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Autore: Quainquie    19/02/2012    6 recensioni
Quando la vita della sovrana di Camelot viene minacciata, Arthur e Merlin devono affrontare una sfida che potrebbe spingerli a riconsiderare la natura stessa della loro missione e del loro rapporto. Curiosamente, l'aiuto più significativo per impedire ai due di smarrire la via giunge dalla persona più inaspettata: Sir Percival.
***
«L’Isola ha già udito le tue preghiere, Morgana. Se il fato lo vorrà, ci rincontreremo per divenire sorelle di spirito» Inaspettatamente il piglio della bionda Sacerdotessa s’era ingentilito. Con un movimento aggraziato, aveva posato le mani sulla chioma insudiciata di Morgana e le aveva ingiunto, dolcemente: «Abbi fede, Morgana».
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Dopo il mio piccolo esordio in forma di one-shot nel fandom di Merlin, ho deciso di provare a scrivere una storia più lunga. Non sono una persona costante, temo, tuttavia penso che forse la speranza di un seguito, anche esiguo, potrebbe aiutarmi a continuare l’impegno preso.

Visto che la mia precedente one-shot merliniana è incentrata quasi totalmente sul personaggio di Percival, ho pensato di continuare su questa linea. La storia che vi propongo prende decisamente le mosse da Your enemies are my enemies, soprattutto perché costruita su elementi della vita di Percival che ho inserito nella one-shot e che sarebbe utile conoscere per capire meglio lo svolgersi delle vicende e le dinamiche tra i personaggi.

La storia vede protagonisti Percival, Arthur e Merlin. Pairing dichiarati: Merthur e Percival/OC (a dire la verità, il personaggio in questione non è affatto originale, ma una rielaborazione libera di quello di Blanchefleur introdotto nel Roman de Percival di Chrétien de Troyes; data la sua assenza nella serie l’ho però catalogato come OC). Il titolo di ogni capitolo è citato dal testo di una canzone di Florence and the Machine. Ho sempre pensato che il brano Shake it out fosse la colonna sonora perfetta per la quarta serie di Merlin e di conseguenza mi sono lasciata ispirare dalle canzoni del gruppo britannico per buttare giù la mia storia.

Quindi che dire: buona lettura!

Quainquie




 

Prologo – How quickly the glamour fades
 

Florence + the Machine, Rabbit Heart (Raise It Up)

 

 

Merlin si mise le mani tra i capelli, il capo chino, le unghie affondate nel cuoio capelluto, come a volerlo strappare da quella zucca vuota che in quel momento era incapace di formulare un qualsiasi pensiero coerente o utile.

Tu, inutile zucca vuota!

Aveva sentito insulti simili fin dal primo giorno da parte di Arthur: pigro idiota, incompetente villano, pavido valletto, beone... In confronto le compilazioni di Geoffrey di Monmouth, il genealogista e bibliotecario reale, erano bozze striminzite. Non era stato l’insulto in sé, era stata l’inflessione della voce del giovane sovrano a essere diversa. Quelle poche parole, e l’enfasi data a quel pronome soprattutto, avevano fatto trasparire nitidamente, per la prima volta, un impetuoso disprezzo. No, si corresse Merlin silenziosamente, mordendosi disperatamente il labbro, non un impetuoso disprezzo qualsiasi. Il disprezzo di Arthur era indirizzato esclusivamente, inesorabilmente a lui. Gli occhi del Re avevano acquisito quel bagliore liquido e letale che Merlin aveva scorto sul suo viso, tremante e deformato dall’ira, soltanto un'unica volta, qualche anno prima. Ma stavolta, quelle iridi incandescenti erano puntate su di lui, e non su Uther. Il semplice pensiero che Arthur lo avesse paragonato a Uther, anche solo in modo inconscio, gli aveva provocato violenti conati di vomito.

Non aveva potuto sopportare quello sguardo su di sé. Era davvero soltanto un pavido valletto, pensò Merlin con rabbia, scosso da singulti senza lacrime. Piccolo, magrolino e patetico, incapace persino di controllare le sue emozioni più elementari. Dov’è il grande stregone adesso? aggiunse tra sé, schernendosi.

