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Autore: RossaPrimavera    11/02/2012    6 recensioni
-Il nostro non sarebbe amore quindi?
-Esattamente. E' solo un gioco.
-Però converrai che sappiamo giocare molto bene... Attenta, potrei renderti piuttosto felice.
-Non dirlo: potrei prenderti sul serio.
E' uno scontro da film americano di serie B quello tra Edie e Clay, tanto diversi quanto irrimediabilmente simili.
Tra le pareti di una scuola dove vige un ridicolo assolutismo, in una dimensione a se stante basata sul culto dello specchio, può una sola ragazza stravolgere il corso delle cose?
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“E’ facilissimo reagire con freddezza alle cose durante il giorno.

Ma di notte è tutto un altro discorso…”

- Ernest Hemingway -

 

 

Physical Logical Temptation

di Elle H.

 

 

CAPITOLO TERZO

“Dove ci si tuffa tra le sfide, e si nuota tra le sorprese”

 

 

 

“Everybody is going to the party

Have a real good time

Dancing in the desert,

Blowing up the sunshine

 

Tutti vanno alla festa, si divertono molto 

 ballando nel deserto, esplodendo 

fino a quando spunta il sole”

-BYOB, System of a Down”- 

 

 

 

Vi erano un’infinità di peculiarità che Barclay Durless avrebbe potuto affermare e confermare di se stesso, e senz’altro una di queste era l’assoluta immunità ai risvegli di cattivo umore.

Quando apriva gli occhi, a dispetto dei qualsiasi impegni quotidiani di varia entità che lo attendevano, per lui era sempre un giorno come un altro, ovvero roseo, piacevole e promettente.

In ogni caso, per quanto la sua vita fosse tutto meno che faticosa, quello era il momento della settimana che prediligeva: l’unico Giorno della Quiete, la cui atmosfera era tanto più placida e rilassante proprio perché conseguenza di un sempre ottimo sabato sera.

Clay attraversò con passo svagato corridoi semibui, i piedi nudi che affondavano nei soffici tappeti, lasciando divagare i pensieri senza particolare meta.

L’elegante sala da pranzo si presentò avvolta nelle prime luci del mezzogiorno, rese innocue agli occhi da grandi tendaggi ancora chiusi: in quella casa semi addormentata, quell’ora rappresentava l’alba domenicale.  

L’ampia tavola era stata squisitamente imbandita, impeccabilmente costellata da porcellane di finissimo gusto: perfetta, e straordinariamente consueta al contempo; una serie di fogli con sottili disegni e minute note scritte in elegante calligrafia si ambientavano con dubbia grazia fra tutto quel ben di dio.

Prima di fare il suo ingresso, Clay rimirò con malcelata vanità il proprio riflesso nello specchio: quello di un ragazzo che, a discapito dei capelli arruffati e gli occhi ancora gonfi di sonno, si consolava valutando la propria semi nudità e i muscoli perfettamente definiti che essa rivelava.

Con un cenno di soddisfatta vanità concluse che non gli costava nessuna fatica per essere così bello.

“Sei consapevole che i pigiami sono composti da due pezzi, maglia e pantaloni, vero?”

Due sguardi identici che si incontravano, occhi verdi talmente comunicativi che avrebbero potuto sostenere una gara per intensità.

“E onestamente, non ho idea di come tu possa mangiare quella roba a quest’ora”

Gli occhi verdi si fermarono critici sulla forchetta che il ragazzo reggeva già tra le dita, intenta ad affondare in commoventi quanto opulenti gioielli di pasticceria.

“Sono in fase di crescita, devo nutrirmi se vuoi che continui a rimanere forte e bello” ribatté con la bocca piena, ricevendo come risposta solo un verso a metà tra una risata e uno sbuffo.

Kiyance Bassant Kapoor, in Barclay; l’unica donna al mondo per cui nutriva una cieca, totale stima, e a dirla tutta, sua stessa madre.

Aveva passato tutta la sua infanzia a fissare ammirato e vagamente intimorito la sua figura vagare per i corridoi di quella casa, intenta a ragionare su taccuini fitti di disegni e parole, con indosso nient’altro che vesti evanescenti, del tutto pure e innocenti nella sua mente completamente smaliziata.

Anni dopo, più cresciuto e con una mentalità sicuramente più aperta sul vasto mondo femminile, si era scervellato sul perché una donna del genere, in possesso di un’esotica, straniera bellezza come la sua, avesse rifiutato chissà quale famosa carriera consacrando la propria vita alla famiglia e all’architettura.

C’erano in effetti molte cose che non aveva mai osato chiederle o approfondire, e questa era una di quelle; le probabili risposte che avrebbe potuto ricevere avevano sempre evocato in lui un vago senso di sconforto.

“Sbaglio o ieri sera sei tornato più presto del solito?” accennò poco dopo sua madre, intenta ad analizzare una bozza, l’ennesima di un’antica dimora in stile liberty che le stava dando non pochi grattacapi.

“Sì, alle due o giù di lì… Ma prima che sfoderi uno dei tuoi soliti commenti mamma, c’è una cosa che vorrei chiederti”

“Mmh?” mormorò la donna, mostrando sempre un cauto interesse per le spiazzanti domande del figlio, di cui era confidente sin da quando l’aveva messo al mondo.

“Tu lo sai chi è Edie Sedgwick, vero?”

Kiyance abbassò i fogli di scatto, esaminando dubbiosa il volto dell’unico figlio.

“E tu da quando hai idea di chi sia qualcuno oltre a te stesso?”

Il ragazzo ignorò la frecciatina, concedendole un sorriso straordinariamente sincero.

“Come sei esagerata … Ho conosciuto una ragazza, si chiama Edie.

Parlando mi ha spiegato che i suoi genitori l’hanno chiamata proprio per quella tizia lì”

Sua madre alzò gli occhi al cielo, riprendendo svogliatamente il proprio lavoro.

“Per quel che mi riguarda potrebbe chiamarsi anche Marilyn Monroe… Ti prego Barclay, almeno questa di cui ti ricordi il nome, evita per favore di portarmela in casa”

Clay scoppiò a ridere, rischiando di soffocarsi col cibo, cercando poi senza risultato di mostrarsi offeso.

“Mi stai parlando come se in giardino ci fosse appostato un harem di ragazze!” protestò, considerando tuttavia che non sarebbe stata affatto una cattiva idea; la madre  al contrario, non era dello stesso avviso.

