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Autore: Mellis_    07/02/2012    0 recensioni
Meredith. Una ragazza timida.
Nick. Un fighetto un po' bullo che aveva scoperto l'amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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An impossible love.

Sedici anni. La timidezza che le invadeva perfino la punta dei capelli, mossi e neri, come l'ebano.
Viveva con la consapevolezza che l'amore fosse tutta una stronzata, affondava ancora una volta la testa nel cuscino e sprofondava nei suoi pensieri; tra l'uno e l'altro si fermava a dare un morso al suo cornetto caldo, e poi ripartiva col distruggersi da sola. Era masochista lei.
Pelle candida, non per niente la chiamavano 'fiocco di neve', un appellativo che le faceva un po' schifo a dirla tutta, odiava il freddo, la neve, l'inverno e tutto ciò che aveva a che fare con esso. Non sopportava vedere i tetti delle case imbiancati, il bianco era un colore 'vuoto'; così lo definiva.
Il bianco non era nemmeno un colore secondo lei, soltanto una macchia senza vita che definivano con una parola, tutto è associato a qualcosa infondo. Lei associava quel colore al nulla. Eppure anche il nulla aveva un colore, ma non soffermiamoci su questo.
Una sola cosa la spingeva a frequentare ancora quella scuola, un solo motivo. Il
suo motivo.
Ogni mattina si alzava dal letto sospirando, e alzando gli occhi al cielo afferrava carta e penna (sparsi sempre sulla sua scrivania abbandonata in quell'angolo della stanza) e iniziava a scrivere. Le piaceva tanto fantasticare sulla vita, sull'impossibile più che altro. E per impossibile intendeva lui.
Le andava appresso da..quanto tempo era?! Forse troppo tempo, anni.
Non aveva occhi che per lui, per il suo sorriso, per quei suoi modi di fare spesso da bambino immaturo. Ma a lei piacevano da morire; non le importava tanto che quel ragazzo si comportasse da perfetto idiota, a lei importava il fatto che non la degnava nemmeno di uno sguardo. Ed era proprio questo che la faceva stare di merda, la faceva pentire di ogni gesto. Si ripeteva come un disco: 'Sono una stupida' 'Sono una cretina' si buttava giù ad ogni più piccolo errore, o meglio, gli altri glieli facevano intendere tali.

25 Marzo 2012
Immobile; aspettava l'autobus che la portasse a scuola, quel maledetto edificio, eppure lo amava così tanto. O forse amava qualcos'altro al suo interno?! Molto meglio scegliere la seconda opzione. Lei amava lui. Tutte le compagne le spiegavano che si trattava di una semplice cotta, ma come può una cotta durare tre anni?! Le cotte se non sbaglio durano al massimo una settimana se non di meno, e dopo un po' si lascia perdere. Invece lei aveva tenuto duro, non si era lasciata sfuggire nemmeno la più piccola occasione per poterlo guardare negli occhi, ma ogni volta abbassava lo sguardo e rinunciava a dichiarargli ciò che veramente provava.
Giravano voci che Nick (così si chiamava il ragazzo) avesse intuito i sentimenti di quella ragazza bianca come la neve già da tempo, ma lei finiva per smentire sempre tutto. Non credeva a certe cose, o meglio, non voleva crederci. Aveva paura di sperare in un loro possibile rapporto più affiatato. E se poi l'avesse tradita?! Se poi, vedendola così 'piccola', si fosse preso gioco di lei?!
Non poteva di certo permetterlo, non aveva mai dato a nessuno il permesso di entrare a far parte della sua vita, mai. Ma qualcuno aveva una chiave nascosta, la chiave di quella serratura in oro, così delicata. Com'è che la chiamavano?! Ah giusto, il cuore. Già, un cuore come il suo non si trovava tutti i giorni, era speciale, vi era qualcosa nascosto lì dentro, bisognava soltanto trovarlo.
Alcuni vi erano entrati, ma non erano più usciti. Ora toccava a Nick. Vi era entrato con un po' troppa prepotenza, ma era ancora lì dentro, stava ancora giocando, e si chiedeva quando fosse uscito e SE fosse uscito.
Ecco un autobus giallo che si fermava proprio davanti a lei spettando che salisse. Meredith, ecco il suo nome. Alcuni stupidotti la chiamavano 'merendina', ma a lei non dispiaceva poi così tanto. Sempre meglio di fiocco di neve.
Srotolò gli auricolari e prese posto; il solito posto. Su quel sedile aveva inciso così tante frasi, nomi, luoghi, vi era la sua vita lì sopra. Nessuno in quel bus aveva osato mai sedersi lì; era come essere infettati da una strana malattia di cui non si conosceva ancora il nome. Una volta seduto lì saresti entrato a far parte della cerchia di ragazzi 'seduti sul sedile stregato'.
Ormai avevano dato un nomignolo anche a quello.
Meredith guardava fuori dal finestrino imbrattato di scritte fatte con un pennarello indelebile. Intravedeva attraverso le lettere le gocce di pioggia che bagnavano le strade. Le veniva voglia di piangere, di mandare ancora una volta tutto a monte ed iniziare da capo, ma non aveva una macchina del tempo, era costretta a restare rinchiusa in quel suo piccolo mondo, e aspettare in un miracolo diceva lei. Ogni tanto veniva sballottata di qua e di là a causa di alcune fosse che il bus prendeva in pieno, sembrava farlo apposta; ascoltava per bene il rumore dei clacson lì fuori, nonostante avesse la musica che le impallava totalmente il cervello e le perforava i timpani. Le piaceva ascoltare ciò che la circondava, vedeva lo smog delle macchine invadere i suoi occhi attraverso il vetro, la gente che si riparava correndo perché non aveva un ombrello, i bambini accompagnati a scuola dalle mamme che li coprivano con sciarpe e cappelli fino a farli soffocare. Amava quell'aria mattutina, ogni volta era una magia, ogni volta assomigliava alla prima. Si perdeva in quei rumori, quelle melodie, in quel profumo di caffè provenienti dai bar; era qualcosa di fantastico, proprio come lei.
Ecco che il conducente frenò improvvisamente guadagnandosi i 'complimenti' dei ragazzi seduti, alcuni spiaccicati contro un vetro. Tutti si apprestavano ad uscire da lì con foga, correvano come una mandria di rinoceronti inferociti, e Meredith aspettava seduta sul suo sedile che il bus si svuotasse per poter uscire in pace.
Ogni giorno era la solita routine, si camminava fino al cortile della scuola e si aspettava. Lei stava aspettando da troppo tempo ormai. Si sentiva completamente inutile, derisa sotto gli occhi di tutti come se fosse una Barbie, un normale pezzo di plastica. Ma lei aveva dei sentimenti, l'unico problema?! Non era in grado di farli uscire allo scoperto. Aveva un'unica migliore amica, ma la sentiva di rado, si era trasferita da circa due settimane e la lontananza di certo non l'aiutava a migliorare il loro rapporto. Ora poteva davvero affermare di essere sola.

