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Autore: SuperTeleGattone    24/02/2012    0 recensioni
Minato, il palazzo dell’Hokage e la notte. Minato, il vento che soffia e voci lontane, a chiamare. Minato, le strade di Konoha e, quindi, un gatto. Minato, i cedri davanti a casa e, lassù, la luna. Minato, Kushina e, fra poco, anche Naruto. Minato Hokage e Minato Namikaze. Tanto a cui pensare e tanto da abbracciare e, su tutto, il tempo; ed è già tempo, tempo di salutare. Buonanotte, buonanotte…
[And it’s time, that you love, and it’s time, time, time, “Time”, Tom Waits.]
Konoha, nove ottobre, notte.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minato Namikaze | Coppie: Minato/Kushina
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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Angolo dell’autrice:

___Ehm, buondì (come la merendina), gente (come il rotocalco)! Allora, allora, allora. Seconda e ultima (grazie al cielo) parte della faccenda: anche questa lungotta; anche questa un tantino incasinata. Se non altro, però, è finita qui, giurin giurello. Bene, dunque: buon proseguimento a chi volesse rimanere, e grazie d’essere comunque passati a chi volesse levare le tende, giustamente. Scusate ancora il tedio e l’umorismo da quattro soldi; sono un soggetto all’ultimo stadio (sigh).

Grazie ancora e buona lettura.


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As Time
[Leaves]
Goes By

 
 
Time
[Yellow Moon]



Yellow moon
Ima mo mittsu
Kazoete me wo akete
Shadow moon
Mada yume wo miteru?

 
Kaketa yozora dewa tsuki wa kyou mo
Shizuka na kao de hikaru no sa

 
Me wo mite
Itsu aeru?

 
[Yellow Moon, Akeboshi]
 
[Luna gialla
C’è una luna gialla
Conta fino a tre e poi apri gli occhi
All’ombra della luna
Stai ancora sognando?

Mentre la luna cala nel cielo notturno
Brilla ancora con un sorriso sereno stasera
 
Guardami negli occhi
Quando ti vedrò di nuovo?]
 
 
 
 
 
 
 

 
 

___Minato si stiracchiò con indolenza, allungando braccia e gambe come un gatto – zampe lunghe lunghe, le sue. Garbo a parte, prese a dondolare il capo: “crick” a sinistra e “crack” a destra, qualche finissima pacca all’altezza del coccige e un massaggio veloce ai litorali posteriori. Area, quella, su cui più d’una delle molte casalinghe di Konoha avrebbe ragionevolmente calcato i denti, comunque: somma sciagura non vi fosse nessuno a prestargli mano!
___Le diatribe avevano sempre trovato terreno fertile presso la Foglia – dalle diatribe, dopotutto, lei c’era germogliata: “Quale disciplina ninja è la più forte: arti marziali, magiche o illusorie? E fra le abilità oculari, quale: Byakugan o Sharingan? E fra clan: Hyūga o Uchiha? E i Kage: i fratelli Senju o il saggio Sarutobi?” Una sola, però, sembrava conciliare gli animi, anche i più faziosi: “L’Hokage più avvenente? Ma Minato Namikaze! Minato Namikaze, senz’ombra di dubbio!”
___Ciò nondimeno, casomai qualcuno lo avesse colto in un simile atteggiamento – gambe divaricate e mano al posteriore –, non avrebbe creduto ai propri occhi: “Il Quarto… a grattarsi? Suvvia, un’allucinazione, ecco cosa! Colpa del saké di Teuchi-san! O di un qualche malignità illusoria, recante la firma di tal Fugaku Uchiha, sicuro!”
___Diamine, stava decisamente accusando la stanchezza accumulata: levatacce e ore insufficienti a far tutto; infiniti girotondi burocratici; occhio vigile, sempre, su Konoha e i suoi confini; Fulmine, Vento e relativi Cercoteri; e l’ansietà, sua e di Kushina, del Terzo e di tutti. Il Fuoco intero giaceva in attesa; il rischio era grosso e aveva di già un nome. Due nomi. Avrebbero potuto dar e strappar loro ogni cosa, quelle due pesti dentro la pancia. Che poi, “dolce attesa”? Fermentazione, altroché!
___Nel torcersi con maggiore successo, finì per volgere il capo; la coda dell’occhio che, inevitabile, s’impigliava all’alabarda rossa lassù: il kanji “fuoco”.[1] Si raddrizzò meglio, senza staccare gli occhi da un legaccio che accordava spazio giusto in terra: la roccaforte dell’Hokage. La cervice di Konoha.
___In Accademia, una delle prime lezioni somministrate era quella circa la morfologia, l’anatomia del villaggio: la Foglia era una capocchia di sfera con cerchio in roccia e base di cellulosa. Lungo l’asse, due vertici amministravano le forze: le porte d’ingresso, a est, accoglievano; il monte dei Kage, a ovest, vigilava. “Una testa”, aveva subito pensato Minato.
___Le teste, però, lamentavano la disgraziata necessità di un supporto per star su e funzionare: alle teste serviva un collo. Ma non occorreva andar troppo lontano, poiché ridosso la parete scolpita stava un palazzo; un palazzo alto e ritto come un fusto: “Oh, eccolo, il collo!”
___Era la fantasia di un bambino, lineare e libera da troppi significati sotterranei; Minato, tuttavia, aveva sempre avuto buon occhio. La successiva esperienza come Hokage aveva avuto, fra i molti pregi, anche quello di avallare quella prima suggestione… e di cementarne un’altra. Il palazzo, ufficio dei Kage, era sì la nuca, forca per la testa; ma dal collo in giù, da basso sino al valico dell’ingresso, era corpo. “Giusto, un corpo!” Testa e collo volevano più di tutto un corpo, sotto; altrimenti… beh, non avrebbero avuto molto senso. Né pratica. Un grosso daruma[2] rosso, il Villaggio della Foglia!
___Salì un po’ più su, guardandole bene quelle maschere tutte serie; passo cauto a ogni modo: era un feudo di santi, quello! Il tetto del possibile e del desiderabile.

