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Autore: Shira94    12/02/2012    0 recensioni
In inspiegabili momenti di eterea poesia e dannata perdizione queste parole sono sgorgate fuori dalle mie dita, per chi avesse piacere di vestire nuovi panni per la durata di un racconto, ecco esperienze, momenti, storie di una vita qualunque.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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‎sabato ‎16 ‎luglio ‎2011
casa in campagna
Monteroni di Lecce
16 luglio diary
 
Le vacanze per me sono incominciate dal momento in cui sono tornata in Italia.
Siamo scesi sabato 9 luglio, e sono incominciate più che bene. Quel giorno mi è piaciuto davvero tanto. Alle 3 di mattina mi trovavo a Monaco, in centro, in una discoteca a festeggiare la maturità di quelli di settima. Alle 5 ero a casa di Diana a prendere le cose che avevo lasciato da lei da ormai 3 giorni e verso le 6 ero alla fermata delle metro per prendere il treno verso casa.
Ero combinata come un "vu-cumprà": le paperine ai piedi, i miei pantaloni larghi marroni e una camicia bianca coperta dalla mia giacca rigorosamente verde acqua brillante; da una parte la borsa enorme piena di chili di libri sulla spalla e in mano le scarpe da ginnastica tolte dall'armadietto in un orribile sacchetto di plastica che si teneva insieme non so come, e dall'altra parte la borsa che avevo portato poi anche alla festa, con dentro le scarpe col tacco vertiginoso che non metterò più se non in mali estremi. Così conciata mi ero trascinata sulle sedie in fondo alla fermata.
 
Avrei potuto ascoltare l'iPod se avessi voluto, ma decisi di assaporare al meglio quel momento. Come al solito non mi capacitavo del fatto di essere riuscita a resistere con tutto quel peso addosso dalla casa di Diana fin lì. 
Ricordavo vividamente lo sfiancamento di poco più di mezz'ora prima nel trascinarmi dal comodo letto in camera sua fino alla prima stazione delle metro, quel parco che mi sembrava chilometrico e la panchina in fondo alla strada su cui non ho resistito e mi sono accasciata prima di scendere nella stazione. Ricordavo anche quel corvo sulla panchina, che mi aveva guardato fisso già da in lontananza fino a quando mi ero seduta affinco a lui. Repentino poi era sceso da dov'era con nel becco il pezzo di carta che stava ispezionando. Di sicuro non aveva nemmeno lontanamente pensato di volare via, troppa fatica. Lo capivo perfettamente, ma purtroppo a me era toccato ricaricarmi sulle spalle tutte quelle borse e 'volare via' verso l'entrata della metro.
Sotto, alla fermata avevo subito adocchiato nuovamente una panchina e solo all'ora avevo visto quanto mancava alla prossima metro: 16 minuti. Per fortuna avrei potuto riposarmi un altro po'. Presi il cellulare e scrissi un messaggio a mia mamma dove dicevo che mi avrebbe potuto chiamare tra mezz'ora per sapere a che ora sarei arrivata. C'era parecchia gente per quell'ora, ma la cosa non mi aveva stupito più di tanto. Il via vai di persone per le scale era continuo.
Per fortuna avevo trovato posto sulla metro e dopo 10 minuti mi ero ritrovata a Ostbahnhof. 
Quel tratto lo facevo 14 volte a settimana, escludendo le uscite personali. Ero riuscita a perdere la fermata solo una volta, verso l'inizio della scuola, quando la metro era tanto piena, da ritrovarmi in piedi dietro a un ragazzo di cui non vidi nemmeno la faccia, girato di spalle. Ma quelle spalle, così grandi, con quella giacca di pelle nera, mi fecero fantasticare più del devuto e il mio sesto senso mi avvertì troppo tardi che avevo perso la mia fermata. Così in uno scatto ero subito scesa e corsa verso la metro nella direzione opposta che fortunatamente stava appena passando; alla fine riuscii a non perdere la coincidenza.
 
