che dei buffoni.
 
-Tellin, tu e Tyal eravate gemelli?
La domanda di Ilina la riscosse dai pensieri nei quali si era persa osservando il pulviscolo irraggiato dal sole vicino alla finestra, qualche settimana più tardi. Pensieri poco importanti, come al solito: un miscuglio di ansie così quotidiano da non farci più caso, come sostituire Eloise, Em che aveva fastidi ad una gamba, la nuova tassa imposta sul commercio e la macinazione del grano all’ultimo consiglio di gabinetto, le gravi condizioni dello zio, nelle sue stanze dalla parte opposta del palazzo.
-Come dici?
-Eravate gemelli, tu e Tyal?
Ilina era salita su una sedia, allontanandosi dal libro che Tellin cercava di farle leggere perchè non si scalmanasse troppo nel cortile dopo il pranzo, magari coinvolgendo Putch che doveva dormire. Scrutava pensosa il ritratto di Tyal appeso sopra il grande camino, che Tellin non si soffermò a guardare troppo. Conosceva l’espressione mite e risoluta del fratello come le sue stesse mani, perchè aveva guardato quel ritratto ossessivamente per giorni, dopo la sua morte. Era stata Em a toglierglielo dalla stanza ed appenderlo nella Sala da Studio, dove poi era rimasto.
-Sì. Come mai me lo chiedi? Lo sai benissimo.
-Anche il babbo e lo zio Beir erano gemelli?
-No. Non tutti i fratelli sono gemelli, guarda me, te, Allin e Putch.
-Cwal e Cerses, nella storia, erano gemelli pure loro- fece Ilina, scendendo lentamente dalla sedia ed avvicinandosi al tavolo dove La Ballata dei due Fratelli stava spalancata ed abbandonata. Non era un testo facile, ma Ilina leggeva bene per la sua età, ed era bene che venisse a contatto con qualche classico della letteratura Colois prima che Naro si svegliasse un giorno e decidesse che per la loro sicurezza era meglio bruciare tutti i libri di un certo tipo, o usarli per incartare il pesce giù al mercato di Resthaven.
-Proprio così. Due fratelli che hanno la stessa età.
Ilina guardò ancora il ritratto di Tyal:
-Siete uguali.
-Spesso i gemelli si assomigliano molto.- replicò Tellin. Non riusciva a capire dove volesse arrivare Ilina con quei discorsi.
-Se il babbo e lo zio Beir non erano gemelli vuol dire che non si assomigliavano?
-A dire il vero, Ilina, il babbo e lo zio Beir si assomigliavano abbastanza, anche se non erano gemelli. Per esempio si assomigliavano più di te e Putch.
-Ma io dico di carattere. Il babbo era come lo zio Beir?
Tellin sgranò gli occhi:
-No! Era una persona molto diversa. Era... ti guardava sempre negli occhi, per esempio. E’ raro che lo zio Beir lo faccia.
-Em dice che quando non guardi negli occhi qualcun altro è perchè dici molte bugie.
-Penso che abbia ragione. Ma forse è anche perchè ti vergogni tanto.
Ilina la fissò, come faceva sempre, gli occhi chiarissimi seri e lo sguardo limpido come tutti i suoi:
-Io guardo sempre negli occhi tutti. Mi piace vedere il colore.
Tellin rise:
-Ora guarda il libro, per favore. Eravamo rimaste al secondo paragrafo.
La porta si aprì in quel momento, ed Em la chiamò con un cenno.
Tellin si affrettò ad uscire raccomandando ad Ilina di continuare, ed appena si fu richiusa la porta alle spalle Em, con una strana faccia, mormorò:
-Hanno mandato a dire che il Reggente è peggiorato ancora.
-Quanto peggiorato?
-Sta morendo, bambina.
Tellin annuì lentamente. E così, erano riusciti davvero ad avvelenarlo lentamente. Stava morendo. Sapeva da mesi che sarebbe successo, ma si rese conto di non essere affatto preparata.
