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Autore: laNill    15/02/2012    4 recensioni
“Allora..? Quale essere risposta?”
“Guardami.”
Kagura sbiancò, sul punto di inforcarsi velocemente gli occhiali sul viso; una gesto che la mano di Okita gli impedì di portare a termine.
“Senza occhiali. Guardami in faccia.”
Fece un gesto di diniego col capo, muovendo le ciocche della frangetta che ancora le coprivano il volto. Non ci riusciva, non con lui che le parlava e la guardava in quel modo.
In che modo avrebbe potuto dirglielo?
[Kagura x Okita Sogo]
Genere: Demenziale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Kagura, Okita Sogo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mi piaci ma.. Muori!


“Ehi, polpetta, smamma.”
Un paio di occhialoni rotondi come fondi di bottiglia si alzarono verso la figura del giovane.
“Uh?”
“Mi hai sentito! Vedi di andartene o ti infilo il mio panino nel naso.”
La ragazzina si soffermò sull’espressione atona del ragazzo, tanto quanto la sua del resto, per poi ritornare con l’attenzione ai suoi snack di bambù ignorandolo totalmente.
“Non provare ad ignorarmi, microbo.” Continuò con voce altrettanto piatta. Gli prese la fronte a palmo aperto, spingendogliela avanti e indietro per farla cedere sentendo, però, la resistenza inumana di lei che si opponeva alle sue spinte verso il muro.
“Me non essere microbo. Semmai cosa che tu avere tra gambe è microbo, di certo non io.”
“Fai anche la spiritosa erotica; Cos’è? Ti sei svegliata eccitata stamattina?”
“Essere tu che parlare di panino nel naso. Ti piace così tanto minacciare me di mettermelo dentro?”
“Tu sei quella che sta godendo come un maiale. Dì, ti piace il calore del termosifone?” affermò indicando con lo sguardo uno dei termosifoni lungo il corridoio scolastico, davanti al quale aveva preso postazione la piccola ragazzina dai capelli rossi raccolti in due polpette ai lati della nuca.
“Mmmh, accettabile; anche se sue prestazioni essere molto scarse oggi.”
“Oh, mi dispiace. Perché allora non fai mettere me che lo controllo come ogni ricreazione, eh?” chiese marcando le ultime parole come a sottolineare il fatto che quel termosifone era di sua proprietà.
“Accesso negato. Prego riprovare prossima volta, grazie.”
Lo sguardo nocciola del bruno si assottigliò, col volto privo di qualsiasi emozione, sia essa positiva o negativa; prese, allora, uno dei bambù secchi dalla busta di plastica che aveva in mano la ragazzina e glielo spinse con forza nel naso, osservando la sua reazione mentre la parlava.
“Vediamo se anche qui è accesso negato.”
“Lo sapevo, tuo essere così piccolo che io non sentire proprio nulla.”
La ragazzina continuò a guardarlo con la sua stessa espressione mentre, con la mancina, tentava di stritolargli il polso della di lui mano con la quale stava ancora cercando di spingergli il viso all’indietro.
Ad un occhio esterno, quei due sarebbe stati considerati fuori di testa privi di qualsivoglia lucidità mentale. Ma tutti sapevano, ormai, che quella piccola ragazzina dalla figurina esile e dall’aspetto, quasi, da secchiona aveva in sé una forza sovrumana e una capacità di nullafacenza al di fuori del comune; mentre il giovane dal viso quasi di un ragazzino diligente e dal comportamento tranquillo era, in realtà, il capo sadico indiscusso di tutta la scuola e tutto era fuorché diligente.
“Vattene da qui o ti stacco la testa.”
“Provaci e io staccare te quelle che tu chiami palle.”
“Oi, Sogo!” la voce del loro compagno di classe lo fece bloccare istantaneamente ed indietreggiare, volgendo poi lo sguardo verso la figura di Kondo.
Pareva.. agitato? Aveva il viso completamente rosso e respirava quasi con affanno e con occhi di fuori richiamava animatamente il compagno, al ché, in un primo momento, il ragazzo pensò davvero di ignorarlo.
Dietro di lui, a tentare di calmarlo inutilmente, c’era la figura del moro Hijikata anche se, come il ragazzino più giovane, desiderava ignorarlo anche lui.
“Cos’è? Tuo amico avere un orgasmo per caso?” chiese la piccola, guardando nella sua stessa direzione.
