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Autore: Enavy    22/02/2012    1 recensioni
«Cosa fai qui?» mi chiese incuriosito, con l'occhio vigile e tranquillo, e quel leggero sorriso, che mi scrutava.
«Guardavo il sole, e mi è tornato in mente il mito del volo di Icaro». Feci una piccola pausa, sentivo il suo respiro lento e regolare colpirmi delicatamente la pelle. Sembrava stupito da quel pensiero che mi stava balenando in testa, sapeva bene, visto tutte le volte che glielo avevo ripetuto, che lui era il mio sole. «Perché vai a rivangare i racconti del nostro ormai vecchio maestro?»
«Pensavo a noi due, a quanto tu, Alessandro, rappresenti il mio sole, e io come Icaro cerchi di raggiungerti, per starti accanto».

Un ricordo, che ripercorre Efestione prima di entrare nella tenda di Alessandro, qualche giorno dopo aver ucciso Cratero.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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buonì!! è la prima volta che scrivo in questa sezione, questa one-shot l'ho scritta tanto tempo fa dopo aver visto Alexander per la seconda volta, non so neanche come mi sia venuta in mente, andatemi a capire...comunque mi dispiaceva lasciarla a prendere polvere, così ho deciso di pubblicarla, tanto cos'ho da perdere? (la faccia?), pazienza, al limite inizierò a battere in modo convulso la testa contro la tastiera.....è decisamente la cosa più melensa che abbia forse mai scritto, (sicuramente  che abbia pubblicato), quindi non ne sono molto convinta, anzi proprio zero :( sarà la poca autostima, chi lo sa....
ah un'ultima cosa questa storia l'ho rivista ascoltaqndo la canzone dei placebo "Battle for the sun" c'è qualcosa in questa canzone che mi riconduce a questo scritto, provate a trovarlo anche voi se volete, oppure rimate al solo racconto :)
Ora vi lascio alle lettura, se leggerete o forse lascierete un commentino, vi ringrazio dell'attenzione e di tutto ciò che ne consegue...
Buona letttura!


 


