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Autore: Kendhra    08/02/2012    1 recensioni
Poco importava chi fosse il destinatario. La bambina sapeva. E quel suo sguardo profondo e misterioso, che scorreva da sotto i suoi scuri e folti ricci, ne era la prova. Era apparsa lì, quella sera. Vestita semplicemente di un cappotto rattrappito, con una lettera appesa che recitava povere parole.
Il suo fare ostinato, il suo silenzio parlavano per lei.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Poco importava chi fosse il destinatario. La bambina sapeva. E quel suo sguardo profondo e misterioso, che scorreva da sotto i suoi scuri e folti ricci, ne era la prova. Era apparsa lì, quella sera. Vestita semplicemente di un cappotto rattrappito, con una lettera appesa che recitava povere parole.
Il suo fare ostinato, il suo silenzio parlavano per lei.
‘Che caratterino deciso, proprio come sua madre!’  Di tanto in tanto il mago abbozzava qualche pensiero, nella speranza di raggiungere Celia e farle proferir parola. Mille domande avrebbe voluto farle,  ma lei non era lì per questo. Non parlava,  a stento respirava.  Celia era l’emblema. L’emblema del passato che tormentava Prospero.  
L’aveva presa con sé quella sera,  dato un tetto, del cibo.
 Aveva trascorso mesi in tentativi, mesi in approcci vani, ma l’Incantatore non si era arreso.  Osservava il suo agire. Quella magia e quell’aura misteriosa che emanava.  Spesso la scrutava da dietro la porta. Era sua figlia dopotutto.  E quella sensazione che aveva provato, vedendola la prima volta nell’ufficio del Direttore, non l’aveva più abbandonato. Un sentimento di protezione nei  confronti  di quel piccolo essere, che niente raccontava; che in silenzio notava ogni minimo dettaglio e che, seppur con lo sguardo nero e sicuro, era solamente una piccola creatura da proteggere.
I giorni non erano più gli stessi da quando lei era apparsa.
Nei giorni di pioggia egli la intratteneva con magie ridicole, perché Celia accennasse anche solamente un sorriso.  Ed ella di tutta risposta spezzava gli oggetti per poi ricomporli, senza muovere un dito.
Nelle giornate di sole, uscivano. Sorridevano alla natura, sorridevano a loro stessi. Mai una parola.
 Le loro serate erano silenziose. Comunicavano con la magia, e questo bastava. Una bambina dell’età di Celia percepisce le cose come un gioco, ma Celia è diversa. Lei conosce il potere e l’ascendente che esercita sul mondo.  In particolare sul Prospero.  
Mai rispose alla domanda del come fosse giunta lì, o del perché.  Celia poteva essere tutto per il mago, la sua salvezza o la sua rovina. Gli ricordava il passato, certamente. Ma era anche il suo futuro. L’unica cosa rimastagli.  

Le sue piccole mani d’un tratto sfiorarono il viso, ormai segnato dal tempo, del mago.  Interrotto nel flusso dei suoi pensieri, egli chinò il capo in direzione della bambina. Celia sorrideva timidamente. I sorrisi erano le  ennesime parole non dette.  Aveva smesso di cercare in lei le parole. Quando la comunicazione ormai  sembrava limitata a sorrisi e magie, ella parlò.
-Pro…Prospero.
Il mago corrugò le sopracciglia, in preda alla sorpresa. La vocina vellutata e timida con cui Celia aveva pronunciato quelle parole sciolsero il suo cuore. Era come se avesse abbattuto un muro, scalato un monte per raggiungerla.  Quei giorni non erano stati inutili, qualcosa in Celia era scattato. L’Incantatore improvvisamente sorrise radioso, felice.
-Miranda!
Allargò le braccia con fare paterno, cercando la piccola. Un padre.  L’Incantatore, il mago, il Prospero, era un padre. Senza una fissa dimora, che per mesi aveva ridotto il suo mondo a Celia e la magia, era un padre. Le aveva dato tutto l’amore potesse concederle e lei lo stava ripagando balbettando il suo nome.  
L’orologio appeso al soffitto cadde. Le lancette si sparsero sul pavimento.  L’ Incantatore scivolò con lo sguardo verso sua figlia, che arricciò le labbra, guardandola con fare malignamente divertito.  Si corresse:
-Celia..-
Ed ecco nuovamente la magia. L’orologio tornò al suo posto, esattamente come un attimo prima.
-Perché proprio l’orologio, Celia?- 
Sperava di ottenere una risposta questa volta.  Celia percorse con lo sguardo l’uomo, poi l’orologio sulla parete. Si tirò le maniche dell’abitino rosa, e cominciò a frasare.
- Il tempo, il tempo, non dovrebbe esserci! -
-E’ per questo che lo fai?  -
-  Io voglio solo la mamma.  Papà..-
Il mago cadde sulle ginocchia a quelle parole. Sbattendo violentemente contro il pavimento. Si  chinò come se gli mancasse il fiato.  Una donna. Una bambina. Una famiglia. Il cuore a pezzi. Era anche questo colpa di Celia? Eppure lei lo aveva ricomposto. Celia aveva messo a posto ogni coccio della sua anima.  Lo aveva raccolto, con quel suo sguardo misterioso e deciso. Quegli occhi scuri, nascosti dai folti ricci ribelli.   
Celia, Miranda. Che non rispondeva a nessun altro nome al di fuori del suo.  
   
 
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