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Autore: Tifawow    15/02/2012    3 recensioni
"-E tu, Kirkland??- esclamò Gilbert, lasciando che un sorriso canzonatorio gli si disegnasse sulle labbra -Quanti biglietti hai ricevuto quest'anno?-.
Oh, cavolo!
-Si, Arthur!- gli diede man forte Francis, il cui sguardo si era fatto più che mai interessato -Tu quanti ne hai ricevuti?-.
Il silenzio accolse subito quella domanda e il volto dell'inglese si fece di cera, mentre nella sua testa iniziò una furiosa battaglia tra i suoi neuroni per decidere che cosa fosse più dignitoso rispondere, se la verità o una ben costruita bugia. Accidenti, ma non lo sapevano quei due che quella non era più una domanda educata? Doveva considerarsi fuori luogo al pari di “come mai non ti sei ancora sposato” oppure “si è più saputo niente di tuo padre dopo che dieci anni fa uscì per comprare le sigarette”.
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Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Insensata e ridicola operazione commerciale
Autore: Tifawow
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Verde
Genere: Sentimentale, romantico
Avvertimenti: Shonen-ai, AU
Pairing: Francis Bonnefoy/Arthur Kirkland (FrUk♥), accennati GerIta, LietPol, SuFin. Spamano, e forse qualcos'altro.
Note: la situazione descritta da questa fic è ispirata dalla mia recente lettura de “Il diario di Bridget Jones” e alla scena di San Valentino che ritrae lei e Daniel Cleaver. Se non avete letto il libro ve lo consiglio caldamente, è davvero carino e divertente *-*
Ci tengo a precisare che i pensieri di Arthur non sono i miei e che sono solo dovuti a esigenze di copione, ecco U_U
E ultimo, ma non ultimo, voglio dedicare questa fic a tutte le/i Bridget Jones che per un motivo o per un altro ieri sera hanno festeggiato da soli o con gli amici(come la suddetta, che è andata fuori a festeggiare con altri amici single XD)... oggi è la nostra festa!!! *-*
Accoppiati... voi non è che vi odio, eh? Sono solo tanto invidiosa♥



..::..Insensata e ridicola operazione commerciale..::..


E come tutti gli anni era infine arrivato.
Inesorabile, implacabile, puntuale come un avviso di garanzia, tremendo come quaranta gradi all'ombra d'estate e temuto come un'invasione di cavallette, il giorno di San Valentino era ormai e purtroppo giunto e con esso tutta la serie di ridicoli rituali che lo accompagnavano.
Biglietti, fiori, cioccolatini... usanze che avevano il sapore di un rito voodoo e che avevano il potere di renderlo ancora più freddo e scostante di quanto già non fosse, trasformando il suo carattere già normalmente difficile in una vera trappola mortale.
Arthur Kirkland odiava San Valentino.
Lo odiava dal profondo del cuore, fin da quando era un ragazzino del liceo che con tutte le sue forze si sforzava di non degnare di uno sguardo gli scambi di regali e di biglietti intorno a sé e che fingeva di studiare con la testa bassa sui libri, pregando che i compagni di classe non si accorgessero della sfoltita alle sopracciglia che si era dato... beh, non certo nella speranza di apparire più carino e di ricevere qualche regalo, ecco!
Perché lui, giornalista di cronaca presso la famosa rivista di Star News, non aveva mai avuto tempo per certe cose, né allora ne tanto meno adesso, proprio no!
Lui era un lavoratore serio e impegnato, ligio al dovere e rispettoso delle scadenze, e di certo non aveva tempo per... come amava chiamarla di solito?
Ah sì!
Ridicola e insensata operazione commerciale!
Non si era mai definito un cinico, ma questo non toglieva il fatto che lo fosse, così come non si poteva discutere sul fatto che, al liceo e anche negli anni immediatamente successivi, in un lasso di tempo che comprendeva la sua intera vita fino a quel momento, San Valentino fosse stata per lui una specie di tortura, un rituale sadico nel quale era costretto a osservare la felicità altrui.