“Sai, questa casa, oltre a non essere un albergo per te, non è neanche un canile per le tue conquiste, che fai sgattaiolare fuori e dentro casa alle ore più impensabili, razza di figlio morboso” ribadì, facendo impallidire per acidità il caffè che il ragazzo si accingeva a bere.

Era inutile, non c’era storia che tenesse: non aveva mai incontrato qualcuno che sapesse ottenere l’ultima parola come sua madre.

Era formidabile, nessuno poteva essere così aspro e divertente al contempo.

Ma a quell’ultimo pensiero si contraddisse quasi istantaneamente, e l’affermazione materna di poco prima lo portò a rimuginare sulla sera precedente, a quello che era successo… o meglio, non successo.

In cuor suo era consapevole di aver già iniziato a farne una questione personale, e ora si riscopriva a valutare il da farsi con la fredda precisione di un generale che premedita un piano d’attacco.

Per un ragazzo come lui, così sicuro di se stesso, della propria avvenenza e del potere che sapeva esercitare sugli altri, specialmente sulle donne, nulla era più spiazzante di un desiderio non esaudito, o peggio, di un rifiuto.

Con rabbia considerò che aveva avuto ragazze più belle di Edie, o meglio ben più dotate da un punto di vista fisico, e magari persino più intelligenti, per quanto non si fosse dato la pena di appurarlo.

Qualcuna si era mostrata inizialmente titubante, evidenziando timidezza o orgoglio, ma in un modo o nell’altro alla fine si era sempre ritrovata in una delle posizioni da lui preferite, totalmente soggiogata alla sua volontà.

Ma ora con Edie si apriva un nuovo capitolo dell’arte amorosa, una parentesi mai contemplata ma insolitamente stuzzicante, con quel suo modo di fare sospeso a metà tra l’indifferenza e la provocazione.

E all’improvviso si ritrovò a porsi una serie di domande che prima non l’avevano nemmeno sfiorato:

da dove sbucava quella ragazza, si era forse trasferita? E se sì, da dove e per quale motivo?

O se anche aveva sempre abitato lì, perché non l’aveva mai vista?

E come mai si mostrava così diffidente? E perché non si era già fatta un giretto nel suo letto?

In qualche modo queste domande necessitavano di una risposta, e decise risoluto che bisognava porre rimedio a quella situazione che lo rendeva sempre più impaziente.

“Mi serve un favore, mamma. Sai che ogni anno organizzo il week end per Halloween…

Questa volta mi servirebbe una casa abbastanza grande e vecchia, il più suggestiva possibile” proruppe dal nulla il ragazzo, stupendo ulteriormente la madre.

“Quando tiri fuori questi paroloni mi fai quasi preoccupare. Non ti va bene affittare uno dei soliti posti?”

“Non quest’anno… Mi serve qualcosa di tutt’altro genere, qualcosa di grande, qualcosa che lasci a bocca aperta tutti! Puoi aiutarmi?” chiarì, il volto acceso di entusiasmo.

“Credo di poterlo fare dopotutto, per quanto creda che nulla di ciò che potresti fare sappia impressionare quei quattro zotici che ti sei scelto come amici… Fammi avere al più presto il numero dei presenti, e farò due telefonate” concluse tornando a destreggiarsi tra la marea di fogli, questa volta definitivamente.

Il ragazzo sospirò, come sempre senza replicare ai critici consigli della madre, ben sapendo della totale ragionevolezza delle sue parole; ma quello sforzo che voleva fare non era certo per i ragazzi, certo che no…

Aveva ben altro in mente, un progetto nemmeno troppo ambizioso che, se realizzato, avrebbe fatto contenti tutti, se stesso in particolare.

“Oggi pomeriggio vedo gli altri, stasera ti confermo in quanti siamo” concluse allontanandosi pigramente, sbadigliando e chiedendosi se ci fosse qualcosa di male nel tornare a letto e dormire ancora un po’.

 

 

“Next time you point a finger, I might have to bend it back

 Or break it, break it off

Next time you point a finger, I’ll point you to the mirror

It’s just my humble opinion

But it’s one that I believe in

You don’t deserve a point of view, 

 If the only thing you see is you.

 

La prossima volta che punterai il dito,

 te lo ripiegherò all'indietro e lo romperò.

La prossima volta che punterai il dito,

ti farò guardare allo specchio.

E' solo la mia umile opinione… ma è quella in cui credo:

Non meriti un punto di vista,

dato che l'unica cosa che vedi è te stesso.”

-Playing God, Paramore-

 

Dicono che siano i dettagli, le piccole cose ad aiutarci a capire se una persona ci merita.

Ma soprattutto dovrebbero servire a mostrarci quanto non ci merita, e invece sembriamo praticamente ciechi di fronte a quello che è già un fallimento in partenza.

In definitiva, le speranze di Edie erano state in breve deluse: per quanto potesse impegnare tutta se stessa nel recuperare l’amicizia con Violet, restava il fatto che quei quattro anni di separazione restavano pur sempre quattro, lunghi anni; e in quattro anni, purtroppo, le persone sono solite cambiare.

Non aveva più temuto di esagerare quando, con le scuse per il suo pessimo comportamento, l’amica le aveva indelicatamente allegato una serie infinita di novità, delle quali avrebbe fatto volentieri a meno.

A nulla era valsa ogni obiezione, ogni contraddizione al suo visionario racconto: l’entusiasmo per Neils, e di conseguenza per la sua allegra brigata, erano esplosi con la stessa veemenza con cui si erano celati in quegli anni.

Era consapevole che dopotutto il desiderio è padre di tutte le colpe, e aveva già avuto modo di valutare l’irrazionale, sempiterno desiderio di Violet per quel ragazzo di pessima risma, ma …

Ma tra le conclusioni che si era aspettata di vedere, quella proprio non l’aveva considerata.

 “Dai Edie vieni anche tu… Dai ti prego, accompagnami! Parlaci almeno una volta, una sola!”

“Mi prendi per il culo?”

Suppliche lacrimose, e palese acidità: sembrava che il loro rapporto fosse già così da una vita, invece erano solo pochi giorni.