[E fa spavento stare in alto, vero?]___

___Si chiuse in religiosa contemplazione, preparandosi a incontrarli: per primi, vennero i lineamenti asciutti di Hashirama Senju; secondi, in coerenza, quelli più affilati di Tobirama-dono; poi, i tratti volitivi di Sarutobi-sama; e infine… Toh, un intruso! E tu come ci sei finito, lassù?
___Tornò a trovarlo ancora, quella brutta piega agli angoli della bocca. Tornava e ritornava sempre, da brava habitué.
___Mai che gli fosse andato a genio quel ritratto, e chissà perché, poi: non si riconosceva, lo metteva in imbarazzo, forse? Forse sì, forse no; forse non era “imbarazzo”, forse era il suo meschino compare “disagio”. Non gli entrava a dovere, vestiva stretto, erano i panni di un altro: là dentro, lui non ci stava.
___Senza falsa modestia, non si sentiva né era alla misura dei suoi predecessori: chi poteva, del resto? A bilancia dei grandi Hokage, della loro guida e della loro leggenda, lui chi era? A fronte del loro di sacrificio, il suo dov’è che era?
___Il sommo Hashirama, fondatore e padre di Konoha, aveva dato la vita, vita e compagna, per proteggere il villaggio da Madara Uchiha e dal suo destriero a nove code.[3] Durante il secondo grande conflitto ninja, Tobirama Senju si era immolato contro le lame di Kinkaku della Nuvola, nella fermezza che preservare le giovani Volontà del Fuoco costituisse il cardine essenziale del ruolo di Kage. Hiruzen Sarutobi, Terzo Hokage per volontà diretta di Tobirama-sama, aveva impegnato tutto se stesso per conservare il villaggio nella pace; dalle radici ai rami, tutto, pur di impedire ai tarli di divorarlo.
___I grandi Hokage passati avevano dato, dato e dato ancora, sistematicamente, per onorare quanto faticosamente costruito [il passato], tutelare quanto conquistato [il presente] e salvaguardare quanto sarebbe poi cresciuto [il futuro].

Per Konoha.

[E tu, Minato-kun?]___

___E lui, già. E lui? Di là della raggiunta o mancata perfezione, lui avrebbe saputo, non già teatralmente sacrificarsi soltanto; in autentico, proteggere e proteggere davvero il villaggio? Il desiderio sarebbe stato all’altezza del sogno?
___Sfiorò un’ultima volta le effigi di uomini arsi nel mito, gli occhi opachi e la nebbia nella testa; prese commiato da quella conferenza e tornò al suo, di posto: la terra e la strada.
___Si incamminò lento e si sorprese tremare appena; il vento blu che insisteva a operare.
___A quell’ora, Konoha era un bosco di travi scure e righe gialle che dormivano in piedi, trespolo per civette e cattivi pensieri: il filo malconcio dei suoi, ad esempio, non ci mise davvero niente a cascarci, incrociando lo steccato del quartiere Uchiha.

[4][Il ghetto Uchiha.]___

___Cattivi, cattivi pensieri appollaiati come cornacchie…
___Non era la prima volta che sorgeva, dal fondo della gola sino la fossa sulla lingua: “Quanta squallida ipocrisia!” Lunga e larga a calzare un borgo intero, tanto, tanto a onore e ricompensa del glorioso corpo di polizia! Così si celebrava la conclamata emarginazione di tutto un clan, e così si tracciavano le frontiere e i gradi: io di là, tu di qua e statu quo.
___Alla Foglia, gli Uchiha erano intrusi: metallo immesso come scudo ma scansato, poiché cannone da fuoco. Valevoli ma pericolosi e pericolosi proprio perché valevoli. Potenti, ben oltre gli occhi.
___Il caso poi, più o meno accreditato, la ferita tra “corpo” e “braccio” della Foglia fosse [comprensibilmente, sant’Iddio] tenuta viva e furiosa dalla discendenza stessa dello Sharingan, non l’avrebbe comunque mai resa più giustificabile e meno orribile. C’era una falda, urlata forte ma perfettamente muta: Konoha tutta aveva paura del clan Uchiha.
___Perché lo Sharingan poteva dominare la Volpe.

[Perché uno Sharingan aveva dominato la Volpe.]___

Perché aveva [già] tradito.

