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Autore: bice_94    13/02/2012    11 recensioni
In quel momento il suo sguardo fu però attirato da qualcosa di particolare.Una rosa rossa appoggiata sulla sua scrivania, il cui gambo era avvolto da un leggero velo bianco...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina alzarsi era stato più difficile del solito.
La detective Beckett era stata svegliata del suono petulante della sveglia, dopo nemmeno un paio d’ore da quando era riuscita a prendere sonno.
A volte capiva anche quello.
Prendersi un momento, avvolta nel silenzio e nel buio della notte, solo per lasciarsi andare ai pensieri, ad immagini e ricordi che in fondo facevano parte della vita.
Si era preparata con calma e il risultato che vide allo specchio non l’accontentò, non che in fondo le importasse gran che.
Aveva un paio di jeans attillati che avvolgevano avidamente le lunghe gambe, tacchi vertiginosi e un semplice maglioncino a collo alto.
I capelli ricadevano liberi attorno al viso, ancora un po’ stanco.
Afferrò distrattamente la giacca e si diresse al distretto.
E fu lì che, come sempre, la quotidianità la coccolò con la sua aria placida e tranquilla.
Vedere le solite facce, distratte o sorridenti, vedere le solite scrivanie, vedere la sua lavagna e vedere i suoi ragazzi immersi in una calorosa conversazione sulla partita della serata precedente era confortante.
Si avvicinò alla sua postazione e tolse velocemente la giacca.
In quel momento il suo sguardo fu però attirato da qualcosa di particolare.
Una rosa rossa appoggiata sulla sua scrivania, il cui gambo era avvolto da un leggero velo bianco.
La detective sgranò gli occhi e alzò il viso, come alla ricerca di chi aveva lasciato quell’oggetto sulla sua scrivania.
Nessuno sembrava badare a lei.
La detective sorrise e afferrò il piccolo bigliettino che vi era appoggiato.
...perchè nulla io chiamo questo vasto universo, a parte te, mia rosa: in esso, tu sei il mio tutto.”
Non riconosceva quella scrittura, quasi antiquata, ma di sicuro riconosceva quella frase.
William Shakespeare.
Come diavolo c’era arrivata lì?
E alla fine, quasi vergognandosi per il gesto che stava per fare, avvicinò il fiore al suo naso e inspirò quel profumo così particolare e lusinghiero.
Fu interrotta dal trillo del suo telefonino.
Castle.
Sorrise involontariamente, leggendo il messaggio.
C: scusa mia cara Musa, ma oggi non posso venire. Alexis mi ha rapito perché non è ancora riuscita a trovare un regalo decente per S. Valentino per Ashley. Ci vediamo domani. Ah, dimenticavo.. Buon S. Valentino Kate.
Scosse la testa, ma un piccolo senso di insoddisfazione la avvolse.
Era quasi sicura che fosse stato lui.
Eppure non era lì e non aveva intenzione di arrivare.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce squillante di Ryan.
R: ehy Becks, un ammiratore segreto?
La donna spostò il suo sguardo dal collega alla rosa.
B: già..
Beckett sorrise, ma senza troppo entusiasmo.
E: e Castle dove lo hai lasciato?
B: a fare compere con la figlia.
Ryan ed Esposito si guardarono e cercarono di cambiare discorso, notando il cambiamento d’umore della donna.
E: beh, tanto non abbiamo casi.. che dite? Vi va un caffè?
Beckett sorrise ai due con riconoscenza.
 
