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Autore: TheMask    15/02/2012    2 recensioni
Questa storia è nata per un'amica, e solo in un secondo momento ho pensato di pubblicarla. Spero sarà di vostro gradimento.
Lupa Nera
Estratto dai prossimi capitoli:
Perché legarsi alle persone, quando sai che presto o tardi, o ti tradiranno o moriranno, o se ne andranno? In questo luogo l’amicizia non esiste, è impossibile. Convivenza, tolleranza, rassegnazione in stile “se non c’è niente di meglio mi accontento”, questo lo capirei. Ma … amicizia… è una parola che qui non si una neanche più… scomparsa dal vocabolario. Qui non ci sono amici.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, Matt, Mello, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Questa storia è stata scritta con la collaborazione morale di Gatta Blu, una delle mie migliori amiche.
 

 
Ero steso sul letto sopra le coperte, con le mani dietro la testa, e osservavo il paesaggio dalla finestra sbarrata della mia camera. Il sole era sorto da circa due ore, e un fascio di luce colpiva in pieno, come ogni mattina, il pavimento, mettendone in risalto la sporcizia. Il pulviscolo danzava in questa luce con delicatezza. Fuori si vedeva ben poco: si era al 15 piano, e pochi altri edifici raggiungevano quell’altezza. Comunque guardavo. E vedevo un celo terso senza una nuvola. Nient’altro.
Sospirai, ma non mi mossi di più. Oggi, ci avevano avvertito, sarebbe arrivato qualcuno.  La mattina per precisione. Alle 9.30 per precisione. Mancava solo mezz’ora. Sono sempre stato molto curioso, ed era per questo che, quella mattina, i miei pensieri vagavano sull’argomento “nuovo arrivato”. Come al solito, ce lo avrebbero presentato in “Sala Grande”. Una grande sala appunto, dove venivamo riuniti in occasioni quali un nuovo componente di quella che Roger chiamava la “Grande famiglia”, l’annuncio di morte improvvisa e inaspettata di uno di noi, o l’umiliazione di qualche testa calda.
Sentì l’approssimarsi, finalmente, di una serie di passi. Erano due uomini, che si avvicinavano. Li sentii entrare nella prima camera del corridoio, e uscire poco dopo con un'altra persona. Subito dopo ne arrivarono altri due. La cosa si ripeté per 5 volte. Era il mio turno.
La chiave girò nella toppa e la porta si aprì ben oliata sui cardini. Tre uomini grandi come un armadio a due ante entrarono.
“Perché per me in tre?” dissi con voce ironica, ridacchiando fra me e me. “Sono così pericoloso?”
Non ricevetti risposta, ma uno di loro mi mise in piedi di peso e mi afferrò i polsi bruscamente, per tirarli dietro la schiena. Tirò fuori le manette, mentre gli altri due si guardavano intorno.
“Beh… accomodatevi, eh..” bofonchiai, leggermente turbato dalla scarsa buona educazione dei tre energumeni.
Prendendomi per le braccia mi scortarono fuori. Percorso il corridoio entrammo nell’ascensore a destra, quello grande, che funzionava solo con l’apposita chiave. L’altro era un inutile ammasso di ferraglia utilizzato solo dai bambini per giocare, ma che nessuno per quanto cretino avrebbe provato a usare.
Poco dopo ecco che si arrivò alla Sala Grande. Mi fecero sedere su una delle pericolanti sedie di metallo scomode come un porcospino incavolato, e mi lasciarono li, per prelevare gli altri detenuti e portarli nello stesso luogo. Eravamo circa 250 in quell’istituto, ma solo una cinquantina era in grado di muoversi e di usare il proprio cervello senza causare danni. Le sedie erano quasi tutte piene, ne mancavano giusto 10, e anche quelle si riempirono in fretta.
Roger discorreva con un paio di sorveglianti a bassa voce. Mi trovavo nella terza fila delle 5 disposte a semicerchio nella Sala e di fianco a me si trovavano due ragazzi della mia età: Mello a destra, e Near a sinistra. Fra me e Mello c’era uno strano rapporto. Non era quello che si dice un amico per me, ma un paio di volte avevamo avuto modo di divertirci insieme architettando scherza a scapito della nostra vittima preferita: Near. Un omuncolo bianco, arrogante e saccente. Era forse per questo che si era leggermente allontanato da me. Sorrisi leggermente, e ripresi a lasciare che il corso dei miei pensieri girasse  vuoto sui soliti argomenti. Solo dopo una quindicina di minuti, qualcosa accadde: Roger liquidò velocemente i sorveglianti e si rivolse a noi.
“Buongiorno ragazzi.” Esordì con la sua voce illusa che gli rispondessimo senza che dovesse chiederlo per una volta.
“Cosa mi dovete rispondere?” chiese con una leggera e ben celata aria di minaccia.
“BUONGIORNO ROGER” rispose all’unisono la sala.
“Buongiorno scassa-palle” si distinse Mello senza essere sentito.
Mi ripromisi di chiedergli se cercava qualcuno con cui litigare, quel giorno, lui non si ritirava mai a una richiesta di fare a botte.