___Così temeva e no, non si fidava. In barba agli sforzi di Senju e Sarutobi-sama per palesarne la fedeltà e favorirne l’integrazione, lei si conservava scettica. “Integrazione”, poi? Non avrebbe dovuto esserci nulla da integrare: che forse un braccio dev’esser integrato al corpo? Il sangue Uchiha non era forse del medesimo rosso di quello Senju? Non erano forse altrettanto vulnerabili anche loro – accidenti, anche loro! – nella carne? Bastava quell’unico varco a fallare l’interezza del carico?
___Inspirò l’aria, che mulinava tra le vie e le loro epidermidi di pietra.
___Evidentemente bastava.
___C’era umidità nell’atmosfera, già da prima, e parve farsi quasi elettrica, palpabile: avrebbe potuto stringerla nella mano, sì… e quella lo avrebbe istantaneamente azzannato.
___Più denso dell’acqua, il sangue, senza dubbio; e altresì più difficile da lavare, se versato.
___Ma lui era lì per quello.
___Mai state un grande affare, le dicotomie: Yin e Yang, nero e bianco, corpo e mente – un momento! E lo spirito, lo spirito? Desolati, non c’era spazio per lo spirito. Se così, allora urgeva più spazio, una direzione in cui poter andare o deviare, una forza a far le altre circolare: un’alternativa.
___Due non era mai stato un gran numero. Vero che alle teste occorreva un corpo e ai corpi, una testa; entrambi, però, avevano bisogno di uno spirito per collaborare: un terzo.
___Tre, tre era un buon compromesso.
___Che il clan Uchiha fosse legittimato, per suoi stessi trascorsi, a nutrire risentimento e a esigere rivalsa; che i vertici di Konoha non disponessero d’altre soluzioni praticabili per arginare tanto, selvaggio potere, se non fomentandone inevitabilmente anche il rancore; che il torto o la ragione risiedesse da una sola o da entrambe le parti; indipendentemente a chi andasse quella diavolo di colpa… lui avrebbe impedito ai due fuochi di deflagrare.
___Non l’avrebbe concessa mai una guerra civile.
___Il suo villaggio non avrebbe attraversato un’altra guerra con ancora nelle narici il sangue della precedente, né con né senza. Tre grandi, grandi guerre… che di “grande” non avevano avuto davvero nulla, portata del massacro esclusa. Tre conflitti mondiali in appena cento anni di storia e di ortodosso assetto geo-politico: da che i ninja erano la norma.[5] E da allora, dalla prima di molte, altre, troppe guerre l’avevano seguita; nonostante un mondo più prossimo ai castelli che alle piane di armature vuote.
___Tre guerre in cento anni. Una ogni trent’anni, secondo statistica. Una. Ogni. Trenta.
___Aggrottò le sopracciglia, la matematica a falciargli in testa.
___Nemmeno, non era nemmeno nato e…

[Prenderà anche lui, anche lui, Minato-kun.]___

___Nel vento o nel cielo, da dentro o da fuori, non sapeva da dove.

[Non lo sai, mio buon amico, dove?]___

___Un messaggio però restava, un oracolo.

[Sta arrivando; sarà lì presto.]___

___A lui non piacque quel che sentiva, affatto, ma non era maligno né benigno; solo quanto esisteva.

[Conviene tu sia pronto.]___

___Bene, come desiderava: sarebbe stato lì e sarebbe stato pronto.

Sarebbe stato il “terzo”.

___Non voleva che suo figlio, che un qualunque figlio [dei bambini, solo dei bambini, maledizione!] fosse schiacciato dalla vita prima ancora di poterne comprendere il valore; imparare a maneggiare kunai prima ancora di sapersi reggere sulle gambe [basta, basta jōnin di dodici anni nei campi di battaglia]. Avrebbe usato quanto in suo pugno per impedirlo; per offrire a Naruto, se non la certezza, almeno la possibilità di una vita pacifica [una terza via, oltre il bianco e il nero].
___Un mondo senza guerre, eh? Che visione romantica… romantica come ogni ingenuità. Quel sentiero, con il bianco ma senza il nero, risiedeva lontano lontano, purtroppo: via dalla sua mano e dai suoi pugnali a tre punte, via e via… oltre il possibile.
___Eppure, Minato si chiese quanto fosse legittimo e automatico dover assecondare questo limite; se “connaturato” designasse anche “giusto”.
___Un mondo che si strutturava sulla necessità della guerra; un mondo, la cui economia si reggeva sul meccanismo speculativo della guerra; un mondo che educava i suoi stessi figli affinché ci scendessero, un giorno, a forza, in guerra; un mondo simile, con quella a riprodursi ovunque, ovunque, non poteva essere giusto. No, un ragazzino di dodici anni scarsi costretto a scegliere [e dover scegliere] tra la servitù alla nazione e la vita di un compagno, una cosa così… no, non era giusta. E non sarebbe bastate mai le “drammatiche eventualità” e le “perdite inevitabili”, il “rischio calcolato” e il “dovere”: il nindō.
___C’era la peste, camminava fra gli uomini, e i ninja n’erano gli araldi.
___Ebbe voglia di sedersi, andare a terra, toccare il basso e restarci.
___Con che criterio si mettevano al mondo figli in un tempo simile? Davvero non avevano svolta e quello era l’unico scolo percorribile? Nessun altro sentiero, anche poco battuto o integralmente vergine, ma esistente, quantomeno esistente, dannazione! “Fantasia”, “utopia”, qualunque fosse il suo nome, doveva avere un volto, doveva. Doveva risiedere da qualche parte.

[6][Anche se mi uccidi, ci saranno altri sicari ad assalire il tuo villaggio.]___

___Qualche parte, passato quello.

[Finché vivremo nel maledetto mondo dei ninja, non ci sarà pace per noi.]___

___Più in là dei ninja.

[Allora, scioglierò questa maledizione.]___

___Oltre il bianco e il nero.

[Se la pace è possibile, sarò io a potarla fra i ninja!]___

___Dopo il limite, lo vedeva.

[Non mi arrenderò mai!]___

___Lo vedeva e ci credeva.

[Chi sei tu?]___

___Lui credeva in…

[Mi chiamo…]___

Naruto.

___Sorrise. Naruto, già. Chissà non fosse proprio lui il bimbo destinato al maestro Jiraiya: colui che avrebbe operato una grande scelta entro il sistema degli shinobi, sancendone la liberazione o la caduta.
___Il rivoluzionario.