Tu…!

Quando Arthur si era lanciato su Uther, la spada sguainata e puntata sul cuore di suo padre, Merlin aveva saputo cosa dire. Aveva saputo consigliare il Principe, risvegliare in lui, sotto la rabbia e la disperazione e la paura, la ragione e l’umiltà di accettare le sue debolezze. In quell’istante, quando Arthur era crollato a capo chino accanto a suo padre, con il volto rigato di lacrime e il dolore della perdita di sua madre inciso in ogni smorfia, Merlin aveva sentito un calore nuovo all’altezza del torace. Certo, l’inganno di Morgause allora non aveva fatto altro che convincere Arthur della malvagità della magia e di coloro che ne facevano uso. Ma nonostante questo Merlin non si era sentito più distante da Arthur. Gli si era anzi sentito più vicino, perché aveva compreso di riuscire a leggere nel suo cuore e nelle sue emozioni come nessun altro. E per la prima volta, questo suo piccolo, inestimabile talento non era da attribuirsi al suo essere una creatura magica, bensì al suo essere una creatura che sapeva amare.

Merlin amava Arthur. Era così semplice nella sua mente. Anche se non fosse stato Emrys, destinato dalla notte dei tempi a guidare il Sovrano della Stirpe della Testa del Drago alla vittoria, Merlin sapeva che Arthur sarebbe entrato nella sua vita ugualmente e in questa avrebbe ricoperto la medesima importanza.

«Quanto-sei-patetico» sillabò Merlin, lasciando finalmente le lacrime libere di rigargli le guance.

Ma Arthur non lo amava. O lo amava in modo fraterno, il che era un modo gentile e vuoto per dire che non lo amava come Merlin avrebbe voluto. Arthur aveva scelto Guinevere, e Merlin non ne era stato invidioso: era il suo destino di Re generare degli eredi forti e degni del loro padre, i futuri sovrani della pacifica Albion. Merlin era invece destinato a proteggere e consigliare il giovane Pendragon, e nulla più. Il giovane stregone si era allora impegnato con tutte le sue forze affinché Gwen e Arthur potessero coronare il loro amore così tormentato. Aveva assistito alle loro nozze sinceramente felice, perché anche quel giorno era stato in grado di percepire, lui solo nell’immensa sala del trono gremita di principi, cavalieri e funzionari, le emozioni di Arthur. La gioia sul viso di Arthur non era neanche lontanamente splendente quanto quella contenuta nel suo cuore, e nemmeno Gwen avrebbe potuto accorgersene. E così, la vita di Merlin era proseguita per i dodici mesi seguenti: beandosi delle piccole cose, di quei momenti che trascorreva da solo con il Re, con l'intima consolazione di poter leggere dentro il cuore di Arthur meglio di chiunque altro.

Tu…!

Dai suoi precedenti e infruttuosi tentativi di conquistare Camelot Morgana aveva senza dubbio appreso qualcosa di importante: il potere era in realtà un’entità molto concentrata e fragile. Uther Pendragon era stato un grande re, forse più temuto che rispettato, ma era stato prima di tutto un padre, che aveva perso il senno quando la figlia gli aveva buttato in faccia tutto il suo rancore e che per Arthur avrebbe dato la propria vita senza indugi. Ogni sovrano di Camelot avrebbe sempre avuto un punto debole. Disgraziatamente, quello di Arthur era fin troppo visibile: aveva sposato Guinevere, elevando una serva al rango di regina consorte. Il suo amore per lei era diventato un’ossessione che lo avrebbe spinto ad infrangere qualsiasi ostacolo gli si fosse posto dinanzi. Morgana, Merlin gliene dava merito, non era affatto stupida. Avrebbe potuto attaccare di nuovo Camelot dall’esterno, assoldando altri mercenari: i Regni pullulavano di eserciti bramosi di battaglie sanguinose e di saccheggi. Ma si sarebbe rivelata una mossa incauta e prevedibile. No, Morgana aveva deciso di sconquassare la serenità del regno dall’interno, stavolta. E Merlin non aveva avuto la prontezza di accorgersene prima che accadesse l’irrimediabile.

