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Autore: Sux Fans    07/02/2012    4 recensioni
Lo scudo si ritrasse mentre Alex affondava la fronte contro il muro, gemendo per la forza che ora sentiva scorrergli dentro dolorosamente. Aveva stretto la bambina a sé, forte, più forte, fino ad assorbirla nel proprio petto e lasciare affogare quei singulti sconnessi contro lui. Non l’avrebbero presa, sarebbe stata eternamente sua la creatura dimenticata, di sei o sette anni.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Push me under

Le infinite palizzate nel centro di  Manhattan crollavano al suolo come castelli di carta, in tonfi assordanti e piogge devastanti di ciottoli e vetri, mentre cancelli e pali della luce si rannicchiavano su se stessi compressi da una forza maggiore e dalla tensione infuocata che aleggiava nell’aria da ben quarantuno giorni.

Dalle vette dei grattacieli, che quasi sembravano immergersi nella spuma tinteggiata di rosso quale era quel cielo contaminato, le strade si raccattavano su se stesse sotto la guerra incombente di quelle che sembravano formiche, mentre impazziti stormi di corvi neri sorvolavano a bassa quota preannunciando sventura. Gli agghiaccianti richiami a gola sbarrata degli infetti arrivava a solleticargli quasi le orecchie, mentre immaginava nella sua mente quelle enormi braccia che pendevano fino a terra e la pelle color avorio serpeggiata di vene violacee e pulsanti. Per colpa del cappuccio posato al capo il vento leggero arrivava a sfiorargli solo la punta del naso, mentre vigile e costantemente rigido nella sua postura smuoveva un passo verso il vuoto, certo e turbato sul fatto che la sua vita ormai avesse un solo e unico scopo. E neanche quello. Neanche il vento infuocato che adesso come lame gli tagliava le guancie o l’impatto freddo con l’asfalto che l’attendeva famelico lo avrebbe ucciso, perché la sua collera era maggiore e invincibile, e nel mentre la morte avrebbe dovuto farsi più vicina e abbracciarlo stretto come una madre, Alex sapeva di poterla allontanare e di poterle sfuggire ancora una volta, perché lui non era un qualsiasi altro uomo alla quale era stata scritta una fine. Aprì le braccia all’altezza delle spalle come se potesse frenare in qualche modo quell’incosciente gesto, prima di stringere pugni e sentire dolosamente il tessuto filamentoso dei muscoli delle braccia sfilarsi quasi come spago per arrivare a mutare di forma e di grandezza, per arrivare ad essere temuto e allontanato come fosse un virus immane e incurabile. Pensandoci bene, Alex sapeva benissimo che era così.  Tornò in piedi lungo la voragine creatasi intorno notando come le sue gambe fossero intatte nonostante l’urto e di come le sue braccia posassero pesanti a terra interamente ricoperte di cemento, mentre gli occhi cominciavano a pizzicargli e lacrimare solo per il forte impatto con la polvere, si convinceva. E si può dire che era diventato anche abbastanza bravo. Ecco che cominciava il caos: le grida stridule delle donne, il rumore prolungato degli pneumatici che sfregavano sull’asfalto e l’assurda e concreta visione di una realtà che stava superando di gran lunga l’immaginazione. In quei quarantuno giorni aveva saputo tener testa ai propri incubi e crearne involontariamente di nuovi;  si era osservato mutare e ricavare una forza speranzosa di accrescere sempre più, mentre un morbo assassino lo divorava dall’interno e gli avvelenava il sangue lentamente fino a sfinirlo sotto la sua stessa potenza. Ed ora era lì, preda e cacciatore allo stesso tempo, mentre sembrava che file d’infetti si accorgessero della sua presenza semplicemente notando lo spostamento d’aria, prima di precipitarsi verso di lui caricando le enormi braccia dietro la schiena informe e flettersi disumani nel tentativo di  agguantarlo. Fece forza nelle spalle e si porse al centro della strada travolto dal fiume impetuoso di civili, che si aggrappava disperato al tentativo di fuggire via da quelle fauci infernali. Corpi straziati disseminavano il suolo, mentre auto e oggetti erano riversati in strada senza cura né importanza. Il fiato pesante cominciava a fargli girare la testa, mentre attendeva che la sagoma imponente di quel mostro gli venisse incontro e gli ruggisse in faccia quella gloria che gli solleticava le dita grosse e macchiate di sangue secco. Alex alzò il capo distrattamente ad osservarlo, sgranchì le spalle sotto la giacchetta di pelle e come una furia incontenibile ruggì anche lui caricando gli avambracci, prima di precipitarsi contro quell’ammasso di avorio che sbavava ai lati della bocca. I tessuti delle braccia si sfilacciarono in filamenti ristretti prima di tramutarsi in lunghe fruste, scoccando al collo della bestia che si dimenava incontrollata. Alex si sentì afferrare e scaraventare a terra, mentre le braccia mollavano la presa e tornavano nella sua forma iniziale. Sfuggì ruzzolando alla vendetta del suo avversario e arpionò la terra prima di tornare a contrattaccare: gli salì in groppa cercando di non cedere alle violente scosse, prima di colpirgli forte al capo e alle prime vertebre. Montare quella bestia era fin troppo difficile, e in un attimo si sentì afferrare dal cappuccio e scaraventare nuovamente a terra. Stavolta rimase inerte attendendo un contrattacco, prima che il suo viso si corazzasse e una lunga lama gli ricoprisse fin lungo l’avambraccio affondando lo stomaco dell’infetto. Gli schizzò in viso quel disgustoso liquido giallastro che fuoriuscì a getti turbolenti, sputandolo anche da bocca, prima di vedersi affondare quel corpo addosso dopo un gemito soffocato. L’aria si accese di fuochi seguiti da una nuvola di fumo, ma prima di accorgersene la terra si sbriciolò sotto di lui ad un esplosione assordante che lasciò dietro di sé solo silenzio e puzza di zolfo. L’elicottero del Black watch si dileguò in un turbine di pale, disseminando altre esplosioni che si susseguirono a poca distanza tra loro affievolendosi sempre più.

