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Autore: PiccolaEco    12/02/2012    2 recensioni
Quello che Alessia proprio non riusciva a capire è perché alla
fine Fabrizio avesse scelto lei. Insomma, Camilla aveva un viso dolce, carino, quello tipico da gatta morta che ottiene sempre tutto quello che vuole (almeno questo è ciò che pensava su di lei), ma santo cielo: era distratta, pasticciona, perennemente con la testa fra le nuvole e non aveva certo la classe e il glamour che aveva lei.
Camilla, inoltre, era irresponsabile,  permalosa e infantile e i due codini biondi raccolti ai lati dei capelli erano la prova lampante  che lei non aveva la sua stessa maturità. Ma allora perché, perché Fabrizio, alla fine, aveva scelto proprio Camilla, anzicchè lei, Alessia?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Different.

Quello che Alessia proprio non riusciva a capire è perché alla fine Fabrizio avesse scelto lei. Insomma, Camilla aveva un viso dolce, carino, quello tipico da gatta morta che ottiene sempre tutto quello che vuole (almeno questo è ciò che pensava su di lei), ma santo cielo: era distratta, pasticciona, perennemente con la testa fra le nuvole e non aveva certo la classe e il glamour che aveva lei. Camilla, inoltre, era irresponsabile,  permalosa e infantile e i due codini biondi raccolti ai lati dei capelli erano la prova lampante  che lei non aveva la sua stessa maturità. Ma allora perché, perché Fabrizio, alla fine, aveva scelto proprio Camilla, anzicchè lei, Alessia? La ragazza dai lunghi capelli corvini si lasciò andare pesantemente sul letto, portandosi un braccio alla fronte. Lo sguardo era perso nel vuoto e la mente tornò a pochi mesi prima, quando la sua vita e quella di tutti loro era tornata quella di un tempo.

Era il tramonto. 
Quattro ragazzi erano disposti in fila orizzontale di fronte a quattro piccoli e simpatici folletti. I loro sguardi erano tristi, malinconici. Uno dei folletti, con un abitino azzurro cielo, i capelli color oro, un paio di guanciotte paffute e un cappellino che terminava con due pon pon blu, si fece avanti e prese parola, su incitamento da parte dei compagni. 
–Ahem…come saprete, cari amici, io non sono molto bravo con le parole quindi sarò breve. A nome di tutti i miei compagni presenti qui e nel regno di Mirmo, volevo ringraziarvi per i due anni trascorsi insieme. Prima d’ora non avevamo mai avuto contatti con esseri umani, non avevamo mai visto una città, una città vera, intendo, né edifici così grandi e così belli…né tantomeno sapevamo dell’esistenza di dolci tanto squisiti!- Una risata flebile e forse un po’ malinconica si alzò dalle voci dei quattro ragazzi. –Ma soprattutto- riprese dopo qualche secondo il folletto, tornando serio- prima d’ora non avevamo mai conosciuto qualcuno di così speciale da prendersi cura di noi, al di fuori di noi stessi folletti. Un giorno, per caso o forse per destino, ci siamo ritrovati catapultati nel mondo degli umani,un mondo a noi del tutto sconosciuto. Eppure voi ci avete fatto sentire come a casa, vi siete presi cura di noi, sebbene non ci conoscevate,e ci avete fatto sentire come parte di un’unica grande famiglia. E per questo noi volevamo dirvi grazie di cuore…-
–Grazie!- fecero eco gli altri tre folletti con un piccolo inchino.
–Adesso è per noi giunta l’ora di andare…- continuò ancora quello che sembrava il più grande della compagnia.
–Abbiamo compiuto il nostro dovere, il compito per il quale eravamo stati inviati sulla Terra…- spiegò una piccola folletta rosa dalle guancie tonde e lo sguardo dolce. 
–Perciò qui non abbiamo altro da fare…-aggiunse un folletto, probabilmente il più piccolo, dato il tono di voce acuto e stridulo,vestito di un abito azzurro scuro e con due antennine che spuntavano dal cappello. Fu allora che iniziarono i pianti, i baci, gli abbracci e gli addii tra i tre ragazzi e i rispettivi folletti. Già, tre. Perché solo una di loro, infatti, era rimasta a braccia conserte appoggiata ad un albero, scrutando il proprio folletto, uno rosso con lunghi capelli neri e un ciuffo che gli ricadeva su un occhio, senza alcuna espressione. –Non…mi saluti?-
-Addio.Eccoti accontentato, va bene?- rispose fredda lei, distogliendo lo sguardo.
–Perché sei così fredda con lui, Alessia? Non ti rendi conto che non rivedrai mai più il tuo Yacky?-. 
A parlare era stata una ragazzina con un vestitino a fiori e lunghi capelli biondi raccolti ai lati da due codini. –Perché non ti impicci degli affari tuoi, Camilla?-. –Sono affari miei, si da il caso che sia anche un mio amico e per questo mi dispiace che se ne vada, come tutti gli altri del resto. Tu, però, a maggior ragione perché sei la sua compagna umana, dovresti dispiacerti di non rivederlo mai più. Avete trascorso due anni sotto lo stesso tetto, è possibile mai che tu non provi un briciolo di dispiacere per lui?-. 
Alessia abbassò lo sguardo e serrò i pugni, fino a far diventare bianche le nocche delle dita.
–E chi ti dice che io non sia triste…-. La ragazza che le era di fronte non avrebbe saputo dire se quella fosse una domanda, un’affermazione e cos’ altro ma non ebbe il tempo di chiederglielo perché l’amica era già corsa via, lasciando dietro di sé soltanto due o tre piccole gocce per terra. 
Ben presto si ritrovò le guance umide di lacrime: stava piangendo. Non era da lei piangere. Eppure lo stava facendo e non si spiegava nemmeno il perché. –Non è necessario che tu lo nasconda: è normale che ti manchi Yacky-. Si voltò verso la voce alle sue spalle: Camilla. Ancora lei. Doveva ammettere che tra i tanti difetti di quella ragazza, la testardaggine era ai primi posti, insieme alla caparbietà.
–Tu non ti arrendi proprio mai, vero?- le disse con quanta più acidità le fosse permessa. 
–No, soprattutto quando è un’amica ad essere in difficoltà-
–Noi non siamo amiche- 
–Io non sono amica tua…ma tu sì- Alessia sbarrò gli occhi incredula. Nell’arco di quei due anni l’aveva offesa, presa in giro, derisa, maltrattata, ingannata, cercata di allontanare da Fabrizio arrivando a servirsi anche dei più astuti e infidi trucchetti se il caso l’avesse richiesto e lei adesso aveva anche il coraggio di dire che erano…amiche? Doveva essere impazzita del tutto, non c’era altra spiegazione.
–Come mi hai trovata?-. Camilla si accovacciò accanto all’eterna rivale in amore. 
–Nessuno andrebbe a credere che tu vada a nasconderti proprio nel giardino della tua peggior nemica, giusto?-
–Non mi sto nascondendo- rispose contrariata l’altra. 
–No, certo che no…diciamo che stai evitando il problema-
–Da quando sei così sarcastica?-
–Due anni possono cambiare profondamente una persona, sai? Non sono più la quindicenne ingenua e con la testa fra le nuvole di due anni fa. Ho imparato a conoscere le persone intorno a me, te compresa. E so di per certo che tu non sei realmente che vuoi dimostrare di essere…- 
–Tu che cosa ne sai?-
Camilla la guardò negli occhi ma Alessia continuò a guardare dritto verso l’abitazione davanti a lei. –Due anni non ti possono restare indifferenti. Hai vissuto un’esperienza che un semplice umano nemmeno si sognerebbe si vivere. Per la prima volta, in diciassette anni, sii sincera con te stessa. Almeno per questa volta.- 
Dopodichè si alzò e andò via, lasciandola con i suoi pensieri. E con Yacky ma di lui, la corvina non se ne accorse, data la capacità del piccolo ninja di nascondere la propria presenza.
–Che male c’è in fondo se Yacky mi mancherà tremendamente?- ammise ad alta voce, convinta che nessuno la sentisse. Si accorse di una seconda presenza solo quando sentì qualcuno sistemarsi sulla sua spalla sinistra. 
–Yacky! Da quanto tempo sei qui?- gli gridò, cercando di assumere il suo solito tono di voce autoritario che, tuttavia, non servì a nulla.
–Da abbastanza per ascoltare il tuo discorso-
–Tanto sapevo che mi stavi spiando…così ho mentito!- si giustificò lei ma anche stavolta Yacky non credé ad una sola parola della padroncina. 
–Alessia…- sospirò Yacky. 
–Che c’è?-
Il piccolo ninja tacque per qualche secondo.
–Mi mancherai- 
Alessia sbarrò gli occhi a quell’affermazione. Abbassò nuovamente la frangetta e d’istinto sorrise malinconica.
–Anche tu mi mancherai ,Yacky. Tanto.-