Quando quella mattina si era svegliato aveva capito subito che qualcosa non andava. C'era un profumo troppo zuccheroso nell'aria, un certo senso di rosea dolcezza che gli faceva accapponare la pelle e che lo aveva messo sul chi vive, come se fuori dalla porta di casa ci fosse stato un leone pronto a sbranarlo. Eppure, come ogni mattina, da bravo impiegato si era alzato e vestito, aveva fatto colazione con tè e scones e poi era uscito, con la sua brava ventiquattrore in mano e il cappello in testa.
E solo quando i suoi occhi si erano posati sull'eccitato via vai della strada, quando aveva visto nugoli di ragazzine correre in giro con cioccolatini e pacchetti in mano, aveva capito con un tuffo al cuore che il tanto odiato giorno era arrivato.
Ma Arthur non si era certo fatto scoraggiare! Nossignore! Lui non era certo il tipo da farsi battere da una stupida ricorrenza! Con aria di superiorità si era guardato intorno, camminando fiero lungo la strada che da casa sua lo avrebbe condotto in ufficio, sentendosi più che mai orgoglioso di non partecipare a quella che considerava una festa di convenienza bella e buona e sospirando intimamente di sollievo quando, finalmente, le porte del palazzo che ospitava la redazione si erano chiuse alle sue spalle, mettendo un muro tra lui e quella dannata festa.
Era contento della sua compostezza sebbene, quando quella mattina si era alzato, non fosse stato preparato all'avvento di quel giorno.
E dire che, nei giorni precedenti, ce ne era stato di avvisaglie!
Feliciano ad esempio, uno dei giovanissimi dirigenti del giornale per cui lavorava, non aveva fatto altro che dedicarsi a decorare un biglietto artistico, così carico di cuori e fiorellini da poterne far sentire fisicamente il peso, da consegnare sicuramente a Ludwig, l'avvocato biondo che lavorava nell'ufficio di fronte a loro con il quale intratteneva ormai da mesi un intenso flirt. Le ragazze della segreteria non avevano fatto altro che ridacchiare e lanciare occhiate stuzzicanti ai giovani aitanti che lavoravano nel cantiere vicino, nelle speranza di essere invitate e persino l'algido svedese che lavorava all'attualità, solitamente un pezzo di ghiaccio, era stato visto di fronte ad un famoso negozio di cioccolateria, intento a scegliere con cura una scatola di cioccolatini che, fonti certe avevano suggerito, essere stati poi indirizzati a Tino, il tecnico delle macchinette del caffè che passava ogni due giorni a fare rifornimento.
Per non parlare poi di Francis!
Francis...
Solo nel pensare a quel nome e nel rievocare la sua brutta faccia di rana barbuta, si sentì prendere da un fastidio tale che, se non fosse stato praticamente ormai di fronte alla porta dell'ufficio, sarebbe tornato a casa e si sarebbe messo in malattia per almeno due giorni!
Ecco, se c'era qualcosa (perché definirlo qualcuno era troppo) che aveva il potere di farlo irritare più di San Valentino era Francis Bonnefoy, il francese che lavorava nell'ufficio stampa.
Un essere dallo scarso quoziente intellettivo, depravato, petulante e fastidioso come una zecca, che fin dal suo arrivo al giornale non aveva fatto altro che cercare di insidiarlo e palpeggiarlo, decantando verso di lui un alquanto improbabile colpo di fulmine e consolandosi poi con il resto della popolazione femminile ad ogni suo (costante!) rifiuto.
Con una smorfia, Arthur si trovò a constatare per l'ennesima volta quanto fosse irritante, lui e le sue melense frasi da bacio perugina, i suoi occhi blu, i suoi modi da principe azzurro (che poi era solo apparenza, lo sapeva bene Arthur che dietro quei modi da gran signore si celava un animo perverso e litigioso) e tutti quei sorrisi ammiccanti che rivolgeva ad ogni essere semovente!