E così anche quella mattinata passò velocemente, mazzi di rose continuavano ad arrivare ogni mezzo minuto e, seppur consapevole della sua stupidità, Beckett portava ogni volta il suo sguardo su quella rosa rossa ancora appoggiata sulla sua scrivania.
La curiosità la stava divorando, ma in fondo scosse la testa e tornò ad occuparsi di noiosissimi rapporti.
Ogni tanto alzava gli occhi, sentendo su di lei uno sguardo persistente.
Un agente infatti, in fondo alla stanza, e rivolgeva un sorriso rassicurante e le fu inevitabile pensare che probabilmente aveva deciso di farle una sorpresa nel giorno degli innamorati con quella rosa.
Tuttavia non disse niente e aspettò pazientemente la fine del suo turno, diventato improvvisamente così straziante.
Per fortuna il capitano Montgomery sembrò avere pietà di loro e li lasciò andare con una mezz’ora di anticipo.
“andate a godervi questa giornata” aveva detto.
Aveva ricevuto il silenzioso ringraziamento dei suoi tre miglior detective.
I due uomini felici di accettare il consiglio del loro capitano, la donna lieta di poter rinchiudersi in casa, lontano da quella festa che le aveva fatto venire improvvisamente uno strano senso di solitudine.
Prima di andarsene volle però andare un po’ in palestra, come faceva solitamente.
Vi rimase poco, non avendo tante energie.
Leggermente sudata se ne andò negli spogliatoi, aprendo distrattamente il suo armadietto.
Un piccolo biglietto cadde sui suoi piedi.
Beckett rimase immobile per qualche secondo, indecisa sul da farsi.
Si guardò un po’ intorno e alla fine si abbassò aprendo il piccolo biglietto.
“Abbattimi come fa la tempesta, prendi tutto quello che possiedo; invadi il mio sonno e ruba i miei sogni.”
Rimase immobile, leggendo quella frase.
Non poteva negare che la stava intrigando, come se quelle parole toccassero quei sentimenti che tentava in ogni modo di lasciare sedati.
Si rialzò lentamente e controllò l’interno dell’armadietto.
Trovò anche un invito un piccolo ristorante, di cui aveva sentito parlare qualche giorno prima.
Non aveva aperto da molto, ma si diceva che l’ambiente fosse molto suggestivo e il cibo molto raffinato.
Sentì un senso di eccitazione ed era così dannatamente tentata.
E poi anche la sua parte razionale volle dire la sua.
E se fosse stato un maniaco?
Lei era una poliziotta addestrata, sapeva come fermare un viscido bastardo con poche mosse e poi sarebbero stati in un posto affollato.
Difficile passare inosservati durante un’aggressione.
E poi quella era una cosa da ragazzini.
E lei non lo era di certo più.
Eppure quel senso di mistero, di curiosità la affascinava.
Voleva essere una persona normale.
Solo per una sera, solo per quella stupida festa commerciale.
Chiuse l’armadietto sorridendo, prendendo l’invito e la rosa che di certo non aveva dimenticato.
Tornò al piano superiore ed andò a sbattere contro l’agente sorridente di poco prima.
La sua espressione era imbarazzata e il suo sguardo rapito da quella rosa.
A: mi scusi.
Disse timidamente.
La donna lo osservò non del tutto convinta e sorrise debolmente.
B: non ti preoccupare.
Si allontanò velocemente.
In fondo sperava non fosse lui.
Certo, un bravo ragazzo, ma non aveva niente a che vedere con ciò che si era immaginata.
Quel gioco di sotterfugi, di frasi d’amore la facevano pensare ad un uomo interessante, affascinante e pieno di carisma.
Già, povera illusa.
Stava ancora una volta pensando a Lui.
 
Arrivò al suo condominio e si diresse verso il suo appartamento piuttosto velocemente, ma la voce di Eric, il suo portiere, la fece bloccare.
E: sig.na Beckett, oggi hanno lasciato un pacco per lei.
La detective guardò la scatola con curiosità e sorrise un po’ confusa.
B: la ringrazio Eric.
L’uomo sorrise a sua volta, con l’espressione di chi la sapeva lunga.
B: ah, mi scusi. Sa chi lo ha lasciato?
E: no, era il fattorino di un negozio.
B: grazie ancora.
L’uomo si allontanò e la donna  salì velocemente.
Si chiuse la porta alle spalle e sentì uno strano senso di frenesia.
Aprì delicatamente il biglietto e ritrovò quella scrittura ormai un po’ più familiare.
“L'amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo. L'amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso. Allora non sarà trascinato, ma trascinerà.”
Il respiro le si mozzò per un istante e sentì gli occhi inumidirsi.
Le sue mani andarono ad aprire il pacco quasi con timore.
Lo fece lentamente e rimase immobile per un secondo.
Un vestito smeraldo come i suoi occhi.
Semplice, eppure raffinato, fatto solo e soltanto per lei.
 