Il folle volo di Icaro




Appoggiato con le braccia sul balcone della camera guardavo l'immensa città che mi circondava, poi il mio sguardo fu rapito dal sole splendente che mi illuminava.
In quel momento entrò Alessandro, che non vedendomi invocò il mio nome «Efestione dove sei?, senza farlo aspettare gli risposi. «sono qui fuori». Mi raggiunse e si fermò dietro alle mie spalle, con le mani mi sfiorò i lunghi capelli. Mi mancavano quei momenti in cui eravamo soli noi due, e tutto il resto non contava, il potere che credevo non avrebbe mai corrotto il mio re, non lo aveva ancora preso. E io rimanevo l'unica persona di cui si fosse mai veramente fidato, e con il quale condivideva le sue sensazioni più intime, aprendosi e facendo intravedere le sue preoccupazioni più grandi.
Quei movimenti delle sue dita su di me mi stuzzicavano, rilassandomi.
«Cosa fai qui?» mi chiese incuriosito, con l'occhio vigile e tranquillo, e quel leggero sorriso, mi scrutava.
«Guardavo il sole, e mi è tornato in mente il mito del volo di Icaro». Feci una piccola pausa, sentivo il suo respiro lento e regolare colpirmi delicatamente la pelle. Sembrava stupito da quel pensiero che mi stava balenando in testa, sapeva bene, visto tutte le volte che glielo avevo ripetuto, che lui era il mio sole. «Perché vai a rivangare i racconti del nostro ormai vecchio maestro?»
«Pensavo a noi due, a quanto tu, Alessandro, rappresenti il mio sole, e io come Icaro cerchi di raggiungerti, per starti accanto». I miei occhi si fecero lucidi, accecati da quella luce così abbagliante, da risultare impossibili da contemplare per tanto tempo.
«E con ciò Efestione? Le tue ali non si scioglieranno, se saranno rivolte verso di me». Indicò il sole che io non riuscivo più a guardare.
«Ma ho paura di perderti, di non riuscire a starti vicino come dovrei», quelle parole mi uscirono lente, pacate, non guardai Alessandro in volto, mi bruciava troppo ammettere di essere così titubante, ed intimorito.
«Efestione io ti amo! Non è forse abbastanza?», il volto di Alessandro si era fatto più cupo, abituato com'era ad essere consolato, e non a consolare. Non avevo mai avuto alcuna ragione per dimostrarmi così vulnerabile ai suoi occhi.
«A volte credo di no», il mio volto era rammaricato, sapevo di deluderlo dicendo ciò, ma non potevo farne a meno, troppe cose si erano messe tra di noi, e quel nuovo mondo tutto diverso dal nostro, iniziavo a pensare che ci sarebbe stato d'ostacolo.
«Se ciò non ti basta», disse stringendomi entrambe le mani con le sue, «allora voleremo insieme verso quello che l'uomo chiama sole, che per molti popoli rappresenta una divinità, impossibile da raggiungere. E se dovremo cadere, cadremo insieme perché non c'è nessuno al mondo a parte te, con cui vorrei sprofondare» mi strinse forte, e io fui inebriato dal suo profumo così caldo e avvolgente, che mi faceva barcollare. Ma quelle braccia forti, sapevo che per ora mi avrebbero retto, ma a volte pensavo di essergli di peso, i suoi pensieri e forze dovevano essere rivolte anche verso quel'impero che stava costruendo, che senza Alessandro sarebbe crollato nello sfacelo più totale. Mi sentivo egoista a volerlo tutto per me, anche se solo per due o tre minuti, mi sembrava di distrarlo da questioni più importanti.
Avevo però l’impressione che senza di me, lui si sarebbe perso, così incline all’ingenuità, e al condizionamento di chi gli era vicino.
Aveva grandi sogni e io ero l’unico a conoscerli tutti, non solo la loro grandezza, ma anche ciò che essi producevano nel suo animo, insieme ai timori e alle preoccupazioni che a volte lo prendevano, accresciute dai dubbi che scatenavano le lettere della madre.
«Non ti dimenticherai di me ora che sei diventato un mito? Ora che puoi avere tutto quello che vuoi?», non riuscivo a smettere di essere sospettoso, avevo sempre creduto alle sue parole, mi avevano accompagnato nelle notti più nere, dandomi una visone del mondo così ampia, un cambiamento che mai aveva sfiorato la mia idea del futuro.
«Quante volte devo ripetertelo ancora Efestione?», teneva la mia testa tra le sue mani. I nostri occhi dovettero per forza specchiasi gl’uni nell’altri, a volte odiavo l’intensità dei suoi, così scuri e impenetrabili. I miei invece così chiari e limpidi, che lo lasciavano entrare lasciando trasparire tutto, compreso l’immenso sentimento che nutrivo nei suoi confronti.
«Sei tutto ciò che ho sempre voluto Efestione, senza di te non so come avrei fatto ad arrivare fin qui, ad essere un buon re, un grande uomo. Voglio attraversare con te le porte dell’Ade», iniziarono a rigarmisi le guance con le mie lacrime, volevo solo dirgli quanto mi dispiaceva averlo spinto ancora al limite, ma la realtà era che io lo volevo, volevo sentire ancora una volta la sua voce far battere il mio cuore, ricordarmi quale sentimento facesse muovere gli uomini oltre alla smania di potere, l’amore.
«A-Alessandro», poggiai il capo sull’incavo della sua spalla. «Shhh…Efestione tranquillo, non crucciarti in queste vane paure, che attanagliano l’uomo, ma ricordati del nostro sogno, di quando eravamo bambini, tu sei sempre riuscito a battermi, e allora non temere il contatto con il sole, io sono già tuo».
Continuava a stringermi a sé, la sua mano sul mio capo, sentivo il metallo dell’anello che gli avevo regalato, freddo che premeva su di me.
«Ti amo Efestione, sei e rimarrai l’unico», i battiti si facevano più calmi, regolati dai suoi, così profondi, sembrava che affondassi in quell’uomo.
«Se non ti basta, c’è solo una cosa che posso fare per farti sentire tutto ciò che provo», e sollevandomi piano il mento mi baciò. Le sue labbra si unirono alle mie dolcemente, il sapore delle sue labbra, si unì al mio. E non appena forzò l’ingresso della mia bocca, le nostre lingue morbide e calde si toccarono, sentendo di appartenersi.
Gli circondai i fianchi portando il suo corpo sempre più vicino al mio, avevo bisogno di sentirlo mio il più possibile in quel momento.
Le nostre bocche l'una sull'altra, non lasciavano spazio a pensieri inutili, c'eravamo solo noi due.
