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Autore: country dreamer    24/02/2012    4 recensioni
Quattro storie.
l'ultimo incontro fra ogni Beatles e la loro prima moglie/fidanzata.
Il rivedersi, reincontrarsi, riparlarsi.
1. All things musst pass - Paul e Jane (postata)
A tutti quelli che ascoltando le canzoni dei Fab Four hanno gli occhi luminosi..
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note:

Che dire?

Questa è una raccolta formata da quattro storie. Flashfic e drabble non le so scrivere, perciò mi baso sulle one-shot di media lunghezza.

Queste parlano delle prime donne dei Beatles (Jane, Cynthia, Pattie e Maureen)  e del loro ultimo incontro, o uno degli ultimi incontri (nel caso di questa prima storia, si tratta di una telefonata) fra loro ed il Beatle in questione.

Non si basano su fatti realmente accaduti, tranne quella su John e Cynthia che è un abbozzo.

Ci saranno molti errori, temo, e farò finta di prendermi una quantità inaudita di licenze.

Questa prima storia è la mia preferita, anche se non ho mai amato tantissimo Jane Asher (vi confesso che, però, il renderla più che sessantenne mi sta divertendo) originariamente doveva essere pubblicata da sola, ma poi le cose son venute da sé.

 

Vi lascio alla lettura, girls (or boys, ma non so quanti ce ne siano).

Vi ringrazio tutte, perché vi sto conoscendo poco a poco e certe storie che scrivete mi fanno veramente illuminare gli occhi!

 

Kisses

Cami

 

All things musst pass

 

19 novembre 2011

 

Una tazza di tè. L’ennesima di quel giorno.

Dopotutto, lei era una vera inglese. Quando aveva bisogno di riflettere, bastava una tazza di tè e di solito le si chiarivano le idee.

Eppure quel pomeriggio di novembre le idee erano un continuo ingorgo.

Rigirò il cucchiaino nella tazza lasciando che il liquido brunastro si agitasse.

Chiamare Paul dopo anni. Chissà perché, poi, le era venuta quell’idea così avventata.

Forse era un rimpianto degli anni passati, forse aveva solo voglia di ritornare indietro nel tempo e risentire la sua voce.

Non lo amava più, ne era certa.

Eppure in tutti quegli anni l’aveva seguito in silenzio.

Aveva acquistato i suoi album e le erano piaciuti tanto. Le era dispiaciuto quand’era morta Linda ed in quell’occasione gli aveva mandato le condoglianze per telegramma.

Non se l’era sentita di chiamarlo, le era sembrato scorretto e disdicevole.

Si erano parlati una volta nel 1980, alla morte di Lennon.

Jane era rimasta disorientata e sgomenta a quella notizia. John non le era mai piaciuto più di tanto, e tantomeno lui l’aveva avuta in simpatia.

Però poco prima di Natale l’aveva chiamato.

Gli aveva chiesto come andassero le cose e come si fosse sentito alla notizia dello sparo a Lennon.

Era stata una telefonata ricca di pause e silenzi imbarazzanti, con frasi interrotte a metà  E quando Jane si era congedata,  aveva colto un’evidente nota di sollievo nella voce di Paul.

Eppure non sapeva perché, ma in quei giorni le era venuto il desiderio ingenuo di sentirlo.

Non che volesse riconciliarsi o chissà che, dopotutto.

Dall’altra parte, però, si sentiva tremendamente sciocca all’idea di telefonargli.

All’inizio si era crogiolata nella scusa del numero di telefono. Non sarebbe stato facile trovarlo, si era detta.

Eppure aveva chiamato Cynthia. Non che fossero state mai molto amiche, né al tempo dei beatles né dopo.

Le aveva telefonato nel corso degli anni una decina di volte, forse.

Cyn si era dimostrata disponibile e persino vagamente curiosa, quando Jane le aveva chiesto il numero di Paul il che era strano, perché l’ex signora Lennon non era mai stata un tipo indiscreto e nemmeno si era mai lasciata andare a tanti pettegolezzi.

Jane sospirò.

Prese la pesante rubrica in cui teneva tutti gli indirizzi ed i recapiti telefonici e la sfogliò. Era curioso come, nell’era dei cellulari, lei usasse ancora un telefono fisso ed annotasse i numeri su quella rubrica in carta, che puntualmente era uno strazio portare in borsa.

McCartney, Paul.  L’aveva trovato.

Si ritrovò a pensare che era ridicola. Aveva più di sessant’anni e si sentiva in imbarazzo come una ragazzina. Nemmeno durante i primi tempi del suo fidanzamento aveva tanta paura di alzare la cornetta del telefono.

“Poche storie, Jane. O chiami o non chiami.”, pensò.

Chiamò. Pregando mentalmente che non rispondesse Nancy, digitò il numero.

Sembrava una povera adolescente che implorava che non fosse la madre ad alzare il telefono.

Uno squillo, due squilli, tre squilli.

Al quarto squillo Jane iniziò a chiedersi se riattaccare o meno.

“sì pronto?”, domandò una voce.

Era la sua. La voce di Paul, lei, l’aveva vista maturare da un disco all’altro, da quando le dedicava “and I love her” all’ultimo album, che le strappava sempre un sorriso con “dance tonight”.

Respirò a fondo.

Era un’attrice, dopotutto. Assunse il miglior tono contegnoso e rilassato e disse, torcendosi una ciocca di capelli ancora rossi:

“Paul, sono Jane!”, esclamò. Non un “ciao”, non un “come stai”, niente. 

Seguì la pausa stupita che lei aveva temuto. Lui non era bravo a recitare quanto lei e avrebbe capito subito se era in imbarazzo o meno. Se lo fosse stato, decise la rossa d’impulso, avrebbe riattaccato con qualunque scusa.

