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Autore: MICHI7    12/02/2012    0 recensioni
Tutto è iniziato con il mio ritorno.
Ecco sono tornata a casa dove il mio cuore si è spezzato. E ora rivedrò tutti: i miei genitori, i miei familiari, i miei vecchi amici, tutti, anche loro. Loro che dopo la morte di mio fratello hanno fatto di tutto per starmi accanto, sebbene le rifiutassi costantemente. Loro che ci sono sempre state, ma che io ho deciso di allontanare già ormai da quattro anni. Non ce la facevo più a vedere quella casa, quella città dove siamo cresciuti, dove lui è vissuto e morto. È accaduto tutto una sera d’estate a metà luglio, una sera dove lui non è più tornato a casa.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Grazie, voi che siete parte di me
 
Tutto è iniziato con il mio ritorno.
Ecco sono tornata a casa dove il mio cuore si è spezzato. E ora rivedrò tutti: i miei genitori, i miei familiari, i miei vecchi amici, tutti, anche loro. Loro che dopo la morte di mio fratello hanno fatto di tutto per starmi accanto, sebbene le rifiutassi costantemente.Loro che ci sono sempre state, ma che io ho deciso di allontanare già ormai da quattro anni. Non ce la facevo più a vedere quella casa, quella città dove siamo cresciuti, dove lui è vissuto e morto. È accaduto tutto una sera d’estate a metà luglio, una sera dove lui non è più tornato a casa.
 
Quattro anni fa...
Era una solita sera calda d’estate quando rientrai a casa dopo il gelato con le mie migliori amiche, che scoprii cosa era successo. Entrata in casa non c’era nessuno ed era strano: guardai in cucina se c’era un biglietto con un messaggio, ma niente. Per un attimo mi venne una stretta al cuore, ma non ci feci caso e mi sbagliai perché qualcosa era accaduto sul serio. Appena mi distesi sul divano arrivò la chiamata che sconvolse la mia vita per sempre. Era mia madre stava piangendo e non sentivo bene ciò che diceva, ma non l’avrei ascoltata comunque, perché il mio cuore,per la paura, rimbombava così forte nel mio petto da non farmi sentire niente. Ma nonostante quel continuo suono riuscii ad udire quattro parole: Matteo… macchina… incidente… no. Queste parole che al momento sembravano così incomprensibili erano chiarissime nel mio inconscio.
No, non ci potevo credere.
Presi il motorino e mi precipitai al più presto possibile in ospedale. Arrivata non sapevo nemmeno dove andare, credo di aver chiesto aiuto ad una infermiera: non ricordo nulla di quegli attimi che per me erano totalmente superflui, so solo che corsi talmente veloce che ad ogni passo mi si mozzava il fiato ed il cuore era come se si stringesse sempre di più. In qualche modo riuscii a trovare la sala, dove su una sedia c’era mio padre che emanava una tale tristezza dagli occhi mentre abbracciava mia madre in lacrime che non riuscivo a crederci. Con quella scena davanti agli occhi il mio cuore perse un battito e mi scese un’unica e sola lacrima che bagnò il mio viso pallido. Da quel momento mi resi veramente conto di ciò che era successo: mio fratello non esisteva più. 
Mia madre finalmente mi vide e venne da me abbracciandomi, ma quella stretta, che sembrava così avvolgente, era come se non valesse nulla. Dentro di me non sentivo più il calore di un abbraccio di una madre, sentivo solo freddo.
Quell’incidente non aveva portato via solo mio fratello, ma anche me.
Il 17 luglio 2011 i miei genitori persero i due loro figli.
 