-Devo andare da lui?- chiese, un po’ smarrita, senza riuscire ad immaginarsi cosa le era richiesto in una circostanza simile. In realtà non voleva vedere lo zio. Era arrabbiata, esasperata, priva di compassione, e questo la spaventava.
-Dovete andare tutti- fece Em.
-Cosa? Non se ne parla, non voglio che Ilina e Putch si impressionino, e...
-Credo che debbano andare a salutarlo. Nessuno di voi ha avuto la benedizione di vostro padre, quando è morto, e dovrebbe benedirvi almeno vostro zio- insistette Em, caparbia.
-Em, che valore vuoi che abbia la benedizione di zio Beir? E’ un vigliacco, un povero incapace che...
Si meravigliava della facilità con cui l’astio le sgorgava dal cuore proprio in un momento in cui la compassione avrebbe dovuto essere spontanea.
-Le benedizioni sono importanti.
Em aveva le mani sui fianchi e la fissava con il suo sguardo duro e premuroso ad un tempo. Em li amava tutti come se fossero stati figli suoi, e certo non le avrebbe suggerito nulla che ritenesse sbagliato. Tellin non era proprio sicura che le benedizioni fossero importanti, soprattutto se si trattava delle benedizioni dello zio Beir, ma se Em insisteva era abbastanza disposta a cedere.
-Sta morendo davvero?
Em sbuffò, girandosi per appoggiare la cesta di roba che teneva in mano (Em non era mai a mani vuote):
-Certo che sta morendo. Non fare infinocchiare come lui da quella gente che si ritrova intorno, che continua a mentirgli... perchè poi, proprio non lo so. Forse perchè neanche abbia la dignità di morire sapendo cosa sta succedendo.
Le avevano insegnato che non si deve mai mentire ad un malato o un moribondo sul suo stato di salute, a meno che non si tratti di un bambino, perchè ognuno possa prepararsi alla sua morte con dignità, riappacificarsi, liberarsi la coscienza se lo desidera. Erano sempre stati molto schietti con ciascuno di loro, fin da quando erano bambini, sui piccoli malanni che avevano avuto, e lei stessa aveva preso da parte Putch per parlare con lui del suo male, circa un anno e mezzo prima, quando aveva ritenuto che fosse abbastanza grande per capire.
Perciò Tellin chiamò i fratelli, con l’aiuto di Em ed Eloise li vestì con i semplici panni bianchi dell’uso privato e se li portò dietro. Mentre percorrevano il palazzo, si rese conto che i due piccoli non uscivano dalla Casa praticamente da mesi: era stata lei a segregarli il più possibile dal mondo esterno, e adesso si aggrappavano incerti alle sue gonne, guardandosi intorno con gli occhi spalancati. Anche Allin non era del tutto a suo agio, o forse la imbarazzavano gli sguardi straniti che ricevevano da chiunque incontrassero sulla loro strada: i quattro principi insieme e senza nessuno, senza abiti da cerimonia, che si dirigevano spediti attraverso il traffico perenne di servitori, funzionari, dignitari e visitatori della corte tumana, come dei fantasmi in quella che un tempo era stata la loro casa. Tutti cedettero loro il passo, forse per l’espressione determinata di Tellin, o forse per una sorta di antico riflesso, o magari perchè le notizie sulle condizioni del Reggente si erano già diffuse, come sembrava di cogliere nel brusio che li avvolgeva come ovatta, ed i Tumani avevano paura della malattia e della morte.
Nell’Anticamera c’era una gran confusione: almeno una decina di persone tra cameriere, assistenti del medico Galo e dignitari di Naro parlavano a voce troppo alta e trafficavano. Tellin strinse saldamente la mano di Putch e spinse davanti a sé Allin ed Ilina, non fermandosi a parlare con nessuno, anche se tutti si erano bloccati al loro ingresso senza preavviso.