Non che gli importasse se faceva gli occhi dolci a qualcun altro!
Assolutamente no!
Era solo che vederlo utilizzare il suo bel faccino anche sul lavoro lo irritava da morire.
Perché insomma, non poteva dire che fosse brutto.
No, quello no. Insomma, anche un cieco avrebbe dovuto rassegnarsi sul fatto che Francis fosse schifosamente bello e sensuale, con due occhi da cerbiatto assuefacenti (che non aveva MAI fissato!) e un fondoschiena da fare invidia a un modello (parte sulla quale non si era MAI soffermato a fare fantasie!).
Quello che veramente non poteva sopportare di lui, oltre al fatto che fosse francese (particolare da non sottovalutare), era il suo carattere troppo aperto, il suo modo di fare lascivo e sicuro di sé. Quante volte lo aveva pescato a fissarlo con occhi da depravato o peggio, con una mano sulle sue sante natiche inglesi?
Troppe!
Per non parlare delle allusioni, degli abbracci a tradimento, delle battutine velenose che irrimediabilmente li portavano a prendersi a botte nel corridoio, dando il via a un nutrito numero di scommesse sull'esito finale.
Insomma, a lui Francis non piaceva per niente! Il solo pensiero di quel francese e dei milioni di bigliettini e che avrebbe sicuramente ricevuto dal suo nutritissimo fan club (sicuramente tutte ragazzine cieche e sorde!) avevano davvero il potere di metterlo in uno stato di nevrotica agitazione.
Sospirò tra sé e sé, scuotendo il capo.
Se non altro, pensò con rammarico (rammarico???), quel giorno poteva stare tranquillo: di certo Francis, preso come sarebbe stato dai mille regali e dal suo pavoneggiarsi, non avrebbe avuto modo di molestarlo.
Con quei pensieri che gli aleggiavano per la testa si decise infine ad aprire la porta dell'ufficio, dopo aver appeso il proprio cappotto e il cappello all'attaccapanni dell'androne.
E nell'entrare, nel sentire un inquietante profumo di vaniglia e cioccolato stuzzicargli il naso, ebbe quasi un infarto.
-Ma... ma...- boccheggiò, guardandosi intorno con aria sconvolta.
Il suo ufficio...
Il suo sobrio e serio ufficio...
Il suo rifugio anti-dolcezze...
Si portò entrambe le mani agli occhi, strofinandoli vigorosamente nel tentativo di cancellare la visione che gli si era presentata allo sguardo, dovendo poi tristemente rendersi conto di quanto fosse vera: di fronte a lui stava l'inferno o, almeno, una versione per lui molto simile.
Cuori e fiori erano appesi ovunque, in ghirlande e mazzi appoggiati sulle scrivanie, sui davanzali e persino nei bidoni della carta, spargendo ovunque un forte e piuttosto fastidioso profumo di rose. I sobri azzurro e beige, colori che avevano sempre avuto una certa predominanza nell'ufficio, sembravano essere stati letteralmente divorati dal rosa e dal rosso, i quali troneggiavano con pizzi e merletti e osceni putti di plastica.
Arthur, in un momento di sconvolta lucidità, potè quasi giurare di aver visto una fontana di cioccolato in sala caffè!
-Che... che diavolo succede qui??- esclamò, incredulo, guardandosi intorno.
-Oh, buongiorno Arthur!- la voce allegra di Antonio, uno dei tre impiegati all'ufficio stampa, lo risvegliò dal suo momentaneo stato di shock -Di ottimo umore a quanto vedo, eh?- gli disse, ridacchiando appena sotto i baffi nel vedere la sua espressione sconvolta.
Arthur si volse verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. Lo spagnolo, sempre allegro e vitale a qualsiasi ora del giorno e della notte, lo aveva accolto con un gran sorriso sulle labbra -Che cosa è successo all'ufficio?- domandò, indicando con gli occhi il tripudio di pizzi e merletti che aleggiavano su tutto. Solo nel riportare gli occhi sullo spagnolo si accorse che questi reggeva un mazzo di rose rosse a dir poco enorme.