 
Sono seduta immobile nel secondo bancone della Chiesa vicino a casa con affianco le mie amiche più care: loro stanno piangendo per me, io guardo dritta davanti a me senza emanare alcuna emozione. È il funerale di mio fratello, morto perché un bastardo ubriaco gli ha tagliato la strada in macchina senza rispettare uno stop. L’airbag della macchina di mio padre è esploso, ma non è stato sufficiente a salvargli la vita e così neppure i soccorsi hanno potuto fare qualcosa.
Senza accorgermene, mi sono trovata distesa nel mio letto mentre guardavo il soffitto e non pensavo a nulla; e lì nella stessa stanza c’erano le mie amiche, Alessia seduta nel letto, Silvia nella sedia e Giulia per terra. Erano lì, sono sempre state lì al mio fianco, benché io non me ne rendessi conto. Sentivo solo che loro erano lì, che c’erano per me nonostante io fossi morta dentro.
È trascorsa una settimana dalla morte di mio fratello e io non me ne sono nemmeno accorta, l’unico pensiero che ho avuto da giorni è stato quello di scappare di casa. Così sola, in lacrime, mi sono diretta sul ponte e se Giulia non mi avesse trovato ora non sarei qui. Due minuti prima che mi buttassi dal ponte, lei è riuscita a fermarmi grazie a queste parole:
 
“Calmati per favore! Pensa a quanto starei male senza di te.
Dentro l’aria per il naso insieme ai problemi... e fuori l’aria per la bocca, lentamente insieme ai problemi... dentro e fuori.
Ti voglio bene.
Pensa a me, a SAGM.”
 