Tu…!

Per celebrare il primo anniversario di nozze, Arthur si era rifiutato in modo categorico di organizzare grandi celebrazioni, balli o giostre. Avrebbe portato Gwen a trascorrere un’intera giornata nei boschi, che sarebbe poi culminata in una cena all’aperto, in ricordo del loro primo convegno amoroso lontano da occhi indiscreti – se si eccettuavano quelli di Morgana e Uther – di due anni prima. Anche in quest’occasione era valsa la regola che voleva la coppia reale in perfetta e totale intimità. Per cercare di smaltire la frustrazione Merlin si era rinchiuso nella bottega del fabbro con l’idea di far affilare una delle dannate spade di Arthur e di far riparare le placche della sua armatura, per poi rammentare con uno scatto di rabbia che Gwen era la figlia di un fabbro. Era come se la presenza dei colombi reali aleggiasse ovunque, e lui non potesse liberarsene.

Arthur aveva regalato alla moglie qualunque cosa lei avesse anche solo indirettamente menzionato come degna di interesse. Durante una visita ufficiale della delegazione di Caerleon, la giovane sovrana si era complimentata con la Regina Annis per la squisita fattura dei suoi gioielli. Conoscendo Gwen, che nonostante il titolo era rimasta la semplice ragazza di sempre, quei complimenti dovevano essere stati posti per cortesia, sincera, certo, ma pur sempre nel tentativo di compiacere l’importante ospite. Tuttavia il giovane Pendragon non aveva badato a spese e aveva commissionato agli artigiani più esperti di Caerleon una collana d’oro e rubini, i colori di Camelot. Il monile era di squisita fattura, Merlin non aveva dubbi in proposito; ma nel profondo di sé si chiedeva come Arthur potesse anche solo pensare che Gwen – che si era rifiutata di indossare nuovamente la tiara reale dopo il giorno dell’incoronazione – avrebbe gradito un gioiello tanto appariscente e ingombrante. Ovvio, Merlin sapeva la risposta: Arthur voleva essere il marito perfetto. Ma quel piccolo gesto dimostrava, nel suo romanticismo e nella sua ingenuità, quanto poco il sovrano in realtà sapesse del carattere della moglie.

Ma Gwen aveva accettato il dono con gioia, grazie al suo carattere dolce e paziente. Aveva anche ceduto, dopo qualche ragionevole protesta sul fatto che un gioiello di tale ricercatezza certo non si addiceva a una gita nei boschi, alle richieste di Arthur di indossarlo immediatamente.

Ed in quel momento Gwen era caduta in un torpore mortale.

Né gli strattoni disperati di Arthur né l’intervento risoluto di Gaius erano riusciti a risvegliare la giovane regina. Non era morta, ma non era viva; respirava appena, le palpebre pesantemente chiuse sulle iridi scure. Non appena Merlin era entrato nella stanza dove Guinevere giaceva inerte e Arthur piangeva disperatamente con il capo posato tra le braccia, aveva potuto percepire il palpito oscuro e inesorabile di un sortilegio molto potente provenire dalla collana che, una volta strappata dal collo esile di Gwen, era stata scagliata a terra.

Arthur era praticamente impazzito. La sua ira e la sua disperazione pervadevano ogni androne del castello. Aveva dato l’immediato ordine di catturare gli artigiani che avevano creato il monile e di estorcere loro una confessione, con la violenza, se necessario. Il cuore di Merlin si era spezzato in quel preciso istante: no, tutti i suoi sforzi e tutto il suo amore non potevano portare a questo. Se la minaccia di una nuova Grande Purga bastava a debilitare ogni sua forza fisica e mentale, quella di perdere il suo Arthur a causa della follia bastava a far desiderare al giovane mago di trovarsi al posto di Gwen.

