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Autore: Niniel Virgo    15/02/2012    2 recensioni
La guerra era ormai finita da anni. Francisco Franco aveva preso il potere, l'esercito nemico era stato sconfitto. Doveva quindi ormai andare tutto per il meglio.
E perché allora, perché i bombardamenti continuavano incessanti? Perché Esperanza non vedeva altro che soldati in divisa, che andavano a caccia per le campagne di ribelli?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La guerra era ormai finita da anni. Francisco Franco aveva preso il potere, l'esercito nemico era stato sconfitto. Doveva quindi ormai andare tutto per il meglio.

E perché allora, perché i bombardamenti continuavano incessanti? Perché Esperanza non vedeva altro che soldati in divisa, che andavano a caccia per le campagne di ribelli?

Non ne poteva più. La notte non riusciva a dormire a causa degli aerei che perlustravano la zona, facendo tremare la sua piccola casa di campagna, sua figlia Mercedes scalpitava per uscire e giocare, cosa impossibile per il momento. Troppe bombe, e la zona era piena di mine. Lei stessa non usciva quasi mai di casa, per paura di incappare in una di esse.

«Mamma, voglio uscire!»

Esperanza stava aiutando la cuoca a preparare la cena. Nonostante la sua situazione economica fosse agiata, le piaceva aiutare le cameriere e tutti gli altri della servitù. Si sentiva in colpa ogni volta che vedeva il vecchio Carlos, il giardiniere, che cercava di trasportare il sacco di concime.

Si voltò verso la piccola Mercedes, sei anni e tanta, troppa energia, che la guardava con l'espressione più dolce che riuscisse a fare.

«Ti prego! Posso?»

Aggiunse sempre lei, congiungendo le mani al petto in segno di preghiera.

Quanto avrebbe voluto dirle di sì, dirle che può giocare e fare quello che vuole, solo per vederla felice. Ma la cosa non era possibile, con tutti quei soldati che giravano lì vicino. La maledizione di vivere in campagna.

«No, piccola mia.»

Le rispose a malincuore. La bambina fece una smorfia delusa, pestando i piedi. Era sempre stata particolarmente capricciosa, e voleva tutto e subito.

«Ma io voglio andare a giocare!»

Continuò imperterrita a lamentarsi, tirando la madre per la gonna. Esperanza si chiese da chi aveva preso. Lei non era così viziata da bambina, e suo marito, il generale Alvarez (pace all'anima sua, era morto in battaglia poco tempo prima) era sempre stata una persona adorabile. Forse da qualche parente lontano..non ne aveva proprio idea.

Esperanza sentì l'ardente desiderio di spiegarle perché non poteva, ma non era possibile. Era troppo piccola per capire la guerra, e lei non voleva che venisse a contatto con il mondo esterno troppo presto.

«Non adesso. Devi aspettare.»

Le rispose come sempre, ben conscia che ciò non serviva a rabbonirla. Conosceva piuttosto bene sua figlia. Infatti, ecco che riprendeva a pestare i piedi, strillando a squarciagola che voleva andare a giocare.

«Mercedes, ho detto di no.»

Il tono di voce della signora Alvarez si fece più duro, e la bambina si zittì immediatamente. La madre era una donna buona come il pane, e difficilmente si arrabbiava sul serio. Aveva ormai capito quando arrivava il momento di stare zitta.

«Ora da brava, va' a giocare in camera tua. Ho da fare.»

Aggiunse, con la voce appena ammorbidita. Mercedes annuì con un sospiro deluso, uscendo dalla cucina per tornare in camera sua.

Esperanza sospirò a sua volta, guardando fuori dalla finestra. La campagna era grigia, i soldati continuavano a girare sia di giorno che di notte le incutevano terrore. Adesso che era vedova nessuno poteva proteggerla da loro..le si strinse il cuore al pensiero di Felipe, il suo caro Felipe, morto per i suoi ideali. Le mancava ogni giorno di più.

L'unica cosa, oltre ai ricordi, che aveva di lui, erano gli occhi di Mercedes, che aveva ereditato: di un blu profondo, come il mare. Aveva sempre amato il mare, aveva sempre amato quegli occhi.