Invece Paul le parve straordinariamente tranquillo:

“Oh, Jane! Quanto tempo….”, e lasciò la frase a metà.

“Ho avuto il tuo numero da Cyn.”, si sentì in dovere di dire.

“Ah, capisco! Iniziavo a temere che il mio recapito telefonico girasse indisturbato per il mondo!”, scherzò. Jane accennò una risata. Quel buffo modo di farla ridere non l’aveva mai perso. Non era la brutale ironia di John e neanche l’umorismo di Ringo. Scherzava in maniera moderata, quasi temesse di apparire grezzo.

“No, no.”, replicò semplicemente. Doveva continuare la conversazione, in qualche modo. Eppure parve cominciare lui, dicendo:

“Come stai, Jane? Non ho più tue notizie da… da quand’è morta Linda.”, disse lui dispiaciuto. La donna si chiese a cosa stesse pensando, in quel momento, Paul.

Forse non  vedeva l’ora di troncare quella telefonata assurda.

“Bene, bene. Ho sentito che andrai presto in tour, e che prossimamente avremo un tuo album!”, esclamò fingendosi noncurante. Non se la sentiva di fargli le congratulazioni per l’ultimo matrimonio.

“Eh, sì. Che ci vuoi fare, non posso fare a meno del pubblico. Non devo più dimostrare niente a nessuno. Mi diverto e basta.”, confessò tutto d’un fiato. Un barlume di confidenza era tornato fra loro, in un modo o nell’altro.

Li aveva visti alla televisione, i suoi concerti ed ogni volta che sentiva le canzoni che le aveva dedicato negli anni ’60 le venivano in mente ricordi sparsi e si chiedeva: “Chissà se mi pensa quando le suona.”. Non che rimpiangesse niente, ma ogni tanto si domandava se per lui quelle canzoni rappresentassero ancora qualcosa, oppure semplici brani da eseguire.

Poi lui disse una cosa che la stupì:

“Potresti venire una volta, ad un concerto. Potremmo vederci, cioè… Un caffè, una tazza di tè, qualunque cosa.”, propose lui. Aveva un tono esitante.

Poi aggiunse, come per spiegare:

“Solo così come buoni amici.”

Jane si morse il labbro. Non desiderava vedere paul. Sicuramente la stampa, se li avesse scoperti, avrebbe fatto le sue solite ipotesi sbagliate.

Per cortesia, gli rispose:

“Oh, volentieri. Vedrò quel che posso fare.”

Voleva continuare quella telefonata, nonostante tutto. Voleva dirgli che lui l’aveva fatta crescere, l’aveva fatta diventare una donna.

Desiderava parlargli del fatto che, nonostante lei non l’amasse più da tempo, lui le aveva cambiato la vita ed aveva scritto una pagina importante della sua storia.

Eppure, come mettere insieme quelle frasi? Come spiegare una cosa tanto importante senza apparire equivoca?

Ci pensò lui a toglierla dall’impiccio, come se le avesse letto nel pensiero.

“Io volevo dirti grazie, Jane.”, disse.

“Di cosa?”, chiese lei stupita.

“Del fatto che non hai mai lasciato dichiarazioni su di noi ai giornali. Non hai mai parlato di quel che c’è stato fra noi, anche se ti avranno offerto di tutto per farlo. Sei stata l’unica persona che non abbia voluto incrementare i pettegolezzi che circolavano sui Beatles…”, disse lui e parve aver lasciato in sospeso la frase, come se avesse voluto aggiungere dell’altro.

Jane si schermì come poté:

“Oh, ma figurati. Va meglio così, credimi.”, rispose semplicemente.

Cercò di visualizzarlo nella testa, Jane. L’immagine di lui, con la sua aria imbarazzata dall’altro capo della cornetta, le era tremendamente nitida nella testa.

Alla fine la donna prese fiato.

“Paul… Mi hai fatta crescere, sai?”, sputò in un soffio. Non lo sapeva, dove l’avrebbero portata quelle parole né da quale parte recondita del suo corpo avesse preso il coraggio.

Ci fu una pausa, l’ennesima di quella telefonata che poteva essere tranquillamente inserita in un film di serie B.

Poi lui rispose, e nel suo tono c’era qualcosa di inspiegabilmente commosso:

“Anche tu, Jane, anche tu.”, e non riuscì a dire altro.

Le parole erano troppe per entrambi. Come dire attraverso un filo che l’uno aveva scritto una pagina di storia dell’altra e che quel primo amore non l’avrebbero scordato mai?

“Beh, Paul, io ti saluto! Magari vengo a trovarti.”, si congedò lei in fretta.

“Hello, little girl.”, avrebbe voluto dire l’uomo con gli occhi verdi. Ma gli mancò il coraggio e la salutò banalmente, consapevole che non l’avrebbe mai rivista.

 

**

 

note:

non ne sono soddisfatta, proprio no.

Non mi piace com’è venutafuori e non mi piace la piega che ha preso.

Li ho descritti così, Paul e Jane. Intimiditi e con la paura di risultare ridicoli ed incomprensibili l’uno agli occhi dell’altra.

È una telefonata imbarazzata, la loro. Ma un barlume finale di quello che era un antico amore e che ora si è trasformato in tanto affetto reciproco, ho voluto scriverlo.

Io… Spero vi piaccia, ecco.

Quale coppia volete vedere per la prossima?

John e Cyn, George e Pattie o Ringo e Mo?

Cercherò di esaudirvi, ma scrivendo su ispirazione non sono sicura!

 

Cami

 

  
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