Film > Sherlock Holmes
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Autore: Mushroom    12/02/2012    4 recensioni
Ci sono certi momenti in cui Sherlock Holmes rasenta la normalità; in quei momenti, John Watson capisce che c'è qualcosa che non va.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: 
Fandom: Film > Sherlock Holmes
Personaggi: Sherlock Holmes; John Watson
Rating: Verde
Wordcount: 1094 (Fiumidiparole)
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Titolo: Violini
Fandom: Film > Sherlock Holmes
Personaggi: Sherlock Holmes; John Watson
Rating: Verde
Wordcount: 1094 
Note: E dopo essere rimasta un paio di mesi a osservare word senza trovare un briciolo di ispirazione, eccomi con una fanfiction insensata su un nuovo fandom. E sì, il titolo non ha senso compiuto x°D che aggiungere, se non un "buona lettura fortuna"?


John Watson si considerava, non senza una leggera nota di disperazione, una delle poche persone in grado di capire (o, quantomeno, riconoscere) le stranezze di Sherlock Holmes. Di per sé, il Detective era un uomo affetto da qualche rara forma di indennità mentale, che gli permetteva di essere oltremodo intelligente e altamente sconsiderato. Per questo, non erano i suoi bizzarri esperimenti, le notti passate fuori casa a fare chissà cosa o l’alto tasso di disordine presente nella stanza di Holmes a spaventare Watson; non erano neanche i giorni passati in silenzio o in forma altamente eremitica dell’amico, a fargli capire che qualcosa non andava.
Sherlock Holmes era una persona fuori dall’ordinario: per lui, quella era la normalità.
John Watson temeva seriamente per l’indennità dell’amico solamente quando, aperta la porta di Baker Street, trovava la camera in ordine, i libri al loro posto e nessuna reliquia umana in giro.
Ecco: per Sherlock Holmes, quello era il concetto di stranezza.
E fu anche per questo che, quella mattina, trovando la casa pulita e nessun odore di decomposizione in giro, il Dottore pensò seriamente che l’amico avesse lasciato quella terra.
Aveva bussato più e più volte e, alla fine, era venuta alla soglia la signora Hudson.  La vecchia padrona di casa l’aveva accolto con un sorriso e una serie di premure: aveva cominciato domandando della sua salute – lo vedeva deperito, a quanto pareva – continuando con una serie di domande su Mary e la vita matrimoniale.
Arrivato, in fine, negli alloggi, aveva semplicemente capito che no, l’amico non si era tolto la vita, ma che probabilmente era impazzito del tutto.
La prima cosa che colpì il dottore, fu l’odore di disinfettante – quello che, abitualmente, utilizzava per pulire i propri strumenti. La seconda cosa, oltre la porta aperta, fu di non trovare nessun tipo di ambiente tropicale, bensì un semplice salotto londinese. Come ultimo dettaglio, fu il trovare Holmes adagiato sulla poltrona, un braccio su un manicotto, la testa nascosta dietro una copia del Daily News.
Watson avanzò con cautela nella stanza, troppo confuso per poter anche solo proferire una parola di saluto. Inclinò la testa, per osservare meglio quella scena del tutto inusuale.
Mai, in tanti anni di convivenza, l’aveva trovato così… Watson non concepiva una parola per definirlo.
Doveva iniziare a rasentare un comportamento umano proprio dopo il suo matrimonio?
«Holmes!» il dottore non riuscì a trattenere una nota di incredulità, ma probabilmente nascose bene quella di preoccupazione. Lo fissò perplesso, mentre – con uno scatto – chiudeva il quotidiano e gli rivolgeva uno sguardo poco sorpreso «Watson» rispose, semplicemente, alzando un sopracciglio. «Perché siete così nervoso?».
Watson aprì la bocca e la richiuse, meditando di lasciare la stanza e rientrare, tanto per assicurarsi di essere nel pieno delle proprie facoltà mentali.
«Suvvia» continuò Holmes «Prima di fare un’espressione simile, potevate almeno augurarmi il buongiorno».
«Buongiorno»  Watson si lasciò cadere sulla poltrona davanti di lui, sospirando «È la mancanza di casi interessanti oppure la monotonia della scienza ad avervi ridotto in questo stato semi-umano?».