Nella stanza da letto l’aria era così greve da risultare irrespirabile. Il Reggente si girava nel letto, gemendo ed ansimando, mentre nessuno lo assisteva. Tellin fece avvicinare al suo letto i bambini riluttanti e spaventati, che fissarono con occhi sbarrati il viso gonfio ed irriconoscibile dello zio. Lui ricambiò lo sguardo incerto, poi disse piano:
-Tellin...
-Sono qui, zio. Sono qui con i bambini.
-Mi duole... mi duole lo stomaco- sibilò lui, strizzando gli occhi e contraendo il corpo in uno spasimo sotto le coperte. Ilina, veramente spaventata, nascose la faccia contro le gonne di Tellin, che strinse i denti e cercò di continuare
-Sappiamo che stai molto male. Siamo...- esitò, perchè sospettava che lo zio non avrebbe preso bene la richiesta, timoroso com’era della propria morte che si avvicinava –Siamo venuti a chiederti la Benedizione.
Lui rimase in un silenzio attonito per qualche istante, poi ansò, pallido:
-Non sto morendo!
Tellin strinse i pugni. Sentiva Putch inquieto al suo fianco e la tentazione di portarli tutti via fu fortissima.
-Non abbiamo ricevuto la Benedizione da nostro padre, è giusto averla da te che sei nostro zio.
-Nessuno... nessuno si occupa... dove sono tutti?- chiese Beir, cercando di sollevarsi, rabbioso e stravolto. Tellin lo aiutò, chinandosi su di lui e venendo colpita dall’odore di sudore e malattia che il corpo dello zio essudava. Lo sollevò contro i cuscini, e fu presa da una pena che le ferì il cuore, a vedere quanto fosse solo quell’uomo che pure non amava affatto.
-Mi occuperò io di te, zio- disse, senza ben riflettere, istintivamente –Adesso benedici me ed i bambini e lascia che li riaccompagni nella Casa, e poi tornerò ad assisterti.
-Non vengono quando li chiamo!
Certo, si era affidato alle persone sbagliate, ed era così che lo ripagavano per essersi piegato tutta la vita. Lasciandolo morire come un cane, un altro bello spregio alla sua famiglia. No, Tellin pensò che non lo avrebbe permesso.
-Benedicici, zio! Non so se morirai, ma sei in pericolo di vita, e...-
Gli aveva mentito, sapeva che sarebbe morto. Mastro Temest era stato chiaro, quando l’aveva chiamato a consulto all’inizio dell’estate. Secondo la sua opinione, il Reggente veniva lentamente avvelenato, con dosi sempre maggiori di qualche sostanza tossica inserite nel cibo, che probabilmente gli avevano procurato col tempo vaste ulcere nello stomaco. Il tracollo degli ultimi giorni doveva essere causato dal fatto che avevano finito per infettarsi: Mastro Temest aveva previsto che presto quello sarebbe stato il risultato.
Aveva provato a dissuaderlo dal continuare a consumare i pasti serviti dai domestici che Naro gli aveva affibbiato, e aveva persino cercato di convincerlo a trasferirsi nella Casa, per quanto l’idea di averlo sempre tra i piedi non le fosse affatto grata. Ma era stata presa prima a bersaglio con farneticanti ragionamenti, e poi a male parole, ed aveva lasciato perdere, sentendosi impotente.
Adesso le dispiaceva di non aver insistito. Non lo amava abbastanza, quello zio che pure era l’ultimo adulto della sua famiglia che restava. Anzi, non lo amava affatto. Ma adesso aveva compassione di lui.