“Scordatelo, non ci vengo a patire il freddo per poter stabaccare su un tetto con gente che odio a morte”

Ora Violet e Neils uscivano insieme, o meglio, trascorrevano incollati l’uno all’altra ogni minuto a loro disposizione.

E anche sorvolando su come trascorressero il loro tempo, preferendo pensarli impegnati in candide ed innocenti discussioni, Edie non poteva fare a meno di sentirsi trascurata.

“Ma dai, cosa ti costa! Dai dai dai, per favore…”

“Scordatelo, potevi andarci prima con Anya”

Violet condivideva ora una discreta parte della medesima aura dorata che attorniava la bionda rappresentante di classe, per cui Edie nutriva ancora un certo rancore; un po’ per la totale mancanza di empatia nei confronti delle ragazze che “svendeva”, ma soprattutto perché odiava ammettere di essersi fatta fregare così facilmente.

Restava il fatto che la vita dell’ultima arrivata si era improvvisamente incrinata: non era ancora riuscita a stabilire un qualche rapporto con le compagne che andasse oltre lo scambio di due parole, la scuola le sembrava ogni giorno più noiosa e l’assenza di Violet, e i suoi repentini cambiamenti, non facevano che confonderla.

E a dirla tutta, era ormai sempre più presente un fastidioso pensiero, ricollegato a doppio filo ad un solo nome; posto proprio lì, al centro esatto di un inferno dantesco.

Alla fine, più per esasperazione che per reale buon cuore, acconsentì a farsi tutti i piani fino alle corte scale che portavano al tetto, luogo di ritrovo perenne per il comitato, a quanto pare indifferente a fenomeni climatici di ogni sorta.

“Sei sicura di voler stare in classe da sola?” chiese ancora Violet, quando ormai erano nel piccolo corridoio che conduceva al tetto, ricolmo degli spifferi che sfuggivano dalle due porte.

“Sicurissima” ribadì Edie, accennando un sorriso convincente.

“Ma magari conoscendoli meglio potresti venire a fare il week end con noi…”

“Alt. Quello non me lo devi neanche nominare, Vi”

“Ma sarebbe un’occasione perfetta per stare un po’ di più insieme…”

“…a te, e a quegli animali là. Scordatelo, te l’ho già detto, non ci verrei neanche morta!” concluse, notando con disappunto che la sua reazione assomigliava sempre più a quella di una bambina che pesta i piedi.

“Ah, davvero? E io che pensavo già di poter trascorrere due giorni assieme a te!”

Clay sbatté la porta dietro di se, allacciandosi la giacca di pelle con una sigaretta già infilata tra labbra e un sorriso strafottente sul volto.

“Lascia la porta aperta, me ne stavo andando” si affrettò a dire Edie, senza venir minimamente considerata; Violet alle sue spalle, un risolino a illuminarle il viso di malizia, scappò sul tetto, lasciandosi congedare con uno sguardo di disprezzo dall’amica.

“Ti prego, non dirmi che anche questa era programmata” chiese la giovane voltandosi, il volto scettico corredato con tanto di sopracciglio alzato.

Il ragazzo sorrise compiaciuto, quasi si aspettasse ormai ogni possibile reazione da lei, e anzi non desiderasse altro.

“Per quanto ami gli intrighi, purtroppo no, non lo era..

Eppure sono proprio felice di vederti Edie, era da domenica che non ti incrociavo. Potevi scrivermi sai?” disse Clay, accendendosi la sigaretta, rimandandole un boccata di fumo sul viso.

“Ho forse una buona ragione per farlo?” ribatté lapidaria, storcendo il naso, strappandogli una risata.

“Quando pensavi di dirmi che verrai con noi questo week end? Le cose non si organizzano mica da sole!”

La ragazza incrociò le braccia, sfoderando un gesto che si ripeteva sempre in presenza del ragazzo, un circolo vizioso in cui lui era sempre capace di ricondurla.

“Forse non hai sentito, Clay: non ho nessuna intenzione di venire” concluse con fermezza.

Ma l’imperturbabile, bel viso del ragazzo ancora una volta non rivelò alcun cenno di delusione.

“Non sarà per Violet, vero? Sai, se non avessimo parlato sabato sera, penserei che sei lesbica e ardi di gelosia per lei. Il che, in tutta sincerità, sarebbe davvero un grandissimo spreco”

Di fronte a quel sorriso sornione, in pieno contrasto con l’irriverente affermazione, Edie si sentì avvampare.

“Lesbica, Io?! Ma se sono etero al… al centodieci per cento probabilmente?”

Clay rise della sua veemenza, lunghi spiragli di fumo che si liberavano dalla sua bocca.

“Questo è davvero buono a sapersi. E allora? Hai forse paura succeda qualcos’altro tra noi?”

“Perché, tra noi è forse mai successo qualcosa? Anche questo mi pare di avertelo già detto: non bastano due minacce campate in aria per impressionarmi” replicò con un cenno beffardo.

“Ah no? E quindi non hai paura di me? Non temi ciò che potrei farti, anche qui, ora?” chiese quasi con incredulità, lasciandosi sfuggire un’altra boccata di fumo dalle belle labbra.

Edie fece spallucce.

“No, affatto”

La sigaretta cadde a terra, una mano del ragazzo si strinse dolorosamente sul suo mento, una morsa che le comprimeva il viso, già fin troppo vicino a quello del suo aguzzino.

Una scena da manuale.

Per l’ennesima volta Edie si trovò a considerare con quale facilità il ragazzo riuscisse a sottometterla, e soprattutto, come si divertisse a farlo; sinceramente non sapeva quale delle due cose fosse peggio.

“Nonostante io ti dimostri ogni volta che devi portarmi rispetto, tu continui a provocarmi... Perché, Edie?

Ma tu lo sai che potrei stuprarti qui, in questo esatto momento?”

L’altra mano corse veloce alla base della sua camicia, estraendola con forza dalla gonna in cui era stata diligentemente infilata quella mattina; sempre quella mano, fredda, gelida, vi si infilò sotto, ponendosi sulla sua pelle e scorrendovi sopra con ingordigia.

“Probabilmente se anche chiamassi aiuto, nessuno ti considererebbe vedendoti con me…”

Il suo viso era incredibilmente tranquillo. Sorrideva ancora, eppure una sottile vena di crudeltà si era creata uno spiraglio, mostrando con quanta serietà avesse pronunciato quella frase.

Poteva, eccome se poteva.