Alex inspirò fortemente, mentre la polvere gli entrava prepotente in gola quasi a soffocarlo. Tossì, poi genuflettendosi faticosamente vomitò. Si passò la manica della giacca sulla bocca tumefatta e batté gli occhi più volte a lubrificare la vista nebulosa. Si accasciò sulla pancia e allontanò con un calcio poco convincente la carcassa inerme, prima di trascinarsi con gli avambracci lontano dalla zona di guerra. Gli serviva un essere vivo da assorbire e alimentarsi così di quella forza vitale assopita in un debole corpo di umano. Boccheggiò contro la vetrata di un negozio e agonizzò per tirarsi su’, tendendo la fronte verso il fresco dei vetri in parte sgretolati. Notò l’esercito farsi spazio allo sbocco della strada armati, e prima che fossero in grado di raggiungerlo si infilò nel negozio apparentemente silenzioso. Si rannicchiò in un angolo, raccogliendo il sangue che gli scivolava via e tendendo la testa al muro chiudendo gli occhi. I fasci di luce degli elicotteri penetravano lungo le vetrate e sormontavano appena il suo viso, mentre un rumore di vetri rotti scivolava fino a terra tintinnando come un lamento dannato.

Deglutì. Era davvero questo? Era davvero così che doveva andare? Si sarebbe cibato di qualcuno e avrebbe continuato a combattere. Diecimila uomini in divisa sarebbero morti e altri diecimila sarebbero arrivati a sbaragliargli la strada e allontanarlo ancora di più dalla sua verità. Non era da nessuna delle due parti; nessun alleato e nessuna fonte di protezione. Era solo in un mondo avvelenato e aggrappato alle menzogne. Manhattan sarebbe affondata e con lei tutta l’America, il Canada, il Messico. Se non per il resto del mondo che avrebbe avuto appena il tempo di sputtanare in giro quegli errori disumani prima di soccombere con loro. Aveva appena il tempo di respirare prima di sentire un dolore bruciante al petto e gemere a denti stretti senza la forza di alzare il capo.

Quando un rumore di fondo catturò la sua attenzione, scattò in piedi dolorante cadendo subito dopo contro uno scaffale di bottiglie, che gli scivolarono addosso prima che mille schegge gli incorniciassero il corpo. Alzò il capo solo dopo, accorgendosi che nulla gli si era dimenato contro se non il suo stesso danno.

Alex trattenne il fiato incrociando quei grandi occhi impauriti e le lunghe trecce corvine e scomposte che scivolavano lungo le piccole spalle. Gli etichettò circa sei o sette anni, notando la stazza piccola e il visetto scarno, ma probabilmente non mangiava da giorni e chissà da quanto era lì viste le guancie e le mani annerite dalla fuliggine e dallo sporco. Alex si umettò le labbra lentamente, come a prendere tempo per parlare, mentre la vedeva in piedi e immota a fissarlo allo stesso modo.