In modo del tutto inaspettato, nel mezzo della disperazione che era piombata sul castello, sul regno e su tutti i suoi abitanti, l’unico ad aver agito con pacatezza ed autocontrollo era stato Sir Percival. Con la sua voce seria e profonda aveva preso la parola durante la seduta straordinaria del Concilio del Re, per sconsigliare ad Arthur di giustiziare degli innocenti. Se la situazione non fosse stata così drammatica, sia Arthur che Merlin, Gaius e gli altri cavalieri avrebbero trattenuto a stento le risa nell’udire il pacato fervore e la forbitezza piena di gravità con cui Percival, di solito taciturno, aveva osato infrangere il silenzio opprimente calato nella stanza.

«Sire, chiunque pratichi la magia da semplice popolano non potrebbe mai produrre un oggetto così potente. Chi ha incantato la collana deve essere eccezionalmente abile e dotato nelle arti magiche più oscure e complesse». Percival non aveva avuto bisogno di nominare ad alta voce il nome di chi avrebbe potuto essere in grado di incantare la collana. Tutti loro lo sapevano: Morgana.

Merlin si era ritrovato le ciglia imperlate di lacrime: come aveva potuto non accorgersene? Con fare fraterno, Gwaine e Percival gli avevano picchiettato le spalle, forse credendo che il sensibile valletto fosse ormai giunto al limite della sopportazione e fosse stato travolto dall'emozione. Ma nessuno di loro avrebbe potuto anche solo lontanamente comprendere quanto Merlin si sentisse in colpa. Soltanto lui tra loro avrebbe potuto percepire l’oscura potenza del gioiello, senza nemmeno toccarlo. Ma lui non era con Arthur e Gwen, era in una stupida bottega a martellare le piastre di un’armatura!

Tu…!

Aveva tentato di essere di supporto ad Arthur, ma ogni sua parola, ogni suo gesto sembravano unicamente seccare il sovrano. Finché una mattina, portando la colazione al Re che passava i giorni e le notti vagando tra il suo studio e le stanze dell’inferma, era inciampato. Che cosa stupida! Era incespicato in un gradino che si era sempre trovato lì, all’ingresso degli alloggi della Regina. Ma di fronte ad Arthur non avrebbe certo potuto azzardarsi a compiere magie per salvarsi dal capitombolo; si era limitato a schiantarsi sulle pietre, con uno spettrale frastuono di metallo e ceramiche infranti. Merlin si era risollevato un poco frastornato e con qualche sforzo, nella speranza che, come al solito, la sua goffaggine avesse suscitato in Arthur un’esasperazione venata di affetto, forse permettendogli un istante di allontanare la mente dal cupo dolore che la ingabbiava. Invece, quando Arthur aveva aperto la bocca, aveva instillato nella sua voce quanti più rabbia, disprezzo e disperazione possibili: «Tu, inutile zucca vuota!»

La cosa peggiore era stata la domanda che pareva essere stata sottintesa da Arthur a quello sfogo: perché Guinevere e non tu? Doveva esserlo stata. Perché altrimenti accanirsi così violentemente su di lui…?

Ora, solo nel cortile, Merlin inspirava profondamente, tentando invano di calmarsi. Le parole del Re erano le parole di un uomo impotente e disperato. Arthur era un uomo impotente e disperato. Merlin chiuse gli occhi, imponendosi di scindere i propri sentimenti dagli ultimi eventi. Nonostante lo avesse ferito, Arthur non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivere a quell'esperienza senza di lui. E Merlin sapeva che non avrebbe potuto dimostrare il suo amore e la sua dedizione se non sacrificando ad Arthur tutto se stesso, come aveva fatto sino ad allora. Doveva trovare un rimedio alla maledizione che aveva colpito Gwen, e doveva trovarlo subito.

Con gambe incerte, il giovane s’incamminò verso la torre dove lui e Gaius erano alloggiati. Non vide Arthur seguire i suoi passi dal balcone della corte d’onore, lontano per la prima volta da giorni dalle stanze della moglie.


 

Il capitolo è decisamente introduttivo, introspettivo e, forse, un po' privo d'azione. Spero comunque di avervi intrigato.
Come sempre, critiche, annotazioni e pareri sotto forma anche di brevissime recensioni sono sempre benaccetti!

A presto!

Quainquie

  
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