“Oggi, come vi avevo detto, si aggiunge alla nostra Grande famiglia- continuò Roger, muovendo energicamente le braccia, quasi a volerci abbracciare tutti come suoi figli -un componente nuovo! Mi aspetto che lo accogliate con l’educazione che vi insegno ogni giorno. Mi auguro sinceramente- e qui guardò me- che non abbia problemi a integrarsi!”
Alzai gli occhi al celo. Sembrava che avessimo due anni dalle sue parole.
“Lascio che sia esso stesso a presentarsi.” Concluse dunque, facendo un piccolo gesto all’indirizzo di un uomo e facendosi da parte.
E finalmente, entrò, in mezzo a due guardie.
Era una ragazza.
Sui 17 anni direi, si. Lungi capelli boccolosi le ricadevano sulle spalle, neri, ma con una qualche sfumatura bionda. I suoi occhi, anch’essi neri, lampeggiavano per la sala, guardandoci tutti uno a uno.
Si levò qualche fischio: erano poche le belle ragazze li.
Lei reagì fulminando tutti con lo sguardo e continuando a camminare, con un portamento fiero che subito ammirai.
Indomabile, mi venne in mente.
Era vestita in modo semplice, senza fronzoli, solo una collanina d’oro e una treccina, che le ricadeva graziosamente sul viso, ricordando qualcosa di infantile.
Aveva delle mani dai movimenti veloci, molto automatici, e portava,  lo notai dopo poco, delle lenti a contatto spesse.
Si fermò al posto di Roger, e indugiò, senza sapere bene cosa fare.
“Presentati, prego” la invitò infine lui, incoraggiante.
“Umh… salve.” Cominciò con voce un po’ perplessa. Aveva una voce forte, mi dissi subito.
“Io mi chiamo Eloin Edud… ho 17 anni e sono qui… perché… beh… mi sono infiltrata nei computer della CIA e dell’FBI e ho usato i dati trovati come… come mi pareva” concluse con un certo orgoglio.
Un’haker, quindi.
Sorrisi leggermente, e continuai a osservarla.
Non passò molto che ci scortarono nuovamente nelle camere. Erano le 10, la colazione, che di solito si teneva un’ora prima, quel giorno era proprio a quell’ora. Uscii, dunque, e, seguito come sempre a vista dalle telecamere, mi avviai alla mensa.
Ora. Vi chiederete perché tutto il casino di prima se potevamo benissimo andare da soli. Beh, fino a due mesi fa facevano così. Ma poi ci fu un omicidio fra i detenuti, proprio mentre si radunavano, e non si fece in tempo a fermarli. Non guardatemi così, io non c’entravo! Comunque sia, dopo il fatto, ci scortarono sempre. Una pizza…
Arrivai alla mensa, una grande sala con una serie di lunghi tavoli in file orizzontali e in fondo, un lungo bancone dove bisognava passare con un vassoio per ricevere il cibo. Di solito, dopo essermi seduto a un tavolo, nessuno mi disturbava o mi si sedeva vicino, tutti conoscevano il mio cattivo carattere, ma quel giorno non accadde. Infatti, Mello si lasciò pesantemente cadere alla mia destra, e cominciò a mangiare. Aspettai che parlasse. E infatti, dopo poco…
“BB.. ti va di fare qualcosa al nano?”
“Mello non lo vedi che sto mangiando, lasciami in pace” risposi atono.
“Si ma- continuò lui imperterrito- mi è venuta un’idea grandiosa, davvero!”
“Mello vattene o giuro che fra poco ri spedisco fuori da quella fottuta finestra.”
Mello fece spallucce, abituato sia al mio linguaggio colorito, sia ai miei modi bruschi, e si cercò un altro posto. Ma il danno era fatto. La nuova arrivata, infatti, si era avvicinata. Se nessuno mi avesse disturbato avrebbe capito che non lo doveva fare anche lei probabilmente, ma grazie a Mello…
Si sedette davanti a me, e senza rivolgermi parola, sistemò il vassoio e incominciò a sfamarsi.
Non la guardai, ma lei guardava me, lanciandomi qualche occhiata di sfuggita, per capire chi fossi.
“Ciao. Come ti chiami?” disse poi, con un tono gentile.
Non risposi, ma alzai lo sguardo per un momento. Di solito bastava. Di solito non appena le mie iridi venivano viste negli occhi degli altri arrivava il ribrezzo, la paura, e ciò bastava a tenermeli lontani.
Lei, invece, tranquillissima mi chiese: “che hai, sei muto? Ti ho chiesto come ti chiami!”
Alzai un sopracciglio. “E perché dovrei dirlo a te?”
“Perché te l’ho chiesto, e perché se no ti chiamerò tenerone davanti a tutti!”
“Che te ne frega di come mi chiamo?”
“E a te che te ne frega di sapere che me ne frega di come ti chiami?” rispose prontamente lei, seguendo la stessa logica.
“Senti: non mi rompere i coglioni, chiaro?”
“Oh, no grazie! Ma non mi hai ancora risposto!”
La guardai molto male.
“Lasciami in pace”

“Si, dopo. Ora rispondimi.”
Ostinata e cocciuta ragazza!
“Allora?”
Non risposi fino a che ne ebbi la forza, giuro. Ma dovetti cedere.
“Beyond Birthday” esalai quasi fosse il mio ultimo respiro.
“Eloin Edud” rispose lei allegramente porgendomi la mano.
Era cominciata.
A nulla era servito il mio caratteraccio, a nulla il mio ostentare voglia di stare da solo.
Infine, era cominciata.
La mia prima amicizia era cominciata.
Mi presi la testa fra le mani e mi chiesi perché.
  
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