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Autore: GurenSuzuki    21/02/2012    7 recensioni
Fanfic a 4 mani. GurenSuzuki&Tora.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”
Un insegnante fuori dalle righe, acuto e tenebroso e uno studente dalla mente brillante e ribelle. I loro mondi collideranno e, inevitabilmente, l'impatto li unirà.
KyoRuki.
Genere: Commedia, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ruki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER 7

 
 
Il rumore stridulo del citofono mi strappa via dal sonno strappandomi una smorfia infastidita. Ad occhi chiusi striscio sul materasso verso il comodino e finalmente mi decido ad aprire un occhio per vedere che ore sono. Ed il mio primo pensiero al riguardo è: Chi CAZZO mi rompe le palle a quest’ora del mattino quando avrei tutto il diritto a starmene a dormire??
Sbuffo e torno a chiudere gli occhi sperando che il seccatore se ne vada, ma a quanto pare è una speranza vana visto che pochi secondi dopo una nuova scarica sonora mi costringe ad aprire gli occhi di scatto.
Con un ringhio recupero in fretta un paio di jeans grigi e mi avvio verso il citofono aprendo le comunicazioni.
“Si può sapere chi diamine è a quest’ora??”
Sicuramente non è il postino visto che è domenica.E la voce che mi raggiunge trillando me lo conferma.
“Sono io!
“…”
Per una manciata di istanti rimango bloccato davanti al citofono con un’espressione che non saprei se definire più perplessa o interdetta. Che diamine ci fa lui qui di prima mattina?
“Ruki?”
Chiedo, ma più che chiedere è una specie di ringhio dalla stana nota perplessa e assonnata che abbandona la mia gola mentre affondo la mano destra a riavviare i capelli.
“In persona! Mi apri o vuoi lasciarmi qui fuori tutto solo con le buste della spesa in mano?”
Buste della spesa? Ma che diamine ha in mente?

Non so davvero cosa pensare. Forse è per questo che mi limito ad un nuovo, secco verso e premo il pulsante per aprire il cancello.
Cerco di scacciare via la sonnolenza che avvolge ancora il mio corpo affondando la mano destra dietro la nuca per riavviare energicamente i capelli e con l’altra apro la porta attendendo sulla soglia che le porte dell’ascensore quasi di fronte a me si aprano.
Posso sentire il suono meccanico risuonare sommesso e dopo pochi istanti le porte di aprono e ne emerge quel pestifero essere avvolto in un giubbotto nero, da cui sporgono dei blue-jeans decisamente aderenti, ed una sciarpa grigia. Ha due buste della spesa tra le braccia e mi viene incontro con il sorriso entusiasta di chi abbia appena visto qualcosa di bellissimo.
Uno sguardo molto simile a quello che la mia chitarra acustica riserva alla birra e al nostro batterista.
Mi sorprendo ad indugiare sulle linee rosee di quel sorriso, risalgo sulle gote arrossate dal freddo, sugli occhi, su quel ciuffo fuxia che spicca sul nero e poi ridiscendo lungo il medesimo percorso e proseguo andando più in basso, inseguendo la forma delle gambe.
Per un attimo le sento di nuovo avvinghiate ai miei fianchi ed un brivido mi attraversa lungo la spina dorsale come una scarica elettrica e torno ad osservare il suo volto.
Ruki è l’innocenza e il peccato infusi al suo interno da una schiera di dei capricciosi.
Come il Vaso di Pandora racchiude in sé ingenuità, malizia e speranza.
L’ingenuità di un ragazzo di sentimenti puri, la malizia del più esperto degli amanti, la speranza di una generazione più giusta.
Mi rende quasi ammirato.
Mi confonde.
Mi rapisce.
Non apro bocca quando mi raggiunge ed esclama un “Ciao!” con quella voce energica e decisa. Arretro per farlo passare e lui entra togliendosi rapidamente le scarpe e sparisce in cucina muovendosi per il mio appartamento come se fosse in casa propria. Lo seguo finché non sparisce dalla mia visuale girando l’angolo e solo allora chiudo la porta e lo seguo.
 
