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Autore: blueflaws    12/02/2012    9 recensioni
«No, tu ami lui.»
Gli sussurrò freddo, mentre l’altro rabbrividiva, colto da uno spasmo.
Non poteva cedere, a costo di restare su quella bocca tutta la notte.
Doveva farsi coinvolgere.
Doveva. Doveva.
2ª classificata al contest “The Mortal Instruments” indetto sul forum di EFP da signorino_
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Rosalie_

Titolo: All Fall Down

Coppia e genere sorteggiati: Magnus/Alec, angst

Altri generi: introspettivo

Avvertimenti: one shot, slash

Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane

Note Autore: è la prima storia che scrivo per il fandom di Shadowhunters e dunque il primo esperimento sulla coppia Magnus/Alec. Il genere sorteggiato è stato l’angst, mai trattato anche questo, quindi si può dire che è stato un esperimento su tutta la linea XD Già da un po’ volevo scrivere qualcosa su questa coppia e pensavo di farlo con qualcosa di romantico o simile e invece questo primo lavoro è un po’ triste, visto che Alec cerca di imporsi di amare, ma spero di averci messo tutto l’impegno possibile. Incrocio le dita affinché i personaggi siano credibili e rientrino nella caratterizzazione. Per la storia mi sono ispirata alla canzone All Fall Down degli OneRepublic, di cui prende anche il titolo. La trovo giusta per l’atmosfera della storia.

Con la speranza che possa piacere, auguro una buona lettura!

2ª classificata al contest “The Mortal Instruments” indetto sul forum di EFP da signorino_

 

 

 

 

 

 

 

All Fall Down

 

Sai che tutti crolliamo

Ama fino a odiare

Salta fino a farti male

Sai che tutti crolliamo

(All Fall Down, OneRepublic)

 

 

Le rune incise sulle mani pallide rilucevano appena mentre strofinava i palmi tra loro nel debole tentativo di combattere il freddo serale. Alec, i capelli neri come la notte e gli occhi di un azzurro intenso, stava appoggiato al portone del palazzo con la testa china, mentre un sottile muro, visibile solo ai suoi occhi, lo celava al resto delle persone di passaggio in quel quartiere.

Cacciando le mani nelle tasche alla ricerca di più calore, si scontrò con qualcosa di freddo e metallico. Tastando con i polpastrelli disegnò il profilo di una piccola chiave. Premendola tra pollice e indice la spinse più a fondo nella tasca, come se quel gesto potesse farla sparire.

Era come un pungolo che premeva sulla carne, lacerandola un pezzetto alla volta. Si chiese perché l’aveva accettata, togliendola dalle sue mani affusolate, esercitando con le dita un’impercettibile carezza. Perché non l’aveva rifiutata quando un sorriso sbarazzino e un po’ folle si era dipinto su quel volto dalla pelle brunita.

Con quei pensieri che gli vorticavano nella mente corse a perdifiato tutte le rampe di scale, inciampando sull’ultimo gradino, ritrovandosi a fissare la porta del loft. Il petto ardeva come il più violento degli incendi e respirava a scatti, quasi gli mancasse l’aria.

Cercando di imporsi la calma, fece scivolare la chiave nella toppa e la serratura scattò. Mentre la porta girava sui cardini, accompagnata da un gracchiante cigolio, e il salone si apriva davanti ai suoi occhi, la risposta arrivò limpida e chiara alla sua mente.

Quel posto era diventato una droga, perché era come lui. Immenso ma vuoto.

Grezzo come un diamante non ancora levigato. Abbandonato a se stesso, senza nessuno che avesse la cura di raccoglierlo, facendone un gioiello brillante.

Avanzò piano all’interno, mentre nuvolette di polvere vorticavano attorno ai suoi piedi, disperdendosi nell’aria rarefatta della stanza. Le alte vetrate, perennemente chiuse e spruzzate di vernice e glitter, mandavano riflessi distorti di luce lunare che s’infrangevano sui muri, creando uno strano gioco di ombre.

Come quella stanza Alec si sentiva svuotato di ogni cosa, dotato di tanto potenziale, ma non adatto perché situato in una posizione scomoda.

Non capiva cosa ci fosse di sbagliato in lui, che molte volte aveva provato e sperato di ricevere uno sguardo più lungo di un battito di ciglia, una stretta di mano più delicata, quasi una carezza. Da Jace. Dai suoi genitori. Aveva desiderato ardentemente che lo guardassero e capissero, senza bisogno di discorsi troppo articolati o gesti espliciti.

I loro occhi però rimandavano sempre quello sguardo: l’amore per un figlio, l’affetto per un fratello.

Allora si era annientato un pezzo per volta, coltivando quei sentimenti al buio, senza il più piccolo spiraglio di luce. Si erano radicati come un’erba cattiva, soffocando il suo sorriso dolce e riempiendo il suo cuore di solitudine. Poi tra i fitti rovi del suo cuore si era fatto strada un puntino luminoso, che una volta scavato a fondo si era rivelato in un’esplosione di colori.

Magnus si era catapultato nella sua vita come un uragano, dando uno scossone all’apatia dei suoi sentimenti. E lo circuiva, con quegli occhi da gatto che sapevano essere magnetici e Alec sorrideva impacciato, ma la verità era che si sentiva morire dentro, mentre lacci invisibili stracciavano il suo cuore, riducendolo a brandelli.

