Libri > Red/Blue/Green
Ricorda la storia  |      
Autore: Ariel Bliss Russo    16/02/2012    22 recensioni
*ATTENZIONE, NON CLICCARE SE DEVI LEGGERE GREEN!*
La storia dell’immortalità mi rendeva nervosa.
Magari, se non fosse capitato a me, bensì ne avessi analizzato la prospettiva grazie ad uno dei tanti film che mi piaceva guardare sempre con la mia migliore amica Leslie, non mi sarebbe parso così strano.
L’avrei dato per scontato nell’insieme della trama e mi sarei rallegrata di sapere che il finale dei due innamorati -ci sono quasi sempre, nei film con esseri allergici alla morte- sarebbe davvero stato degno della frase e vissero per sempre felici e contenti.
Il fatto, però, che i due innamorati fossimo io e Gideon -non la ritenevo mica una prospettiva amareggiante… anzi- e che la mia era davvero una favola senza fine, metteva le cose su un piano diverso.
Insomma, per quanto il pensiero di vivere per sempre sembrasse fantastico e assolutamente entusiasmante, quando sei tu a doverlo subire è un tantino diverso.
Ma un tantino troppo.
Io, Gwendolyn Sheperd -difficile pensarmi in altri termini, o quanto meno cognomi-, solitamente mi descrivevo come un tipo banale e pauroso, perfettamente nella norma.
L’avevo fatto per sedici anni della mia vita, perché avrei dovuto cambiare idea?
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La storia dell’immortalità mi rendeva nervosa.
Magari, se non fosse capitato a me, bensì ne avessi analizzato la prospettiva grazie ad uno dei tanti film che mi piaceva guardare sempre con la mia migliore amica Leslie, non mi sarebbe parso così strano.
L’avrei dato per scontato nell’insieme della trama e mi sarei rallegrata di sapere che il finale dei due innamorati -ci sono quasi sempre, nei film con esseri allergici alla morte- sarebbe davvero stato degno della frase e vissero per sempre felici e contenti.
Il fatto, però, che i due innamorati fossimo io e Gideon -non la ritenevo mica una prospettiva amareggiante… anzi- e che la mia era davvero una favola senza fine, metteva le cose su un piano diverso.
Insomma, per quanto il pensiero di vivere per sempre sembrasse fantastico e assolutamente entusiasmante, quando sei tu a doverlo subire è un tantino diverso.
Ma un tantino troppo.
Io, Gwendolyn Sheperd -difficile pensarmi in altri termini, o quanto meno cognomi-, solitamente mi descrivevo come un tipo banale e pauroso, perfettamente nella norma.
L’avevo fatto per sedici anni della mia vita, perché avrei dovuto cambiare idea?
Certo, c’era il piccolo particolare che la mia famiglia ospitava da secoli la discendenza femminile dei viaggiatori nel tempo -e che io vedevo i fantasmi-, ma cosa poteva mai essere questo in confronto ai tanti altri misteri della vita?
Tipo, mmh, l’apocalisse? O la facilità con cui Mr. Bernhard, il nostro maggiordomo, spariva e ricompariva nel più assoluto silenzio tutte le volte in cui sembravo trovarmi in difficoltà?
Pur vivendo nella diversità, la mia era stata un’esistenza normale fino al giorno in cui, saltando indietro nel tempo di qualche decennio, mi era parso ovvio -ok, magari non subito, avevo sperato in tutti i modi di sbagliarmi e che ciò che mi era capitato fosse… ecco, come un raffreddore- che quel gene tanto discusso non lo possedesse la mia perfetta e posata cugina Charlotte, bensì io stessa.
E, santi numi, cos’era successo! Mia madre -Grace, cioè quella che avevo creduto tale, dato che la donna che mi ha davvero portata in grembo è mia cugi… Lucy- si era guadagnata un odio ancora più marcato dalla sorella, mia zia Glenda, la madre di Charlotte -che adesso, tecnicamente, non sono più davvero mia zia e mia cugina… ok, lasciamo perdere- e la povera Charlotte aveva sprecato la sua vita, da quel momento in poi irrimediabilmente rovinata.
Che ingiustizia! Nessuno aveva pensato alla povera Gwendolyn che si ritrovava completamente ignara del destino che le si srotolavano davanti come un tappeto rosso!