[Il cambiamento.]___

La terza via.

___Quella via, tra il bianco e il nero, che Minato non sapeva scovare: quanto non poteva essere. Benché desiderato, sì, e tanto. Per se stesso.

[Mi dispiace.]___

___Per il suo maestro.

[Mi dispiace, sensei.]___

___Per sua moglie.

[Kushina, mi dispiace.]___

___Per i suo allievi.

[Kakashi, Rin, Obito.]___

___Per la sua casa.

[Scusatemi.]___

___E per suo figlio.

[Scusami.]___

[Scusa,] Per tutto [Naruto].

___Non era svariate cose lui, non le era e mai le sarebbe state: era il suo limite. Oltre quello, non poteva. Tuttavia…

[7][Non è vero.]___

___Non importava.

[Questo romanzo è meraviglioso.]___

___Non gli importava.

[Il bello di questo racconto è che il protagonista non si è mai arreso.]___

___Non levatura o quantità ma capacità, profondità.

[Leggendolo, ho pensato che…]___

___C’era altro, dietro testa e corpo.

[Vorrei che mio figlio diventasse un ninja come questo protagonista!]___

___Altro a esistere, dentro.

[8][Rassegnati al fatto…]___

___A resistere.

[Che io mi rassegni.]___

Così, lui avrebbe resistito.

___Pur con i limiti, e le mancanze, e il nero, e il vento, e le voci, avrebbe comunque lottato e cercato, anche appena cercato, una strada diversa: non ninja. Solo, al momento, non avrebbe davvero saputo proporne un’altra; una concretamente fattibile.

[Predichi bene e razzoli male, eh, Minato-kun?]___

___I castelli in aria non erano certo la sua arte maggiore.
___Riflessivo, sì, a volontà; ma creativo? Hm. Perspicace, comunque: sapeva cogliere ispirazione, scrutare ed estrarre per, quindi, ricollocare. Aveva l’animo della massaia che recupera tutto e non spreca niente, Minato. Tuttavia la “novità”, il “mai provato”… Ci sarebbe stato da fidarsi? Non che, poi, “consueto” e “rodato” costituissero figuri troppo positivi. Anzi. Ma lui una cosa soltanto conosceva: la realtà dei ninja. Una realtà entro cui un signore feudale [il Daimyō], illustre fantoccio burocratico, affidava il presidio del paese a sentinelle interne, nascoste e autonome [i villaggi ninja]. In questo gioco di paraventi e ombre, l’equilibrio del potere aveva piede sulla spartizione dei capitali; e i demoni dalle code rientravano in questa borsa. Così era: il benessere dei molti estinto dal tributo dei pochi, mentre cinque galletti si litigavano un’aia della misura di un continente.
___Non che fosse granché come partenza ma, onestamente, non aveva la presunzione di poter approdare molto lontano, anche con banchine migliori.
___Minato non riuscì, però, a non interrogarsi su quale fosse, negli effetti, il suo posto là dentro; se dovesse riconoscersi evidentemente di parte e inservibile nel grembo di un così meschino scenario; adulterato, poiché marito di Kushina Uzumaki, Forza Portante della Volpe a Nove Code. Tra le nazioni e i loro cani, dove finiva l’imparzialità del Quarto Hokage? E dove iniziava l’interesse di Minato Namikaze?
___Sapeva di non avere, né di poter avere mai, il distacco necessario alla delibera; e la strettoia era quanto del poco, del suo, sarebbe stato pronto a dare in favore del più.
___Un dardo obliquo alla testa, e due nomi si fecero vivi: Sakumo Hatake, Obito Uchiha. Nomi di morti [uno, costretto a scegliere] che si facevano vivi [l’altro, che già aveva scelto], vivi, che diamine!
___Gli fischiarono le orecchie, forse per il vento, forse per l’esaurimento; forse era solo stanco. Già, forse. Eppure, sulla sua testa, la mezzaluna si conservava.
___Ci fu un rullare, un rullare di metallo, qualcosa che si schiantava, là, alla sua destra: “Crash!”
___Calma e niente palpitazioni: Konoha era un posto sicuro, dopotutto. Voltarsi e obbedire al fracasso fu istantaneo. Un posto sicuro, sì. Nell’ombra fangosa di un vicolo, Minato incontrò due fiaccole gialle. “Sicuro”, no? Gelò.
___Per un lungo istante, sapere quelle fessure verticali attributi, fra i più ovvi, di un qualunque gatto non riuscì comunque a scacciare l’allarme, in profondità, di aver sconfinato nella riserva di un predatore.
___Minato si accucciò piano, attento a non spaventare come a non alterare lo sguardo: “In battaglia, chi cede il passo è perduto.” Constatando, poi, come lo straniero non paresse affatto coinvolto, prese l’iniziativa e azzardò una mano nella sua direzione, invitandolo. Prima delle lame veniva il saluto, il medio e l’indice a livello del cuore: era il cerimoniale shinobi.
___La pantera, tuttavia, non si mosse, solida nel suo antro con quei due grandi fari gialli; fissa, non ancora nemica ma nemmeno complice, praticava l’attesa. Tenzone oltremodo strana, la loro: l’uomo ancora in ginocchio e l’animale ancora in ombra, contrari nel verso e simmetrici per posizione.
___Il vento soffiò ancora, forte, rovesciando l’insegna di una bottega; l’asta cadde male e rimbalzò peggio, sporcando il silenzio con un’ala di polvere opaca.
___Traballando sulle caviglie, Minato si girò in volata.
___Diamine… E meno male che era un ninja – il Quarto Hokage, attenzione! –, tenuto per sua prima sopravvivenza alla prontezza e ai colpi alle spalle. E invece? E invece, ah, una molla! “Lampo giallo”? Giusto “giallo”, via, i mozziconi per la sostituzione avrebbero manifestato maggiore reattività!
___Rise di se stesso e delle proprie gambe, tornando alla nicchia sulla destra e al suo signore.
___Il gatto, però, era sparito.
___Frullò le palpebre e sorrise storto: sedotto e abbandonato? Povero, povero Minato! Mollato così, come un sasso. Non doveva aver fatto troppo colpo… Pazienza. Adesso, però, in piedi! Un’ultima sbirciata al vicolo e forza: indietro ai propri passi, tra i ciottoli e un cielo che si setacciava.
___Tempo di tornare a casa.
___Accelerò un poco, salendo con gli occhi alle stelle: quanta voglia di rivedere Kushina e Naruto! Quanta… tanta… Anche perché, con tutta probabilità, sarebbe stata la sua ultima occasione di riposare decentemente. Beh, impattare sul futon, quantomeno, e senza esser scrollato per emergenza: «Ramen! Ramen al miso, Minato! E fagottini alla crema di fagioli rossi! No, dolcetti di riso! No, no, che dolcetti e dolcetti: voglio la tenpura! Tenpura di gamberi! Tenpura di gamberi e fagottini ai fagioli rossi, capito? Ohi, ohi, aspetta! E ramen! Ovviamente ramen! Ramen, dattebane![9] Ramen-al-miso, al-miso, miiisooo; chiaro, Micchan?»
___Altro che ricovero fuori dal villaggio: migrare all’Ichiraku, e di corsa! Mai svegliare can che dorme, comunque: il suo stomaco brontolò lamentoso, chiedendo cure; in guisa di tagliolini, possibilmente.
___Oh-o. Si grattò la testa.
___Valutò con prudenza le opzioni aperte e, disgraziatamente, si arrese presto all’evidenza di come: svegliare Teuchi-san per aver timbro di “demente”, nel bussare in pesca di ramen a una tal ora, forse… avrebbe potuto costargli la santità di seggio e reputazione. Ma appena appena.
___Fantastico, era ammattito! «Ah, lo dicevo io! Lo dicevo che tu non eri a posto!» Già la sentiva, Kushina, a ripeterglielo e ripeterglielo e ripeterglielo: «Io sarò pure incinta e con non una ma due bestiacce, qua dentro, a marinare tra rondelle e brodo; però tu! Tu non stai mica bene!» E aveva a suo modo ragione. Vero che lei era un’allarmista nata e lui, a forza di apparire e scomparire in tanti “puf” di fumo, vestiva più come prestigiatore da fiera che come militare; ora, però… Suvvia, duelli coi gatti e voci nella testa? No, non si fa, non si fa! Lungi dall’essere perfetto, certamente; ma risiedere a tanto così dalla barzelletta, per favore, no!