Una volta entrato nella cucina di Kyo mi levo in fretta la sciarpa e il cappotto, appendendoli a una sedia. Alzo la tapparella ancora abbassata, dato l’orario, e mi beo del calore del sole sulla faccia; questa stanza è molto diversa di giorno, assume più tinte, specialmente nei punti del legno dove la luce si riflette con pigrizia. Da un certo senso di pace. E mi serve proprio pace in questo momento, perché Kyo non può credere che aprirmi la porta vestito unicamente di un paio di jeans morbidi aiuti il mio raziocinio a rimanere intatto.
Inizio a guardare a casaccio dentro armadietti e cassetti, alla ricerca sparsa di terrina, bicchieri, ciotole, piatti, mestoli, posate e quant’altro. Quando mi rialzo tenendo tra le mani buona parte del materiale che mi serve incrocio gli occhi di Kyo. E’ appoggiato con una spalla all’infisso della porta della cucina, il corpo che descrive una forma sinuosa e morbida, felina, coi muscoli delle braccia incrociate che si tendono, posati sopra il petto appena mosso dal respiro. Ha le iridi pigramente socchiuse, come se stesse osservando qualcosa di particolarmente desiderato, sospirato. Le sottili occhiaie che gli cerchiano gli occhi rendono lo sguardo fulvo ancor più penetrante e per nulla dissimile da quello che giusto ieri sera mi puntava addosso senza veli, mentre mi affondava dentro.
Un brivido freddo mi fa tremare lievemente le gambe e in un lasso di tempo labile quanto un respiro Kyo passa dall’attrazione all’appena malcelata... confusione, credo. Non capisco bene, dato che ha aggrottato le sopracciglia in un moto che definirei pensieroso e i capelli biondi come spighe di grano gli ricadono scomposti lungo la fronte. Con uno sbuffo seccato cerca di domarli con la mano ruvida, per poi sparire lungo il corridoio.
Io continuo col mio lavoro: tiro fuori gli ingredienti, li dispongo sulla penisola, armeggio un po’ con la macchinetta del caffè.
Vederlo mi ha scombussolato abbastanza, un po’ troppo direi. Ora come ora avrei dovuto iniziare a pensare con più lucidità a ieri sera, ma qualcosa me lo impedisce. O meglio, in realtà riesco ad essere lucido, ma non nel modo in cui dovrei. Sono andato a letto con un insegnante, Cristo! E non mi sento minimamente in colpa per di più.
Però bisogna anche ammettere che non mi è mai importato granché degli sterili doveri dettati dalla società dell’apparire, quindi perché iniziare adesso? Le persone dovrebbero fare ciò che le rende felici, anche solo per qualche secondo, giusto? E allora perché dovrei negarmi qualcosa che mi da serenità e piacere? Ma forse sto correndo troppo. Lui ha la sua vita, il suo passato e il suo presente. E il suo futuro. Non è detto che io ne debba fare parte. Condividiamo molte idee, è vero, ma questo basta a farci dire “sì, possiamo stare bene uno con l’altro”? O ci scopriremo due mondi inconciliabili, separati da un muro d’incomprensione invalicabile?
Un rumore attutito di acqua mi raggiunge i timpani delicatamente; credo che si sia infilato nella doccia.
Non pensarci. Non pensare che è nudo, dico nudo, sotto l’acqua. NO!
Scuoto la testa con un pizzico di aggressività, strizzando gli occhi, come se l’acqua in realtà mi fosse piovuta addosso, scacciando anche la miriade di dubbi e domande senza risposta che mi affollano la testa. Inizio a misurare le porzioni di ogni ingrediente e, cercando una qualche sorta di distrazione, dalla mia gola fluiscono naturali come germogli dalla terra fresca le parole di una canzone.
 