La stessa sensazione che lo attanagliava in quel momento, mentre il suo cuore si divideva di nuovo tra il ragazzo che amava da una vita e quello che cercava di amare disperatamente.

Nel tentativo di amarli entrambi aveva tradito la loro fiducia, consegnando Jace nelle mani dell’Inquisitrice e ferendo i sentimenti che Magnus nutriva per lui, facendolo sentire un rimpiazzo.

Erano giorni che non vedeva entrambi. Jace perché sotto stretta sorveglianza e Magnus perché era scomparso nel nulla, dopo quel giorno a casa di Luke.

Provare a chiamarlo era stato inutile, tutte le telefonate erano cadute nel vuoto. Si era sentito perso, abbandonato, ma la verità era solo una. L’egoista era lui.

Lui che tirava i fili di quell’assurda commedia. Lui che lo chiamava quando aveva bisogno, senza però dargli niente in cambio. Lui che lo baciava, timido e nervoso, ma tirandosi indietro l’attimo successivo. Lui che l’aveva in pugno, non viceversa.

Come le tenebre scivolavano sui muri, con l’avanzare della notte, anche Alec scese lungo la parete, ritrovandosi in terra. Il pulviscolo che danzava tutto attorno a lui.

Raccolse le gambe al petto e poggiò la fronte alle ginocchia, le ciocche di capelli a ricadere in avanti come a nascondere al mondo la sua colpa. Perché Alec voleva vedere Magnus, ne aveva un bisogno disperato e se ne vergognava terribilmente. Non era degno di quell’amore, eppure lo bramava, tendendo le mani verso le sue dolci spire. Voleva essere punto, infettato, cosparso dal suo veleno. Sentirlo scorrere nelle vene in una corsa disperata verso il cuore.

Doveva farsi coinvolgere, a tutti i costi, perché era giusto così. Era la soluzione migliore, doveva solo accettarla e tutto sarebbe andato bene. Un’illusione tessuta ad’arte.

Le mani si mossero in uno spasmo violento, stringendo la stoffa dei pantaloni neri. Alzò gli occhi. Doveva trovarlo.

E come evocato, lo stregone era lì, sulla soglia della porta lasciata aperta.

Avvolto nel lungo cappotto grigio, i capelli modellati dal gel e il contorno degli occhi cosparso di glitter. Le pupille verticali lo fissavano in modo ipnotico, l’espressione del viso indecifrabile.

Magnus fece qualche passo avanti e una piccola pozza di luce gli scivolò addosso definendo i contorni della sua figura.

«Sei qui.»

Alec trattenne il fiato a quelle parole, la paura che si annidava all’altezza dello stomaco. Anche se aveva fatto finta di non vederlo, ricordava l’espressione delusa e fredda di Magnus poco prima di sparire dal salotto di Luke. Se l’era impressa nella mente. Lo vide avanzare ancora e piantarsi di fronte a lui, sovrastandolo col suo corpo.

«Torna all’istituto, Alexander» lo disse con calma, senza nessuna particolare inflessione.

No.

No.

«No. Aspetta.» gli uscì di bocca, un verso quasi strozzato. Protese una mano e per un attimo pensò di aver afferrato l’aria, ma le dita si chiusero sulla stoffa dei pantaloni dell’uomo.

«Aspetta, Magnus. Aspetta.» ripeté, cercando di imporsi più forza di quella che aveva.

Allora lo vide scivolare accanto a sé, gli occhi color ambra a sondarlo, in attesa di qualcosa.

«Ti amo.»

Nell’oscurità che avvolgeva quelle mura, gli parve di vedere qualcosa passare negli occhi dello stregone, come una scintilla. Alec tremava tutto, nell’anima, e teneva gli occhi spalancati sui suoi, quasi a farli lacrimare pur di non spezzare il contatto.

«Alec…»

Cercò di fermarlo, ma non poté niente e gli mancò il respiro. Alec lo stava baciando, divorandogli centimetro per centimetro la bocca. Spingeva la lingua a cercare la sua, intrecciandola, mentre infilava le dita tra i suoi capelli, tirandoli appena. Magnus la sentiva, la cupa disperazione, mentre Alec gli mordeva le labbra, suggendole. I denti cozzavano tra loro in quel bacio che di tenero non aveva niente.

Stava cercando di imporsi, di convincere se stesso e Magnus si riscoprì a odiarlo come mai prima di allora.

Lo odiava mentre se lo stringeva contro, attirandolo su di sé.

Lo odiava, baciandogli con impeto le labbra morbide, che sapevano ferire più di una lama.

Lo amava talmente tanto da odiarlo, allontanandolo da sé quel poco da staccare le labbra che li tenevano uniti, nonostante il respiro di Alec gli s’infrangesse sulla bocca.

«No, tu ami lui.»

Gli sussurrò freddo, mentre l’altro rabbrividiva, colto da uno spasmo.

Alec strinse con più forza i capelli di Magnus tra le dita, tornando a lambirgli le labbra.

Non poteva cedere, a costo di restare su quella bocca tutta la notte.

Doveva farsi coinvolgere.

Doveva. Doveva.

Tutti crollano.

Doveva solo avere pazienza.

 

 

 

 

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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Cassandra Clare e gli aventi diritto; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Note finali: spero che la storia sia stata piacevole da leggere e, se vi fa piacere, lasciare una recensione, anche solo per dire che non vi è piaciuta.

Un grazie anche solo a chi leggerà ♥

 

 

 

   
 
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