Ero stata portata a Temple, sede di un gruppo di fanatici di misteri che si facevano chiamare Guardiani e che studiavano e analizzavano da molto tempo le due famiglie di viaggiatori.
Una era la mia -noi Montrose siamo la componente femminile.
L’altra, invece, erano i De Villiers, la linea maschile.
Il loro fantoccio da laboratorio attuale si chiamava Gideon, e si spostava allegramente da un secolo all’altro da due anni in più di me.
Ricordavo benissimo la sua “accoglienza”.
Aveva confuso il mio nome con Wendy -e, ancora una volta, io non l’avevo mica chiamato Gisbert!- ed era arrogante e presuntuoso quanto mia cugina.
Lui non lo sapeva, ma io l’avevo già visto, con la parrucca, durante il mio terzo salto incontrollato.
Avevo anche visto me stessa, con la parrucca, baciarlo come non mi sarei mai sognata di fare.
Sognata si, magari. Ma nella realtà proprio no.
Il suo essere odioso eguagliava solo l'aspetto.
Aveva capelli lunghi e mossi e gli occhi di un verde brillante e affascinante.
Senza saperlo, me ne ero già innamorata.
Poi però ne erano successe di tutti i colori e mentre io pensavo a quanto odiassi e mi piacesse Gideon, il conte di Saint Germain, anche lui uno dei dodici viaggiatori, progettava di uccidermi per tenersi stretta la sua immortalità, perduta nel momento della mia nascita.
Oh, se ne avevo passati, di momenti assurdi e complicati in quelle due prime settimane!
Mi avevano costretta ad imparare il minuetto e a prendere lezioni pesantissime di storia del XVIII secolo da un certo Mr. Giordano -insieme a mia cugina, e figurarsi se Charlotte avrebbe perso tempo nel mettermi in ridicolo, col suo sorriso da Monna Lisa e le fossette-, a fare avanti e indietro fra soirèe e balli nel settecento e incontri con il conte in cui, una volta, ho rischiato di essere strozzata.
Quella volta non sapevo che nessuno potesse uccidermi, però.
E adesso?, vi chiederete.
Erano passati quattro anni da quando tutto ciò era accaduto.
Mi ero diplomata alla Saint Lennox con dei voti decenti -Mr. Withman, in realtà era il conte, non si era più visto a scuola e, come previsto, Cynthia aveva simulato uno svenimento non appena lo aveva scoperto, continuando a parlarne per anni fino alla fine dal percorso scolastico- e l’idea di iscrivermi all’università mi era passata di mente, perchè dovendo far fronte alle mie, mmh, improvvise sparizioni pomeridiane a Temple, non avrei avuto tempo per studiare.
Gideon, invece, era riuscito a conciliare i suoi studi all’università di medicina con le continue trasmigrazioni ed era al terzo anno.
Io vivevo ancora a casa di mia nonna a differenza di lui, che stava sempre in quel suo appartamento catastrofico, anche se passava più tempo con me e con i Guardiani che lì.

Quel giorno non si prospettava tanto diverso dagli altri.
Mi ero alzata tardi, di malavoglia, scossa dall’insistenza di Caroline che voleva a tutti i costi buttarmi giù dal letto.
Avevo rinunciato alle coperte -e al bellissimo sogno che stavo facendo, dove io e Gideon ballavamo insieme in un’enorme sala a lume di candele- per farmi una doccia fredda e trascinarmi giù dalle scale.
L’accoglienza era stata sempre la solita, anche se zia Glenda sembrava essersi rassegnata al fatto che, nel grande disegno misterioso dei viaggiatori nel tempo, fossi giusto un pochino più importante della sua Charlotte.
E tutto sarebbe risultato, per l’appunto, normale, se zia Maddy non mi avesse instillato un dubbio che, da quel momento in poi, non volle proprio scollarsi dalla mia testa.
«Dove ti porta, oggi, il tuo Gideon?» aveva chiesto, ridacchiando e sospirando.
Confusa, avevo aggrottato le sopracciglia e bevuto un sorso d’acqua.
«A Temple, zia Maddy, per trasmigrare»
Dalla faccia contrita e dalla smorfia che le si era disegnata in viso, intuii che non si aspettava questa mia risposta.
«Intendo dopo, mia cara. E’ la festa degli innamorati, penso che quel giovanotto possa fare qualcosa di più romantico che sbaciucchiarsi con te per qualche ora in uno scantinato buio!»