Il suono della campanella le risuonava nelle orecchie, i bidelli che urlavano non la infastidivano più di tanto, erano tre anni che amava quel ragazzo ed erano tre anni che si era abituata a quel bordello che si veniva a formare ogni mattina, allo scoccare delle 8:15. Guardava sempre davanti a sé, ma infondo sapeva che c'erano addirittura le ragazzine di prima a prendersi gioco di lei, come torno a ripetere, era abituata, stufa, ma abituata.
Ancora assonnata andava sbattere contro le persone che correvano da una parte all'altra dei corridoi e si beccava anche le loro imprecazioni. Una giornata come le altre, era venticinque Marzo, cosa poteva accadere di strano o in qualche modo eccitante?! Nulla poteva salvarle la giornata. Nulla e nessuno, se non lui.
Tutto d'un tratto si sentì toccare la spalla destra, non si voltò subito; chiuse per un paio di minuti gli occhi per poi riaprili e girarsi. Era la preside.
«Cosa ci fa ancora a gironzolare per i corridoi?! Su, vada in classe» era sempre stata una studentessa modello, perché ora quella vecchia bagascia si alterava così con lei?! Mah, tutti hanno delle giornate sì e delle giornate no, e per la preside quella era assolutamente una giornata NO.
Senza guardarla negli occhi si avviò verso l'aula di scienze. Le pareva la scena di uno di quei film americani in cui la preside manda in classe la protagonista che viene subito sorpresa dal ragazzo che le piace. Ma purtroppo non era un film, si trattava della realtà. E Nick non c'era. Doveva essere in ritardo, come al solito; molto probabilmente era ancora nel cortile a fumare la sua seconda sigaretta.
Quando erano amici gli aveva sempre detto di non fumare troppo, ma lui non voleva darle ascolto. E ora si ritrovava con una minimo di dieci sigarette al giorno; diceva che era lo stress che lo incitava a fumare.
La lezione era iniziata, Meredith persa con lo sguardo sulla lavagna nera. C'erano tante strane formule, segni, lettere, le confondevano le idee. Il cervello andava in palla di fronte a quella roba, e la sua professoressa di scienze non era una delle più simpatiche dell'istituto. Sedeva da sola nel suo banchetto infondo alla classe, isolata da tutto e da tutti, con un unico pensiero fisso nella mente. Ogni tanto le capitava di riprendere a seguire ciò che diceva l'insegnante, ma la sua attenzione non durava per più di dieci miseri minuti. Le ore scorrevano, le lancette dell'orologio tuonavano nell'aula mettendo ansia agli studenti che si contorcevano sulle sedie per impegnare il tempo restante. Era un susseguirsi di 'Posso andare in bagno?' 'Non ho capito' 'Potrebbe rispiegare?' ed è così che passò l'ora.
Ancora una volta quella campanella rompiscatole per Meredith, ma simbolo di salvezza per gli altri ragazzi, non esitava ad annunciare la fine della lezione. Precisa come un orologio svizzero; né un minuto di più, né un minuto di meno. La ragazza dai capelli come l'ebano si alzò per sgranchirsi un po' le gambe, si stiracchiò e fissando la porta aperta e l'aula completamente vuota decise di andare a fare un giretto nell'atrio, doveva anche sistemare alcune cose nel suo armadietto. Tutte le ragazze innamorate avevano gli armadietti decorati di adesivi e cuoricini, il suo era l'unico con un solo adesivo. Rosso, con una scritta nera: Love sucks. Non lo pensava davvero, o forse sì, era lunatica, quindi cambiava molto spesso opinione; per questo motivo non aveva poi così tanti amici, questo la portava anche a strani sbalzi d'umore.
Si appoggiò con la fronte al ferro freddo di quell'aggeggio porta-cianfrusaglie (perché lì dentro non c'erano solo libri), svuotò la mente e iniziò a pensare ciò che era successo moltissimo tempo prima, con Nick. Quando sotto quell'albero di pino si giurarono amicizia eterna. Amicizia?! Cosa se ne faceva lei dell'amicizia di un ragazzo come Nicholas Flamel?! Strinse le mani in due pugni di ferro, era in procinto di colpire quell'ammasso di ferro ma venne fermata.