Avvicinò i bambini a lui, che alla fine, piagnucolando, alzò la mano e la posò sulle loro fronti, mentre loro quasi si ritraevano. Fu poi il turno di Allin, che si inginocchiò perchè lui potesse benedirla facilmente, e poi di Tellin, che sentì il tocco umido e tremulo dello zio sulla testa e si chiese se era valsa la pena di far vedere ai suoi fratelli un tale spettacolo di devastazione umana per quel fiacco gesto beneaugurante che più che mai puzzava di morte. Ma vivevano in un mondo difficile, che non era quello in cui era cresciuta lei, e forse era un bene che si abituassero a guardare tutto con fermezza, come avevano fatto suo padre e Tyal.
Si rialzò, si chinò verso lo zio, che aveva ricominciato a lagnarsi piegato in due sul ventre.
-Torno subito- aveva detto, comprendendo dallo sguardo vitreo e rancoroso che le aveva lanciato che non le credeva. Trascinò via gli altri dalla stanza, attraversando l’Anticamera affollata e ora silenziosa (certo tutti avevano cercato di origliare la conversazione) quasi di corsa. Ilina aveva cominciato a piangere, le lacrime come goccioloni che le colavano silenziosamente sulla faccia.
-Lo zio soffre molto, dobbiamo aver compassione di lui- mormorò tenendoseli appresso mentre riattraversavano il palazzo, diretti verso la Casa.
Emma li aspettava nell’Atrio, offesa perchè Tellin aveva voluto andare senza di lei. Le strappò Ilina piangente dalle braccia e se la portò via per consolarla.
-Lo zio guarirà?- chiese Putch con gli occhi ombrosi, la voce bassa e roca di sempre, mentre si sedeva accanto ad Allin sui sedili di marmo intarsiati di legno dell’atrio.
Tutto era quieto, luminoso e pulito nella Casa.
-No, Putch. Sta morendo, forse morirà domani o dopodomani. E’ per questo che siamo andati a salutarlo ed a farci benedire.
Chiese ad Eloise, che li fissava con occhi sbarrati sull’uscio del corridoio che portava alla Cucina Interna, di dar loro qualcosa da mangiare, e poi andò a cercare Emma, che si cullava Ilina nel giardino, cantandole canzoni di mare a bassa voce.
-Io torno da lui. Vado ad assisterlo.
La balia annuì.
-Se devi proprio. Non toccare nulla di quello che ti danno.
-Non sono stupida. Fammi mandare i pasti da Eloise, se resto a lungo. Sta morendo e neanche lo sollevano perchè respiri meglio.
Em non sorrise. Aveva insistito perchè andassero a farsi benedire, non certo per affetto al Reggente. Era chiaro che per lei non sarebbe stata una tragedia se Beir fosse morto come un cane, ma non si oppose, e Tellin lasciò di nuovo l’oasi della Casa e tornò a far visita alla morte in attesa.
 
Passarono lenti come anni quel pomeriggio, la notte ed il giorno successivo. L’ultima notte, Tellin lo vegliò da sola. Era chiaro che sarebbe morto: il medico era stato categorico, improvvisamente brutale dopo mesi di vaghe spiegazioni, e del resto Tellin non aveva bisogno di conferme: era evidente che erano arrivati alla fine.
Aveva ordinato che i fratelli minori non tornassero: un’agonia non era qualcosa di bello da vedere neanche per lei. Ed eccola nella stanza buia, con una vaga eco dei respiri pesanti delle guardie tumane che, come in un ultimo spregio, il Governatore aveva piazzato fin nell’Anticamera della stanza da letto dello Zio per “la sua sicurezza” e che l’ora tarda faceva quasi assopire, in piedi contro la parete. Nella stanza che aveva l’aria greve di morte, dove il silenzio era rotto solo dai gemiti dello Zio, sempre più prossimi ai rantoli.
