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Autore: Ezrebet    12/02/2012    0 recensioni
Un matrimonio che ha tradito tutte le aspettative, l'illusione di un amore nuovo, la ferita aperta per una perdita inaspettata..La storia di L.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I

A. entrò nella sua vita per una questione di lavoro, un appuntamento preso dalla direttrice dell’istituto per accordarsi su tempi e modi di una nuova attività. Aveva tentato inutilmente di sottrarsi all’impegno,che le appariva troppo pesante da sopportare, almeno in quel momento, ma l’incontro con A. prese un’ora buona del suo tempo perché la direttrice si era dileguata. All’inizio, l’aveva fatto accomodare in ufficio insieme al pastore tedesco con cui si era presentato; si era tenuta alla larga perché i cani di stazza così grossa la intimorivano e poi era troppo poco tempo che Jack era morto e Jack era un piccolo cane da caccia. L’immagine di Jack popolava spesso i suoi sogni; lo rivedeva scorrazzare per il giardino o dormire profondamente sul divano o sotto la poltrona della nonna. Nei sogni Jack le parlava come fosse un essere umano e lei si trovava a rispondergli, le capitava di svegliarsi di soprassalto interrompendo a metà una conversazione con lui.
Si chiama Mik, le disse A. notando il suo imbarazzo; le disse che era addestrato, docile ai comandi, bla bla, ma lei non ascoltava nemmeno. I ricordi spesso le riempivano i sensi, come una realtà virtuale che si accendeva improvvisamente intorno a lei. A. le spiegava che cosa aveva intenzione di fare per loro, il ruolo che Mik avrebbe avuto nel progetto e le prospettive che la collaborazione avrebbe aperto. Lei lo guardava ed accennava ogni tanto con la testa nel gesto che di solito rassicura, si, bene, ti ascolto, una tecnica imparata all’università quando la lezione cominciava troppo presto e l’argomento non era poi così interessante. Aveva colto lo sforzo di essere professionale e convincente che A. stava facendo, ma solo quello. Gli aveva dato del Lei e lui le aveva chiesto di dargli del tu, non voleva sentirsi troppo vecchio; così l’aveva guardato meglio. Tra i capelli castani s’intravedevano fili grigi e le rughe d’espressione intorno agli occhi erano profonde, soprattutto se sorrideva e lo faceva spesso, forse per apparire più simpatico. E’ un uomo attraente, pensava, ha degli occhi belli, sono azzurri, un colore intenso e pulito. Non aveva sentito una parola, ma era riuscita a stabilire che aveva davanti un uomo che aveva appena superato i quarant’anni e aveva un livello d’istruzione piuttosto basso. Suo marito le aveva detto qualche volta che quel suo snobismo culturale era inquietante e tuttavia una delle cose che amava di più in lei. In quel momento, l’affermazione non l’aveva gran che lusingata, ma poi aveva capito che era vero. Tra le tante eredità ricevute da suo padre, c’era anche questo, ma non era propriamente snobismo: l’amore per la cultura, la conoscenza, la soddisfazione che il sapere può dare, un certo disprezzo per chi può e non vuole studiare e una compassione sconfinata per coloro che sono esclusi dal mondo della conoscenza per cause di forza maggiore. E adesso, ascoltando vagamente ciò che A. le diceva, pensava a suo padre e al commento che avrebbe fatto.
La direttrice, ricomparsa, parlava da dietro il tavolo di opportunità, di periodi di prova e di punti di riferimento di A. dentro la struttura. Aveva indicato lei, perché era un tipo di attività che rientrava nella sua sfera di competenza. A. si era detto d’accordo su tutto, la direttrice li aveva così congedati con un bel sorriso. A. l’aveva invitata a prendere il guinzaglio di Mik e lei aveva declinato, tenendosi a debita distanza. Vedrai che prima o poi ci riesci, l’aveva avvisata sorridendo; lei aveva alzato le spalle, salutando cortesemente. Era tornata nel bilocale, e si era sdraiata sul divano ad aspettare suo marito. Viveva lì con lui da qualche mese.
Il posto era carino, o almeno a lei pareva così, carino era anche il marito, innamorato di lei, illuso che questo potesse bastare. Era una convinzione che condividevano; tornare a casa da qualcuno che ti aspetta con tanto desiderio era un’idea che in quel momento li sosteneva.
I pensieri correvano al passato, si ancoravano ad alcuni momenti particolari; rimanevano ore fermi lì e come in un ipertesto, ogni singola immagine che si formava, apriva scenari nuovi. Ogni ricordo rimandava a qualcos’altro di più lontano e così via, in una sorta di vortice che le impediva di vedere chiaramente.
Spesso, si domandava se non avesse perso il ricordo reale. Ma era quello, il ricordo reale: corsie di ospedali, chilometri e chilometri in autostrada, ore trascorse su un treno sempre troppo lento, immagini di sua madre,  suo fratello e sua sorella chini su un letto candido del reparto, un lunghissimo corteo funebre. Come una giostra, il pensiero ricorreva continuo, spietato nella sua regolarità, come una ferita aperta. Poi, arrivava suo marito, la baciava, le chiedeva della sua giornata, le diceva qualcosa della propria insoddisfacente attività: ogni tanto, tornava fuori con l’idea di avere bruciato la sua bella laurea per accontentarsi di uno stipendio fisso, lei lo ascoltava, ricordandogli che era stato assunto proprio perché laureato, e così via. Passavano un bel po’ di tempo a parlare di questo e non arrivavano mai a nessuna conclusione; lui che si lamentava, lei che raccoglieva il suo malessere e tentava di consolarlo mostrandogli la realtà.
I ruoli spesso si invertivano, prima. Il loro matrimonio era giovane e tutti e due volevano realizzare qualcosa di grande: si erano accontentati anche se non avrebbero voluto farlo. Poi, e lei lo sapeva, la morte di suo padre aveva interrotto la corsa, almeno per quel che la riguardava. Non le importava più molto del lavoro; preferiva fare il minimo e rimanere immersa nel ricordo, ciò che aveva quando c’era suo padre e come le era successo di averlo perduto.

Una storia che ho nel cassetto da un po'..
Ezrebet

   
 
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