Non sapeva il perché, ma alla fine non era riuscita a resistere.
Aveva infilato quel vestito che si appoggiò al suo corpo come se fosse nato solo per quello, aveva usato le sue scarpe migliori, lasciato i suoi capelli leggermente mossi sulle spalle e si era diretta al ristorante.
Si guardò attorno con una faccia confusa, alla ricerca di qualcuno di familiare, ma non vide nessuno.
Solo allora il cameriere la raggiunse, con un sorriso sulle labbra.
Cam: lei è la sig.na Kate Beckett?
La donna lo guardò confusa.
B: si sono io. Ma lei come..
Lasciò la frase in sospeso e il ragazzo sorrise ancor più apertamente.
Cam: il signore ci ha dato delle indicazioni piuttosto precise su come l’avremo riconosciuta.
B: ma chi ha prenotato?
Il cameriere non rispose e la invitò ad accomodarsi.
Cam: prego, il tavolo è quello accanto alla finestra.
Beckett lo guardò, ma capì immediatamente che non avrebbe ricevuto risposte.
La donna si sedette e lì, una lettera attirò la sua attenzione.
Respirò profondamente e alla fine si decise ad aprirla.
“ fino ad ora ho usato le parole di altri, perché sapevo che con le mie non avrei saputo spiegare tutto questo. Sai, è strano, proprio io.. io che dovrei essere bravo in queste cose, mi trovo incapace a trovare la parole giuste di fronte a te. Kate, ho conosciuto grazie a te una nuova parte della mia vita, ho conosciuto qualcosa che non avrei mai potuto trovare altrove. Guardo i tuoi occhi e capisco che sarei incapace di vivere senza. Tu, la tua bellezza, la tua forza, il tuo essere straordinaria mi avete reso un uomo migliore. Ed è per questo che continuo a  guardarti giorno dopo giorno, ad ascoltarti, a seguirti, sperando che un giorno tu capisco quanto io ti ami. E sperando che prima o poi anche tu ti senta libera e finalmente pronta a lasciarti andare. Quel giorno, se solo tu lo vorrai, sarò lì ad aspettarti. Sempre.”
Non c’era firma, non che servisse.
Una singola lacrima le solcò il volto sorridente e sentì il cuore esplodere.
Come un enorme vulcano libero finalmente di eruttare.
Castle, il suo partner, il suo migliore amico, il suo uomo.
E fu in quel momento che lo vide entrare con un’espressione intimidita.
Beckett lo osservò per qualche secondo e ogni cellula del suo corpo sapeva che non esisteva luogo più bello di quello.
Quello in cui lui era con lei.
Si alzò velocemente e lo raggiunse, costringendolo a fermarsi a metà della sua avanzata verso il tavolo.
Castle sorrise quando la donna era ormai a pochi centimetri dal suo volto.
Beckett gli puntò il dito sul petto.
B: sai, iniziavo a pensare seriamente ad un maniaco.
Castle capì quel tentativo di spezzare il nervosismo e rispettò i suoi tempi.
C: il più bel maniaco degli ultimi tempi.
Beckett sorrise e finì con il perdersi nei suoi occhi, dimenticando il resto.
B: grazie.
Abbassò la voce ad un sussurro.
Castle sorrise.
C: mi sembra il minimo per la mia musa.
Beckett si avvicinò e non riuscì a far altro che appoggiare la sua testa sul petto dello scrittore, lasciandosi avvolgere dal battito regolare dell’uomo.
Castle rimase immobile per un secondo e poi la circondò con le sue braccia, sfiorandole i capelli con le labbra.
B: ti amo, forse più di quanto abbia mai fatto in tutta la mia vita.
Il volto della donna si rivolse a quello di Castle che ne studiò i dettagli.
Le labbra dello scrittore si aprirono leggermente e le sue dita accarezzarono lentamente la guancia leggermente umida della donna.
E lì lasciarono che le loro anime si toccassero in un unico contatto.
Labbra su labbra, in un movimento perfetto, battiti sincronizzati.
Respiri trattenuti per qualche secondo, solo per gustare quell’attimo.
Impetuoso come la tempesta che si infrange sul limpido cielo e delicato come la brezza marina sulla sabbia impotente.
 
   
 
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