La sua lotta con la morte era così esemplare, così palese, che a Tellin sembrava di assistere tutti i suoi morti, mentre gli tergeva la fronte: a tutto ciò che era morto nella sua vita. Nello zio poco amato moriva suo padre, coraggioso anche nella morte, moriva sua madre abbattuta e spossata dalla gravidanza e dal lutto per il marito prima ancora che dai dolori del parto, moriva Tyal l’amatissimo, nella sua lunga caduta senza un grido: cadeva e cadeva e cadeva ancora, lungo un dirupo senza fondo, un metro per ogni respiro dello zio Beir. Moriva l’amicizia con Linine, morivano il calore e la sicurezza e la libertà, morivano le primavere di Colois, e l’ultima conversazione che avevano avuto lei ed Haru sembrava il congedo di un morente, e chi moriva era lei, e non lui che se ne andava, e forse era già morta davvero, sepolta nella Casa diventata prigione.
Lo zio moriva lento, e le ore della notte passavano fuori dalla finestra, invisibili perchè tutte le tende erano tirate, tutte le imposte chiuse.
Poi arrivò Allin, contro il suo permesso, e Tellin ricordò improvvisamente che era viva abbastanza da amare i suoi fratelli ed aver impedito loro di venire. Ma Allin la guardò con aria di sfida e proclamò che sarebbe rimasta. La giovinezza fioriva in lei come la primavera di Colois, che forse non era morta, e Tellin era così sollevata al vedere qualcosa di sano e caro e amato che non la mandò indietro. Così, quando l’alba non era lontana e lo zio spalancò gli occhi nella lucidità estrema, Allin la aiutò a sostenerlo perchè potesse bere e parlare.
-Non sforzarti, zio- mormorò Tellin, tra i suoi attacchi di tosse rantolante.
-Devo... devo morire?- sputacchiò lui, gli occhi spalancati. Allin non represse un singhiozzo. Alla luce opprimente della lucerna, sembrava la vita stessa che piangeva sulla morte.
-Sì, zio- rispose Tellin, la voce ferma quanto più era possibile. Non voleva essere crudele, ma lo zio aveva già fatto molte volte quella domanda, nel delirio della febbre, e lei aveva potuto allenarsi alla giusta risposta. Era bene che sapesse, che si preparasse, che uscisse dalla rete di illusioni nella quale viveva da anni, almeno nell’attimo estremo.
-Io... mi hanno imbrogliato.
Era vero, naturalmente.
-Ho bisogno... acqua.
Allin gli portò la tazza alla bocca,  ma lui non riuscì a bere. Sputò e tossì ancora. Guardò Tellin con gli occhi così spalancati da sembrar fuoriuscire dal viso.
-Attenta a... Naro.
Voleva sghignazzare, voleva ridere istericamente per quello stupido suggerimento tardivo, ed invece sentì il cuore gonfio ed annuì.
-Scusa... Tyal... colpa mia, solo mia.
Ecco, questo non avrebbe dovuto dirlo. Dentro di sé, un’altra Tellin urlava e urlava, e lo colpiva, e lo lasciava morire come un cane, e puniva la stupidità come una colpa. Ma la Tellin che era sorella di Allin fece un sorriso triste alla fanciulla che piangeva, e rimase in silenzio.
-Perdonami.
No, mai. Mai avrebbe potuto.
-Cercherò.
-Per... perd...
-Sì, zio, ti perdono.
-Io... io...- lui si contrasse orribilmente negli spasimi dell’estrema sofferenza, e Allin, con voce forte e chiara disse improvvisamente:
-E’ finito tutto, zio. E’ finito tutto, stai tranquillo.
Tellin la guardò affascinata mentre carezzava il volto di lui, vecchio anzitempo e stravolto.
E il reggente morì, senz’altro segno o suono che rovesciando gli occhi. Il peso nelle braccia di Tellin crebbe improvvisamente, finché il corpo non le sfuggì dalle mani, riadagiandosi senza rumore tra i guanciali. La morte fu un sollievo dopo l’agonia.