Poco dopo che ero scesa dalla metro mi squillò il cellulare. Dissi a mia mamma che avrei dovuto prendere la metro di meno un quarto e che se ci fossero stati dei cambiamenti avrei richiamato.
Percorsi il tratto verso l'altra fermata in automatico, prendendo comodamente le scali mobili e osservando con curiosità la gente intorno a me. Non mi colpì nessuno in particolare, tranne l'ammirare come al solito le persone di colore, che come dei della notte camminavano orgogliosi di sè. (‎martedì ‎26 ‎luglio ‎2011)
E' strano come mi affascinino e mi spaventino. Ma credo che quest'ultimo fatto sia dovuto in generale alla mia normale repulsione verso il nuovo. Sì, mi sono accorta ultimamente di questa mia spregevole caratteristica. Forse usare i termini 'repulsione' e 'spregievole' sono un po' esagerati, ma in fin dei conti è di questo che si tratta. A volte più, a volte meno mi ritrovo ad essere diffidente verso gli sconosciuti, anche quelli che in realtà mi interessano e vorrei conoscere di più. Insomma, una volta iniziata la conversazione, se siamo compatibili, credo di sapermela cavare bene, specialmente nei dialoghi in due. Chissà perchè poi meno persone sono coinvolte nella conversazione e meglio mi sento. Forse ho paura della folla? No, è da escludere... Bè, forse un pochino se sono da sola, ma solo quel poco necessario per essere attenta e non farmi travolgere, suppongo. Prendendo in considerazione l'ipotesi più positiva, forse se ci sono meno persone riesco ad istaurare meglio un rapporto e quindi a sentirmi meno a disagio. E' come se potessimo entrare meglio in sintonia.
Un giorno Francesca mi chiese proprio esplicitamente come mai quando eravamo in più persone me ne stessi zitta. La mia risposta fu sempre la solita: 'Perchè non ho nulla da dire!'
Ma nella mia mente già una nuova risposta era andata formulandosi: 'Perchè preferisco ascoltare'. Infatti quando in metro eravamo un gruppo di più di tre persone e si parlava di un argomento che non mi interessava particolarmente, me ne stavo in silenzio ad osservare e ascoltare. In genere faccio questo anche quando sono irritata da qualcuno/qualcosa, o ho sonno/sono stanca, non ho realmente nulla da dire a riguardo, sto pensando ad altro, ...   In conclusione quando sono in silenzio qualcosa non quadra.
 
L'aria di prima mattina ormai era sparita e non si respirava più quel particolare misto di umidità e freschezza. Lentamente il giorno stava iniziando. Ad Ostbahnhof, alla fermata della mia s-banh, trovai più gente.  La mia metro portava all'aereoporto, e così come sempre vidi numerose persone cariche dei loro bagagli da viaggio, a volte enormi, a volte ridotti a una piccola valigia a mano. Tutta quella gente che sarebbe andata chissà dove.
Ci avevo pensato soltanto una volta a questo via vai di gente per il mondo, quando nelle mie uscite il sabato sera, mi ritrovai a prendere quella stessa metro di ogni mattina con calma, assaporando ogni momento senza l'angoscia del giorno che sta per incominciare.
 
