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Autore: MeliaMalia    23/09/2006    3 recensioni
Il grande drago e la sua piccola Padroncina.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una piccola premessa, è doverosa.
In questa one shot molto breve troverete il personaggio di Yakov. Chi è Yakov?
E' un soggetto che ho inserito in un romanzo a più mani che sto scrivendo con un gruppo di amici. Di quello stesso romanzo fa parte anche Levana, la cui storia in tre capitolo potrete trovare sul mio avvount.
Yakov, in passato, non era certo un fior fiore di bontà. Uccideva, depredava e dava fuoco con naturalezza. Sino a che un mago, vendicativo, non lo costrinse ad un incantesimo, rinchiudendolo in un sonaglio e decidendo che lui sarebbe stato schiavo di chiunque avesse gettato lo stesso nel fuoco.
Il sonaglio di Yakov ha viaggiato nei secoli, passato come un tesoro di mago in mago. E' stato uno schiavo lungamente e dolorosamente sfruttato.
Ecco, ora sapete qualcosa. Buona lettura.


“Oh, non sono due tesori?” Aghata si sporse dalla finestra del castello, osservando con uno sguardo intenerito l’immenso, curato giardino che lo circondava. Ed i suoi due occupanti, illuminati quel pomeriggio da un caldo, abbacinante sole estivo. Una sottile brezza carezzava il fianco della collina dove la loro ricca dimora si ergeva, trasportando i profumi, gli straordinari odori di quella splendida stagione.
Aghata era ormai una donna di mezza età. Era piccola, minuta, con saggi occhi azzurri, ed una spessa treccia color del grano lunga sino alla vita; il bel viso cominciava ad essere visibilmente segnato da sottili, graziose linee portate dall’età, ma la sua magnetica bellezza era ancora ben lontana dal tramonto. Ora, affacciata a quella finestra, l’espressione intenerita sapientemente tratteggiata dall’intensa luce solare, la lunga treccia che, scivolata in avanti, pendeva verso il basso come solevano fare le chiome delle fiabesche principesse, tutto sembrava, fuorché vecchia. Suo marito l’osservò, quasi rapito e, nonostante i lunghi anni che già avevano alle spalle, l’amò una volta di più. Lei si accorse del suo sguardo, e gli sorrise con dolcezza. “Non hai ancora trovato un modo per liberarlo?” domandò, improvvisamente più triste.
L’uomo scosse il capo. Oltre che essere suo marito, era un mago. Un anziano e potente mago che, in gioventù, aveva avuto la fortuna di trovare presso un suo collega ormai defunto un oggetto magico molto particolare: un sonaglio. Un piccolo, delicato sonaglio d’argento che, una volta gettato nel fuoco, aveva rivelato il suo magico contenuto: uno schiavo. Uno schiavo vero, di nome Yakov, uno schiavo legato al padrone dalla magia. Una creatura disposta a morire, per un capriccio del padrone. Kafrhan, questo era il nome del marito di Aghata, aveva osservato con immensa pena quel povero schiavo prostrato di fronte a lui. E aveva deciso che lo avrebbe liberato. A qualsiasi costo.
Ma i suoi tentativi, sino a quel momento, si erano rivelati vani. La magia che aveva imbrigliato la mente di quel poveretto era un arcano potente, che nessuno avrebbe potuto sciogliere, tranne il mago che l’aveva lanciato. Mago che, secondo le minuziose ricerche di Kafrhan, era stato fatto fuori secoli prima dallo stesso padre di quel servo forzato, mossosi nel nome di una stupida vendetta.
E lo schiavo aveva continuato ad essere uno schiavo, rifiutandosi di sostituire al termine padrone il nome Kafrhan, rifiutando ostinatamente ogni richiamo alla dignità. La magia che lo assoggettava era troppo, troppo forte. Rimase schiavo, anche se trattato con dolcezza ed umanità sia dal padrone che, in seguito dalla moglie, la bella Aghata. E, ancora più in seguito… dalla loro unica figlia.
Ora lei era nel giardino con lui. Lei, che aveva preso gli stessi capelli colo oro della madre, e la stessa espressione trasognata eppure astuta del padre. Lei, la gioia del loro cuore, l’unica che sembrava aver colto una breccia nell’animo schivo del loro schiavo, abilissimo dal punto quando vi era da eseguire degli ordini, ma incapace quando veniva il momento di provare detenere sentimenti o pensieri propri. Lei, la piccola e delicata Mauree.
Il suono della sua lira saliva al cielo, come una continua preghiera, un’allegra filastrocca che certamente la Dea stessa apprezzava. Accanto a lei, stava il loro schiavo, bello e maestoso come sempre. Le palpebre abbassate, il respiro regolare e rilassato, egli godeva appieno della musica di quella che, da quando l’aveva vista nascere, aveva irrimediabilmente deciso di chiamare Padroncina.
Mauree interruppe la sonata con un sospiro. L’enorme drago al suo fianco alzò il muso, osservandola con evidente delusione. A lui piaceva, quella canzone. L’avrebbe ascoltata in eterno.