-Oh, non è carino??- domandò, assottigliando lo sguardo in un'espressione di pacata dolcezza -Il signor Vargas ha pensato che fosse una bella idea calarsi nello spirito della festa! Abbiamo appeso qualche decorazione!-.
Spirito della festa?
Qualche decorazione??
Con un moto di disgusto Arthur pensò che, più che altro, quella sembrasse la sala da ballo di un liceo, più che un ufficio.
-E quelle??- domandò ancora, riferendosi alle rose che l'altro teneva in mano.
-Oh queste?- disse Antonio, abbassando lo sguardo sul mazzo -Sono per il mio Lovinito! Sto andando a portargliele in direzione!- esclamò, con un sorriso così grande che Arthur per un secondo temette che si slogasse la mascella -E tu, Arthur? Niente rose per nessuno? Nemmeno cioccolatini?- chiese, lanciandogli un'occhiata allusiva e fugando velocemente lo sguardo in direzione della sala stampa, come se si aspettasse da un momento l'arrivo di qualcuno.
Arthur si impettì tutto a quell'insinuazione nemmeno troppo velata, preferendo non rispondere, evitando così di diventare volgare.
Con un sospiro altezzoso e un borbottio incomprensibile sul fatto che dovesse tornare a lavorare salutò Antonio, dirigendosi a passo marziale verso la sua scrivania, trovandola fortunatamente non invasa da alcun tipo di fiore o sciocchezza sdolcinata, posando su di essa la sua valigetta e aprendola con decisione, pronto ad affrontare il lavoro.
Degnò appena di uno sguardo la scrivania di Toris, il correttore bozze, posta proprio di fronte alla sua, che con aria imbarazzata stava cercando di sistemare un enorme mazzo di rose rosa avvolte in una ridicola carta con disegnati sopra dei pony e di ancor meno attenzione gratificò il ragazzo porta-caffè, un danese dall'aria sorridente che stava dispensando degli strani e alquanto inquietanti dolcetti alle fragole e zucchero candito.
-Accidenti...- brontolò di nuovo Arthur tra sé e sé, scostando con la mano destra un festone rosso e vaporoso che pendeva dal soffitto fino a sfiorargli i capelli -Ma quest'anno San Valentino si è fatto di steroidi???-.
Bhe, per fortuna adesso era in ufficio.
A breve avrebbe tirato fuori il suo portatile, preso le comunicazioni che aveva lasciato il giorno precedente nel cassetto, e avrebbe cominciato a buttare giù quel dannato articolo che avrebbe dovuto consegnare tra un paio di giorni. Poi finalmente avrebbe potuto smetterla di pensare a quel giorno dannato, ecco!
Ma non fece nemmeno in tempo a lasciarsi cadere sulla sua amata sedia girevole che una dubbia risata stridula, seguita da una fin troppo familiare battuta francese, gli fece di nuovo rialzare il volto.
-Dieci biglietti!- la fastidiosa voce sensuale di Francis fu, suo malgrado, la prima cosa che udì -Dieci biglietti di auguri con annessa dichiarazione, di cui uno anonimo e due con tanto di numero di telefono! San Valentino quest'anno è stato molto generoso con il sottoscritto...- una risata, dolce e melensa accompagnò quelle parole, in un modo così sfacciato che Arthur potè quasi sentire il sorriso che sicuramente si era formato sulle labbra dell'uomo.
-Nah, tu non puoi certo competere con una persona magnifica come me!- il proprietario della precedente dubbia risata rispose con veemenza, quasi con aggressività -Sedici... se-di-ci! Tra biglietti profumati, cioccolatini e dichiarazioni! Ti sfido a fare di meglio!-.
-Oh mon cher! Ma se vogliamo stare a contare anche i cioccolatini, allora devo alzare le mie cifre! Quattro scatole questa mattina sotto casa e due qui in ufficio... senza contare le tre che avevo già ricevuto ieri...-.