Si alzò di scatto dal letto e si mise a sedere. Osservò il tavolino accanto al letto: non le era mai sembrato così vuoto. Era strano come una semplice tazza rossa con una stella gialla al centro potesse farle provare così tanta nostalgia di quel piccolo folletto pasticcione. E tutto questo solo per copla di Camilla. Se lei non le avesse messo in testa tutti quei discorsi sull’amicizia e sul fatto che non c’era nulla di male ad ammettere a sé stessa (non avrebbe mai avuto la faccia tosta di ammetterlo anche agli altri) che aveva una tremenda nostalgia di Yacky, probabilmente adesso non si ritroverebbe in quello stato di totale apatia. Ma furono proprio questi pensieri a dare lei la risposta alla sua domanda iniziale: perché Fabrizio avesse scelto Camilla e non lei. 
Camilla era testarda, pasticciona, infantile, permalosa, ficcanaso, irresponsabile. 
Ma Camilla era anche dolce, sensibile, premurosa, solidale, sempre pronta ad esserci se qualcuno ne avesse avuto il bisogno. E il fatto che avesse aiutato lei, Alessia, la sua eterna rivale, quella che non perdeva occasione per farle fare le peggiori figuracce davanti a Fabrizio, ne era la prova lampante.
Era semplicemente sé stessa, Camilla.
La verità è che Alessia aveva sempre desiderato essere come Camilla, se non addirittura Camilla stessa. 
Avrebbe voluto che Fabrizio provasse per lei i suoi stessi sentimenti e invece lui quegli stessi sentimenti li provava per l’altra. 
Strano, eppure si era sempre considerata lei, l’altra.
Alessia era fredda, irascibile, orgogliosa, vanitosa, superba e non perdeva occasione per mettersi in mostra.
Camilla era semplice, umile, allegra, spensierata, sempre con il sorriso sulle labbra. 

Camilla era semplicemente diversa da lei.
  
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