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Autore: orphan_account    10/02/2012    6 recensioni
Dal primo capitolo:
Mi chiamo Alexandra, ma potete chiamarmi Alex. Ho quindici anni e una lista di cose che voglio fare prima di morire. Su un totale di più o meno 50, per ora ne ho completate sei. Quindi, vi chiederete, dov'è il problema? Ecco, è che questo non rientrava nella lista...
Dal tredicesimo capitolo:
Mi chiedo dove sarei ora se non mi avessero costretta a venire qui. Sicuramente mi sarei persa tutto questo, e non li avrei mai incontrati. Ho idea che insultare... lui... sia stata una delle migliori idee del secolo.
Però un po' mi dispiace...
[...]
"Stai scherzando." gli dissi con voce atona. La sua risata riempì la stanza.
"Decisamente no, sono serissimo." disse lui scompigliandomi i capelli.
Questa era una follia, pura e semplice: "Ma questa da dove l'hai tirata fuori?"
Mi prese la mano. Era calda e sicura: "Vedrai."
Si sentì un urletto: "Posso venire con voi? Ti prego Zayn, ti prego!"
"Uhm, come vuoi Louis."
STORIA IN REVISIONE
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A. Aggiornamento 9/11/2012: capitolo revisionato.

Ero in camera mia, distesa sopra le coperte del mio letto e non sentivo un accidenti di quello che stava succedendo intorno a me. E a ragione, anche, il volume della musica era abbastanza alto da assordarmi, ma a me piaceva così. Chiusi gli occhi, canticchiando a mezza voce il ritornello della canzone, l'unica parte che non fosse urlata.

Tanto, non è come se avessi avuto altro da fare: i compiti erano fatti, la mia stanza era in ordine e mi avevano ritirato il computer. Quindi ascoltavo la musica.

Semplice, no? E invece sembrava proprio che i miei non ci arrivassero, convinti come erano che avrei dovuto fare qualcosa di utile del mio tempo.

Non mi accorsi dell'ombra che si stagliava sopra la mia faccia a causa degli occhi chiusi. Quando però una mano mi scosse gentilmente la spalla, facendomi scattare in piedi immediatamente, notai che mia madre era entrata in camera mia. Mi tolsi un auricolare e attesi con impazienza che parlasse.

Come ti senti tesoro?” mi chiese appoggiando la mano sulla mia fronte. Ridicolo. Veramente ridicolo. Come se non mi facesse questa stessa domanda almeno dieci volte al giorno.

Sbuffai: “Sto bene mamma, non ho la febbre e non mi sanguina il naso.” dissi con una voce tagliente.

Sì, ma... Oh, sei così pallida amore!” la sua voce si ruppe e per un momento eterno temetti che sarebbero cominciate le cascatelle di lacrime che vedevo spesso nell'ultimo anno. Era diventata una sorta di routine, la nostra. Almeno una volta al giorno mia madre scoppiava a piangere, convinta che per qualche ragione io fossi sul punto di morire ogni mezz'ora.

Mi misi seduta e attesi che mi passasse un capogiro: “Mamma. Sto bene. Ora, ti dispiacerebbe uscire?” chiesi.

Lei mi lanciò uno sguardo preoccupato e uscì dalla stanza, per una volta ricordandosi di chiudere la porta. La mia stanza era enorme, quasi un mini appartamento, ma non perché la mia famiglia fosse ricca sfondata, più che altro perché io ero malata e non potevo muovermi come prima.

Quando non ero costretta a stare a letto, ero seduta sulla scrivania poco distante, navigando su internet, cosa che ora non potevo fare perché mi avevano ritirato il computer. Trovavo assolutamente illogico e snervante il fatto che i miei genitori sclerassero tutte le volte che non avevo fame, con conseguente ritiro del computer perché a quanto pareva lo facevo apposta.

Tra l'altro, da quando mi avevano diagnosticato la leucemia, i miei mi davano tutto quello che volevo, il che poteva sembrare superficiale, ma in realtà non lo era.

Io ero quella tipica persona che appena la vedevi pensavi, “Oh, quella ragazza è una poco di buono.” Ora, non è vero! Non è mica un crimine vestirsi di nero o andare in giro con più trucco scuro rispetto al resto del mondo, no?

A scuola ero la tipica “emo” quella che tutti prendevano in giro perché non aveva vestiti di marca e non le piaceva fare shopping. E quindi da quando mi ero ammalata anche i miei genitori avevano smesso di lamentarsi per come mi vestivo e mi lasciavano decorare la stanza come volevo.

Ora le mura erano blu notte, e decorate con miriadi di poster dei miei gruppi preferiti, consistenti soprattutto in gruppi punk degli anni settanta e heavy metal.

Al contrario di mia sorella. Lei era la figlia perfetta, quella che andava bene a scuola e che ascoltava musica “normale”, il che significava che a lei piacciono personaggi come Justin Bieber, Miley Cyrus e... qual'era il loro nome? Ah sì, i One Direction... Bah, che musica orrida.

Insomma, aveva tredici anni, era anche l'ora che cominciasse ad ascoltare musica seria, invece che uno stupido che ripeteva la stessa parola per quasi quattro minuti.