Arrossii violentemente, scostandomi una ciocca nera dalla guancia.
«Non ne abbiamo parlato» sussurrai debolmente, ignorando le occhiate e le risatine di mia madre, Nick e Caroline.
«Ma di queste cose non si parla! Bisogna sorprendersi! Ai miei tempi, il romanticismo era molto più autentico rispetto a come lo intendono i giovani d’oggi!» sbottò contrariata, agitando un dito per aria.
Quelle parole causarono una visione stramba nella mia mente, di uomini affascinanti che facevano una serenata sotto il balcone di zia Maddy e di lei che ammiccava e faceva gli occhioni dolci dalla finestra.
«E’ ovvio che a Gideon non piace perdere tempo con queste cose» sibilò Charlotte, mantenendo la sua aria calma e pacata.
Non sia mai che facesse un’altra gaffe, dopo quella alla festa di Cynthia anni prima.
Repressi un sorriso.
«Charlotte, non essere ridicola» ribattè la mia sorellina, guadagnandosi un’occhiata indignata dalla cugina.
«Sono sicura che Gideon farà una bella sorpresa a Gwenny!»
Mentre a tavola discutevano dei pro e dei contro della ricorrenza di San. Valentino, io riflettevo su quello che aveva detto zia Maddy.
E se Gideon si fosse dimenticato?
L’anno prima mi aveva portata a Parigi, per poi saltare indietro all’epoca della bellissima Versailles, dove avevamo ballato e passato una bellissima, romantica serata.
In fondo, era solo uno degli infiniti San. Valentino che avremmo trascorso insieme… finchè lui non si fosse stufato di me.
Il solo pensiero mi faceva venire la nausea.
Cosa mi sarebbe successo, se non avessi più avuto Gideon al mio fianco?
Sarei rimasta sola.
Chi non mi avrebbe presa per pazza quando gli avrei rivelato il particolare del mio status immortale?

Nel pomeriggio, la limousine venne a prendermi puntuale, come sempre.
Il come sempre cominciava a rendere davvero banale quel 14 febbraio e il sospetto, misto a timore, che Gideon si fosse davvero dimenticato che giorno era non mi lasciava un attimo.
A dare maggior credito a quelle mie ipotesi c’era il fatto che nel veicolo, come sempre, trovai Mr. George e non lui, magari con champagne, scatoletta rossa a forma di cuore piena di cioccolatini, una romanticissima lettera che avesse come congedo un raffinato Ti amo
«Gwendolyn?»
Rivolsi a Mr. George un’occhiata di scuse.
«Ho la testa fra le nuvole, mi spiace»
«L’ho notato» sorrise lui, picchiettandosi la tempia con un dito.
Dato che non ci tenevo a crogiolarmi ancora nel dubbio, mi costrinsi a chiedergli: «Uhm, sa per caso dove sia Gideon?»
Per un attimo l’uomo apparve sorpreso da quella mia domanda, poi la sua espressione si fece seria.
«In missione per conto suo» rispose semplicemente.
Ogni mio tentativo, dopo un attimo di shock, di estorcergli qualche altro dettaglio fu inutile.
In missione?
E perché non ero stata avvisata?
E non erano ormai finiti da tempo tutti gli intrighi sul cerchio dei dodici?
Ovviamente, non appena arrivammo a Temple, scesi agitata dall’auto e mi diressi con passo leggermente svelto verso l’entrata, seguita da Mr. George che protestava visibilmente a quella mia reazione perché non riusciva a starmi dietro.
Poi, nel corridoio, con mio immenso sollievo, mi imbattei in Gideon.
«Gwen!» esclamò con un sorriso luminoso, che mi fece istantaneamente dimenticare il motivo di tanta urgenza, e senza curarsi di Mr. George, avvicinò il mio viso al suo e mi baciò con infinita dolcezza.
Ero lì lì per sciogliermi sul pavimento.
Ci vollero dei minuti perché mi riprendessi, dopo che Mr. George, con un leggero colpo di tosse, ci aveva divisi, e ricordassi cosa dovevo chiedergli.
«Mr. George mi ha detto che sei in missione» domandai tentennando, mentre camminavamo spediti per i corridoio dell’edificio.