Tipico e ovvio.
Solo un megalomane come Gilbert Beilchmidt, l'ultimo membro del trio dell'ufficio stampa, e una rana maniaca come Francis avrebbero potuto mettersi a discutere così animatamente su quanti biglietti e regali avevano ricevuto quella mattina!
Arthur non ebbe nemmeno bisogno di muoversi per vederli. Dalla sua scrivania alla porta dell'ufficio stampa c'erano solo una decina di metri e i due ragazzi, entrambi visibilmente allegri ed eccitati da quella conversazione, stavano praticamente in piedi sulla soglia, come se il loro obiettivo fosse quello di farsi notare il più possibile.
Represse a stento un'imprecazione, chiedendosi che cosa avesse fatto di così terribile nella sua vita precedente per finire così vicino a quel dannato ufficio ed essere così soggetto, non solo quel giorno ma sempre, alla persecuzione dei suoi lavoratori!
-Kesesesese!- esclamò Gilbert, un albino dagli inquietanti occhi rossi con una forte allergia al lavoro, alzando la mano in segno di superiorità -E se ti dico che in un biglietto c'erano allegate anche foto provocanti? Scommetto che nessuno ti ritiene tanto magnifico da mandartele!-.
-No...- rispose Francis, sorridendo senza perdersi d'animo -Da me vengono direttamente, senza passare per foto. Secondo te perché questa mattina sono arrivato in ritardo?- gli strizzò l'occhio, con fare complice.
-Non ci credo!-.
-Invece ti assicuro che è così!-.
Per qualche secondo ancora quella discussione andò avanti, attirando gli sguardi divertiti degli altri colleghi, suscitando le loro battute piccanti e il disgusto sempre più crescente di Arthur.
Possibile che quei due non sapessero fare altro che perder tempo dietro certe cose?
Come volevasi dimostrare, Francis era davvero così preso che non si era nemmeno accorto del suo arrivo, troppo divertito nell'ostentare con l'amico i numeri del suo fan club in continua crescita. Non si era nemmeno voltato a guardarlo quando era entrato, non una battuta, non un insulto... nemmeno un piccolo saluto disinteressato.
Beh, si disse, per fortuna! Almeno per quel giorno avrebbe evitato una seccatura! Di sicuro la sensazione che provava infondo al cuore, quel piccolo che sentimenti che in altre situazioni avrebbe giudicato come fastidio, doveva essere sollievo,senza dubbio!
Con un sospiro decise di finirla di osservare quei due litigare come due bambini per una cosa tanto stupida. Lui doveva lavorare, non aveva tempo per seguire quei discorsi e se entro cinque minuti non l'avessero finita di fare tanto caos avrebbero dovuto vedersela con lui!
Accidenti quello era un ufficio, non la sede di un'agenzia matrimoniale!
Ma, prima che potesse farlo, successe ciò che Arthur più temeva.
Gli occhi dei due contendenti si posarono su di lui, con una strana luce di divertimento e ironia che, aveva imparato ormai a capire, con quei due elementi non significava mai niente di buono. Istintivamente inghiottì a vuoto un paio di volte.
-E tu, Kirkland??- esclamò Gilbert, lasciando che un sorriso canzonatorio gli si disegnasse sulle labbra -Quanti ne hai ricevuti tu?-.
Oh, cavolo!
-Si, Arthur!- gli diede man forte Francis, il cui sguardo si era fatto più che mai interessato -Tu quanti ne hai ricevuti?-.
Il silenzio accolse subito quella domanda e il volto dell'inglese si fece di cera, mentre nella sua testa iniziò una furiosa battaglia tra i suoi neuroni per decidere che cosa fosse più dignitoso rispondere, se la verità o una ben costruita bugia. Accidenti, ma non lo sapevano quei due che quella non era più una domanda educata? Doveva considerarsi fuori luogo al pari di “come mai non ti sei ancora sposato” oppure “si è più saputo niente di tuo padre dopo che dieci anni fa uscì per comprare le sigarette”.