“No, ha solo preso di nuovo un paio di mutandine di Otae.” Rispose incamminandosi con le mani in tasca, molto lentamente.
“Oh. Auguri.”
“ ‘Azie!” rispose lui, alzando la mano in segno di saluto senza voltarsi.
La rossa ritornò con l’attenzione ai suoi bambù secchi ma, dopo una manciata di secondi, ecco che gli occhi nascosti da quelle lenti si spostavano titubanti sulla figura del giovane di spalle.
Era da un po’ di tempo ormai che si era ritrovata ad osservarlo, a sua insaputa, più del necessario; un movimento che, il più delle volte, era accompagnato da un battito accelerato e un bisogno d’ossigeno che la lasciavano perplessa.
Anche in quell’occasione. Era stata dura ma era riuscita a celare perfettamente il suo batticuore per la sua vicinanza e il suo imbarazzo a guardarlo negli occhi.
Sospirò sconsolata, masticando lo snack e producendo un rumore che fece allontanare all’istantanea tutti gli studenti che erano nei paraggi, ignorati bellamente dalla stessa.
Aveva capito, infine, cosa era tutto quel trambusto che aveva.
Era stata proprio Otae a spiegarglielo, l’unica alla quale aveva avuto il coraggio di parlargliene un paio di settimane prima; non sapeva come la sua sorrelona potesse sapere quegli argomenti, principalmente non capiva ancora a cosa pensasse mentre glieli spiegava, visto lo sguardo perso e un po’ corrucciato che aveva fatto, ma sta di fatto che aveva un problema.
Si era innamorata.
E non di una persona qualsiasi; della persona più odiosa che gli poteva capitare in tutto il mondo: Okita Sogo.
“Kagura!”
La voce di Shinpachi la raggiunse, anche se un po’ in ritardo.
“Cosa volere, occhialuto?”
Un giovane con gli occhiali inforcati sugli occhi e dall’espressione anonima la raggiunse.
“Come cosa voglio? Non ti ricordi che ci dovevamo vedere per quel favore? Dai, vieni che decidiamo prima che finisca la ricreazione.”
L’amico fece per rientrare in aula ma la manina di Kagura lo fermò prima che facesse un altro passo, afferrandogli un lembo di camicia e abbassando il viso, contrito in un piccolo broncio.
“No in classe; troppa gente impicciona..”
Shimpachi sorrise.
“Ok, allora andiamo su per le scale, va bene?”
E mentre stavano per incamminarsi, lo sguardo azzurro intenso della ragazzina non poté fare a meno di posarsi di nuovo sulla figura lontana di Okita; uno sguardo che venne ricambiato, a sua insaputa, solo quando lei si era ormai totalmente voltata e seguiva docile l’amico.

Il giorno dopo era sfinita.
Anche il pomeriggio prima, come il resto dei pomeriggi seguenti, si era esercitata a casa di Shinpachi sotto la sorveglianza dello stesso ma il risultato non era venuto come avrebbe voluto e solo a tarda sera era ritornata a casa, più distrutta che mai, non tanto fisicamente quanto psicologicamente ed emotivamente con l’oggetto finale tra le mani.
Non era tanto sfinita per la fatica che stava facendo per un idiota come Sogo ma più perché si era ritrovata a pensare che i suoi sforzi sarebbero stati inutili. Poi, come avrebbe potuto consegnarglielo, quel pacchetto?
Il problema inoltre, non era solo nella sua testa, ma sfociava anche sull’incapacità di contenersi quando si trovava vicino o in sua prossimità.
Si era ritrovata a spaccare matite su matite, a volte il suo stesso banco o quello di altri, a sgonfiare il pallone da pallavolo per la troppa potenza che gli aveva dato, o anche la cavallina con un pugno involontario mentre saltava. E tutto per la presenza oltremodo eccessiva di Sogo vicino a lei; una cosa che non gli aveva mai dato problemi prima di allora.
Non che pensasse davvero che quel deficiente potesse capire cosa provava, eh; ma almeno un pochino, in fondo al cuore, ci credeva che avrebbe accettato o per lo meno capito, pensandoci sù.
Aveva pensato tutta la notte a ogni eventualità o alle infinite possibilità su come avrebbe potuto darglielo, perdendo persino la cognizione del tempo e arrivando all’alba che non aveva chiuso occhio.