Il viso di Gideon sembrò passare dal disagio, all’indecisione e infine ad un sorriso aperto.
«Si, dovevo sistemare delle cose. Scusa se non mi sono fatto sentire stamattina»
Mi mordicchiai il labbro inferiore, indecisa se credergli o meno.
«Tanto dormivo» risposi, per non fargli capire che c’ero rimasta male perché non mi aveva detto nulla.
Stranamente, ci fermammo davanti all’atelier di Madame Rossini.
Mr. George si allontanò, dicendo al ragazzo fermo davanti a me di affrettarsi e andare da Mr. Giordano.
Gideon mi rivolse un sorriso sereno e mi afferrò una mano, tirandomi verso di lui e abbracciandomi stretta.
Mi strinsi a lui, beandomi di quel gesto tanto tenero e dolce che condividevamo ormai da tempo e che sapeva ancora emozionarmi.
No, io non mi sarei mai stancata di lui.
«Vestiti, ci vediamo di sotto» bisbigliò al mio orecchio, baciandomi la pelle sotto il lobo e scendendo più giù, verso il collo.
Si bloccò sulle labbra, sorridendo della mia espressione sognante, finchè gli gettai le braccia al collo e lo strinsi a me, poggiando le labbra sulle sue.
Mi cinse la vita con braccio, affondando l'altra mano fra i miei capelli, e in quel momento fui sicura che Madame Rossini si sarebbe dovuta davvero impegnare, per farmi un'acconciatura decente.

«E' un piacere rivederti, mia cara collo-di-scigno!» mi salutò cinguettante la donna, mentre Gideon rideva con una mano davanti alla bocca.
Lanciando un'ultima, intensa occhiata, si congedò con garbo, chiudendosi la porta alle spalle.
Sospirai.
«Suvvia, ma chérie, lo rivedrai prestissimo! Non fare quel faccino sconsolato» disse, e risi per quel suo accento francese che non finiva mai di divertirmi.
Lei pensò di essere riuscita a tirarmi su di morale. Di certo non sospettava che trovassi buffo il suo accento.
«Bien! Ora andiamo a prepararci!» mi spronò, trascinandomi in un angolo di quella boutique in miniatura piena di vestiti, stoffe e quant’altro.
Dopo nemmeno una decina di minuti, sistemato un orlo qui e un filo pendente lì, mi diressi davanti allo specchio.
Al posto dei jeans slavati e della felpa grigia, indossavo un abito così bello che quasi stentai riconoscermi in esso.
«In che anno si indossava di preciso questo tipo di abito?» chiesi a Madame Rossini, anche se non mi sembrava così vecchio come modello da risalire all’ottocento, anzi.
Sembrava un vestito degno del Red Carpet…
«E’ un modello rivisto dalla sottoscritta personalmente e ispirato a quello dei migliori stilisti italiani del 1951» spiegò, muovendosi agile intorno a me per sistemare il pizzo bianco e nero intorno alle spalle e sulla scollatura quadrata, poi più giù nella coda del vestito, dove i due colori si alternavano. L’abito era interamente di colore nero, morbido come la seta.
Accarezzando il tessuto, mi resi conto che in effetti avevo indovinato, si trattava di morbida seta nera, e mi fasciava il corpo con eleganza, dandomi un aria graziosa e sensuale allo stesso tempo.
Come sempre, Madame Rossini aveva fatto un ottimo lavoro.
«E’ splendido» mi complimentai, sincera, persa nelle pieghe del vestito che si riflettevano sullo specchio, mentre lei si dedicava all’acconciatura.
«E’ un piacere vestirti» replicò lei, diretta e orgogliosa del suo lavoro.
Riguardo l’acconciatura, optò per una semplice composizione di boccoli raccolti per metà sulla testa con tante piccole e invisibili forcine, il resto libero sulle spalle, eccetto per qualche piccolo ciuffo ad incorniciarmi il viso.
Alla fine, giunse le mani e mi squadrò per bene, con un sorriso d’orgoglio stampato sul viso.
«Magnifique!» esclamò.
Si, ero davvero magnifique.
Ora dovevo capire in cosa consisteva la fantomatica missione segreta di Gideon.
E capire se si ricordava che giorno era oggi.

«Splendida» valutò Falk, non appena misi piede nella sala del cronografo.