Le mani si serrarono istintivamente sui braccioli della sedia mentre il peso dello sguardo dei due colleghi, sommato a quello di altri curiosi che si erano avvicinati nella speranza di una rissa, gli fece sentire più che mai il peso del disagio e lo fece tornare in un istante ai tempi del liceo.
Di nuovo inghiottì a vuoto.
-E' solo un'insensata e ridicola operazione commerciale!- esclamò, mettendo insieme tutte le sue riserve di arroganza e superiorità -Una festa macchinata per far su soldi. Mi stupisce che uomini maturi come voi stiano a dare ancora peso a queste cose!-.
Per un secondo nessuno parlò, come se quella risposta i avesse gelati.
Poi sulle labbra del francese si disegnò un sorriso tenue e ironico, velato di un certo compatimento -Ho capito- rispose in tono ovvio, fissandolo con i suoi grandi occhi azzurri -Non ne hai ricevuti...-.
Dieci secondi dopo Arthur era chiuso in bagno, da solo, fumando convulsamente una sigaretta dietro l'altra e maledicendo in ogni lingua conosciuta l'inventore di quel dannatissimo giorno! Dentro di sé, tra una bestemmia e l'altra, si disse che doveva essere per forza un francese!
Oh, come odiava San Valentino!

* * *

La giornata si era infine conclusa, tra gli alti e i bassi della festa.
Per fortuna, dopo un'intensa mattinata di scambio di doni e smancerie, nel pomeriggio si era iniziato a fare sul serio un po' di lavoro e tutti, più o meno, erano stati troppo presi dalle loro mansioni e dall'uscita imminente del nuovo numero di Star News per dedicarsi ad altro che non fossero gli articoli e i servizi da assemblare.
Arthur aveva tirato un sospiro di sollievo.
Non poteva farci niente, per lui quella festa era tabù, una ricorrenza odiata e temuta e gli occhi di Francis, che lo avevano seguito tutto il giorno con fare canzonatorio e provocatorio, prendendolo silenziosamente in giro per la sua mancanza di ammiratori, non avevano certo aiutato a rendergliela più felice.
Per tutto il giorno si era sentito osservato da lui e dal suo gruppo di amichetti, i quali non avevano smesso di parlare delle loro conquiste fino all'uscita, quando si erano resi conto di essere rimasti indietro con il lavoro e avevano quindi dovuto costringersi a rimanere in ufficio più del previsto per mettersi in pari.
Una giornata infernale, insomma.
E nel tornare a casa, nel percorrere a ritroso la via che quella mattina aveva calcato con tanta arroganza e superiorità, ad Arthur sembrò quasi di compiere una marcia della vergogna.
Perché, da quella giornata, ne era uscito di nuovo perdente.
Perché anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, il motivo di tanto odio per quella festa era dovuto al fatto di essere perennemente solo, di non avere mai nessuno con cui festeggiare quello che avrebbe dovuto essere il giorno degli innamorati. Anche al liceo era stato così... era sempre stato così.
La gente gioiva e lui stava solo in un angolo o peggio, solo con se stesso. Sapeva di non essere un'ottima compagnia.
Non era che gli desse propriamente fastidio vedere attorno a sé gente innamorata e felice, era il non potersi comprendere in quella massa gioiosa a non piacergli. E Francis, in un certo senso, era stata la sua speranza per quel giorno.
Francis, con il suo corteggiamento spietato avrebbe dovuto ricordarsi di lui, ecco!
Ma invece non era andata così. Era stato talmente preso dai suoi successi da dimenticarsi totalmente di lui, dimostrandogli quanto la sua attrazione fosse finta e poco importante, dovuta solo al suo continuo negarsi.
Non che ci avesse mai creduto davvero.
Però era stato piacevole, almeno per qualche ora, crogiolarsi nell'aspettativa e nella fantasia di sentirsi un poco desiderato da qualcuno.