“Pensa a me, a SAGM” cinque parole perfette che mi hanno bloccata e non hanno permesso di porre fine alla mia vita. Sì, le SAGM, il nome del nostro gruppo che ingenuamente da bambine, noi quattro, io e le mie migliori amiche, abbiamo creato unendo le iniziale del nostro nome. Un gruppo dove potevamo fare e dire qualsiasi cosa senza essere giudicate, dove potevamo essere semplicemente noi stesse e vivere ogni attimo insieme felici.
Dopo il mio tentato suicidio, loro  non mi hanno mai più lasciata sola. E sempre per questo motivo sebbene sia passato quasi un mese, loro sono ancora qui. Durante la settimana si alternano per stare con me, chi viene alla mattina, chi al pomeriggio e chi alla sera, invece di domenica vengono tutte e tre insieme. Assieme e unite si fanno coraggio e mi stanno vicino tentando di sollevarmi. Ci provano ogni fine settimana senza successo, ma non si arrenderanno mai, lo so. I miei genitori sono più forti, se ne sono quasi fatti una ragione dopotutto, stanno guardando avanti, io... no.
Non ce la faccio, io non ne ho la forza.
Sono sempre stata la più debole del gruppo, quella paurosa davanti alle cose importanti e coraggiosa, invece, di fronte alle cose davvero futili. Completamente opposta a Giuli, lei, che nei momenti di vero panico, tira fuori da quegli occhi da cerbiatto una forza incredibile e, al contrario, nelle situazioni più semplici si nasconde dietro di te, quasi da sembrare timida.
Oggi è di nuovo domenica, sono passati quasi due mesi dall’incidente e mentre le altre erano giù in cucina, ho iniziato ad urlare con tutta la rabbia e la disperazione che avevo dentro, ho strappato ogni cosa possibile, rovesciato e gettato a terra tutto ciò che potevo, finché nel casino più totale mi sono accasciata a terra e messa a piangere. Le altre sentendo tutti quei rumori, sono subito accorse nella mia stanza e non appena mi hanno visto si sono precipitate da me.
La prima ad intervenire è stata Siby naturalmente, lei che, nei momenti più assurdi e incredibili, riesce a prendere la situazione sottomano senza perdere il controllo e  risolverla, magari con qualche battuta e dando vita così ad un’atmosfera decisamente migliore e rassicurante per tutti.
Poi insieme strette in un unico abbraccio abbiamo pianto per non so quanto, fino a quando io non mi sono addormentata. Al mattino presto del giorno seguente mi sono svegliata con loro affianco che dormivano e le ho osservate. Notando le loro occhiaie profonde, avevo capito che avevano dormito veramente poco in questo ultimo periodo, erano stanche, non solo fisicamente ma anche mentalmente.
Perfino Ale, quella che non usciva mai di casa senza un filo di trucco perchè voleva sempre essere perfetta di fronte agli altri, ma che invece era perfetta così, con quegli occhioni azzurri talmente profondi come il mare da vedere una purezza incredibile, non era truccata.
Non le avevo mai viste in quello stato ed era colpa mia, solo colpa mia, ho avuto una morsa al cuore, che mi ha svegliato per alcuni attimi da quello stato in cui mi ero rifugiata da tempo per scappare da ogni emozione.
Di corsa, cercando di fare il meno rumore possibile, ho preso tutti i miei risparmi possibili, alcuni vestiti, gettandoli alla rinfusa dentro al mio zaino rosa, e il nostro diario, il diario delle SAGM. Sulla soglia della mia camera mi giro e le guardo per l’ultima volta; quella mattina il mio cuore sussurrò una sola parola: grazie.
Dopo una camminata veloce mi sono trovata in stazione e lì ho preso un biglietto, non ricordo quale destinazione ho detto, sapevo solo che salivo sul treno per andare chissà dove: invece sono passati quattro anni e ormai York è lontano.
Ci sono arrivata prendendo una serie di treni, poi un traghetto, altri treni ed infine una corriera. È lì che il cuore mi aveva portato non so come e non so perché, ma aveva fatto una scelta giusta per una volta. Se ci penso era proprio bella quella città. All’inizio fu un po’ difficile ambientarmi, non solo per il mio stato d’animo ma soprattutto per la lingua. Certo sapevo l’inglese grazie alla scuola e a un paio di viaggi studio, di cui uno l’avevo fatto a Liverpool che dista circa due ore da York, ma nella vita vera parlare una lingua straniera è tutta un’altra cosa.
Fortunatamente i cittadini erano tutti accoglienti e gentili con me, sebbene nel primo periodo non cercai mai di dialogare con loro: anzi ricordo che alcune volte non rispondevo nemmeno alle loro domande, non perché non volessi, ma era come se la mia mente fosse stata  bloccata. Avevo scelto apposta il treno,perché è l’unico mezzo di trasporto che ti rassicura:quando sei sul treno vedi tutto scorrere così velocemente che la realtà appare sfuocata. Sembra essere trasportati in un posto nuovo, dove tutti i problemi svaniscono proprio perché te ne stai allontanando e non li consideri più e anche se hai più tempo per riflettere su te stesso, in questa situazione in cui mi trovavo, dove la mia mente aveva il vuoto dentro, è stato molto più semplice. Infatti guardavo fuori dal finestrino del treno ed era pieno di alberi ma non li vedevo, sentivo le voci delle altre persone ma non le ascoltavo. Volevo il più totale silenzio come volevo anche il più completo casino. Volevo sentire il vero dolore, perché era giusto che soffrissi dopo che una persona cara mi era stata portata via, ma allo stesso tempo non lo volevo sentire. Verso di me provavo compassione perché non avevo la forza di sostenere e affrontare quel dolore, ma dall'altra parte mi odiavo, perchè era inconcepibile e folle che io provassi il nulla. Era irrispettoso nei confronti di mio fratello non provare alcuna emozione, dovevo farlo, ma come ho sempre fatto davanti al dolore, mi sono chiusa in me stessa ed estraniato qualunque cosa attorno a me.
Non so come, ma ero riuscita subito a trovare lavoro in un piccolo ristorante in centro e ben presto accumulai altri soldi che mi permisero di affittare un appartamento. Al piano superiore conobbi un’anziana signora che mi aiutò molto nel periodo più buio della mia vita. Si chiamava Lucy ed era la proprietaria  della libreria al pian terreno della casa; questo posto era magico come d’altronde ogni stanza piena di libri. I libri erano e sono sempre stati il mio rifugio più sicuro, un luogo dove potevo stare in pace con me stessa e sognare, un luogo che mi accoglieva a braccia aperte per farmi fuggire dall’orribile realtà che mi circondava. Ed io, sola e lontana da ogni cosa e da tutti, rinchiusa nel mio mondo, avevo dimenticato quel porto sicuro, che era stato così importante durante la mia vita adolescenziale. Ma un libro mi aveva risvegliata dal quel vuoto in cui ero precipitata ormai un anno prima.
Sì, era passato un anno dalla mia partenza e la mia vita andava avanti senza alcun senso ed era un continuo susseguirsi delle medesime azioni: alla mattina mi alzavo, durante il giorno lavoravo e alla sera, appena tornavo a casa andavo subito a dormire. La mia vita passava ed io non me ne accorgevo: finché una mattina Lucy, alla quale fino a prima avevo rivolto la parola solo per le pratiche dell’appartamento, mi consegnò un libro consigliandomi di leggerlo. Presi il libro in mano e automaticamente lo misi in borsa senza nemmeno guardalo: ci vollero circa due mesi prima che mi mettessi a leggerlo. Ricordo che lo trovai una domenica dentro un cassetto della cucina e ancora oggi mi chiedo come sia potuto finire lì. Mi attirò e mi provocò un brivido che ormai non provavo da troppo tempo, una nuova sensazione da quando mio fratello era morto. Si intitolva La libreria dei nuovi inizi di Anjali Banerjee, ed una sua frase mi risvegliò dal coma in cui ero caduta diventando il mio punto di luce alla fine della galleria buia in cui io da sola mi ero inoltrata. Diceva:
 