Mr. George, che mi aveva accompagnata fin lì, aveva usato la stessa parola aprendo la porta dell’atelier.
«Grazie»
«Bene, adesso sbrigati. Gideon è già andato» continuò.
Cosa? Gideon era saltato senza di me? Fin ora non era mai successo.
Prima di accostare il dito nella fessura del cronografo, alzai gli occhi verso i due presenti.
«Devo preoccuparmi? Perché lui mi ha preceduta?»
Falk mi regalò uno dei suoi sorrisi più felici e, ammiccando -e io che credevo dedicasse occhiate del genere solo a mia madre!- rispose semplicemente: «Nessun pericolo. Vai e non farlo aspettare»
Come sempre, la fessura del cronografo che nascondeva l’ago mi fece sussultare per un fastidio ormai abituale, poi il grosso rubino si illuminò e il presente sfumò davanti ai miei occhi, così da catapultarmi in un’altra epoca.
In che anno ero?
L’avevo dimenticato.
Un rumore dietro di me mi fece voltare spaventata, e per poco non inciampai sul vestito.
Forse Gideon si era allontanato e uno dei vecchi Guardiani mi aveva sorpresa lì.
C’era una parola d’ordine?
Non mi avevano preparata!
«Sono io» mi tranquillizzò un voce familiare.
Sollevata, afferrai la mano protesa verso di me e, nella penombra, scorsi la figura di Gideon.
Come sempre, il cuore accelerò il suo battito.
«Vieni, usciamo di qui»
Camminammo in silenzio per i corridoi che, tra passato e presente, avevo imparato a riconoscere.
«Perché nessuno mi ha ancora detto cosa dobbiamo fare?» domandai cauta, anche se un po’ imbronciata. Mi sembrava di essere tornata agli inizi, quando nessuno si fidava di me.
Gideon si voltò appena verso di me e mi guardò inclinando la testa, aprendo la bocca ma senza darle fiato.
Sembrava così agitato, non era da lui.
Per un attimo mi si bloccò il respiro. Forse voleva lasciarmi impedendomi di suicidarmi subito dopo?
O forse -e sperai fosse la seconda opzione- era qualcosa che aveva a che fare con la misteriosa missione in cui era incappato?
Si passò una mano fra i capelli, ma disse solo: «Usciamo di qui e ne parliamo, ok?»
Per il resto del breve tragitto non proferii parola.
Mi presi in giro per l’esagerazione dei miei pensieri e decisi che non doveva essere nulla serio.
Non incontrammo nessuno e fuori, ad aspettarci, c’era una automobile, nero lucido, molto graziosa, con accanto un uomo a sorvegliarla.
Gideon fece un cenno a questo, che ricambiò e si allontanò senza dire una parola.
Mi aprì la portiera con galanteria, strappandomi un sorriso, poi entrò dal lato del guidatore e mise in moto.
«Dove stiamo andando?»
Si sporse dandomi un bacio sulla guancia, così da lasciarmela formicolante per tutto il tragitto.
«Non siamo molto distanti»
Tutto questo mistero continuava a mutilarmi il cervello di domande, ma rimasi in silenzio.
Se Gideon aveva deciso di non dirmi nulla, per il momento, non c’era verso di cavargli informazioni.
Come promesso, il tragitto fu breve e ci condusse ad Hyde Park, leggermente diverso da quello del nostro tempo, ma comunque bellissimo e romantico, soprattutto in una serata serena come quella.
Di nuovo, mi aprì la portiera permettendomi di scendere facilmente, e mi guidò verso l’entrata del parco, intrecciando le dita con le mie.
Si fermò sotto la luce diretta del primo lampione che incontrammo, puntando gli occhi su di me e sul mio abbigliamento.
Mentalmente ringraziai Madame Rossini per l’ottimo lavoro.
I suoi occhi verdi brillarono, colmi di ammirazione e approvazione, e passò la mano libera su un fianco, giocando con la morbidezza della seta.
«Te l’avranno già detto, suppongo, ma sei assolutamente meravigliosa»
Alzò una mano per passarla sulla mia guancia e ci misi subito la mia di sopra, per mantenere un po’ più a lungo quel contatto.
«I tuoi complimenti sono sempre i migliori» ammisi, sorridendo un po’ imbarazzata.
