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Autore: _eco    10/02/2012    5 recensioni
« Jeremy? », lo chiamò la bambina.
« Sì? ».
« Un giorno mi insegni a vedere come vedi tu? ».
« Promesso ».
[Partecipa alla Challenge Multifandom e Originali con il prompt #176 Cecità]
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Poche parole per una shot che ho scritto di getto, senza quasi rendermene conto. Per questo motivo sia grammatica che lessico non sono eccellenti nè particolarmente ricercati. Del resto ha per protagonisti due bambini, e la semplicità regna nel mondo infantile. Ho sempre desiderato scrivere su tematiche simili, quindi mi piacerebbe un commento. Premetto che non so un accidenti della ciecità o di cosa significhi esserlo, ma ho provato ad immaginarlo.
Buona lettura =)
S.


 

Lilian come il mare

 

Soffiava una brezza fresca e leggera, ristoratrice per coloro che amano quella via di mezzo fra il freddo estremo e il caldo soffocante. Il praticello del parco pubblico era continuamente smosso, i petali danzavano fra loro, le fronde cantavano melodie mute per colpa dei clacson e del traffico.
C’erano poche panchine nel parco, tutte di mattoni solidi e anneriti dal tempo. Una di queste, la più vicina al ciglio della strada, era quotidianamente occupata da una bambina dai capelli di rame e una matita dietro l’orecchio. Storceva spesso la bocca – si concentrava meglio così – e ogni tanto lanciava sguardi furtivi ad un grattacielo in costruzione, proprio di fronte a lei. Con le dita guidava una matita lungo la superficie candida di un cartoncino rigido. Sarebbe bello poter dire che chiunque passava in quegli istanti si fermasse incuriosito dalla magia che nasceva in un semplice foglio di carta, ma non è così. Le persone che percorrevano quei metri, per lo più adulti, sembravano tanti robot mossi solo dal pensiero di soldi e lavoro, di frenesia e stress. Solo un bambino si fermò, ma non fu l’immagine di un foglio colorato ad incuriosirlo. Jeremy Parker sentì solo lo sfrigolio della matita sulla carta, gli sbuffi assorti di una bambina, e il suo ritmico schioccare la lingua contro il palato.
« Cosa fai? », domandò in tono sottile e morbido, piantando le scarpette da tennis sul marciapiede, e dando un buffetto al cane che lo accompagnava.
Lilian alzò il viso, non riuscendo a nascondere un po’ di fastidio: non le piaceva essere interrotta mentre disegnava. Per questo motivo aveva scelto quel posto: nessuno era solito fermarsi e osservarla.
« Un disegno », rispose in modo stranamente amichevole. « Cosa te ne pare? », esclamò, e subito il cuore cominciò a galopparle in petto per la curiosità e la preoccupazione. Sollevò il foglio, in modo che anche Jeremy potesse vederlo. Era la prima volta che sottoponeva un disegno al giudizio di un estraneo, ma in quel bambino c’era qualcosa che negli altri non era mai riuscita a vedere: nel suo sguardo, apparentemente vuoto e impreciso, c’era l’ombra di una fantasia repressa che aveva soltanto bisogno di aiuto per ricominciare a vivere.
« Cosa c’è nel disegno? », insisté il bambino, mantenendo il viso distante dal cartoncino che Lilian gli mostrava.
« E’…è… », qui Lily si interruppe.
Gigante. Grattacielo. Quale dei due termini usare? Era piuttosto sicura che Jeremy l’avrebbe capita, ma, d’altro canto, non sapeva per certo se egli fosse a conoscenza di quell’appellativo.
«…un grattacielo. Non lo vedi? ».
« Vuoi dire un gigante? », proruppe lui, entusiasta.
« Proprio così! », si sorprese la bambina, scoppiando in una gioiosa risata.
Jeremy sollevò le esili spalle, accarezzando il morbido pelo del suo amico a quattro zampe. La risata di Lilian somigliava alle onde del mare e al suono di numerosi cristalli che cozzavano fra loro.