La voce della cuoca la riscosse da quei pensieri. Non era il momento di piangersi addosso, aveva una casa da mandare avanti. Non poteva crogiolarsi nel dolore, doveva farlo per l'unica ragione di vita che le era rimasta: sua figlia.

***

La notte era scesa da un pezzo sulla tenuta. Il rumore dei passi pesanti dei soldati e degli aerei sovrastavano ancora la zona, ma Esperanza ci stava facendo l'abitudine. Cercava di concentrarsi il più possibile sul proprio respiro per addormentarsi, anche se era difficile ignorare il rumore continuo.

Quella sera Mercedes era rimasta a dormire nella sua stanza. Era difficile che ciò avvenisse, perché spesso la bambina aveva incubi o non riusciva a dormire a causa del rumore. Così piano piano, facendo attenzione, si intrufolava sotto le coperte e abbracciava forte la madre. In quel momento non importava niente, né la guerra appena conclusa, né le rappresaglie, né tutto il dolore che avevano provato: erano ancora assieme, e solo questo contava.

Nonostante potessero uscire poco o niente per paura di rimanere uccise, non era male la vita nella tenuta: i soldati erano gentili, avevano sempre una parola di riguardo per la bambina ed erano gentili con la madre. Portavano loro il cibo e le difendevano da possibili attacchi dei ribelli.

Finalmente stava riuscendo ad addormentarsi. Sentì le membra farsi sempre più pesanti, gli occhi ormai sigillati, ed entrava finalmente in dormiveglia. Sarebbe finalmente riuscita a dormire!

«SIGNORA ALVAREZ!»

Un grido. La cameriera più giovane entrò spalancando la porta della stanza, facendo sussultare Esperanza dallo spavento. Si spaventava per il minimo suono, figurarsi se una donna entrava urlando nella sua stanza!

Si alzò di scatto a sedere, guardandosi intorno come ad aspettarsi di trovarsi dei ribelli in camera.

«Cosa? Ribelli? Va a fuoco qualcosa?»

Chiese preoccupata, buttando via le coperte per tirarsi su in piedi e infilare la vestaglia. Stava già pensando a chi contattare in entrambi i casi, ma la faccia pallida della donna e il suo continuo scuotere la testa la fecero desistere.

«Peggio..»

Peggio? Cosa poteva esserci di peggio, in quel periodo?

La cameriera le fece cenno di seguirla in gran fretta. Man mano che si avvicinavano alla camera di Mercedes, il cuore le batteva sempre più forte. Era successo qualcosa alla bambina? Si era sentita male?

«Guardate.»

Disse soltanto la donna, aprendo la porta.

Il nulla più assoluto.

Mercedes non c'era. Il letto era sfatto, ma non c'erano segni di resistenza. Era uscita di sua volontà. Era arrabbiata perché non poteva uscire e si vendicava.

Disse solamente Esperanza, incapace di articolare altre parole. Il panico prese il sopravvento e corse fuori di casa, incurante della pioggia che stava cadendo e dei richiami della serva, che le diceva quanto era pericoloso. Non le importava di morire, doveva ritrovare sua figlia.

«Mercedes!»

Chiamò, lasciando che la candida vestaglia si sporcasse di fango. Nulla aveva importanza al momento.

Non riusciva a vedere a causa del buio. Sentì i soldati parlare tra di loro concitati, come se stesse accadendo qualcosa. Esperanza si lasciò sfuggire un lamento; non i ribelli proprio ora! Non ora che sua figlia era lì in giro da sola, allo sbaraglio! Poteva ferirsi, poteva..

Scosse la testa, cercando di non pensarci e di mandare giù il nodo alla gola che si era formato al solo pensiero. Riprese a correre, chiamando a gran voce la figlia. Le urla dei soldati si facevano sempre più forti, un aereo prese a girare sopra la dimora. Sì, c'erano ribelli.

Controllò nel fienile di fianco alla tenuta, sperando di trovarvela dentro. Guardò ovunque, tra il fieno anche, ma niente. Della bambina non c'era traccia.

Stava già immaginando la sua povera Mercedes tra le mani di quei dannati ribelli. L'avrebbero uccisa, l'avrebbero torturata!