"Toglimi le mani di dosso" sibilò, ma il ragazzo ancora una volta non le prestò attenzione.

Si chinò su di lei esattamente come quel giorno nei bagni, ma al contrario non esitò, lasciando che le sue intenzioni si facessero subito chiare quando le posò le labbra sul collo.

Edie si accorse di trattenere il respiro quando, con un veloce guizzo del braccio, l'invadente mano del ragazzo scorse fino al bordo del suo reggiseno, senza scostarlo ma limitandosi a sfiorarlo attraverso la stoffa.

"Perché non mi assecondi per una volta, Edie? Perché non ti lasci andare un po'?" sussurrò contro la pelle morbida del collo, esasperatamente pallida contro quelle labbra ambrate, intente a strapparle malcelati brividi.

"Sono stanca di sopportare i tuoi tentativi di intimidirmi" ribatté la voce a voce alta, in un’incredibile sforzo, tentando di infrangere quell’atmosfera soporifera, un anfratto del tempo dal caotico significato.

"Allora risolviamo questa situazione una volta per tutte.

Due giorni, soltanto due giorni, in cui mi darai la prova che io non esercito alcun potere su di te"

Le voltò il viso, lasciando che i loro occhi si scontrassero, rispecchiando due personalità decise a fronteggiarsi in uno scontro per l’affascinante supremazia.

"Credi seriamente che io mi lasci incantare da questo stupido trucchetto? Io non devo dimostrarti niente..." protestò la giovane contrariata.

Fu un attimo.

Le labbra del ragazzo si posarono con sorprendente rapidità sulle sue, delineandovi con la lingua un veloce contorno di lascivo desiderio, staccandosi prima ancora che potesse comparire un tentativo di ribellione.

Edie si ritrovò libera da ogni suo tocco un istante dopo, ritrovandosi ancora schiacciata contro la parete e con la medesima espressione di un animale abbagliato dai fari.

"Non è un trucchetto Edie, è una sfida, una scommessa, vedila un po' come vuoi.

Se in quei due giorni non riuscirò a portarti a letto, allora io te lo giuro: ti lascerò in pace, non mi sentirai più" spiegò con attenta autorevolezza.

Edie valutò per un istante quella possibilità, conscia della serietà del ragazzo, consapevole quanto potesse essere determinante quella scelta.

Concluse che poteva benissimo farcela… eppure avvertiva ancora con chiarezza quel veloce bacio arroventato,che le aveva per un attimo infiammato le labbra.

"Ma se vinco io..." continuò Clay, accennando un sorriso.

"Tranquillo, non c'è alcuna possibilità che tu possa vincere. Accetto" proruppe Edie tutto d’un fiato, sorprendendo sia lui che se stessa.

Un attimo dopo già sfrecciava verso la sua classe, tirando la giacca della divisa per celare la camicia scomposta.

L'aula le apparve come un miraggio, fortunatamente deserta, e fu lì che sedendosi al proprio banco, realizzò dell'entità di quell'ultima parola.

"Accetto".

Le dita corsero automaticamente a sfiorarsi le labbra, chiedendosi se la saliva di cui erano umide fosse ancora quella del ragazzo.

Solo ora, a mente fredda, riusciva a realizzare quanto fosse stata stupida quell’improvvisa decisione.

Lasciandosi condurre da un patetico barlume di speranza, dalla ricerca di dignità e dalla rabbia che aveva provato poco prima, si era infilata con le sue stesse mani in un vicolo cieco.

Perché lo sapeva, eccome se lo sapeva, di non avere alcuna speranza di superare due giorni senza scontrarsi con le seducenti capacità di Clay.

Quel pensiero era l’esatto contrario di quello del suo avversario: ora seduto tra gli amici sul tetto, un'altra sigaretta più fortunata tra le labbra, era conscio più che mai di aver vinto in partenza.

Si sarebbe gustato appieno quella vittoria, forse una delle più dolci che aveva pregustato.

Perché era per questo che Clay continuava a sfidarla... gli piaceva farlo.

 

 

“Everybody, everybody, everybody livin' now 
Everybody, everybody, everybody sucks 

It's a violent pornography, 
Choking chicks and sodomy… 
The kinda shit you get on your TV.

 

Tutti, tutti, tutti coloro che stanno vivendo adesso 
tutti, tutti, tutti sono dei leccapiedi 

E' una pornografia intensa, 
Ragazze strangolate e sodomia… 
la merda che vedi per televisione. 

-Violent Pornography, System of a Down- 

 

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Un’altra volta, e un’altra ancora, costante esercizio di autocontrollo che andava avanti sin da quel pomeriggio, preludio di un gelido, catastrofico sabato di festa.

Aveva iniziato a metterlo in pratica mentre preparava i pochi bagagli, fino a quando Clay si era presentato sotto casa sua, portando suo fratello a lasciarsi penzolare dal davanzale della finestra per meglio ammirare quella macchina lucente.

“Cristo, in strada è ancora meglio… Ma che cazzo Edie, puoi fartela con uno che ha un’Audi r8 spyder” aveva mugolato quasi commosso.

“Chiudi quella cazzo di bocca, Riley” era stata la secca risposta della sorella, che per quel che la riguardava avrebbe ampiamente preferito demolire quella macchina, con il suo conducente dentro possibilmente.

Inspira, espira.

Durante il viaggio, cercando di distrarsi con qualsiasi cosa: il cicaleccio di Violet accanto a lei, i sarcastici commenti di Neils sulla cronaca della partita, persino la musica o il paesaggio fuori, ma a nulla era servito; gli occhi di Clay rimanevano fissi su di lei ogni volta che potevano, riflessi nello specchietto retrovisore incuranti della strada.

Rimandavano un chiaro, malizioso messaggio: “Hai perso, io ho vinto”.

“Hai perso, io ho vinto”

Quel messaggio non faceva che torturarla, ogni minuto che passava l’ansia sembrava montarle addosso, facendola pentire amaramente della scelta fatta.

Era riuscita a distrarsi solo un attimo, quell’attimo necessario a permetterle di ammirare con quale determinazione e accuratezza il ragazzo avesse organizzato quei due giorni dedicati ad Halloween.

Una festa che pareva così ridicola, e al contempo eccitante, se ambientata proprio lì, in quel tripudio di volumi e stucchi bianchi e rosati, una grande villa ottocentesca messa al servizio dei mica tanto onesti desideri di quella masnada di ragazzi.