[Ti sarai mica perso qualcosa nel trasloco, Namikaze?]___

___Sempre una parola buona per tutti, Kushina Uzumaki.

[Eh? Oh, può darsi. Però è buffo.]___

___Derideva e rideva, a crepapelle e da smascellarsi.

[Sssì. E tu sei proprio fuori, sai!]___

___Rideva e sapeva far ridere lei, tanto.

[Il bue che dà del cornuto all’asino.]___

___Così, anche Minato rise.

[Che?! Brutto, brutto-, Namikaze! Figlio di buona-, io ti ammazzo!]___

Perché a casa.

___I cedri intorno frusciarono tutti per dargli il benvenuto: “Oh, il capo! Bentornato!” Minato sorrise loro in risposta, fece scorrere la porta dell’ingresso e se la richiuse velocemente alle spalle; l’autunno che, fuori, sbuffava per esser stato piantato in asso.
___Via i sandali, quasi si squagliò, quando la pianta del piede incontrò il conforto caldo del tavolato.
___Il Primo Hokage era e sarebbe sempre stato patrimonio nazionale per il Fuoco, ma le virtù del suo esclusivo governo non si esaurivano ai colossi di legno: buttar giù una montagna? Bazzecole, in sella ai rospi del Monte Myōboku! Ma prova a mettere in piedi una pianta, a cavare il pieno dal vuoto, a creare dal nulla… Lì sta il confine con le “Sei Vie”.
___Il buio sembrava più denso in casa, sicché lo trattene un poco. Tuttavia, era uno shinobi lui e, anzitutto, gli shinobi si muovevano sotto le ombre, non oltre la luce. Ciò nonostante, avrebbe preferito fronteggiare i samurai del Ferro, con le lame di chakra alte e in vista, anziché vagare senza bussola nelle paludi della Nebbia; pure al lordo dei suoi occhi da aquila.
___Trovò le scale dai pioli alti e brevi, parecchio brevi: ostili a Kushina e alla falcata turbolenta del Mulinello, stavano invece piuttosto quieti con Minato. Ah, il “Lampo giallo” e il suo passo felpato! Finezza, quella, purtroppo sprecata in casa Uzumaki-Namikaze. Atterrare su un solo alluce o a zavorra di Gamabunta non avrebbe sortito differenza alcuna, nottetempo: nemmeno i tamburi dell’Apocalisse potevano intaccare il dormire di Kushina Uzumaki.
___Infatti… Toh, come da programma!
___Quasi gli scappò un gracidio al far scorrere il pannello in carta; gracidio, comunque, prontamente ingollato. In altri frangenti, tanta derisione non sarebbe certo passata inosservata, o tanto meno impunita. “In altri”, appunto. In quelli in esame, fortunatamente, Kushina versava nel più cacofonico dei sonni possibili.
___Se la dormiva e se la russava, il maschiaccio del Vortice, ambedue grandemente. Davvero uno squisito quadretto: sghemba, i capelli annodati al collo – vedovo, Minato, vedovo di ipertricosi! –, una gamba a calciar via coperte e garbo e, in sommità a tutto, l’orchestra. Kushina non russava; Kushina macinava sassi via narici: “Arte del naso! Tecnica della grattugia infernale!” Era già incappato in musiche ben poco gradevoli – il maestro Jiraiya e la fauna del Myōboku lo avevano ben istruito al peggio, in questo senso –, ma quello, buon Dio… quello era Bull a far festa in un cimitero di elefanti!
___Si accostò al futon per accomodare con più cura appendici e lenzuola – davvero una casalinga mancata, Minato –, quando tale gentilezza venne degnamente ricompensata: una manata, una sonora manata in piena faccia. Centro perfetto!
___Fece una smorfia e, virilmente, mugugnò. Il naso doveva essere già un bel bitorzolo, acceso come una lampadina, considerato il male e il ghigno infame della moglie; cuscino alle fauci e qualcosa di simile a: «Huf’haffa foffoffa, feh fafoffe, Feuffi-faaan…» penzoloni dalle labbra.
___Cielo… Mai possibile che quel mostro della sua sposa riuscisse a canzonarlo pure in stato d’incoscienza? Ah, sì. Sì davvero.
___Minato ebbe il buon senso di cogliere l’antifona e allontanarsi, prima di aggiungere “calcio a sud della settima porta” alla collezione di percosse. Le tende risero leggere – ma non a causa sua, davvero: colpa del vento! Quel mascalzone di vento che aveva fatto loro solletico, parola! Finse di crederci. Dopotutto la bugia era stata ben congegnata: una delle finestre, quella che dava a nord, verso il villaggio, era rimasta per buona parte aperta. L’innata negligenza Uzumaki colpiva ancora! Si affrettò a porvi riparo, facendo scorrere la lastra lungo il binario e scontrandosi… con Minato. Rovesciato.
___Rimase fermo, mano agli infissi e occhi alla lente.
___Sembrava stanco. Randellata e insonnia a parte, sembrava proprio stanco. C’era un Minato, oltre il vetro, che lo guardava, che sembrava tanto stanco e che voleva chiedergli qualcosa: “Ehi. C’è da diventar matti, vero? Prima la luce, poi il buio, ancora una e ancora l’altra e, a volte, l’una e l’altra insieme. Non so te ma io, qui, così, non so se ce la faccio. E tu? Tu, dimmi, ce la fai? E, ammesso oggi, domani, ce la farai domani? E il giorno dopo? E il giorno dopo ancora? E ancora e ancora e ancora, dimmi: ce la farai?”
___Prestare orecchio a voci e doppioni nei vetri non era mai scelta saggia; benché quelli non mentissero, anzi [io sono stanco]. Spesso dicevano il vero [lo sono tanto]. Erano un po’ come gli oracoli [e tu?]. Né maligni né benigni, restituivano solo quanto visto [non sei stanco di reggere?]. Con una grossa tara, però: tempo e spazio [non vorresti lasciare?]. Si sovrapponevano su un unico piano, smarrendo profondità [non vuoi lasciare?]. Imbrogliando il “di qua dal vetro”, il “di là dal vetro” e il “riflesso sul vetro” [vuoi lasciare?]. Il rovescio [vuoi?]. E “rovescio” [no] non ha nome “identico” [affatto].
___Un rantolo più esuberante dei precedenti lo riportò alla stanza e al futon nel suo centro; temette, anche, la Volpe si stesse effettivamente manifestando, in base alla sinfonia da lì proveniente. Falso allarme, comunque: solo Kushina che trangugiava con gusto i capelli.
___Minato tornò alla finestra, prese a sciogliere il nodo che tratteneva il coprifronte e incrociò ancora lo sguardo col riflesso [in battaglia, chi cede il passo è perduto]. La fascia scivolò via dalla fronte, cadde sugli zigomi e lì si frappose [due non era un gran numero]. Durò poco, davvero poco; ma “poco” fu anche “giusto” [occorreva un’alternativa]. Lo trovò di nuovo, l’altro Minato, ancora stanco e ancora in questione; ma trovò anche altro, oltre la stanchezza e la questione [di là dalla carne e dalla mente, esisteva un altro metro]. Non altezze e quantità ma profondità, in un ninja [non era forse così, maestro?]. E il ninja era colui che resisteva.
___Gli tenne testa ancora; testa contro corpo. No, non contro, sopra. Sopra, più in là, oltre. E andando oltre, oltre il “di qua”, il “di là” e il “vetro”, vide.

Konoha.