Comunque... Non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Alexandra, ma potete chiamarmi Alex. E no, non è un nome da maschio. Ho quindici anni, sono malata di leucemia e ho una lista di cose che voglio fare prima di morire. Su un totale di 50, per ora ne ho completate sei. E ho più o meno tre anni di vita. Morirò a diciotto anni, non è buffa come cosa? In un certo senso, vivrò solo gli anni della mia adolescenza.

Un'altra mano mi scosse la spalla. Mi uscì un verso stranamente simile ad un ringhio, ma aprii gli occhi nonostante l'irritazione.

E quando lo feci, mi ritrovai a fissare una faccia che non avevo visto da tanto tempo: mia cugina.

L'ultima volta che ho visto mia cugina doveva essere stato l'anno scorso, quando mi aveva diagnosticato la leucemia. Mia cugina era un anno più grande di me e una tipa molto simile a mia sorella. Anche se andavamo straordinariamente d'accordo nonostante le differenze.

Marianna! E tu cosa diavolo ci fai qui?” chiesi con parecchia sorpresa. Lei sorrise caldamente e si sedette al bordo del letto.

Ma ciao anche a te, cuginetta cara.” disse.

Le mie guance si tinsero di un leggerissimo rossore: “Scusa, volevo dire: ciao Marianna, come stai?” dissi con voce tinta di sarcasmo.

Sai che giorno è oggi?” disse con una risata.

A dire il vero, non ne avevo la più pallida idea e glielo dissi chiaro e tondo.

Lei rise con ancora più gusto: “È l'undici giugno, un lunedì.”

Va bene, ora sapevo che giorno era. E quindi? Ero sicura al cento per cento che l'undici giugno non succedesse niente. E questo perché non succedeva mai niente, nella mia vita.

La mia faccia doveva aver mostrato con chiarezza la mia confusione, perché lei ridacchiò di nuovo: “Sai cosa succede domenica?”

Alzai un sopracciglio con sarcasmo: “È il giorno in cui si va a messa?”

Marianna cercava da anni di convertirmi al cristianesimo, nonostante gli avessi ripetuto chiaro e tondo più di una volta che ero atea e niente e nessuno sarebbe riuscito a cambiare questa mia cocciuta concezione del mondo.

La mia brillante risposta mi assicurò un colpetto dietro alla testa.

No, stupida. Ci sono i One Direction in concerto!” era così agitata che praticamente stava squittendo.

La sua pronuncia inglese era così pessima che all'inizio non capii di chi diavolo stesse parlando.

E chi sono i Wonder Action?” chiesi con sincero stupore. Mi frugai il cervello alla ricerca di quel gruppo sconosciuto, ma tornai a mani vuote.

Lei aggrottò la fronte, “I Wonder Action? Ma cos'hai capito? Ho detto: i O-N-E D-I-R-E-C-T-I-O-N!”

A quel punto persi interesse nella conversazione: “Ah sì?” chiesi facendo ripartire la musica che avevo spento quando era entrata, “E perché lo dici a me? Mia sorella è nell'altra camera.”

Lei mi strappò l'auricolare dalle orecchie: “Tua madre pensa che dovresti uscire un po', dell'aria fresca ti farebbe bene.”

No che non farebbe bene, ho la leucemia Mery!” gridai, irritata. Sembrava che mia madre non capisse che c'erano delle cose che non mi era più permesso fare ora.

Lei incrociò le braccia e mi guardò attentamente: “Prima hai detto a tua madre che stavi bene. E poi, tua sorella non sa l'inglese bene come te, io come farei a capire quello che dicono?”
Questo non si poteva negare: sia mia cugina che mia sorella erano abbastanza negate con le lingue, mentre io avevo frequentato una scuola bilingue, perché era apparso chiaro sin dall'inizio che ero parecchio portata.

Fui costretta a capitolare: “Va bene. Dove sono, a Milano?”

La sua faccia si spaccò in un sorriso entusiasta: “No, non a Milano. Si esibiscono a Londra.”

Rimasi senza parole. Letteralmente. La mia bocca era aperta e gli occhi spalancati.

Volevano mandare una ragazza leucemica fino a Londra? Ad un concerto? Ma Dio mio! Erano tutti impazziti in questa casa?

Mamma!” urlai con quanto fiato avevo in corpo.

Lei entrò così velocemente che avrei potuto pensare si fosse appostata dietro la porta. Il che, ora che ci pensavo, non era tanto improbabile.

Cosa c'è pasticcino?” chiese con un sorriso gentile.

Non mi chiamare così, e comunque, sul serio? Mi volete mandare a Londra, da sola, ad un concerto dove ci saranno centinaia di bambine impazzite, ad ascoltare un gruppo che nemmeno mi piace? Per non dire che, se qualcuno se ne fosse dimenticato, HO LA LEUCEMIA!” mi ritrovai a gridare più forte di quanto non avessi mai fatto.

Lo sguardo che mi lanciò mia madre fu decisamente omicida, “Non sarai da sola, tua cugina verrà con te. E ascoltare un po' di musica sana non ti farà male. Ormai stai sempre chiusa in casa, sei così pallida che sembri un lenzuolo, essere malata non è una scusa per non fare niente. Ho già organizzato tutto, partirete domani sera.”

Ma mamma-” lei interruppe le mie lamentele con un cenno della mano.

Era stranamente minacciosa: “E non voglio sentire piagnistei, chiaro?” detto questo uscì dalla stanza con Marianna al seguito, lasciandomi sola a contemplare la stupidità di certa gente.

   
 
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