«Perdonami se ho dubitato di te», dissi quando ci staccammo per riprendere aria.
«No, perdona me Efestione, non riesco a essere degno di te, ti deludo in continuazione, ma tu mi riconduci sempre sulla via della luce, riportandomi indietro da quella della perdizione».
Abbassò lo sguardo, era così delicato, fragile ora ai miei occhi. Solo con me si era dimostrato più indifeso, non invincibile, e io non avevo fatto altro che ampliare quella crepa, che lo faceva dubitare della sua superiorità, rendendolo sempre più debole.
«Hai occhi troppo intensi per me, io che sono un sognatore e ho sempre guardato avanti a tutti, oltre l’orizzonte, dove nessuno aveva mai pensato che sarei potuto giungere, eppure non riesco a valicare la profondità delle tue iridi, più azzurre del cielo stesso. Io sarò il sole, ma tu sei tutto il resto per me. Mi circondi e mi proteggi da quando eravamo piccoli, e nonostante la stupidità, che caratterizza a volte i miei comportamenti, rimani con me. Ci sei, anche se nascosto, e messo in secondo piano dalla mia figura. Sei molto di più del mio braccio destro, del mio amante. Sei il custode del mio cuore, non potrei mai permettermi che sia contaminato dalla paura e corrotto. Deve rimanere puro e semplice, impavido come quando domai Bucefalo, e sconfissi le fila del grande impero persiano, guidato da quella voglia di superare, anche la grandezza di Achille».
C'era qualcosa in quello sguardo che mi ricordava quello che avevo da bambino, quando esponeva le sue teorie sull'espansione della cultura greca ad Aristotele. Quella totale convinzione in ciò che diceva, senza far trasparire nessuna preoccupazione, o insicurezza, che lo sopraelevava più di chiunque altro, non solo tra noi ragazzi, ma anche con gli adulti. Le vedute ampie e incontrollate, che messe in luce da quel ragazzo sembravano trovare un visione immensa, ma terribilmente possibile, tutto sembrava potesse avverarsi con lui a fianco.
Non era quella bellezza, che conquistava senza armi a renderlo così affascinante ai miei occhi, ma la semplicità che riusciva a rendere possibile qualcosa di improponibile, facendolo diventare la quotidianità.
Me l’ero sempre chiesto, come un essere simile avesse messo piede in un mondo così lontano dai grandi sogni, un mondo che viveva per sopravvivere, così meschino e lontano dai veri ideali, che il maestro ci aveva insegnato, e che i greci avevano tramandato.
Eppure la sua condizione umana gli impediva di sbocciare completamente, di diventare realmente divino, come tutti lo ritenevano. Io lo avevo sempre saputo che il suo animo era divino, ma macchiato dalla consapevolezza che nessuno avrebbe realmente capito la sua grandezza fino a quando, morto, avrebbero notato la sua assenza, e ciò che si era lasciato dietro.
Io che potevo sfiorarlo da più vicino di chiunque altro, ancora non lo comprendevo completamente, potevo solo sostenerlo e amarlo con tutto me stesso, per quanto potesse ferirmi, sicuro che io non me ne sarei mai andato. Lo volevo troppo. Nemmeno il mio orgoglio tradito, sarebbe riuscito a ribellarsi al sentimento che provavo per lui.
In qualunque momento, per lui, mi sarei gettato tra i nemici per proteggerlo, e seguito nei suoi alti piani di conquista e di grandezza, ai quali era destinato, fin dal primo respiro che aveva esalato.
Parleranno di lui nei secoli, come uomo da emulare e da stimare. Come quei vecchi miti, avrebbero inciso le pareti delle case con le sue imprese. Lo sapevo, non sarebbe potuto essere altrimenti.
E io, io avrei indossato le mie ali di cera e mi sarei diretto verso di lui, anche solo per sfiorarlo, e contemplarlo più a fondo di come nessuno si fosse permesso di fare. Per quanto lui potesse dirmi, ero consapevole che era distante anni luce da me, anche se i nostri corpi si fossero uniti altre cento volte, lui sarebbe rimasto sempre il solito inscrutabile bambino, che quando vinsi, mi guardò con gl’occhi di chi sapeva cosa avrebbe voluto e fatto nella vita, e che quello non era che un ostacolo inconsistente, una sconfitta frivola, una briciola rispetto alla vittoria che avrebbe ottenuto lui su tutti noi.
Rimasi stretto a lui finché il tempo ce lo permise, e gli impegni si interposero ancora una volta tra noi.
Quando uscì da quella stanza, quando lasciò la mia mano, calda a contatto con la sua, ebbi l’impressione che sarebbe passato molto tempo prima che avremmo di nuovo espresso i nostri sentimenti tanto apertamente, senza timori o pregiudizi.
L’amarezza nel suo sguardo, quando alla soglia della porta si girò per rimirarmi, colpì quella parte che avevo a lungo nascosto anche a lui, Alessandro.
Sfuggisti a me, e io sottovoce pronunciai quelle parole per l’ultima vera volta, “mio adorato Alessandro, ti amo”. E tornai a rimirare in alto quella grande stella gialla, che sovrastava il cielo.
Molte volte ebbi la tentazione di chiedergli se le avesse sentite quelle parole, ma forse allora non né aveva bisogno, oppure dentro di lui lo sapeva che io gli appartenevo, non perché lui volesse così, ma perché io stesso involontariamente avevo scelto di appartenergli.


Ora, anche se sei a ubriacarti e a compiangerti tra le braccia di Bagoa, mio Alessandro, io non ti abbandono, aprirò questa tenda e scuotendoti ti farò rinsavire. Devi ritornare il re di un tempo, non per me se non lo vuoi, bensì per il tuo popolo, per i soldati che ti hanno seguito dalla Macedonia fino in estremo oriente, incantati dai tuoi ideali e dal tuo carisma.
Ti prego fammi specchiare una volta ancora nei tuoi occhi, forti e temerari che quel pomeriggio mi fecero sentire come il custode del più grande uomo, che abbia mai messo piede e metterà su queste misere terre.
Anche se il dolore, per la consapevolezza, che ora un altro è il tuo uomo, non mi dissuade dal guardarti fisso negl'occhi, rimarremo soli noi due come ai vecchi tempi e se c'è ancora un po' del vecchio Alessandro, e io ne sono certo, lo troverò e lo riporterò indietro, te lo posso giurare.
Sarò folle, ma sei l’unica persona per cui valga la pena lottare.
  
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