«L’assenza di stimoli» ribatté «Mi ha fatto venir voglia di riordinare un po’. Il problema  è che, una volta finito, ho continuato a sentirmi annoiato» alzò le spalle, come a liquidare la faccenda.
«E quindi leggete il giornale»
«Leggevo, in realtà. Ora parlo con voi» si interruppe un attimo «Che suppongo siate qui perché avete litigato con vostra moglie»
«Ridicolo!» sbottò.
«Vi mancavo, allora?»
«Ancora più ridicolo» John Watson scosse la testa. «E non abbiamo litigato. Discusso, al massimo»
Holmes sorrise, facendo dondolare leggermente il capo «La vostra inclinazione alle scommesse. Immagino che Mary non gradisca».
«Sbagliate – ho smesso di scommettere» dichiarò, inclinandosi leggermente per prendere il quotidiano. Questo giaceva ora sul piccolo tavolo, affianco alla pipa. «In ogni caso, non ritengo che i miei disguidi matrimoniali siano di vostro interesse. »
Holmes sbottò qualcosa di incomprensibile, per prendere a picchiettare le dita sulla poltrona. Watson odiava quando lo fissava in quel modo – quando lo esaminava in quel modo, cogliendo e registrando ogni piccolo dettaglio, arrivando a dedurre, da un lieve spasmo del volto, ogni sua emozione. Era frustrante e invasivo. D’altro canto, Watson si era accorto che, talvolta, Holmes ignorava ciò che coglieva in lui; talvolta lo lasciava semplicemente illudere di avere una privacy, per poi assillarlo con domande su inutili particolari.
Da quando si era trasferito con Mary si sentiva più leggero. Aveva finalmente  smesso di essere esaminato in ogni suo comportamento, e ciò che chiedeva Mary era poco più che un sorriso e un po’ di sincerità – niente di impossibile.
«Continuo a domandarmi – proruppe il detective – perché vi siate sposato»
«Per amore?» rispose il dottore, accorgendosi di star leggendo un giornale risalente a un mese prima.
«Insensato e irrazionale. Spiegatemi cosa c’è di così bello, in questo matrimonio»
«Beh – iniziò, chiudendo il giornale – prima di tutto, posso sempre contare su qualcuno»
«Prima potevate contare su di me» si lamentò
«Vi prego, non costringetemi a rispondervi, Holmes»
«Poi? » Glissò il detective, guardandolo torvo.
«Mi prepara sempre la colazione» azzardò Watson «So sempre dove va e non mi fa mai preoccupare. Sono sicuro, uscendo di casa, che quando tornerò lei non sarà in balia di qualche strano hobby o che, più semplicemente, non avrà rischiato la vita inseguendo qualche criminale»
«Leggo una nota d’accusa, tra le sue parole?»
John Watson lo guardò e non poté trattenere una risata. L’espressione arcuata e del tutto sconvolta dell’amico lo lasciava alquanto perplesso; come se non sapesse, fino a quel momento, di essersi sempre comportato in modo del tutto sconclusionato, che aveva spesso fatto intuire al dottore di non godere della sua fiducia.
«Io cerco di capire, e voi ridete» si meravigliò il detective «Sembra quasi che abbiate sofferto di carenza affettiva!»
«In un modo del tutto subdolo e perverso, può anche aver ragione»
Holmes allora rimase in silenzio e lo fissò di nuovo, cercando di cogliere qualcosa che gli fosse prima sfuggito. Ancora una volta, Watson si ritrovò a trattenere il respiro e ricambiando lo sguardo, con la speranza che non notasse niente che potesse suscitare la sua ilarità.
Un altro motivo per il quale aveva paura di quello sguardo, era perché spesso – Watson lo sapeva e non poteva negarlo – Holmes riusciva a catturare, come in un perfetto ritratto, ciò che il dottore voleva nascondere. In quel caso, dalla scintilla furba nei suoi occhi, Watson aveva dedotto che Holmes sapesse che, in realtà, era lì per mero senso di nostalgia e per nessun altro motivo.
Infine, Holmes mise il broncio, smettendo di fissarlo «Avrà qualche nota negativa, questa Mary»
«Uhm – Watson fece finta di pensarci – non suona il violino alle tre di notte. Terribilmente irritante, non trova? »

 

   
 
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