Ma era un errore che non avrebbe fatto mai più, si disse risoluto. L'anno prossimo non sarebbe nemmeno uscito di casa, si sarebbe dato per malato e avrebbe passato la giornata a letto, ubriaco marcio e con un film d'orrore in televisione! Così almeno si sarebbe evitato la straziante marcia della vergogna.
Alzando lo sguardo, si accorse di essere finalmente arrivato a casa.
Con un sospiro ficcò le mani nelle tasche, estraendo la chiave e infilandola nella toppa, aprendo la porta con una certa fretta e infilandosi all'interno dell'anticamera, desideroso solo di un tè caldo e di un bel bagno bollente.
Infondo quella era solo una festa.
Solo una dannata festa.
I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa quando, nel chiudersi la porta alle spalle, lo sguardo cadde sullo zerbino, posto all'ingresso: sopra di esso, probabilmente infilato nella buca per le lettere, assieme ad un ammasso di volantini pubblicitari, stava una busta bianca.
Una semplice busta bianca.
Arthur inarcò appena uno dei suoi enormi sopraccigli, avvicinandosi con circospezione alla posta e sollevando quella busta come se fosse un pacco bomba, guardandolo stranito.
Lui non riceveva mai posta. Sua madre preferiva il telefono e suo fratello Alfred, da quando aveva imparato a utilizzare la posta elettronica, non faceva altro che sommergerlo di mail più o meno importanti, giusto per il gusto di tormentarlo.
Se la portò con cautela agli occhi, sobbalzando appena nel riconoscere ai bordi un tenue fregio rosso brillante, rappresentante fiori e putti.
Era un biglietto!
Un biglietto di San Valentino!
Subito, non appena appurato questo fatto, rigirò la busta, cercando un nome un indirizzo, qualcosa che potesse fargli intendere che era destinata a lui e non a qualcun altro. E non riuscì a non farsi prendere da una certa nota di entusiasmo e di speranza, nonostante la sua coscienza inglese gli urlasse a gran voce di trattenersi, di non emozionarsi troppo per un qualcosa che avrebbe potuto non essere per lui.
Osservò la busta per qualche secondo, girandola in ogni direzione, ma niente. Non un nome, neanche quello del mittente, non un indirizzo... era stata evidentemente consegnata a mano da qualcuno che sapeva dove abitava.
O da qualcuno che aveva sbagliato indirizzo.
Per un attimo, reggendo in mano quel biglietto,  Arthur si chiese se non fosse una brutta presa in giro. Fu anche tentato di non aprirlo nemmeno, per non essere costretto ad una nuova delusione nel leggere frasi d'amore non dedicate a lui.
-Al diavolo!- esclamò poi, dopo qualche secondo di riflessione, arrossendo come un peperone e cedendo alla naturale curiosità -Io lo apro!- infondo, anche se avevano sbagliato indirizzo, quel biglietto era stato infilato nella sua cassetta delle lettere e quindi gli apparteneva di diritto.
Con il cuore in gola e una delicatezza che non gli apparteneva si apprestò ad aprire la busta, tremando leggermente nell'estrarre da esso un biglietto dai tenui colori pastello, con il disegno di due amanti sotto la pioggia intenti a baciarsi appassionatamente.
Un disegno dolce, melenso, da bacio perugina.
E quando aprì il biglietto non potè trattenere un gridolino esasperato, ma al contempo stranamente lieto, nel riconoscere la calligrafia arrotondata e quasi femminile di un certo francese di sua conoscenza. 


“Un'insensata e ridicola operazione commerciale.
Per il mio amato bruco sopracciglione.”




..::.Fine.::..


Ok, questa cosa non convinceva nemmeno me, ma ho dovuto pubblicare qualcosa per questo giorno, per rendere onore al glorioso popolo dei single U_U
Spero che possa esservi piaciuta e a tutti voi single (massì, anche a voi fidanzati), auguro un buon quindici febbraio!
Un bacione a tutti voi <3
   
 
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