___Silenziosa e addormentata, se ne stava indifesa sotto la polvere degli astri [c’era Konoha, nei suoi occhi]. Il coprifronte giaceva sciolto, stretto tra le sue mani [e c’era Konoha, nelle sue mani]. Minato lo cinse solo un poco di più, rimanendo immobile, fermo e saldo alla sua via: «Ti proteggerò.»
___Voltò il capo verso l’interno della stanza, e si sentì sicuro: «Vi proteggerò.»
___Sì, ne era sicuro: «Lo giuro.»
___La banda blu era ancora tra le sue mani, quando la luce bionda della luna si affacciò, accendendo la curva della foglia nell’argento del metallo.
___Fuori, il vento dispettoso tormentava i cedri; quelli, ligi a lavoro e natura, sbatacchiavano come un sol uomo senza cedere. Il legno, tuttavia, è pur sempre legno e qualche asola la concede, sicché una pinnata fredda lo riscosse dal letargo.
___Poggiò la fascia sulla scrivania, spruzzata di luce dai campanelli lontani delle stelle, avendone cura infinita, come reticente a separarsene. “Buonanotte, buonanotte”, diceva con lo sguardo triste di chi parte, e lo diceva alla sua casa. Di là dal sogno e della scelta, ma entro l’Hokage ed entro Minato, quella era casa sua. Quella era lo spirito.
___Si disfò del mantello, allentando un poco il ruolo, solo un poco; e rispolverando il vecchio Minato, il buon, vecchio Minato.
___A tragitto inverso da finestra a letto, e ben attento a non sobillare la violenza domestica di Kushina, riuscì poi a espugnare coperte e piedi satellite, aprendosi una breccia nel fortino. Guardia alta, a ogni modo! Guardia alta anche e più di tutto nel sonno: “lampo” sì, “immortale” non ancora, e le vette di potenza animale raggiunte della sua signora erano degne dei “Lariat” del Raikage.
___Dentro, il cotone era caldo e lo invitava a distendersi; a mollare le redini, su, e che diamine! Solo a cagione di questa momentanea euforia termica, commise il disgraziato gesto di allungare una mano verso il pancione della moglie; il che condusse, per principio di causa-effetto, all’inevitabile gomitata assestata con grande efficienza, e una buona dose di sgradevole umorismo Uzumaki, in piena faccia. Ancora. Precisamente, alle coordinate del setto nasale. Di nuovo.
___Minato ebbe la tentazione di belare senza ritegno; ma era l’Hokage – un Hokage brutalizzato dalla sua dolce sposa, sì, ma pur sempre un Hokage – e, in quanto Hokage, si trattenne.
___Al suo fianco, Kushina sembrava posseduta dal “fuoco verde della giovinezza” – altro che Volpe a Nove Code – e, in vista dell’ennesimo attentato alla propria integrità, Minato levò ambo le braccia sopra la testa. Col senno di poi, tuttavia, ritenne ulteriormente ridicolo come il suo unico tentativo di difesa fosse stato presto umiliato dall’atto di carità con cui Kushina lo graziava, ruotando il capo verso l’interno del letto e ignorandolo serenamente.
___Scostò di poco mani e gomiti, ancora incerto se potersi rilassare o meno, e iniziando a scrutare perplesso il volume tondo che vibrava sotto il lenzuolo: non poteva essere, no davvero; nove mesi e quattro zampe, chiaro; lui stesso fu a suo tempo precoce, ma non poteva, no e no. Non poteva già anche lui… prenderlo in giro.
___“Arte del naso” e, adesso, “Arte dello sfottò”: cos’era? Una nuova, terribile abilità innata? Misericordia, due Uzumaki contro un Namikaze soltanto… Il “Sigillo quadrangolare” non sarebbe certo bastato!
___Sorrise o, quantomeno, ci provò, col naso tumefatto e la ridarella in gola: cielo, aveva l’allegra premonizione che anche Naruto sarebbe stato un vero rompipalle! Un vero, gran rompipalle. Un “Uzumaki”, in una parola. E il pronostico gli piaceva molto, non poteva negarlo: accidenti, lui li adorava i rompipalle, eh già. Una spia eloquente, in questa direzione, era condensata dal suo entourage: con chi era convolato a giuste nozze o di chi era stato allievo; senza dimenticare le sue graziose bestiole da evocazione.
___Ridacchiò ancora, sentendosi stanco da morire, da morire davvero… L’ilarità passava negli orari più strani; ma era sempre la benvenuta, sempre, ad ogni ora.
___Si scoprì, poi, a fissare il volto addormentato di Kushina.