-C-ciao.. – le sentì blaterare, con le labbra coperte dalle mani congiunte timidamente. Il giovane posò una mano a terra, cercando di issarsi sulle gambe, prima di brancolare verso l’angolo buio dalla quale si era allontanato con violenza. Continuò taciturno, poi quando si fu accoccolato gravemente lanciò un sospiro, ricambiando quell’occhiata incuriosita.

-Ciao.. – la sua voce era fievole, e quasi non si riconosceva manco lui. Le vide acconciarsi goffamente la gonnella lacera poi accomodarsi distante da lui come se temesse di infastidirlo, il che Alex ringraziò un qualsiasi Dio per questo. Rimasero un po’ in silenzio, occupando l’aria con attutiti sospiri, testimoni del turbine di boati che giungevano da fuori.

-Anche la tua mamma ti ha lasciato qui..? – La guardò per un po’ stralunato, poi assunse un gesto di dissenso col capo studiando il nasino spruzzato di lentiggini che si corrucciava per l’ottuso silenzio.

-Vieni da lì fuori? – Alex studiò le lunghe ciglia nere e il sorrisino gioviale, prima di annuire senza riuscire ad aggiungere niente. La vide farsi forza sulle braccia e avvicinarsi di nascosto di qualche centimetro, tornando a congiungere le manine in grembo.

-La mamma mi ha detto di non andarci.. per nessun motivo. Ci sono cose orribili là fuori..-

-Sì, non disubbidirle.. – bofonchiò, intimidito dalla sua piccola sagoma sudicia.

-Hai freddo...? stai tremando.. – Alex trattenne forte la voglia di assaggiare la sua pelle: era una bambina, ma aveva comunque forza vitale. Non poté fare a meno di tremare, e accorgendosi della cosa mascherò le proprie mani nelle tasche della giacca.

-Da quanto sei qui..? – la bambina zittì mordendosi le labbra, mentre una falce di luce penetrava prepotente e con un gridolino la costringeva a coprirsi la faccia. Alex allungò una mano verso di lei sorpreso, prima di ritrarsi. Aveva dovuto accorgersi subito delle pupille fin troppo dilatate e degli occhi che scavavano al buio come quelli di un gatto assopito. Ad un tratto provò una gran pena e un forte macigno cavargli lo sterno. Credeva di essere l’unica vittima di quel gioco immane e spietato, ma non aveva fatto i conti con quella piccola e dimenticata creatura timorosa della luce e scarna sotto gli occhi marroni.

Alex alzò un piccolo angolo di labbra per sorridere, mentre la bambina si catturava il viso fra le ginocchia forse vergognandosi. Si alzò e afferrando forte uno scaffale lo parò contro le vetrate per alleviarle il tormento, tornando in piedi a ridacchiare riconoscente.

-Come ti chiami.. ? –

-Elisa.. – Alex tornò ad accoccolarsi a terra, poi sogghignò.

-Carino. –

-E tu..? – Respirò rumorosamente, poi mostrò la mano formalmente come si vedeva fare dagli adulti.

-Alex. – La mano della bimba scomparve quasi far le sue dita mentre la stringeva e provava un forte fremito lungo la schiena.

-Carino. – lo derise, con quella vocina acuta che riecheggiava d’eco nel negozio. Poi tornò segretamente a fissarlo; fissare quello sconosciuto senza vederlo pienamente in viso che si tratteneva la parte superiore del braccio per evitare invano che il sangue sgusciasse via. Come era successo a tanti altri.

-Ti fa male..? – Il giovane posò lo sguardo verso la sua mano intrisa di nero, mentre sulla sua espressione aleggio in un attimo sfuggente un luccichio sinistro. Sentiva uno strano senso di protezione, una sorta di patto segreto fra bambini.

-No. – forse rimase stupida perché dischiuse la bocca come a dire qualcosa, ma s’interruppe un attimo per poi riprendere.

-Allora sei molto forte! – assunse un timbro eccitato. Alex sogghignò malevolo: sì, era il principe azzurro venuto a salvare la situazione.