«E comunque spero che tu adesso possa spiegarmi il perché di tanta eleganza»
Lo sguardo di Gideon si fece più intenso e stavo giusto per passargli le braccia dietro il collo e baciarlo, quando lui mi scoccò un bacio lento e dolce sulla fronte, per poi riprendere la mia mano e attraversare il parco sotto i vari archi naturali formati dagli alberi.
Mi portò in un angolo appartato ma molto, molto grazioso.
C’era una piccola panchina con attorno alberi maestosi e altissimi, fiori che cadevano dall’alto come i rami di un salice piangente.
«Sediamoci»
Ci accomodammo sulla panchina in ferro e io giunsi le mani in grembo, attendendo una qualsiasi notizia da parte sua.
Alzò lo sguardo verso di me, nascondendo uno sbuffo divertito quando incrociò i miei occhi.
«Sei spaventata» notò, sottolineando l’ovvio.
Lo sembrava anche lui.
Roteai gli occhi verso l’alto. «No, ma non mi dire. Se nessuno vuole dirmi niente, penso al peggio. Magari ti sei stancato di me e vuoi lasciarmi» azzardai, osservando la sua espressione mutare dal divertito al serio più assoluto.
Ora si che mi metteva un po’ di paura.
«Gwen» cominciò, scuotendo la testa, leggermente infastidito «come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Ti ho già detto che ti amo e che non ho alcuna intenzione di lasciarti. Anzi, è proprio per questo che ti ho portata qui»
Il suo bellissimo sorriso emozionato e le parole che lo avevano preceduto riaccesero il furioso batticuore dentro la mia cassa toracica.
Respirando un po’ più velocemente, non ebbi altro da dire se non: «E la missione segreta di cui parlava Mr. George?»
Lui rise, spontaneo e adorabile, stringendomi per un attimo a sè.
«E’ anche questo che amo di te, Gwenny! Non hai sospettato nulla? Era una scusa per preparare questo» rivelò, indicando il luogo in cui ci trovavamo e i nostri vestiti eleganti.
Il suo sguardo si poggiò di nuovo su di me e temetti di svenire da un momento all’altro.
L’amore e l’emozione che ci vidi dentro erano forti e profondi come mai li avevo visti in lui.
«Gwendolyn, sai che giorno è oggi? Nel presente, intendo» precisò.
Col cuore gonfio di gioia -ero sicura che non lo avesse dimenticato!- risposi: «E’ martedì»
Alzò gli occhi al cielo, correggendomi.
«E’ San. Valentino, sciocchina. Non credevi mica che me lo fossi dimenticato?»
Scossi la testa, senza però nascondere un sorriso.
L’espressione di Gideon, ancora una volta, si fece seria.
Quei cambi d’umore improvvisi mi stavano facendo impazzire!
«Ok, ehm…» guardò in alto, come per controllare che nessun meteorite stesse per cadere sulle nostre teste, poi di lato, per vedere se fossimo davvero soli o meno.
Ma quella zona del parco sembrava davvero disabitata, troppo per la bellezza che quel magico luogo d’incontro ospitava.
Sospettai che ci fosse il suo zampino, ma non ebbi occasione di chiederne conferma.
«Credo che Mr. Giordano mi ucciderà» sussurrò, tornando a guardarmi con un’espressione che voleva risultare rilassata.
«E perché mai?»
La smorfia che si disegnò sul suo viso puntava verso il terreno davanti a noi.
«Non credo che la pulizia sia davvero così impeccabile» sbuffò, poi come una molla scattò in piedi, comminando avanti e indietro davanti a me.
Io, da parte mia, ero sempre più confusa.
«Gideon, qual è il problema? Cosa c’entra la pulizia?» chiesi con tutta la delicatezza di cui in quel momento disponevo.
Il resto era pura agitazione. A quel punto il ragazzo si fermò e mi scrutò perplesso, valutando opzioni note alla sua mente, ma non alla mia.
Rimase così per un minuto buono, durante il quale temetti di alzarmi e scuoterlo finchè non avesse vomitato il problema.
A parole, si intende.
Poi però tornò il sorriso caloroso e pieno d’amore di poco prima e riuscì a rilassarmi un po’.
«Niente ginocchio, io, tu e i metodi tradizionali non siamo esattamente un buon trio» ammise, scuotendo la testa divertito.
Si accovacciò davanti a me, le braccia penzoloni poggiate sulle ginocchia, e mi fissò intensamente, lasciandomi entrare nei suoi pensieri.