All’entrata del professor Ginpachi, dunque, fu inevitabile la sua impossibilitata partecipazione all’alzata totale degli studenti, in segno di rispetto verso l’insegnante.
La sua, quanto quella di un altro studente.
“ ‘Giorno, ragazzi.” Principiò entrando mentre si puntellava la spalla con il registro di classe nella mano, portando poi lo sguardo ai giovani che erano rimasti seduti. “Oooooi! Kagura! Okita! Vi sembra questo il momento per dormire?”
Si avvicinò lentamente alla più piccola, dando un calcio alle gambe del banco, costringendola a svegliarsi rintontita.
“Mmmh? Essere già mattina? Ancora cinque minuti, mammina.”
E rigirandosi dall’altra parte, si rimise a braccia conserte facendo per riaddormentarsi.
Il professore dai capelli argentei sospirò, dandogli una sonora quanto secca registrata sulla nuca.
“Uh?” Kagura si voltò di nuovo, ancora più intontita di prima con gli occhialoni leggermente sbilenchi. “Ah. Salve signor postino, potrebbe inviare una cosa per me? Non so come dargliela, grazie tante. Ora lasciare me dormire, però.”
“Questa ragazzina non ci sta con la testa!”
Un altro russare lo fece voltare verso la figura dell’altro suo studente, avvicinandosi e facendo lo stesso procedimento con lui.
“Eh? Cosa c’è?”
Okita rizzò mollemente il capo, mostrando la sua mascherina rossa sopra il viso e puntando, con gli occhi finti sopra disegnati, il punto dove doveva essere il volto dell’uomo.
“C’è lezione, scansafatiche. Se non volevate venire a scuola, facevate meglio a rimanere a casa, idioti.”
Un altra registrata lo colpì alla testa, alla quale quello si tolse la mascherina.
 “Oi, boss. Non sapevo avessi le tue cose ma, anche se non sembra, io sono una persona seria. Mica rimango a casa a dormire, semmai dormo in classe ma almeno a scuola ci vengo.”
“Ti ascolti quando parli, deficiente?” lo ammonì severo Hijikata dall’ultima fila lanciandogli l’astuccio in testa.
La classe scoppio in una risata divertita mentre il professore ritornava al suo posto e Okita si girava a riconsegnare, o per meglio dire lanciare tramite un bazuka, l’astuccio verso Hijikata.
Persino la piccina si era voltata a guardarlo e, ad accompagnare il delicato color indaco delle iridi, indirizzato al ragazzo con la mascherina sugli occhi, vi era un sorriso ironico nascosto dalle sua esili braccia.
Purtroppo per loro, alla lezione seguente, la professoressa Tsukuyo non fu gentile quanto Ginpachi, finendo sbattuti fuori dall’aula.
“Guarda che casino che hai fatto, sei soddisfatta?” la rimproverò Sogo, seduto a gambe incrociate, con la schiena poggiata sul suo termosifone.
“Ma se essere stato tu a volere vedere chi riusciva a sputare dentro occhio di Yamazaki.” Borbottò la rossa, dando dei piccoli colpetti con la punta della scarpa da ginnastica al muro adiacente all’aula.
“Non essere stupida, hai iniziato tu che volevi vedere quanto più lontana riuscivi a sputare.”
“Allora può essere che gli sputi essersi mischiati. Tu come hai fatto a sapere che quello che colpito la professoressa essere mio?”
“Si sentiva dall’odore, solo tu mangi quello schifo di bambù.”
“Come tu fare a sentire odore di uno sputo?” chiese incominciando a dare calcetti di poco più forti non più al muro, bensì sul braccio del giovane sotto di lei.
“Posso; ma, senti un pò, tigre.” Principiò di punto in bianco, guardandola dal basso verso l’alto.“Si può sapere cosa cavolo ti succede?”
A Kagura parve mancare il terreno sotto i piedi, percependo una morsa atroce al proprio stomaco. Era dunque giunto il momento? Sì, glielo avrebbe dato, poteva farcela; bastava solo che il suo cuore la smetteva di battere così forte e che le sue guance non assumessero quel colorito rosso, tanto da costringerla a guardare a terra e non più al di lui viso.
“Vuoi dire che mio sputo è diverso da solito? Si, in effetti avere un colore un poco giallino ma..”