 
Mi sto lasciando trasportare.
Mi sto lasciando trasportare troppo.
Mi piace.
E’ inutile negarlo.
E’ qualcosa che va al di là del desiderio fisico.
Me ne sono accorto mentre lo baciavo ieri notte sotto casa sua.
Me ne sono accorto mentre lo osservavo fare il padrone nella mia cucina.
No, non lo stavo semplicemente osservando.
Lo stavo divorando.
Lo stavo divorando con il solo sguardo.
Ho pensato al suo corpo nudo.
Ho pensato alla sua mente.
Ho pensato al suo cuore.
Ho pensato che forse potevamo andare oltre la semplice scopata senza impegno.
Ho avuto paura.
E sono fuggito sotto il getto d’acqua tiepida e confortante della doccia.
Lascio che l’acqua e la schiuma dello shampoo mi scorrano sul capo e sul corpo e chiudo per un istante gli occhi.
Devo pensare.
Non ho paura di quello che può dire la gente.
Gli indici puntati contro, i sorrisi di scherno, le insinuazioni: tutte cose che non temo. Cose vuote. Prive di importanza, senso, valore. Inutili.
E’ altro quello che mi tormenta.
Ruki è solo un ragazzo.
Vive nella sua Primavera, passeggiando tra i petali di ciliegio in fiore, mentre io cammino sotto il sole cocente dell’Estate.
I nostri modi di pensare sono simili ma io sono già un uomo.
Lui non lo è ancora.
Se andassimo oltre, potrei non essere in grado di comprenderlo sempre.
Potrei farlo soffrire.
E non è mai stato questo quello che ho voluto.
Forse dovrei troncare tutto questo prima che si trasformi in qualcosa di incontrollabile.
Ma il solo pensiero mi lascia un fastidioso senso di vuoto nello stomaco.
Come un morso della fame ma che con la fame non ha nulla a che vedere e che mi fa capire che non ho nessuna intenzione di rinunciarci.
Sono un egoista.
Riapro gli occhi e chiudo l’acqua.
Discosto le ante della cabina, lentamente, come se questo semplice gesto mi costasse fatica, ed allungo un braccio ad afferrare l’accappatoio mentre esco infilando i piedi nelle ciabatte nere da doccia.
Mi avvolgo nell’indumento bianco chiudendolo accuratamente con la cintura e sollevo il cappuccio sul capo per frizionare i capelli. C’è odore di bagnoschiuma in bagno.
Un odore semplice, pulito.
Mi fa pensare a lui.
All’odore della sua pelle.
Non so cosa fare.
Sposto lo sguardo sullo specchio ed il mio riflesso mi mostra tutta la portata della mia incertezza.
Sospiro e lascio il bagno per dirigermi in camera da letto e cambiarmi, ma mi blocco appena metto piede in corridoio.
Lo sento cantare.
Lancio uno sguardo quasi sorpreso in direzione della cucina e mi incammino in quella direzione cercando di provocare il minor rumore possibile.
Ha una voce armonica e melodiosa. Decisa, dai toni mascolini, ma decisamente morbida e dolce nelle sue tonalità.
E’ evidente che non sia un professionista ma ha l’impostazione vocale adeguata per diventarlo.
Un passo dopo l’altro guadagno l’uscio della stanza. Mi da le spalle, intento ad armeggiare con una terrina. Non ho la minima idea di cosa stia facendo e non mi importa.
Ma soprattutto non ho la minima idea di cosa stia facendo io mentre mi avvicino alla sua schiena e distendo le braccia oltre quest’ultima finché le mie mani non arrivano a chiudersi sui suoi polsi, imprigionandoli in una stretta decisa ma non dolorosa.
“Canti bene.” Soffio al suo orecchio, prendendo a depositare qualche piccolo bacio dietro il padiglione auricolare. “Dovresti pensare a coltivare il tuo talento.” Aggiungo ancora, morbidamente, mentre le dita si distendono e cominciano ad accarezzare il dorso dei polsi e delle mani in piccoli movimenti circolari.
Lo sento irrigidirsi leggermente alle  mie parole e la pelle rosea della sue gote assume un’accesa tinta di rosso. E’ una cosa che mi strappa un sorriso divertito.
Dov’è la tua sfacciataggine, Ruki?
“E’… è solo un hobby...” Mormori, quasi con voce tremante, mentre ti sottrai al mio tocco e ti volti verso di me con lo sguardo smarrito di un cervo che si imbatte in un lupo.
Vedi in me un predatore pronto ad azzannarti alla giugulare?
Accarezzo la linea sinuosa del tuo collo sottile.
Si, Ruki, vorrei davvero morderti, arrossarti la pelle, imprimere su di te il mio marchio.
“Una voce come la tua non è accettabile che resti nascosta.” Ribatto portando lo sguardo nei suoi occhi. Oggi non porta quelle lenti a contatto colorante. Al posto di quell’azzurro freddo e intrigante c’è un castano dalle tonalità più calde e morbide.
Ha dei bellissimi occhi.
“Il mondo  e chi lo abita sono sordi. Ascoltano solo chi ha una voce abbastanza forte per farsi udire.”
Lentamente sollevo la mano destra portandola sotto al suo mento e lo invito a guardarmi in volto.
Le parole a volte non sono sufficienti ad esprimere la reale intensità di un pensiero.
Ed io penso che abbia talento.
Penso che abbia qualcosa da gridare contro questo mondo corrotto.
Penso che possa davvero salvarlo.
Se davvero questo ragazzo è in grado di pensare come penso io, allora sarà capace di leggermelo negli occhi.
Guardami, Ruki.
“Se anche tu hai qualcosa da dire al mondo, Ruki, allora canta. Posso insegnarti a farlo. Posso insegnarti a spiegare le ali, ma poi dovrai volare da solo.”
 