Non avrei mai dimenticato le sue parole, ne tanto meno quello sguardo.
«Gwen, ci ho pensato molto. E’ vero che abbiamo ancora tanto tempo davanti a noi, ma iniziare col piede giusto mi pare una buona prerogativa»
L’espressione seria del viso si fece più dolce.
«Ero agitato come un ragazzino all’idea di chiedertelo e più di una volta il dottor White mi ha consigliato di prendere un tranquillante. Io però non volevo sembrare mezzo addormentato mentre lo facevo, perciò ho optato per una camomilla»
Dato che la mia testa aveva iniziato a lavorare sulle sue parole, il dubbio di aver già capito cosa volesse chiedermi tintinnò in un angolino del cervello.
Feci un bel respiro, per inalare più ossigeno possibile.
E anziché domandare qualcosa di intelligente tipo “E cosa devi chiedermi?”, come da copione, me ne uscii con un: «Ti piace la camomilla?»
Rise di nuovo, tanto che dovetti tenergli la mano con la mia per non farlo cadere indietro.
Me la baciò quasi senza accorgersene e incrociò di nuovo i miei occhi ansiosi.
«Anche il tè, se è per questo» rivelò, scrollando le spalle «ma non divaghiamo. Quello che devo chiederti è più importante del vizio di alcuni inglesi boriosi di aspettare le cinque d’orologio per riunirsi attorno ad una teiera»
Non staccò nemmeno lo sguardo dal mio viso mentre la sua mano si piegava e allungava verso la tasca -quante cose si potevano cogliere con la coda dell’occhio!- per estrarre una piccola scatolina in velluto blu scuro.
Spalancai gli occhi, ora del tutto concentrati sull’oggetto fra le mani di Gideon, e il cuore fece qualche strana e dolorosa capriola per poi riprendere a battere più furioso di prima.
«Gwen, il motivo di tanta eleganza e segretezza, oggi» disse a bassa voce, facendomi una carezza leggera sulla guancia «è chiuso qui dentro»
Posò la scatolina sul mio vestito, invitandomi con gli occhi ad aprirla.
Il battito sordo e irregolare risuonava in ogni parte del mio corpo, mentre le lacrime erano già pronte a fare capolino dagli occhi e rovinare il capolavoro di Madame Rossini.
Mi dimenticai di questi piccoli ed inutili particolari aprendo il fulcro dell’agitazione di quella serata.
Fissai con meraviglia ed emozione il fine anello d’oro bianco con un piccolo diamante -e con la fissa che lui e i Guardiani avevano per le pietre autentiche non dubitai nemmeno per un istante che fosse vero- incastonato sopra, e lo estrassi dal suo contenitore con la mani che non smettevano di tremare.
Gideon me le afferrò per non rischiare che l’anello cadesse a terra -ma notai con piacere che anche le sue non erano poi così ferme-, e tenendo quella meraviglia davanti al mio viso, mi guardò, gli occhi più accesi e brillanti della pietra che luccicava nella nostra presa, e disse: «Gwendolyn Montrose, saresti pronta sposarmi e vivere con me per… beh, per sempre?»
Per un attimo la testa diventò pesante e rumorosa, un turbine di urli e pensieri che mi accusavano di essere stupida ad attendere ancora, di dire “Si!” senza ulteriore indugio.
Era proprio ciò che volevo fare, ma ne la voce ne il resto del corpo parevano voler rispondere ai miei comandi.
L’unica cosa che feci fu cedere alle lacrime, cosa che diede segno a Gideon della mia improvvisa impossibilità di parlare.
Sorrise amorevole e mi strinse forte le mani, e in quel momento trovai non so come la forza per dire qualcosa.
«Quando vuoi» bisbigliai a bassa voce, e il timore che non mi avesse sentito venne scacciato via dall’espressione di sollievo e gioia riflessa sul viso.
In quell’impeto di felicità mi gettai letteralmente fra le sue braccia, facendolo cadere all’indietro.
Reggendosi con una mano, mi strinse col braccio libero dalla vita e io gli cinsi il collo con le mie, baciandolo di slancio e avvicinandomi di più a lui.