« Allora? Ti piace? », chiese nuovamente Lily, battendo la scarpetta sul marciapiede, e mordicchiando la punta della sua matita.
Jeremy tacque. Lilian pensò che stesse soltanto studiando per bene il suo disegno.
« Non lo vedo », disse poi semplicemente, i pugni stretti, i denti da latte affondati nel labbro inferiore, e tutto il suo coraggio da bambino in una tagliente affermazione come quella.
« N-non lo vedi? », balbettò Lily. « Forse non c’è abbastanza luce. Guarda, lo sposto di qua: il sole adesso lo illumina tutto…».
Ma Lilian non sapeva – non poteva sapere – che nemmeno il sole rischiarava le tenebre che si frapponevano fra Jeremy e il mondo.
Cieco.Quando avevano riferito la notizia alla signora Parker, tutto era cambiato. Jeremy era appena nato, eppure tutto ciò che Mabel Parker aveva immaginato di lui, era mutato irreversibilmente: il primo film visto al cinema, una gita in barca, semplicemente scrivere un nome. Soltanto dopo, con il passare dei primi anni, Mabel aveva compreso che Jeremy era capace di cose straordinarie: captare le emozioni sentendo le voci, percepire il profumo di salsedine e basare su questo la sua idea di “estate e mare”, imparare il Braille…essere normale in una situazione che di normale aveva ben poco.
« Passa la matita sui contorni. Passala fortissimamente! Così posso vederlo », la interruppe Jeremy, tastando i mattoni della panchina e sedendole accanto.
Lilian non fece troppe domande, e si mise all’opera. Con grande attenzione e dedizione ricalcò più forte che poteva i contorni del suo grattacielo, poi gli omini col caschetto blu, la struttura di ferro, la strada sullo sfondo. Intanto Jeremy l’aspettava immobile, limitandosi a fischiettare qualche nota intonata, e accarezzando Brenkley, il suo fidato pastore tedesco, seduto ai suoi piedi, le orecchie tese, pronte a captare qualsiasi suono sospetto.
« Ecco fatto », annunciò Lilian, soddisfatta.
Passò il cartoncino al bambino, che lo voltò dal lato opposto, sotto lo sguardo incuriosito e leggermente contrariato della ragazzina, che però non proferì parola. Le dita grassottelle e rosee di Jeremy percorsero lentamente le linee che solcavano il foglio, congiungendole l’una all’altra, in un complicato disegno geometrico. Tutto sembrava una strana danza, e Lilian la seguì attentamente.
« E’ il gigante più bello che abbia mai visto! », esclamò entusiasta il bambino, sollevando le punte delle labbra in un amabile sorriso.  « Però questa linea – disse, passandovi sopra le dita – la vedi?, è un po’ storta. ».
« E’ vero », concordò Lilian, senza inscenare troppe giustificazioni, come suo solito. « Però è un gigante a metà », precisò. « Deve ancora crescere ».
Jeremy annuì e le passò il cartoncino. Lilian lo rimirò per qualche istante, studiando la linea indicatagli dal suo nuovo amico, che, confessò a se stessa, era davvero sbilenca per essere la parete di un gigante come quello che si trovava davanti.
« Come ti chiami? », chiese.
« Jeremy », rispose il bambino, giocherellando con il bordo della sua t-shirt azzurra.
« Jeremy », ripeté Lilian. « Ciao, Jeremy », disse con più convinzione, raccogliendo la mano del bambino e stringendola forte. « Io mi chiamo Lilian ».
« Lilian. Lilian come il mare », sussurrò Jeremy, le iridi grigio perla presero a brillare vivacemente.
« Sì, un po’ mi piace il mare », ammise Lily, credendo di non star capendo bene.
« Jeremy? », lo chiamò la bambina.
« Sì? ».
« Un giorno mi insegni a vedere come vedi tu? ».
« Promesso ».

 

  
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