Perché non erano pochi, non erano per niente pochi: la giovane elité dell’Hundred Rose Institute e della città stessa pareva essersi riunita tutta lì; non che a lei potesse fregargliene di meno, era stato l’eccitato commento di Violet ad avvertirla.

Ora si trova seduta a quella tavola, senza aver ancora proferito che poche, scarne parole, staccando raramente gli occhi dal piatto per non dover incontrare quelli tentatori di Clay, e in definitiva, per non doversi scontrare con nessuno dei commensali.

Perché lo sapevano, molti di quei ragazzi e quelle ragazze che non aveva mai visto, perché lei era lì:

il frutto di una sfida, di una scommessa, inconcepibile e ridicola per lei, abituale ed estremamente divertente per loro.

E mentre squisite pietanze venivano servite da lusinghiere mani di camerieri, sicuramente più avvezzi ad una clientela selezionata, sfrecciavano davanti ai suoi occhi prontamente inghiottite da bocche voraci e incapaci di gustarne il sapore, fu conscia più che mai che non esagerava.

No, non esagerava affatto.

Perché erano anni, quattro lunghi anni, che non si sentiva così a disagio, la sua abituale sicurezza che vacillava pronta a creparsi e rovinare da un momento all’altro.

“Vi, dopo dormi con me, vero?” chiese poco dopo all’amica,  sedute nella stessa grande ed elegante sala di poco prima con due bicchieri dal contenuto altamente alcolico già tra le mani

Violet la guardò con evidente stupore, mordendosi appena il labbro in un gesto di sorpresa.

“Credevo dormissi… cioè, stessi con Clay stanotte. Io sto con Neils...” proferì lentamente, come una scusa.

“Aspetta: io sono qui per chiuderla con Clay. A me lui non interessa, tu lo sai questo, vero?” chiese trattenendola, sempre più incredula.

Violet accennò un sorrisino tirato, come di chi sta per rivelare un segreto.

“Andiamo Edie… sappiamo come andrà a finire, guarda che non c’è nulla di cui vergognarsi” disse, auto includendosi in quel gruppo di persone che, fino a pochi giorni prima, disprezzava.

Sapevano cosa? Quasi avrebbe voluto chiederlo.

Forse riuscivano a vedere qualcosa a lei precluso? O per amore di scommesse già effettuate, si interessavano ad una vicenda che non li riguardava nemmeno da lontano?

Sentì su di se per tutta sera il peso dei commenti e degli sguardi delle altre ragazze, che andavano dall'invidioso al derisorio.

Voleva quasi ribattere, moriva dalla voglia di tappar loro la bocca con un commento sagace, ma c'era qualcosa che le impediva anche solamente di cercare di ignorarle; forse l'esagerata inferiorità numerica e la sensazione di sentirsi un pesce fuor d'acqua, forse il desiderio di non dare spettacolo.

Ma la verità, ne era perfettamente consapevole, era una sola: il timore per quanto sarebbe successo dopo.

Così si impose di cercar di bere qualcosa, di cercare di ambientarsi in quel loro assurdo halloween, che ormai aveva quasi perso del tutto il fascino che esercitava su di lei da bambina.

Ora, come poteva vedere, era stata declassata ad una mera occasione per bere e svagarsi esageratamente.

Solo si chiedeva perché, tra tutte le location disponibili, era stata scelta proprio quella, con tutte le spese che aveva dovuto portare.              

Le risposte giunsero in ogni caso dalla metà serata in poi.

Col buio la casa pian piano assunse un’aria sempre più tenebrosa e al contempo seducente: i lunghi corridoi fiocamente illuminati ispiravano intimità, inducevano le coppie, appena formatesi o consolidate che fossero, ad avventurarvisi.

La musica, un insieme di dub step ed elettronica di dubbio gusto, sparata da potenti woofer da discoteca, diveniva sempre più assordante, portando la gente a farsi fin troppo invadente.

Quando Edie si chiuse alle spalle la porta della propria camera, sperando ardentemente che nessuno l’avesse notata scivolare lontano dalla sala, tirò un sospiro di sollievo.

Prima aveva ammirato estasiata la camera che le era toccata in sorte: incredibilmente grande ed affascinante, estremamente curata nei dettagli di due secoli prima.

Ora che invece sapeva che la sorte non c’entrava assolutamente nulla, il letto a baldacchino che troneggiava al centro della stanza, dalle intatte coperte di un viola opaco, assumeva tutt’altro significato.

Non era neanche l'una, le grida e la musica continuavano ad imperversare, e lei era lì indecisa sul da farsi, sfiorandosi distratta gli abiti che aveva selezionato con tanta cura per soddisfazione personale, ben lungi dall'essere altrui.

"Sai, adoro quelle calze: ti fanno delle gambe bellissime, estremamente sensuali"

Edie si immobilizzò, senza voltarsi. Non questa volta, nonostante l'avesse più che colta di sorpresa.

La porta svolse il suo dovere, producendo un profondo tonfo quando venne chiusa e un antico clangore quando la chiave venne rigirata nella toppa con determinazione.

"E' bella la camera, non credi? Mi è sempre piaciuto il viola, l'ho scelta apposta per noi"

"Ti sbagli, qui stanotte dormiremo io e Violet" mormorò, avvertendo la gola farsi riarsa, quasi qualcuno le avesse prosciugato la saliva.

Clay rise ad alta voce.

"Ma davvero? E Neils con chi sta facendo sesso al momento, con un fantasma, dato il tema della serata?"

Come previsto, la giovane si voltò, un'espressione sconvolta sul viso.

"Che cosa hai detto...?"

"Hai sentito bene, si stanno dando da fare in quella stanze…

Ma chi non lo farebbe con letti tanto allettanti? Sembra quasi che ti chiamino" rispose il ragazzo, avvicinandosi sempre più a lei, lasciandola indietreggiare sino a sedersi, sgualcendo le coltri setose.

Con riusciva a preoccuparsi per Violet, forse neppure voleva, ma con lui davanti era senz’altro impossibile.

Clay si avvicinava a lei perfettamente consapevole di averla in pugno più che mai, conscio che questa volta non poteva in alcun modo sfuggirle.