“No, cretina!” la ammonì con un tono tendente tanto al serio da costringendola a riguardarlo negli occhi, in silenzio ma con il cuore che gli martellava in petto. “Intendo del tuo comportamento. Da quand’è che ti metti a distruggere ogni cosa che ti capita a tiro? Di solito è tentando di ammazzare me che spacchi la roba, com’è questi raptus felini? Hai sentito il richiamo animale che è in te una volta al mese?”
La piccola rimase in silenzio, sfiorando lentamente la tasca dei pantaloni della tuta, che indossava sotto la gonna, dentro la quale vi era riposto l’oggetto.
E in quel momento le prese l’angoscia. Non ci riusciva, non riusciva a darglielo né a spiccicare parola; tutti i suoi pensieri e i film che si era fatta, in quel momento, davanti al suo sguardo intenso erano andati a farsi benedire e, con loro, anche la sua grinta di pochi minuti prima.
Come glielo diceva? Come glielo dava, poi?
Sarebbe stato meglio essere concreta e concisa? O meglio più timida o balbettante? Oppure glielo poteva dire per giri di parole e vie traverse! No, no, troppo complicato; non era da lei.
E mentre Kagura era nel suo mondo contorto, Okita si alzò dalla sua postazione, ripulendosi i pantaloni.
“Mentre ti rincoglionisci da sola, io vado al bagno eh.”
O forse sarebbe stato più utile fare come facevano un sacco di ragazzine, darglielo mentre si dichiaravano e poi scappare via come un razzo.
Sì, avrebbe fatto così. Diretta, concreta, trasversalmente complicata si sarebbe dichiarata e poi partirgli a razzo e investirlo con tutto il suo amore.
Alzò lo sguardo ma, dove prima c’era il compagno, ora era rimasto il vuoto. Si voltò alle sue spalle, vedendolo già abbastanza lontano da dove si trovava lei e, senza farsi scappare un altro minuto, si mise in posizione di battuta, prendendo l’oggetto sulla destra.
“Questo è per te, idiota!!!”
E urlando ciò, glielo tirò con tutta la forza che aveva, colpendolo dietro alla nuca e facendolo ribaltare in avanti sotto lo sguardo perplesso e atono di Okita per ciò che era appena accaduto, non capendo cosa l’avesse colpito, mentre sentiva dei piccoli passi che velocemente si allontanavano.
“Ma è scema..?”
Si alzò a sedere, massaggiandosi la testa e, solo allora, notò un piccolo pacchettino rosa, con nastro annesso, al suo fianco, tutto rattrappito per il contraccolpo che aveva subito, cozzando con la sua testa; un pacchettino che, in origine, doveva avere la forma di un cuore ma, tra le mani del giovane, era una specie di scatola informe.
Alzò lo sguardo verso il punto dove doveva essere sparita la compagna, per poi riabbassarlo verso il bigliettino che vi era incastrato tra le pieghe del nastro.
“Allora era questo che ti preoccupava..” sospirò passandosi una mano tra i capelli mentre, di nascosto, un sorriso gli dipingeva le labbra.
“Ehi, Sogo! Che diamine è stato?”
Come da copione, la professore uscì infervorata dall’aula, andandogli incontro, in attesa di una spiegazione che arrivò ma che non fu quella che si aspettava.
“Sono andato in bagno, professoressa. E’ stata la potenza del mio spruzzo a creare quella botta, probabilmente.”
E mentre Okita fuggiva dai colpi di kunai usciti chissà dove della donna, con ancora in mano il pacchetto, le parole che erano scritte su quel biglietto riecheggiavano nella testa della piccola Kagura, rinchiusa in bagno, con il cuore che batteva forte, il fiato corto e il viso completamente rosso per l’imbarazzo.

“Mi piaci”




“E.. Ehi, Kagura! Do.. Dove lo stai portando quello?” chiese spaventato Shinpachi, vedendoselo sradicare davanti agli occhi e sperando che non gli venisse tirato addosso.
“Visto che qui non potere stare, me portare questo in posto più tranquillo.”
E, senza neanche voltarsi, iniziò a salire le scale fin sull’ultimo piano; fu in quel momento che Sogo, accompagnato da Hijikata e Kondo, uscì dalla classe e scorse la figurina di Kagura, restando ad osservarla per una manciata di secondi.