Come ogni volta, per essere all'appuntamento verso sera, iniziai a prepararmi nel pomeriggio. Una volta arrivata la metro, salii vestita deliziosamente, con cura in quasi tutti i particolari. Puntualmente, una volta salita in metro, mi accorgevo di aver dimenticato qualcosa come lo smalto, o le sopracciglia, il lucidalabbra, i bracciali, una collana, oppure nei peggiori dei casi qualcosa che sarebbe dovuta essere nella mia borsa. Nonostante il controllo prima di uscire di casa, qualcosa sfuggiva sempre. Quella volta mi sentii a posto, anche se sicura che non fosse tutto perfetto. Poco importava. Il solito pensiero mi balenò subito nella testa: 'Tanto perchè ti vesti tutta bene, non c'è nessuno in particolare di cui vuoi attirare l'attenzione'. Mentii spudoratamente a me stessa. Mi sedetti dove c'era una giovane ragazza. Come un flash mi ricordaii di molte persone che come lei mi avevano colpito: una hostess sulla trentita con l'aria da superiore, un'altra elegantemente seduta che invece leggendo una rivista regalava delicati sorrisi ai suoi vicini di posto, un'altra talmente egocentrica da girare con delle scarpe assurde e un sorrisetto compiaciuto sulle labbra ... Bè, di hostess e stwart ne vedevo a bizzeffe. Mi ricordai anche dei numerosi orientali che mi colpivano. La mia relativamente recente passione per il Sol Levante mi faceva notare con dovizia di particolari ogni giapponese/cinese/coreano nel mio raggio visivo. 
La cosa si era fatta piacevolmente curiosa quando davanti a me mi trovai una cinesina con i classici tratti perfetti. L'armonia in generale del viso non risultava equilibrata, ma gli occhi, il naso, la bocca, la pelle... ogni parte in sè conservava un'incredibile sobrietà e bellezza. Però quei miei pensieri così gentili non le poterono arrivare. Concentrata sul suo cellulare, non accennò alla minima intenzione di alzare la testa. La cosa mi rattristò immensamente, ma subito l'emozione di ricollegare il suo comportamento ai numerosi anime che avevo visto mi inebriò in un modo assurdo. 
E la stessa cosa provai quando affianco a me si sedette un bellissimo giovane giapponese. La giornata non mi era particolarmente propizia sin dal mattino e intestardita verso il mondo tenevo la testa girata dalla perte del finestrino, come se avessi voluto fare un torto a tutti e negare loro la mia attenzione. Solo quando dovetti scendere mi costrinsi ad osservare la deliziosa creatura al mio fianco. Aveva gli occhi chiusi e tutto il suo viso, di un'armonia sconcertante, diceva 'serenità'. Era giapponese, ne ero più che sicura, e il colore dei suoi capelli, un misto tra castano chiaro e rossiccio, mi piaque molto. Con gran dispiacere mi accinsi ad alzarmi e leggermente gli toccai la gamba per passare. Lui subito si riscosse e un po' impacciato bisbigliò qualcosa per scusarsi, facendomi passare. Poi quel che fece mi rimase profondamente dentro, mista a incredulità e un'assurda felicità. Da seduto non si poteva ben capire e tuttora non ne sono sicura, ma una volta spostate la gambe si inchinò. 
E allora mi riprovero ancora adesso per non aver passato il viaggio ad osservarlo e a godere fino all'ultimo della boccata d'aria d'Oriente che mi portava. 
Guardai quella ragazza seduta affianco a me. Ad avermi colpito non era stata in realtà lei, ma la sua valigia. Portava numerosi souvenir appesi, da molte parti del mondo, e allora mi misi a fantiasticare sulla sua vita: da dove veniva, che lavoro faceva, ...
 