"Ci sono un po' di cose che desidero chiederti prima, Edie. Le ho domandate anche a Violet, ma lei si è rifiutata categoricamente di rispondermi. Sai dirmi perché?"

"Non capisco di cosa stai parlando" mormorò la giovane, seriamente confusa, mentre il ragazzo prendeva posto accanto a lei.

"Per esempio, perché ti sei iscritta a questa scuola solo in quarta. Dove sei stata in questi quattro anni? Dubito fossi in questa città, in un modo o nell'altro ci saremmo incrociati.... se ti sei trasferita, da dove e perché l'hai fatto?"

Clay la guardava seriamente interessato, senza neanche lontanamente intuire la voragine che con quelle domande stava per riaprire, sopratutto in quel momento di debolezza.

"Queste sono cose personali... Non mi piace parlarne" si affrettò a rispondere lei, evitando il suo sguardo.

"Allora credo proprio dovrò scoprirle da solo… per quanto possa essere faticoso, mi interessi troppo, Edie" concluse, sospirando con fare teatrale.

Le prese quasi distrattamente una ciocca di capelli rossi tra le dita, accompagnandogliela dietro l’orecchio,  soffermandosi diverse volte ad accarezzarle lievemente il viso.

"Lo vedi quel dipinto?" chiese indicando con un cenno una delle pareti, cui era appeso una raffinata copia di un dipinto raffigurante Cupido, angelico dio dell’erotismo e della bellezza, con tenui colori suffusi.

"Shakespeare diceva che l'Amore guarda non con gli occhi ma con l'anima, e perciò l'alato Cupido viene dipinto cieco. Tu che ne pensi?"

Di fronte all'espressione stranita della giovane, tutt’altro che interessata alle sue parole ed incredibilmente tesa, il ragazzo cercò di trattenere un’altra risata, palesandola con l’ennesimo, seducente sorriso.

"Io penso che tu debba lasciarti andare, Edie…  decisamente" concluse, un istante prima di sospingerla sulle coperte, montandole sopra con sorprendente agilità.

Eccolo, il momento tanto atteso e temuto era giunto, la resa dei conti che ora avrebbe tanto desiderato evitare.

Era facile ed umiliante perdere: Edie non aveva forza di volontà, completamente ottenebrata non osava neppure opporsi.

Neanche tanto segretamente gioiva nell'avvertire le mani di Clay risalire sulle sue cosce, sfiorando l'orlo delle parigine, infilandosi sotto la larga maglietta nera e posandosi questa volta con decisione sul suo seno.

"Non sbaglio mai le mie valutazioni... Sei davvero niente male Edie, davvero niente male..." sussurrò, chinandosi su di lei.

Clay constatò che per una volta non osava ribellarsi, ma al contempo non prendeva pienamente parte alla suo desiderio, pronto a divampare come una fiamma in quel momento.

Le tolse quasi con rabbia la maglietta, spogliandola come una bambola, incontrando le sue esili mani quando cercò di privarla del reggiseno.

Smanioso le catturò le labbra con le proprie, prendendole il sottile viso in una mano, tentando con l'altra di privarla di quel primo, inutile capo.

Era un baratro di perdizione: le mani di Clay si muovevano in voluttuosi ed instancabili palpeggiamenti sui suoi seni, le dita che tratti le solleticavano con inaudita bravura i capezzoli; si sarebbe lasciata certamente scappare una serie di colpevoli sospiri di piacere, se la sua bocca non fosse stata impegnata in altro.

La sua lingua timidamente cercava di approcciarsi all'altra, titubando se rimanere inerte o lasciarsi avvolgere dalla sua intrigante gemella.

Quando il pensiero di concedersi, se non altro per un bacio, si affacciò alla sua mente, quelle labbra perfette si allontanarono dal suo viso.

Si guardarono come sorpresi dai propri gesti: Clay era affannato, i begli occhi verdi ottenebrati da un  velo di bruciante desiderio.

Quando, sempre fissandola, si chinò sul suo petto per prenderle un capezzolo tra le labbra, Edie fu costretta ad ammette a se stessa che mai, mai nella sua breve vita aveva visto nulla di più intrigante.

Gemette: non una volta, non due, ma svariate volte sotto quella lingua esperta e precisa, con movimenti a tratti esasperanti e in altri forse fin troppo coinvolgenti.

Le mani si facevano via via sempre più indiscrete, scendevano lungo il suo corpo, premevano contro i suoi fianchi, le slacciavano gli attillati pantaloncini lasciandoli cadere a terra.

Con le dita si avvilupparono alle sue natiche, avvolgendole, quasi giocandovi a separarle per testarne morbidezza ed elasticità.

"Mio dio Edie... sei perfetta cazzo..." sussurrò il ragazzo contro quella pelle lattescente, ancora bagnata della sua saliva.

Un gesto ripetuto e ripetuto per un numero indefinito di volte, nello stesso identico modo e con lo stesso identico desiderio: guardandola, mantenendo un predominio visivo, legandola a lui con gli occhi come nemmeno catene d'acciaio avrebbero saputo fare, con due dita le abbassò le semplici mutandine nere.

O almeno, ci provò, perché incontrarono la ferrea disapprovazione di altre due mani.

"No..." bisbigliò Edie, improvvisamente timorosa di un contatto ben più profondo.

"Andiamo… dai, per favore” disse, sorprendendosi quasi a pregarla per superare quell’ultimo divieto.

Le mani della ragazza non erano comunque mosse da una grande convinzione, non dovette nemmeno sforzarsi per eludere la loro sorveglianza.

Gioì segretamente, un piccolo piacere che sempre pregustava come primo atto dell'amplesso, nello sfiorare quel giovane corpo, proprio lì nel suo punto più segreto.

Lo percorse un paio di volte, come prendendo confidenza con un nuovo territorio, per poi porvi un dito nel suo punto più sensibile.

Seguì con trepidazione ogni singolo tremito del suo corpo, restò incredibilmente affascinato da come inclinava di lato la testa, dal modo in cui inarcava la schiena e apriva le labbra tremanti in un muto gemito di autentico piacere.

Qualcosa, non seppe neppure lui capire esattamente cosa, gli fece capire che probabilmente quella era la prima volta che qualcuno si adoperava a farla godere in quel modo, dettaglio che non fece che aumentare la sua impazienza.