-Voglio confidarti un segreto... – Magari una bambina non l’avrebbe trovato un mostro; Elisa gli si sporse un po’ esitante, trattenendo il fiato finché non lo vide in procinto di mormorarle qualcosa, ma un forte boato investì le loro figure ricreando aculei di vetro che piovevano su di loro come lame seghettate, mentre Alex si appiattiva contro il muro a proteggere la sua piccola creatura dimenticata, e un forte vento si alzava accompagnando il rumore metallico delle pale dell’elicottero. La sentì rimpicciolirsi e lamentarsi tremante contro il suo petto, mettendo a riparo gli occhi, ritornando subito con la mente al dolore lancinante che gli oltrepassava le scapole sanguinanti. Mille voci si confondevano fra loro, contraffatte dalle maschere anti-gas o dalla ricetrasmittente accesa. Prese a respirare urgente con la bocca posata sulle trecce corvine, mentre deglutiva per rimediare alla gola improvvisamente secca.

-Identificati due soggetti signore.. – poté immaginare gli stivaletti di cuoio duro attraversare il piazzale e avvicinarsi cautamente a lui, mentre cercava di mettere a fuoco la vista ancora troppo debole.

-Sono infetti? –

-Non lo so signore.. – un ghigno si protrasse alla ricetrasmittente, risuonando più agghiacciante che mai.

-Non credo lo scopriremo mai. Ordino di fare fuoco! – Alex percepì un certo diniego, ma i suoni gli risuonavano confusi mentre portava una mano dietro la schiena esile della piccola e la stringeva per attutire i suoi singhiozzi. Era così calda.

-Resta con gli occhi chiusi... va bene? – Elisa capì che doveva sganciarlo della sua presa, ma era troppo spaventata dal fatto che avrebbe potuto lasciarla anche lui.

-No, ti prego... non lasciare che mi prendano... – gli parve un sussurro, una preghiera inudibile anche a Dio. –Portami con te... – Alex non aveva la forza, né la possibilità di trascinarsi via e trascinare via con sé anche lei. Vide che una lacrima le rigo il viso, e scivolò inerme e perfetta anche sulla linea del collo per sprofondare sul bavero. Affondò gli occhi nei suoi, che sembravano bruciare a quella vista così imperfetta.

-Non... lasciarmi qui... – singhiozzò, stringendo i pugni tanto forte da sbiancare le nocche. Alex le baciò la fronte lentamente prima di lasciare aderire anche la sua, per trovare quella forza che l’avrebbe salvato.  

-Non c’è niente da temere... non ti lascerò qui. – i soldati fecero fuoco, con un susseguirsi insistente di proiettili che frantumavano oggetti e che si liberavano la strada senza ripensamenti. Si perse per un attimo la visibilità e i timpani presero a pulsare, prima che tutto cessasse e si lasciasse spazio ad un silenzioso controllo. Dietro lo schermo delle maschere si udirono sospiri urgenti alla vista di quel bocciolo nero al centro della stanza. Era uno...

Lo scudo si ritrasse mentre Alex affondava la fronte contro il muro, gemendo per la forza che ora sentiva scorrergli dentro dolorosamente. Aveva stretto la bambina a sé, forte, più forte, fino ad assorbirla nel proprio petto e lasciare affogare quei singulti sconnessi contro lui. Non l’avrebbero presa, sarebbe stata eternamente sua la creatura dimenticata, di sei o sette anni.

Inchiodò violentemente un pugno al muro, che crepitò pericolosamente, aiutandosi per alzarsi e fermare per un attimo quelle scie di fuoco che gli consumavano le guance. Non le aveva più provate mentre gli penetravano in bocca e la insaporivano amaramente, e neanche mentre gli causava agli occhi un rossore tanto colpevole e dannato.

Per un attimo aveva perso di vista quello che era il suo compito, e per un attimo aveva anche rinunciato di continuare a combattere. Ma mai le mani gli erano sudate tanto alla vista della carne fresca, avvicinandosi a loro con passo fermo e con la lingua che risucchiava a sé il sapore vitreo del sangue. Ora che si sentiva pronto a confidare quel segreto, che lo corrodeva e si nutriva di lui. Ma adesso era lì, con lo stesso orizzonte insanguinato di sempre, con la stessa forza, la stessa accecante vendetta che solo ora non avrebbe riservato solo a sé stesso, ma anche alla sua piccola creatura dimenticata, di sei o sette anni.

 

Fine

Non ho mai scritto niente su Prototype, quindi spero che un avvertimento del genere basti a giustificare i dettagli e gli avvenimenti magari troppo acerbi al contesto.

Sperando naturalmente che piaccia. :)

Piace -Sux

 

     

   
 
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