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Autore: The Emperor    17/02/2012    2 recensioni
La storia di un destino sconvolto dall'improvvisa pressione del fato che, inesorabile, cambia a proprio piacimento il retto fluire di una storia.
La sua.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
 
 
Salivo quelle scale a chiocciola quattro alla volta.
Oramai non potevo più aspettare: ero arrivato fin lì e non volevo perdere l’occasione che mi avrebbe liberato, una volta per tutte, dalla maledizione che mi aveva imprigionato con catene d’acciaio a questo inferno.
Sì, era la mia la vita di cui si stavano prendendo gioco in tanti e no, non l’avrei permesso più a nessuno.
Soprattutto alla bestia.
Quando scorsi l’apice delle scale balzai verso l’ultimo gradino e mi piegai sulle gambe per la stanchezza: il mio sangue fluiva abbastanza velocemente da permettermi di sentire se qualcuno mi avesse seguito. Mi venne spontaneo guardare dietro di me per vedere se qualche guardia l’avesse fatto, così, come ultima sua speranza, ma non avevo sentito niente e la vista mi diede conferma. Avevo affrontato forse quattro, cinque mischie consecutive e dato che non lo stavo facendo contro ragazzini di strada ma contro “semi-professionisti”, ero abbastanza stanco da potermi concedere qualche istante di riposo.
Mentre cercavo di riprendermi dai vari shock, i sensi di colpa cominciarono ad annidarsi nei miei pensieri, sempre più fittamente, per averlo lasciato solo a contendere il sapore forse della sua vittoria contro l’ultima persona che pensavo ci avesse ostacolati. Mi ritrovai indeciso se ritornare indietro volando per le scale tanto quanto fosse bastato a mettere in difficoltà il suo avversario per poi ritornare sopra più in fretta che avrei potuto.
Ma se l’avessi fatto il mio obiettivo sarebbe scappato ancora una volta.
Eppure, nella mia realtà, il tempo sembrava che andasse avanti alla stessa velocità di un treno in corsa che mi toglieva ogni volta il tempo per le scelte più consapevoli.
Dopotutto lo avevo promesso: lo avevo promesso a quelle robuste braccia oramai fortificatesi per la tanta pratica con la Fury, lo avevo promesso a quegli occhi verdi che mi guardarono per l’ultima volta in attesa di un qualche ordine sproporzionato, che lui avrebbe soddisfatto anche se l’avessi chiesto contro la persona più cara a lui. Anche perché sapevo che l’unica persona più cara a lui ero io, e questo pensiero fu peggio di una coltellata al petto, peggio di un pugno sul cuore: avrei potuto sopportare di tutto, ma a stento tollerai questo.
Dopotutto, se era riuscito a sopravvivere fino a tal punto un motivo c’era, ed anche perché lui era stato la prima vera persona nella quale ho ritrovato la mia casa, la mia famiglia e sapevo che il mio addestramento da una parte gli aveva fatto render conto che non si trattava di una marachella da bambini, bensì di una mancanza di equilibri vitali che niente avrebbe più risanato dentro di noi. Eravamo come più di due fratelli, più di padre e figlio, più di ogni scala gerarchica sul livello affettivo esistente su questo pianeta: lui viveva in me.
In quei pochi istanti di riposo un flashback mi riportò indietro nel tempo ricordandomi quali erano le sensazioni che il mio corpo mi faceva provare non appena l’aria intorno mi avvisava che si trovava in pericolo: ogni suo movimento veloce per me era un ansimare, ogni suo ansimo per me era paura, ogni sua paura per me era affanno, ogni suo affanno per me era dolore ed ogni suo dolore per me era come morire.
Infine mi rassegnai nel pensare che aveva voluto decidere la sua strada da se, sapendo benissimo che non lo avrei fermato davanti a tanta determinazione da parte sua.
Lo sapeva perché era una cosa che avrei odiato anche io nei suoi panni.
D’un tratto, alzato lo sguardo verso la fine del corridoio blu, vidi una porta scura che ero non costretto, bensì zelante di aprire per affrontare una volta per tutte quello che era il mio scopo di nascita, la mia vocazione, il mio principio basilare di cui, mio malgrado, ne venni a conoscenza solo alcuni mesi addietro. Ero leggermente spossato: camminavo lento ma avevo il perfetto controllo del movimento dei miei piedi, quel tanto che bastava per sganciare un calcio abbastanza in alto da poter prendere in faccia un uomo più alto di due metri. Ad ogni passo che il mio corpo quasi inconsciamente mi faceva compiere, sentivo sopra il mio stomaco una nube di freddo ad ogni sospiro che usciva dalla mia bocca, i miei muscoli si irrigidivano automaticamente come se fossi già nel mentre di quella battaglia che in fondo sapevo di dover combattere. Arrivato di fronte alla porta tirai un respiro profondo, mi asserii per pochi attimi guardando a terra e capii che se fossi entrato con uno sguardo colmo di odio ed ira la situazione sarebbe precipitata vertiginosamente a mio discapito, più che altro da un punto di vista psicologico che, analizzando la situazione in cui mi trovavo, valeva parecchio.
Gli avrei fatto capire speditamente che ero lì per lui.
Così alzai lo sguardo, mi atteggiai al “piccolo maniaco bastardo” e girai la maniglia.
  
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