Quell’esile viso era un libro aperto, le emozioni contrastanti che doveva provare erano state sostituite da un unico desiderio decisamente più pressante.

Lei stessa ne era consapevole, ogni suo pensiero le pareva ovattato, solo una cosa era importante:

Clay non doveva fermarsi, non doveva assolutamente fermarsi, ed era superfluo dire che ne desiderava ancora, e ancora, e ancora…

Glielo sussurrò anche tra i denti quel "Ti prego... continua", una supplica inutile per lui, incantato dal piacere che era stato capace di creare, inutile per lei, perché aprì uno spiraglio nella barriera di autocontrollo che aveva tentato di creare, lasciando tramutare la sua voce in una chiara e limpida approvazione.

Poi qualcosa cambiò.

Fu un mutamento dapprima impercettibile, il minimo cambiamento del dito che si spostava, che affondava dentro il suo corpo con ingordigia, penetrandola forse con fin troppo affanno.

Edie spalancò gli occhi di scatto, e quando Clay ne incontrò lo sguardo, quei due pozzi scuri per la prima volta gli trasmisero un chiaro significato.

Nessuno dei due aveva idea di chi avesse detto che il tempo guarisce tutte le ferite; Edie sapeva solo che le cicatrici rimangono, che certi tagli non si richiudono mai, che basta sfiorarli per riaprirli... per poi scoprirsi incapaci di richiuderli.

L’insicurezza l’aveva condotta sull’orlo di un precipizio, un abisso di ricordi ad attenderla con dura ingordigia sotto di sé.

Chiuse le gambe con uno scatto, piegandosi su un lato per coprire la propria nudità, quasi lui non l'avesse vista fino a quel momento.

Edie aveva gli occhi sgranati, sentiva già le lacrime strozzarle la gola, premerle da dietro gli occhi.

Le sembrava quasi di sentirli come coltelli, ricordi rimasti incollati alle cicatrici degli eventi passati.

Bastava così poco a farli riemergere: prima una domanda impertinente, ora un semplice contatto fisico.

Avvertì Clay alzarsi accanto a lei, ricomporsi brevemente.

"Sei vergine, vero?" domandò inaspettatamente, infrangendo quel cupo silenzio; aveva un tono di voce strano, ed Edie non si voltò a guardarlo, annuì semplicemente.

Clay sospirò.  “Mi par di capire che non si farà più niente stasera, vero?" chiese ancora, ora chiaramente irritato, del tutto insensibile alla sua debolezza.

Lo udì allontanarsi con rabbia, lasciar perdere su di lei una serie di bestemmie e imprecazioni sdegnate e chiudere la porta sbattendola dietro di se, abbandonandola.

E solo allora, quando si ritrovò sola con se stessa e persino ancora nuda, Edie riuscì finalmente a lasciar scorrere le lacrime, a piangere con tutto il risentimento che aveva celato per così tanto tempo.

Pianse per la moltitudine di problemi che bene o male aveva causato, per le separazioni che aveva portato, per i cambiamenti che erano stati imposti  a lei e agli altri.

Pianse per le incomprensioni con Violet, pianse per il nuovo mondo in cui non riusciva ad ambientarsi, pianse perché lo sapeva, lo sapeva e lo ammetteva, di aver probabilmente perso la testa per Barclay.

Pianse per lui, per non essere riuscita a soddisfare il desiderio di entrambi, per essere probabilmente riuscita a farsi odiare.

E infine pianse per se stessa: per quello che aveva dovuto subire.
Per il destino che con lei si era rivelato così inclemente, deturpandole l’adolescenza.

 

 

“I was born with the wrong​ sign, in the wrong​ house
With the wrong​ ascen​dancy
I took the wrong​ road
That lead to the wrong​ tende​ncies
I was in the wrong​ place​ at the wrong​ time
By the wrong​ reaso​n and the wrong​ rhyme
On the wrong​ day of the wrong​ week
Used the wrong​ metho​d with the wrong​ techn​ique

 

Sono nato con il segno sbagliato, nella casa sbagliata
con l’ascendenza sbagliata
ho preso la strada sbagliata

che portava a tendenze sbagliate
Ero nel posto sbagliato al momento sbagliato
per la ragione errata e la rima sbagliata,
nel giorno sbagliato della settimana sbagliata
Ho usato il metodo sbagliato con la tecnica sbagliata”

-Wrong, Depeche Mode- 

 

 

Si svegliò di soprassalto, lanciandosi una lunga occhiata intorno prima di balzare a sedere tra quelle coperte che avvertì subito come estranee.

Al buio ne sfiorò la consistenza, ricordandosi di dove si trovava, di come prima si era rivestita e infilata nel letto; sotto le dita, gli occhi erano ancora gonfi di pianto.

Cercò il telefono, osservando le cifre “O3:47” pararsi di fronte ai suoi occhi, portando un po’ di fredda luce nella stanza.

Quasi si lasciò sfuggire un singulto di sorpresa nell'intravedere la forma del corpo di Clay, il placido viso addormentato, al suo fianco.

Nonostante tutto, era tornato lì a dormire con lei.

Eppure  in quel momento non riuscì a infonderle alcun senso di conforto.

L'arredamento ottocentesco che tanto aveva apprezzato all’inizio, ora le pareva improvvisamente rigido e grottesco, ogni mobile pareva nascondere anfratti e proiettare una moltitudine di ombre poco rassicuranti, che vincevano i pochi spiragli di luce notturna che le pesanti persiane concedevano.

Esitante sgusciò verso il bagno, in un insano tentativo di calmarsi, ma persino seduta sulla tazza del water paure infantili l'assalirono, tramortendole sia con la paura del buio, sia che con patetiche storie di demoni e fantasmi.

Era tutto così incredibilmente irragionevole, eppure in quell'assurda dimensione che è la notte, nulla pare mai ridicolo o stupido.

Ispira, espira.

In barba al tentativo di calmarsi, quasi corse tra le coperte, tremando per il  freddo e sfregandosi i piedi gelati, puntando alla cieca il telefono tutt'intorno per un'esasperante, infinita serie di minuti.

"Che cazzo stai facendo?" mormorò improvvisamente Clay con voce impastata, facendola trasalire.

Lo vide massaggiarsi gli occhi intontiti dal sonno, guardarla con sguardo dubbioso.