___Le ricordava bene, le accalorate filippiche del maestro Jiraiya sul mistico legame tra il sonno e le donne: «Ascolta, Minato, ascoltami bene, ché questi sono insegnamenti importanti, ben più importanti di tutto quel ciarpame conservato in Accademia – sì, sì, è così, mi dispiace! Vedi, le donne, Minato, possono sembrare tante cose: dure, fredde, riottose, cianciare di parità e di chissà cos’altro; possono persino sembrare demoni, oni[10] fatti e finiti, ma – oh! Ascoltami bene, sai, che poi t’interrogo! Ehm, ma… Tu coglile nel languore del sonno; prendile con la guardia abbassata e, perché no, magari anche qualcos’altro; scoprile in quel luogo magico che è il letto – benedetti, benedetti siano i letti! I letti e la lingerie da camera! Il sonno, credi a me, ha questa proprietà, questa miracolosa proprietà: le fa brillare. Rimuove le finzioni, le strutture, quelle che servono, beh, a non farsi troppo male; rimuove pure i vestiti, che è cosa buona e giusta, e lascia emergere quanto c’è sotto. No, non sto parlando solo di quello, e non essere tanto scettico: ho del romanticismo anch’io, cosa credi? Certo, se Tsunade mi avesse malmenato meno, ne avrei di più, ma che vuoi farci… Comunque! Il sonno, Minato, il sonno rivela. Rivela la donna, la creatura docile, sinuosa e amabile che il giorno nasconde. Nel sonno, Minato, nel sonno e di notte: è che devi colpire! Bene! E adesso, pratica! Sì, sì, hai dodici anni, e con questo?»
___Minato aveva sempre riso di certi argomenti pruriginosi, puntualmente snobbati da un frigidone come la “signorina Namikaze”; considerandoli poco più che stilizzazioni dell’universo femminile, francamente piuttosto maschiliste e finemente maniacali, nel caso particolare del suo sensei.
___E fu costretto a convenirne una volta di più, quando un filo di bava prese a colare, delizioso, dal labbro inferiore di sua moglie.
___Non dovevano però fraintenderlo.
___A suo modesto parere, Kushina non era più o meno bella, aggraziata o desiderabile a seconda fosse perfettamente sveglia o in coma farmacologo. Kushina, a suo giudizio – giudizio ben poco lusinghiero, doveva riconoscerlo –, non era bella. Molto candidamente, ai suoi occhi d’integro scimunito, Kushina era andata ben al di là dall’essere “appena” bella. Kushina era solo, beh, Kushina: irrequieta o rintronata, allegra o incarognita, entusiasta o imbarazzata, Kushina era sempre Kushina. Ecco tutto. E bastava così.
___Durante il sonno, lei perdeva in espressività, in colori, questo era vero; ma guadagnava in linearità, in trasparenza, con quel fiocco di luce posato sulla guancia.
___Ne osservò meglio il volto: aveva sempre avuto un ovale molto paffuto lei, fin dall’Accademia. La stranezza che però non cessava di sorprenderlo, pure a distanza di tanti anni, era come quel viso, che ne aveva viste e passate tante, non sembrasse minimamente intenzionato a volersi affrancare dalle forme felici dell’infanzia. Come se ciò non bastasse, la gravidanza era stata tutt’altro che favorevole; contribuendo, impietosa, ad acuirne la già naturale pienezza. Mandando Kushina fuori dai gangheri, chiaramente.
___Minato sapeva bene quanto lei detestasse quel suo particolare tratto fisico. Oh, se lo sapeva… L’aveva sperimentata in prima persona, la furia omicida di un’adolescente complessata! Certo che, pure lui, con quel sorriso smagliante e quel: «Sai, a me, davvero, il tuo viso perfettamente tondo, davvero, piace… molto», s’era consegnato nudo e condito al leone.
___Il gusto pugno sul naso, immediatamente successivo, fu uno scotto appropriato da pagare, dopo tanta ingenuità. Aveva pur sempre dodici anni, Minato, ninja o non ninja. Eppure non era una bugia o un goffo tentativo di scherno, ma solo la verità. Semplice e imbarazzante, compromettente. E se Kushina fosse stata abbastanza perspicace da accorgersene, sarebbe arrossita di turbamento, non di rabbia.
___Quella volta – fumo alla testa e dorso a lui, a quel gregge di babbuini e allo sghignazzo generale sul “grande Namikaze, scaricato dalla virago di Uzushio” –, non erano stati l’umiliazione o il sangue sotto il naso a infiammare le orecchie di Minato.
___Ma lei, beh, non si era sprecata a voltarsi, e perciò non aveva visto. Al solito, gli Uzumaki e il loro corto raggio… Nondimeno, il viso tondo e paffuto di Kushina era piaciuto fin da subito a Minato; il viso tondo e il rame vivo dei suoi capelli. Ed era curioso, per non dire diabolico, come tra le molte possibilità operabili, lui avesse inconsapevolmente centrato proprio le uniche due caratteristiche estetiche che, più d’ogni altra, Kushina detestava di se stessa; ratificando la mira sovrannaturale che il “Lampo giallo” manifestava nel trafiggere un qualunque bersaglio. Compreso quello sbagliato.
___Riflettendoci per bene, era quasi un miracolo fosse riuscito non solo ad accasarsi, ma addirittura a riprodursi; considerando poi le scarse premesse e la sua perpetua costipazione emotiva. Ma lui era sempre stato un tipo molto determinato, dopotutto; per cui andava da sé che due o tre sganassoni e qualche legnata non lo avrebbero certo fermato. Pur trattandosi degli sganassoni e delle legnate del temutissimo “Habanero rosso sangue”, eh.
___Minato non riuscì proprio a non sorridere, da sotto la trapunta, al profumo d’esser lì: Hogake, sposato e, Dio, domani…