Odio il modo in cui riesce a soggiogarmi con un solo sguardo o un solo tocco. Sentire il suo respiro caldo sul viso è deleterio, allora mi sporgo e gli do un leggero bacio a fior di labbra.
“Dovrai impegnarti però.”
Gli punto un dito contro il naso, scherzosamente.
“Sei tu che dovrai impegnarti.” Mi bacia delicatamente, più e più volte, quasi un tocco fugace di labbra, approfondendo il contatto man mano che il numero dei baci cresce, finché non incolla la sua bocca alla mia, frugandomi il palato con lingua esperta.
Mi stacco piano, per riprendere fiato dall’apnea cui ci siamo costretti e stampandomi in faccia un sorriso malizioso ribatto “Lo sai che le tue lezioni saranno solo un motivo in più per starti addosso?”
Mi guarda fisso per qualche istante, occhi negli occhi, e mi perdo nel colore scuro di quell’iride felina, cercando di decifrarne i contorni, i limiti, non riuscendoci. Gli occhi sono un mezzo molto più diretto delle parole, perché parlano una lingua universale, che non ha bisogno di intermediari, e conoscono parole che la lingua non riesce a formulare, concetti che non riesce a racchiudere in un dato numero di lettere. Gli occhi sono per tutto ciò che non deve avere confini o limiti.
“Vedi di studiare perché non ti farò un trattamento di favore quando sarai alla lavagna.” Stringe tra le labbra la pelle del mio collo, mordendola con delicatezza. Sbatto le palpebre, mentre i brividi che mi hanno attorcigliato lo stomaco si dileguano, lasciando posto per una risposta sfacciata.
“Il giorno prima i miei pantaloni si restringeranno casualmente in lavatrice.” Gli passo una mano lungo la linea dritta della schiena chiusa dall’accappatoio morbido, saggiando con i polpastrelli i fasci di muscoli tonici. Amo la sua pelle, è qualcosa di totalmente erotico, che mi manda nel pallone. E’ tesa e guizzante, è salata e ruvida.
Un ghigno malizioso e arrogante gli tende le labbra “Puoi provarci, marmocchio, puoi provarci.”
Quando le nostre bocche si abbracciano e le nostre lingue si intrecciano, chiudo gli occhi.

Elucubrazioni. (guren)
Siamo finalmente tornati! Abbiamo scritto questo capitolo praticamente in due giorni, colti da un moto di ispirazione viUlenta *-* non posso che esserne felicissima, mi mancava moltissimo scrivere questa fic. Questi personaggi bastardelli hanno un po' modificato il corso naturale della storia, ma così avremo più spunti per poter diramare la fic in più direzioni!
Salutoni,
guren&Tora
   
 
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