Appena arrivai dove poi sarebbe passata la metro cacciai il mio cellulare dalla borsa, sentendomi sollevata nell'averlo trovato subito. Decisi di avvisare mia mamma che avevo già fatto colazione e confermai che avrei preso la metro di meno un quarto e che quindi sarei arrivata a e dieci. Lei mi assicurò che sarebbe venuta a prendermi. Meno male, il solo pensiero di dover prendere ancora l'autobus e poi farmi tutta quella strada a piedi mi avrebbe distrutto.
Mancava molto alla mia metro e così mi sedetti a gustare lo strudel che avevo comprato pochi minuti fa in un bar della stazione. Scaricai tutte le mie borse e guardai il mio dolce. L'aspetto era più che appetitoso. Una volta teminato constatai che il gusto non lo era stato altrettanto: 'Roba tedesca', pensai, 'tanto bella all'apparenza, ma poi in realtà è uno schifo'. Con amarezza pensai alla mia insoddisfatta voglia di qualcosa di buono. Non avevo particolarmente fame in ogni caso. In realtà avevo mangiato per non dare poi il fastidio a mia madre di pensare alla mia colazione. L'alcool dentro di me si mescolava ancora. Quella sensazione di nausea mi diede particolarmente fastidio. Non mi sentivo bene già dalla sera prima e ogni volta che avevo bevuto mi veniva da rimettere. Nonostante tutto ricordavo nitidamente di aver rifiutato non so quanti biccheri e di essermi seduta innumerevoli volte durante la festa, in discoteca. Forse era per quello che mi ero tirata indietro con quel ragazzo che mi interessava da parecchio e che poi si era rivelato un emerito arrapato senza speranze. 'Peccato, se non stavo male la serata sarebbe andata ancora meglio', conclusi ricordando un belgio niente male, contro cui Loretta si era strusciata tutta la sera/mattina. Cercai di pensare ad altro. 
Guardai la gente intorno a me, ma mi nauseava solo ancora di più. Alla fine uno spendido esemplare di canelupo mi passò davanti, seguito dal suo padrone. Ne rimasi affascinata. Gli era così fedele che mentre camminava il suo muso rimaneva incollato alla gamba del vecchio al suo fianco, senza degnare della più minima attenzione il resto. 
Il tempo passò veloce e quando il display con scritto gli orari indicò che mancavano 2 minuti all'arrivo della metro, mi caricari con calma tutte le borse e mi diressi verso il centro della lunga passerella, in modo tale che una volta arrivata alla mia fermata non avrei dovuto fare strada in più per arrivare alle scale del sottopassaggio. Arrivata la metro, mi feci da parte per far aprire la porta ad altre persone, dato che le mie mani erano occupate. A farlo si prestò un signore abbastanza anziano, che con mio lieto stupore, dopo aver aperto le porte premendo un pulsante, si fece da parte per farmi passare. Accettai volentieri e ringraziai. 
Essendo entrata per prima, trovai a fortuna un intero scompartimento libero e placidamente soddisfatta sparsi per i sedili le mie borse. Ripensai a quel signore che mi aveva lasciato passare. Si era comportato davvero bene, nel modo più giusto, e il fatto che tutto ciò fosse così raro mi rattristò. Io mi sentivo felice e quel signore, nell'aver fatto una buona azione, di sicuro si sentiva altrettanto. E allora perchè nessuno si presta più ad essere un gentiluomo, a fare favori a sconosciuti, regalare sorrisi al prossimo. Ci si sente così bene poi. Ricollegai questo fatto alla mia specie di grande timidezza verso gli estranei e mi disprezzai per non essere io la prima a farlo.
‎(mercoledì ‎27 ‎luglio ‎2011)
Con un sorriso sulle labbra ricordai quella strana coppia che mi era capitato si incontrare una volta. Stavo prendendo proprio quella metro. Ero in attesa che si fermasse quando dal finestrino vidi un ragazzo e poi davanti la ragazza che ai passanti fermi come me ad aspettare facevano con le mani sul viso il gesto per dire 'sorridi'. La cosa mi piaque particolarmente e mi rallegrai al pensiero che nel momento in cui l'avevano fatto anche a me, sul mio viso c'era già una specie di sorriso. Così lo allargai ulteriormente come per dire 'non vedi che lo faccio già?'. Quando la metro si fermò, quella coppia era poco più avanti di dove mi ero seduta io. Mi misi ad osservarli. Lui era bello cicciotto, biondo sporco, con capelli lunghi stretti in un codino e una barba abbastanza lunga che delineava il suo viso paffuto. Aveva un'aria particolarmente simpatica e i suoi gesti erano molto premurosi verso la ragazza davanti a lui. Le loro gambe erano incrociate e stese sui rispettivi sedili di fronte. Questo per me fu il primo segnale della loro intimità. Guardandola meglio, non dimostrava molti più anni di me. Aveva capelli mossi di un castano abbastanza scuro lunghi fino alle spalle e vestiva in un modo estremamente semplice. Ridevano del passatempo con cui si erano dilettati poco prima. Parlavano in inglese e così fui in grado di cogliere dei pezzi di conversazione, ma non furono particolarmente interessanti e il loro inglese era pieno di sleng e accenti strani. La vidi troppo giovane per lui e così rifiutai subito l'idea di un'eventuale relazione di quel tipo tra loro. Però poi mi misi comunque a fantasticare come se la cosa fosse invece vera e mi chiesi cosa ci avesse potuto trovare una così giovane in un ciccione come quello. Usando i termini 'ciccione', 'cicciotto', 'paffuto' possono sembrare dipregiativi, ma in relatà quel ragazzo mi stava davvero estremamente simpatico. Mi sentivo vicina a lui come a tutti quelli nella sua situzione e il desiderio di avere un amico come lui si insinuava suadente nella mia testa. Doveva essere uno spasso, oltre al fatto che probabilmente con lui affianco mi sarei sentita senza dubbio protetta.
Arrivai alla conclusione che come a me piaceva vedere gente felice intorno, io per prima averei dovuto avere sempre in qualche modo un sorriso sul mio viso. Così una volta, esplicitamente, mi misi a camminare per la fermata con la testa alta e un sorriso bionico stampato in faccia. Probabilmente facevo paura, ma non mi importava... A forza di sorridere ero diventata di buonumore.
 