Era passata una settimana, e non si era più rivolta parola con Okita.
Ed in quel momento, seduta sopra al termosifone che aveva appena prelevato, disteso a terra e ancora flebilmente caldo, pensò di aver fatto un’irrimediabile cavolata.
Sgranocchio un bambù secco, portando gli occhiali verso l’alto e lasciando andare la schiena contro la ringhiera della terrazza superiore.
Era stata una stupida, stupida, stupida.
Per colpa del suo essere come le altre, romantiche e sdolcinate, aveva finito per rovinare un rapporto di odio e di prese per il culo giornaliere; anche se, parlare di rapporto era un tantino esagerato visto come si comportavano l’un con l’altro.
Ma più cercava di non pensarci, più la sua mente glielo impediva e, inevitabilmente, percepiva quella morsa al cuore che le faceva annebbiare gli occhi e portarla sull’orlo del pianto, come in quel momento.
Ma non furono solo le lacrime ad annebbiargli gli occhi, fu anche qualcosa di più viscido che, di punto in bianco, gli si spalmò sulla lente sinistra degli occhiali, facendole abbassare il capo perplessa.
E per poco non gli venne un colpo al cuore.
“Vittoria. Se non avevi gli occhiali, ti avrei beccato in pieno!”
Era lui, era Okita che avanzava con il segno di vittoria e una linguaccia su quel viso apatico che si ritrovava.
Perché lui? Perché lì? Perché in quel momento?
“Che cosa volere tu?” chiese atona, abbassando il viso di modo da lasciar nascondere gli occhi lasciati nudi mentre tentava di ripulire quello schifo che gli aveva sputato contro, sull’orlo della gonna.
“Prima di tutto rivoglio il mio termosifone.”
“Pensavo tu volere solo quel pezzo di muro perché ti arieggia tue parti basse, ecco perché io avere preso termosifone.”
“Anche per quello, ma più di tutti mi riscaldava il culo; quindi lo rivoglio in quel posto.” Sospirando, dunque, prese posto affianco a lei, lasciandola perplessa e interdetta con il cuore che gli era salito in gola a quel contatto minimo con il suo braccio. “E poi, sto aspettando.”
“Cosa?”
“Che tu venga a chiedere la risposta per questo.” Principiò tirando fuori il bigliettino del pacchettino rosa e che Kagura guardò di sbieco, nascosta dai ciuffi rossi; un rossore che parve mischiarsi tra il colore dei capelli e quello delle sue guance.
“Non dire cazzate. Essere te che doveva venire da me, e invece tu essere stato asociale per più di una settimana.” Borbottò sentendosi pizzicare nuovamente gli occhi.
Basta, Kagura. Basta!
Sentì un sospiro da parte dell’altro e una mano che gli andava a spettinare i capelli per poi sentirsi spingere il capo leggermente dalla parte opposta.
“Certo che non sai nulla su come ci si dichiara, eh? Sei te che devi ritornare da me a chiedermi qual è la mia risposta, cretina.”
“Cos..?”
“E per la cronaca, non sono io quello che si è isolato da tutto e tutti, scomparendo durante le ricreazioni e non accorgendoti nemmeno delle occhiate che ti lanciavo.”
A Kagura il cuore mancò di un battito, un altro e un altro ancora.
“E.. E tu potevi anche fare primo passo.” Borbottò nascondendo ancora di più il viso.
Non voleva farsi vedere, non così, non da lui.
“E rischiare di perdermi l’imbarazzo di Kagura? Non penso proprio, caccola.” Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che un pugno in pieno stomaco lo fece piegare in avanti, lasciandolo sorridere ironico. “Touchè.”
Rimasero in silenzio, lui a cercare di capire cosa passasse per la testa di lei; lei che cercava di capire cosa l’altro voleva dirgli.
Alla fine, riuscì a prendere coraggio e a chiederglielo, prendendo una grande e veloce boccata d’aria.
“Allora..? Quale essere risposta?”
“Guardami.”
Kagura sbiancò, sul punto di inforcarsi velocemente gli occhiali sul viso; una gesto che la mano di Okita gli impedì di portare a termine.
“Senza occhiali. Guardami in faccia.”
Fece un gesto di diniego col capo, muovendo le ciocche della frangetta che ancora le coprivano il volto. Non ci riusciva, non con lui che le parlava e la guardava in quel modo.