"Niente, niente" si affrettò lei a rispondere, rinfilandosi tra le coperte con il cellulare ancora stretto in una mano sotto al cuscino.

"Hai freddo?” suggerì il ragazzo con un filo di divertimento, noncurante del buio, venendo accolto dal solo silenzio.

"Aspetta… non dirmi che hai davvero paura! Sarebbe il colmo, visto che ho scelto questo posto apposta per…" aggiunse, sempre più colpito dall'esilarante scena.

"Fatti i cazzi tuoi Clay" sbottò irritata la ragazza, interrompendolo, arrabbiata per i suoi sciocchi timori e l’impressione sempre più peggiore che le attribuivano.

Ma Clay la sorprese, facendo il gesto più impensato, ed estremamente carino, che potesse compiere.

Edie si sentì attirare dolcemente per i fianchi, trascinata ancora raggomitolata tra le braccia del ragazzo.

Le sue mani gelide si scontrarono contro un petto incredibilmente caldo; in effetti tutto di Clay pareva bollente, dalle sue mani che le sfioravano gli arti nel tentativo di scaldarli, al suo respiro che sapeva ancora di fumo e alcool.

"Vedi Edie? Alla fine ho vinto io: sei venuta a letto con me" sussurrò infrangendo il silenzio, in un eroico tentativo di sdrammatizzare.

"Beh, alla fine hai vinto tu davvero" ammise lei controvoglia.

"Tu dici? Eppure non mi sento affatto soddisfatto"

"Mi dispiace" mormorò impacciata.

Il silenzio si propagò, le mani che tuttavia rimanevano intrecciate, intente a sfiorarsi appena.

La tentazione cullava la mente della giovane: sentiva sotto le proprie dita muscoli perfettamente definiti, sapeva che vicino a lei, celato dal buio, riposava chi era riuscito, per un agonizzante attimo di piacere, a cancellarle ogni timore del proprio corpo.

"Barclay... quando riuscirò a farlo, un giorno ti racconterò tutto…" mormorò improvvisamente, usando il suo nome per intero, sapendo già in anticipo la stupidità del gesto che stava per compiere.

"Mmh?" accennò il ragazzo, prima che sentisse due labbra gelide e sottili posarsi timidamente sulle sue.

Per un istante rimase basito, ma poi le accolse con un tenue, sincero sorriso.

Le pose dolcemente la mano dietro la nuca, avvicinandola più a se, gestendo quel bacio azzardato con incredibile perizia.

Avvertì un inconsueto spasmo allo stomaco quando Edie si aggrappò al bordo dei suoi pantaloni, ancorando visi solo per la ricerca di un appoggio, per sentirsi più vicina a lui.

Finalmente entrambi assistevano a quello che era un bacio davvero ben riuscito, che pareva aver più significato di qualsiasi altro gesto di quell’inconsueta serata: labbra che si cercavano, lingue che vorticavano senza fretta, bocche che si rincorrevano in cerca di ogni briciola di ossigeno.

Halloween era terminato, la notte faceva il suo corso: calò definitivamente su quella villa che di terrificante non aveva più davvero nulla.

Calò su ogni suo abitante: sul personale di servizio, che aveva già intravisto un’ingente serie di danni di cui occuparsi.

Calò sui pochi rimasti ancora svegli, concludendo la festa abbracciati alle poche bottiglie rimaste.

Calò sulle coppie raffazzonate, su quelle perfette, su quelle nuove: calò su Anya, che dormiva abbracciata a Connor come fosse la donna più felice del mondo, così come calò su Violet, nuda per la prima volta tra le braccia di un uomo, sveglia con gli occhi fissi al soffitto con l'infausta sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato.

E calò su Edie e Clay: il loro bacio sembrava essere durato per ore intere, prima che entrambi riuscissero a prendere sonno, storditi da una nuova, deliziosa emozione, accoccolati in una curiosa posizione a cucchiaio.

I loro respiri invadevano la stanza in una lenta nenia, quasi perfettamente sincronizzati.

Dalla parete Cupido li osservava: le parole di Clay non avevano avuto effetto, il suo sguardo li sorvegliava più implacabile che mai.

 

 

 

-Note al Testo e Deliri dell'Autrice-

Sono in ritardo, in un terribile, mostruoso ritardo. Mi dispiace, davvero, ma purtroppo questo è un mio difetto: con mille idee per la testa, finisco un po' per pigrizia un po' per troppi impegni, a non riuscire a concludere nulla. Quindi beh: sorry :3

Il capitolo è abnorme, o almeno così mi pare: mi spiace per chi salterà i pezzi o si arrenderà a metà, purtroppo volevo descrivere questi momenti in maniera perfetta, e questo mi pare di essere riuscita a farlo (yeeee! **)

Leggendo lo scorso capitolo, una mia amica mi ha chiesto se quest'"opera" non assomiglia troppo a Gossip Girl; può darsi, non è assolutamente voluto, ma parto dal presupposto che ci sono ragazzi che vivono realmente in questo modo. Io non sono (fortunatamente) tra questi, e neppure Edie. 

Edie, passiamo a lei: immagino già alcuni possibili commenti, dalla serie "Ma che cazzo fa? Ma le palle le tira fuori si o no? Ma Clay, ma gliela dai o non gliela dai?". Ok, detto così fa ridere, ma lei è forse il personaggio che mi sta più a cuore. Spoiler o non spoiler, vi prego di non giudicare troppo duramente il suo personaggio, a tratti insicuro da far schifo e in altri così sicuro da sembrare arrogante: nel suo passato ci sono avvenimenti non tanto facili da digerire, annuncio solo questo v.v

Per concludere, non nomino i personaggi così alla cazzo: Anya (che un'attenta lettrice ha paragonato a quella gnoccona di Agyness Deyn, e ha pienamente ragione, LOL) e persino Kyance Bassant (leggasi "Basshan") Kapoor, la fighissima madre di Clay, hanno la loro fondamentale importanza. E a proposito, la madre è l'identica copia a colei che considero una delle donne più belle al mondo, Aishwarya Ray **

Bene, credo di aver detto tutto. Spero sia di vostro gradimento anche questo capitolo, grazie a tutti coloro che seguono questa storia e recensiscono, e un grazie particolare a  smokeonthewater,  BabySgala,  Miss Havisham,  Giu_Olly e  nemy salvatore  

Alla prossima :3

 

Elle H.

   
 
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