i libri sono molto più di un prodotto da vendere. Dentro c’è il nostro passato, la nostra cultura, interi mondi. […] I libri sono un antidoto alla tristezza.
 
Leggendolo tutto d’un fiato mi ha riportato alla memoria di quanto mi piacesse leggere e immergermi in nuove avventure ogni volta che sfogliavo una nuova pagina di un libro.
La morte di mio fratello mi aveva sconvolto completamente: lui era un parte fondamentale di me. Mi sentivo sola, molto di più di quando ero ancora a Belluno, perchè lì costantemente al mio fianco c’erano le mie migliori amiche: Giulia, Silvia e Alessia.
Fortunatamente, col passare del tempo, i libri colmarono il vuoto dentro di me facendomi ritornare a vivere, ma soprattutto riuscirono a farmi capire un cosa fondamentale.
Come disse infatti Dostoevskij: “Il segreto dell'esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive.
Ed io avevo capito che eranoloro, Silvia, Alessia, e Giulia,la cosa per cui io volevo e voglio vivere.
Ci ho messo quattro anni per comprendere tutto questo. È stata dura e solo ora che le sto per incontrare sono riuscita a darmi una spiegazione del perché sono fuggita, nonostante loro fossero il mio punto di riferimento. È proprio quel loro affetto nei miei confronti che mi ha dato il coraggio di scappare e di non buttare al vento la mia vita, ponendole fine, sebbene quel periodo non posso considerarlo come tale poiché la mia non era più una vita. Mi hanno fatto andare avanti, perché altrimenti la mia morte le avrebbe distrutte e non potevo.
Grazie aloro ho capito il vero senso della vita. È l’amore per le persone che sono sempre al tuo fianco che ti fanno vivere in un mondo come questo.
 
Ho chiamato le altre ieri e le ho avvisate che sarei tornata a casa. Non sentivo la loro voce dal 17 luglio, anche se durante questi quattro anni di assenza avevo inviato qualche messaggio tanto per far sapere che stavo bene, che ero viva.
Appena esco dalla porta di casa le vedo arrivare: sono cambiate, cresciute, ma sono sempre loro, le mie amiche.
Sorrido e anche loro lo fanno,perché alcune cose saranno sempre più forti del tempo e della distanza, come noi quattro.
Sì perché noi siamo parte di una stessa vita.
  
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