Era una creatura a dir poco magnifica. Un grande, potente drago rosso, dalle scaglie color delle fiamme, ed enormi occhi dorati, carismatici. Le ali, di pelle rossastra, erano ripiegate lungo la grande schiena piacevolmente lasciata a scaldare dal generoso sole. Sei stanca, Padroncina? Domandò, usando quello strano linguaggio della testa che solo da poco Mauree aveva imparato a conoscere ed utilizzare. Anche se continuava a preferire la normale comunicazione orale, come fece in quel momento.
“Sono un po’ triste, Yakov.” Confessò, abbassando il capo. La sua lunga cascata di capelli biondi seguì quel movimento, incorniciandola come una graziosa bambolina di porcellana. Era così piccola, così indifesa, che Yakov temeva potesse rompersi anche solo cadendo sull'erba.
E’ colpa di… lui? Il drago quasi sputò l’ultima parola, esprimendo così tutti i suoi sentimenti di disprezzo. Lo hai di nuovo visto corteggiare un’altra fanciulla?
Mauree abbassò il capo, senza rispondere. Erano così paradossali, insieme. La piccola, minuta, timida umana… ed il grande, potente, focoso drago, immersi nel lussureggiante verde di quei meravigliosi giardini.
Vuoi che lo uccida, Padroncina? Vuoi che sgranocchi le sue ossa, lentamente? propose Yakov, passandosi l’enorme lingua sulle lucenti, letali zanne.
Mauree sorrise teneramente. “Non ho molta voglia di scherzare, amico mio.” mormorò.
Non stavo scherzando. ribadì boriosamente l’animale. Odio vedere i tuoi occhi tristi, Padroncina, lo sai. Ucciderei la Dea in persona, solo per un tuo ordine. Lei alzò il capo verso di lui, osservandolo con affetto. Sin da quando era bambina, Yakov era sempre stato con lei. Gli altri bambini avevano un cane, o un gatto. E lei Yakov. Il suo migliore amico. Più di un animale, certo. Ma meno di un uomo. Purtroppo. “Tu mi vuoi così bene, Yakov. Vuoi il bene di tutti noi. Ma non capisco perché.”
Voglio il vostro bene perché servo tuo padre da quasi trent’anni. E voglio così bene a te perché sei la mia Padroncina. L’animale si alzò, enorme nella sua mole. Dispiegò lentamente le ali, stiracchiandosi i muscoli con l’aria di un pigro felino, e per un attimo il giardino fu privato del sole.
“Papà dice che è un incantesimo che ti lega a noi. Se non ci fosse, tu mi vorresti bene?” domandò, con una punta d’ansia. Era sempre così diretta, la sua Padroncina. Risvegliava in lui un senso di protezione, sì, ma anche di dolce complicità. Era una ragazzina sveglia ed intelligente, come il padre, ma dolce come il miele, come la sua deliziosa madre. Provava verso di lei un sentimento nuovo, che mai aveva nutrito nei confronti dei suoi precedenti padroni. Provava il desiderio di passare intere ore con lei, magari sgranocchiando i resti di quel cretino del suo promesso sposo. Provava il desiderio di assumere la sua forma umana, dimenticata da anni, e di chiamarla non Padroncina, ma semplicemente Mauree.
Però sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Perché quell’incantesimo che teneva imbrigliata la sua mente lo costringeva a non rompere la fredda gerarchia nei confronti degli umani: loro erano i padroni, lui lo schiavo. Per quanto i padroni fossero gentili e lo schiavo amorevolmente docile, le cose stavano così. E chi avrebbe potuto cambiarle?
Decise di soprassedere sulla sua domanda. La risposta, in fondo, era così complicata, da risultare inestricabile persino per lui.
Sono certo che tornerà da te, Padroncina. Sei troppo bella. E lui non è stupido da volerti perdere. Non abbastanza, almeno. La rassicurò, soffiando caldo fumo dalle narici.
“Lo odi proprio vero?" i suoi occhi lo derisero con affetto. "Se non fossi un drago, penserei che sei geloso!” Mauree rise, sinceramente divertita. Lui sapeva sempre tirarle su il morale. Era strano avere un animale da compagnia come Yakov. Nessuno rischierebbe mai di innamorarsi del proprio cane, o del proprio gatto, eppure la fanciulla scivolava assai spesso nel baratro di quel sentimento verso quel drago, perdendosi nell’ammirazione del suo caro, invincibile, tenero amico.
Vuoi volare, Padroncina? Yakov abbassò l’enorme muso e lei, con un’agilità conseguita nelle varie occasioni in cui gli era montata in groppa, si arrampicò sul collo squamoso, abbracciandolo con affetto.
“Lontano, sin sopra le nuvole.” confermò.
Le grandi ali si aprirono, ancora una volta. E non si richiusero per molto tempo.





Spero di avervi lasciato una dolce pennellata di tenerezza. E' questo che Yakov e Mauree infondono: tenerezza. Almeno, a parer mio.
Grazie per essere giunti sino a qui. Commenti e consigli sono, come sempre, richiesti e ben accetti.
   
 
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