Per qualche momento rimasero in silenzio. Allin piangeva, le lacrime come perle rotonde sul suo viso, senza un singhiozzo o un rumore, le labbra increspate appena. A Tellin, invece, sembrava di non avere lacrime da versare. Si alzò e si diresse alla finestra, tirando con forza le tende e spalancando le imposte. Una violenta folata d’aria fredda entrò di prepotenza nella camera soffocante. Il cielo, ad est, era striato dalle prime luci dell’alba, che screziavano le nuvole basse. La nebbia umida si sarebbe sollevata presto, spinta dal vento che faceva ondeggiare le cortine e rabbrividire le due ragazze, nelle leggere vesti bianche dell’abbigliamento privato. Tellin si voltò a guardare il letto sfatto occupato dal morto: sua sorella, sempre ferma dov’era, sembrava un soprammobile, lì accanto. La bacinella con l’acqua e l’aceto usati per le pezzuole, la conchettina dove aveva aiutato lo zio a sputare il catarro ed il vomito sanguinolento, i panni di lana che inutilmente erano stati posti sul suo ventre per cercare di calmare i dolori, erano inerti sul pavimento e sul tavolinetto presso il letto, così come li aveva appoggiati con gesto frettoloso dopo l’ultimo uso, quando lo zio era ancora vivo, secoli prima, pareva.
Tornò lentamente verso di lui, e vide che Allin gli aveva chiuso gli occhi, senza alcuna repulsione. Gli prese la mano inerte e gli sfilò l’anello del Regno, che portava alla mano sinistra perchè non era il re, l’anello che avrebbe dovuto essere di Tyal e che certo non sarebbe finito in mano a Naro, se solo poteva impedirlo.
-Dobbiamo comporlo?- chiese Allin. Tellin annuì. Erano entrambe esauste, ma andava fatto prima di prendere altre decisioni.
-Va’ a chiamare Em- disse.
Voleva disperatamente piangere, voleva essere addolorata, ma non riusciva a far altro che a pensare agli stupidi dettagli pratici cui avrebbe dovuto porre mano da lì a poco. Forse, senza il viso di Allin che la guardava fisso, sarebbe riuscita a pensare...
Era morto lo zio, l’ultimo adulto della sua famiglia, e adesso tra i suoi fratelli ed il mondo esterno non restava che lei, ed era sola e senza Tyal, ed il cuore le si era così rinsecchito in quegli anni che nemmeno riusciva a dispiacersi semplicemente perchè era morto il fratello di suo padre. Strinse il pugno che conteneva l’anello del Regno, lo aprì per guardarlo e se lo infilò lentamente al dito, attorno al quale ballò, largo e pesante nella sua mano magra. Non era suo e non voleva doverlo portare, ma quale era l’alternativa, lasciarlo in mano a Naro?
Naro che voleva sposarla, lo zio l’aveva avvertita, e prima di lui Haru, in un passato così remoto che sembrava sfocato, e fra un mese avrebbe compiuto diciotto anni.
Chissà se sposandolo avrebbe tutelato le sorelle e Putch? E forse tutta Colois? Certo, se adesso non avevano a benvolere la Famiglia, poi l’avrebbero decisamente odiata tutti. La moglie di Naro... avrebbero detto che si era venduta.
E cosa doveva... cosa doveva fare, allora?
Aspettare che Naro li uccidesse tutti? Perchè ora che si era liberato dello zio, non avrebbe tollerato a lungo quella specie di santuario intoccabile che era la Casa, oh, no. Se ne sarebbe occupato di persona, di loro. Di lei.
Sentiva fitte di disgusto che le perforavano lo stomaco, e non era solo l’odore della morte nella stanza, che l’alba portava via con le sue raffiche fredde.
Dalla finestra si vedeva il mare: erano anni che non lo poteva ammirare la mattina, da quando avevano murato le finestre della Balaustra.
Giù a Resthaven ondeggiavano dolcemente le vele bianche delle navi, e sarebbe stato bello fuggire a bordo di una di esse, e non tornare  a quel suo presente che si stagliava come un muro innanzi a lei, senza darle alcuna via d’uscita.
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: orual