Il viaggio procedette come sempre... Lottai per non addormentarmi, ma alla fine impostai la sveglia sul cellulare e stremata mi accasciai sulle borse, pensado che ormai erano più di 12 ore che non chiudevo occhio. Il poter finalmente riposare, rannicchiata sui sedili, mi sembrò un sogno. Mi svegliai prima che suonasse il cellulare e dopo aver disattivato la sveglia e constatato che la prossima sarebbe sata la mia fermata, mi accinsi con calma a caricarmi addosso tutte le borse. Con una serena calma mi alzai e mi posizionai davanti alla porta proprio quando la metro di fermò. Intorno a me c'era un gruppo di signori che probabilmente facevano un lavoro simile a quello di mio padre. Si può generalizzare dicendo 'lavoro d'affari'.
(‎venerdì ‎29 ‎luglio ‎2011)
A volte immagino mio padre visto dalle altre persone. Il suo lavoro richede un abbigliamento sempre elegante e consono all'ambiente di lavoro. Fatto sta che esce di casa  sempre con una specie di smoking, se così lo si può definire, e ha una vasta varietà di cravatte. La mia preferita è quella con i germani reali. Voglio davvero un gran bene a mio padre. E' sempre stato un perfetto lavoratore, preparato nei campi richiesti e con gli anni ha scalato la gerarchia nelle varie ditte in cui ha lavorato. Attualmente riveste un ruolo di una certa importanza, dopo il trasferimento a Monaco di Baviera, e viviamo con un certo tenore di vita, fortunatamente. Infatti è vero che la scuola europea privata in cui andiamo mia sorella ed io è pagata dalla ditta, ma tutti i libri, sommati alle varie gite e alle varie spese richieste dall'istituto, vengono a costare una bella cifra alla mia famiglia.
(‎martedì ‎2 ‎agosto ‎2011)
Sono davvero felice di avere lui come padre. Certo, a volte è ottuso, non mi ascolta, si irrita facilmente quando è nervoso di suo ed è un po' tradizionalista, ma quello che vuole alla fine è solo affetto e allora rimane ad ascoltare (io e lui usiamo tanto la logica nei nostri discorsi; è una cosa che mi piace davvero molto, mentre mia madre è più irrazionale... Strano come abbia preso un po' da uno e un po' dall'altra), sopporta molte cose e non rinuncia mai a renderci felici se gli chiediamo qualcosa. 
Credo che dall'esterno, se prendesse la metro vestito per andare a lavoro, assomiglierebbe a quei signori in giacca e cravatta che vidi quella volta.
 
Con mio lieto piacere mi aprirono la porta e sotto la leggera pioggia che stava scendendo, mi affrettai a percorrere il sottopassaggio, per poi fiondarmi nella macchina in cui mia mamma mi stava aspettando. 'Ce l'ho fatta!', pensai soddisfatta, ricordando la spossatezza che avevo provato nell'allontanarmi dalla casa di Diana e attraversare quel lungo marciapiede prima del parco davanti alla stazione delle metro.
La mattina stessa, verso mezzoggiorno, saremmo dovuti partire per l'Italia. Così, pensando che nel fare le valige non avrei trovato il tempo per dormire un po', mi appisolai sulla cintura del sedile in macchina.
 
Alla fine mia mamma, al posto di farmi dormire un paio di orette, mi lasciò domire per quattro ore filate e quando mi ero svegliata erano già le 10. Non mi ero sentita affatto bene e così, dopo che mia mamma mi aveva fatto le valige, eravamo partiti. Dormii per tutte le 6 ore di viaggio.
Finalmente ero arrivata in Italia.
   
 
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