La passione e l’amore che aleggiavano fra noi ci esclusero, come sempre, dal resto del mondo, chiudendoci in quel bocciolo privato che mi impedii persino di registrare il momento in cui Gideon mi aveva presa in braccio e fatto sedere di nuovo sulla panchina, sulle sue gambe.
Quando ci staccammo, affannati e per nulla soddisfatti, poggiò la sua fronte contro la mia tenendo gli occhi chiusi.
«Temo» provai a dire, prendendo un altro bel respiro «che anche Madame Rossini si lamenterà per il modo in cui ho trattato la sua creazione»
Le labbra di Gideon si posarono sulle mie palpebre socchiuse, poi sulla punta del naso e sugli angoli della mia bocca.
«Allora è una fortuna che per ciò che ho intenzione di fare tornati a casa non serva» replicò malizioso.
Arrossii e nascosi il viso nell’incavo del suo collo, beandomi della sua risata.
«Almeno mio padre sarà felice di sapere che non rischio di cambiare il mio vero cognome» gli feci notare, respirando il suo odore.
Strinse le braccia intorno a me, poggiando il mento sulla mia testa.
«Domani andremo a fargli visita per dare loro la bella notizia» decise e mi scostai per guardare la sua faccia.
La finta calma del suo tono tradiva una certa ansia più nascosta.
Sorrisi. Infondo, il temerario Gideon non era poi così… temerario.
«Ok» risposi.

«Oh! Sapevo che avresti pianto! I tuoi amici amanti del mistero, qui, non facevano altro che chiedersi se il tuo ragazzaccio fosse riuscito a chiedertelo o meno. Ho capito subito che ci sarebbe stato di mezzo un anello. Non vi siete rotolati nel fieno, però, anche se ti vedo un po’ accaldata. Vi sarete sbaciucchiati lo stesso, ne sono sicuro. Credo sia normale, comunque»
Io e Gideon eravamo tornati dopo quattro ore passati all’Hyde Park del 1951 e, nella stanza del cronografo, tutti erano entusiasti del fatto che avevo accettato la proposta di Gideon, non di certo per il fatto che lui avesse deciso di chiedermelo.
Mi era sembrato strano, ma da quello che farfugliava Xemerius intuii che loro sapevano già tutto e che anzi il loro aiuto era stato molto utile a Gideon, ripensando a ciò che mi aveva detto sulla camomilla e l’agitazione.
Dopo vari abbracci e congratulazioni, Mr. George ci portò alla Sala del Drago, dove stappammo una bottiglia di champagne e passammo qualche ora a chiacchierare.
Non avevo ancora idea di quando o dove avremmo celebrato la cerimonia -e il solo parlarne in modo tanto schietto e diretto mi faceva ancora una certa impressione, dato che passai la maggior parte della serata a rigirarmi l’anello attorno al dito e ripensare alle parole scambiate con Gideon durante la nostra passeggiata-, eppure l’atmosfera di preparazione e trepidanza colse anche me, trascinandomi nell’ottica di preparativi e festosità nel giro di poco.
«Perfetto!» esclamò ad un tratto Xemerius, rimasto pensieroso per un po’, entusiasta da un’idea che mi propose poco dopo.
«Se tu e Gideon volete mettere su famiglia, mia cara damigella, è d’obbligo avere un gatto»
Alzai gli occhi al cielo, preferendo non rispondere.
Lo sguardo mi cadde fuori dalla finestra, verso il cielo che scuriva e che metteva in mostra le prime stelle.
Se la lunga vita che avremmo dovuto trascorrere sarebbe stata bella ed emozionante come lo era in quel momento, forse sarei riuscita ad apprezzarla.
Scoccai un occhiata a Gideon, che se ne accorse e mi sorrise.
Ricambiai, volgendo di nuovo lo sguardo alle stelle.
In fin dei conti, l’eternità non si prospettava poi tanto male.

Angolo autrice:
Ehilà! Eccomi di nuovo qui con un'altra OS sulla Trilogia delle Gemme!
Dato che la prima, Che ieri m'illuse, che oggi t'illude, è stata apprezzata da alcuni utenti di questo sito, ho pensato di uscirmene con un'altra piccola creazione.
Oh, questo è il vestito di Gwen!
Che ne pensate?
Recensite, mi raccomando!
Baci,
Bliss

   
 
Leggi le 22 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Red/Blue/Green / Vai alla pagina dell'autore: Ariel Bliss Russo