Poi, uno schiocco. Uno sparo, il cui rumore si sentì secco e deciso.

Ma non fu quello a fermarle il cuore qualche attimo: fu l'urlo agghiacciante di Mercedes, terrorizzata, a gelarle il sangue nelle vene.

«No..»

Disse soltanto a mezza voce, correndo fuori. Lo sparo veniva dal fianco della casa. Corse con tutta la forza che aveva, fino a quando vide i soldati tutti fermi in cerchio, intorno a qualcosa.

Il suo cervello si rifiutava anche solo di pensare al peggio. Rallentò il passo una volta vicina.

Alcuni uomini la guardavano assenti, come se non la vedessero. Altri le lanciavano occhiate compassionevoli, qualcuno disse anche 'Mi dispiace.'

Uno di loro, a terra, si nascondeva il viso tra le mani.

«E' colpa mia. E' colpa mia.»

Continuava a ripetere come una litania, il fucile abbandonato di fianco a lui.

«Fatemi passare!»

Esclamò Esperanza, con il cuore ora che batteva così forte da uscirle quasi dal petto. Spintonò via i soldati che si fecero da parte, lasciandole davanti la visione più orribile che potesse vedere

Mercedes Alvarez, la sua bambina di appena sei anni, sembrava quasi addormentata, se non fosse stato per il sangue copioso che sgorgava dal petto e gli occhi riversi.

Si inginocchiò di fianco a lei, e le prese una mano, tremante. La baciò con dolcezza, mentre le lacrime iniziavano a sgorgare dai suoi occhi.

Era impossibile che lei, la bambina così vivace e piena di vita, fosse morta. Non riusciva a immaginarla stesa in una bara, pallida, senza il suo classico sorriso.

Esperanza gemette sofferente, buttandosi sul corpo di sua figlia. La sua piccola farfalla, l'unica sua fonte di gioia aveva volato per l'ultima volta, quel giorno.

La strinse forte singhiozzando, accarezzandole i capelli neri che aveva ereditato da lei, come aveva fatto tante altre volte. Non l'avrebbe lasciata andare, non era ancora pronta.

Come avrebbe fatto adesso, senza più sentire la sua voce infantile che la chiamava? Come avrebbe fatto senza il suo sorriso, senza i suoi capricci? Come poteva anche solo pensare di vivere senza di lei?

«Perché..p-perché..»

Iniziò tra le lacrime.

«Perché non sono morta io?»

Riuscì a finire, quasi urlando quella frase. Le lacrime continuavano a scendere senza riuscire a fermarle, inondando il viso cadaverico della bambina. Il cuore della madre sanguinava, mentre guardava quel corpicino esile senza vita tra le sue braccia. Il dolore era troppo da sopportare.

Il Signore le aveva tolto tutte le cose a cui teneva: prima i suoi genitori, poi il marito e ora la figlia. Perché ostinarsi a vivere allora?

Si alzò in piedi tenendo Mercedes tra le braccia. Un soldato fece per avvicinarsi, ma lei gli ringhiò contro, stringendo possessivamente il corpo. Non gliel'avrebbero portata via.

Tornò in casa, ignorando la servitù che le lanciavano sguardi pieni di pietà e compassione per lei. Non le importava di loro.

Si chiuse nella propria stanza e adagiò la bambina sul letto, inginocchiandosi sul pavimento. Riprese a piangere senza riuscire a trattenersi, nascondendo il viso contro il materasso per soffocare i singhiozzi.

Non voleva vivere senza di lei. Voleva raggiungere le persone che amava in Paradiso, allontanarsi da quella vita che le aveva donato solo sofferenze.

Rialzò lo sguardo, e li vide: Mercedes e Felipe l'aspettavano, sorridendo. Le loro figure eteree emanavano serenità e dolcezza.

Esperanza abbassò gli occhi sul comodino, dentro il quale vi era un pugnale che teneva per sicurezza. Quasi senza accorgersene, lo tirò fuori e lo alzò in alto, sopra il proprio petto.

L'ultimo pensiero che la colse prima di affondarlo nella carne, fu che presto avrebbe rivisto quegli occhi blu come il mare che amava tanto.

   
 
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