«Ho bisogno di parlarti» conosceva quella voce.
«N-Nicholas»
«Da quando mi chiami con il mio nome per intero?»
«Semplice, da quando non te ne frega più un cazzo di me» lo guardò accigliata e con un pizzico di rabbia interiore.
«Vieni con me»
«Io non vengo con te, non frequento quest'istituto per perdere tempo»
Si avvicinò a lei. La distanza che li divideva era di soli due centimetri, Meredith si sentì mancare il respiro.
«Io non sono una perdita di tempo Johnson»
La tirò per un braccio e se la portò nel cortile. Usarono la porta d'emergenza della palestra, era vuota, per cui non c'era pericolo che qualcuno potesse vederli. La fece sedere su quella vecchia panchina arrugginita dipinta di verde; un verde antico e spento. Fece un respiro profondo, accese una terza sigaretta e iniziò a parlare.
«Lo sai che non sopporto vederti fumare»
«Sai che fumo per stress»
«Sei per caso stressato ventiquattro ore su ventiquattro Flamel?»
La fissò per dieci secondi.
«Non importa – la guardò dritta negli occhi – passiamo a quello che ti volevo dire. Sai perché ti ho portata qui?»
«No, e non vorrei nemmeno saperlo» rispose sbuffando tra il fumo eccessivo che le invadeva i polmoni.
«Non sei mai stata brava con le domande – le rivolse un sorriso frettoloso e proseguì – ricordi quando ti giurai amicizia eterna?!»
«Come se fosse ieri» stranamente il viso di Meredith si illuminò di un sorriso candido e sincero.
«Sai, da quel giorno sono stato tormentato da qualcosa di strano, qualcosa che non pensavo potesse colpire proprio me»
«Tutti possono essere colpiti da qualcosa di inaspettato, Nick»
«Pensavo fossero semplicemente degli stupidi pensieri che mi bazzicassero per la mente, ma solo qualche giorno fa ho capito davvero di cosa si trattasse»
Ritornò a voltarsi verso di lei. Per la prima volta si accorse di quanto fosse bella, per la prima volta si perse in quegli occhi marroni come un pezzo di cioccolato fondente. Iniziò ad accarezzarle la guancia rossa come il fuoco, un gesto che gli uscì completamente spontaneo; portò le sue dita tra i riccioli della ragazza che pian piano sprofondava nella panchina, voleva essere inghiottita da una voragine, voleva scomparire, ma stava aspettando quel momento., da fin troppo tempo ormai, non era più tempo di parole e pensieri agghiaccianti.
«Meredith – le scrutò quegli occhi profondi – io ho bisogno di te»
«Dimostramelo allora»
Senza pensarci due volte Nick prese la nuca della ragazza, annullò la distanza che li divideva da venti minuti e incastrò le sue labbra con quelle di Meredith. Sapevano di biscotti alle nocciole, i suoi preferiti. Ora 'fiocco di neve' si abbandonava completamente al suo corpo caldo, ora quella ragazza così timida dalla testa ai piedi aveva trovato qualcosa, o meglio, qualcuno che anche per un solo secondo la faceva sentire speciale. Si sentiva completamente avvolta dalle braccia di Nicholas, dal suo calore; riusciva a percepire il suo respiro sul collo tempestato di nei. Era in un altro mondo, un'altra galassia la circondava ora. Era un momento perfetto, il LORO momento.
«Sapevi che stavo aspettando da tanto vero?»
«E' per questo che voglio recuperare il tempo perso Meredith – si fece coraggio e pronunciò quelle parole tutto d'un fiato, senza nemmeno respirare – io ti amo ragazza, come non ho mai fatto con nessun'altra»

Meredith. Una ragazza timida. Nick. Un fighetto un po' bullo che aveva scoperto l'amore.
Si appartenevano; come si appartengono il burro e la marmellata.

 

 


-Landri Melania.

   
 
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