In che modo avrebbe potuto dirglielo?
“Se non lo fai, dirò a tutti che ti sei dichiarata a me.”
“No.”
E fu in quel momento, con la paura che qualcuno potesse in qualche modo dubitare dell’odio che lei aveva per l’altro che gli mostrò il viso pallido e arrossato sulle guance, con le labbra serrate in un’espressione vergognosa e imbarazzata, quasi spaventata, con le iridi azzurre a fare da contorno a quel viso stupendo che Okita stava osservando, per la prima volta senza occhiali.
“Non ci provare. Tu.. tu mi piaci ma.. se tu cadere da scale, sbattere testa e rompere collo ne sarei molto felice.”
Okita rimase a guardarla, alquanto perplesso, per poi scoppiare in una risata divertita da piegarsi in avanti e premersi le mani sullo stomaco, lasciando Kagura interrogativa e ancora semi-imbarazzata per ciò che gli aveva rivelato.
Lo guardava ridere e il cuore parve riempirsi di gioia; era questo, allora, ciò che chiamavano innamorarsi?
“Capisco, dunque è questo ciò che pensi di me.” Affermò sulla scia della risata, coprendosi le labbra con la mancina e soffermandosi a guardarla nuovamente, sornione. “Ora sono sollevato, pensavo non mi odiassi più.”
Kagura non fece nemmeno in tempo a rendersene conto che le labbra di Okita si posarono delicate sulle proprie, lasciandola lì, a spalancare le palpebre attonita e a bloccare, momentaneamente, l’aria in petto tanta era l’emozione e la sorpresa.
Era delicato, quasi percettibile, in netto contrasto con tutte le botte e le sberle che giornalmente si davano l’un l’altro; e, anche se le stonava un po’, era piacevole.
Estremamente piacevole.
“Ora sai qual è la mia risposta.” Gli sussurrò a fior di labbra, riaprendo gli occhi che aveva momentaneamente chiuso, per osservare l’espressione di lei.
“E, per dimostrarti che continuerò ad odiarti..”
A quella il giovane gli andò con  la mano davanti al viso e, posizionando le dita della destra come a lanciare una biglia, gli schioccò un colpo al naso tale da farla reagire male, molto male, e istantaneamente.
“Stronzo!” gli urlò mentre afferrava un suo bambù secco e lo conficcava tra le gambe incrociate del compagno, a pochi millimetri di distanza da ciò che Okita aveva di più prezioso e vitale.
“Oi oi, non pensi che sarebbe un problema anche per te se il nostro amico laggiù si facesse male?” principiò lui, alzandosi di scatto e indietreggiando con una mano a coprire il pacco.
“Me ne sbatto. A me non interessare minimamente di quel microbo; tu ora pagare per ciò che hai fatto a mio povero naso.” Rispose infuriata lei, indicando il suo povero nasino completamente rosso e dolorante.
“Su, nanerottola, non prendertela a male.” Disse schivando colpi di piccoli pezzi di bambù che gli venivano lanciati a velocità stratosferica. “Sai che se ti agiti così, ti può salire la pressione e rischiare di avere un collasso?”
“MUORI!”
E mentre sul terrazzo della scuola si stava per compiere un omicidio tra colpì di bambù secchi e difensive con un termosifone sfasciato, sul viso di Kagura si poteva leggere a chiare lettere quanta felicità provasse in quel momento.
Non era cambiato nulla, si piacevano ma continuavano ad odiarsi.
E questo a Kagura bastava.
Purtroppo per Okita, però, quella felicità stava sfociando nel modo più doloroso possibile.



*Nota dell'Autrice:
LO SO! Sono di un giorno in ritardo.
In teoria l'avrei dovuta pubblicare nel giorno degli innamorati ma non ci son riuscita - come sempre D:
Vabbeh. Spero che vi piaccia, l'ho scritta di getto.. non so nemmeno se faccia schifo o cosa, ringrazio solo di aver avuto un'illuminazione che stavo attendendo ç^ç
Come avrete già notato dalla precedente storia, la coppia KaguOki mipiace da impazzire <3; inoltre questa volta l'ho creata basandomi sulla versione scolastica di Gintama che si vede verso la fine dei primi episodi.. mi auguro di non aver creato una cazzata, cosa molto probabile invece LOL
Godetevela e, se volete, lasciate un commentino!
See ya :3
  
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