[Siamo proprio cresciuti, eh, Minato-kun?]___

___Avvicinò meglio il suo profilo a quello meno affusolato e sicuramente più tondo di Kushina, inspirando lentamente fino a gonfiare i polmoni; sentendola bene, dentro, la sua famiglia: sua, di Minato, e poi, poi dell’Hokage. Era tutta lì, addormentata tra federe e fibre di cotone; il ponte tra testa e corpo; il soffio a continuare.
___E dire che lui, alla famiglia in senso stretto, con moglie, figli e focolare, non vi aveva mai puntato. Era stato un incidente di percorso; era capitato.
___Da bambino, “Hokage” era stata a lungo la sola voce esistente: “Hokage” per proteggere, “Hokage” per valere, “Hokage” per essere. Soltanto quello e niente altro. Per guadagnarsi stima e rispetto, sorrisi e pacche sulle spalle: fare per gli altri era diventato il suo modo di interagire con gli altri. Gli altri, tutti, nessuno in particolare. Non aveva mai considerato la prospettiva inflazionata e ordinaria di essere amato, e amato da qualcuno in particolare: di voler essere amato, solo e soltanto, da un preciso qualcuno in particolare.
___I bambini mirano fino a dove tira il loro sguardo. Serve allungarsi per adocchiare altro, e spostarsi, per raggiungerlo. A Minato furono necessari dieci anni, la caduta dei Gorghi e una guerra, per comprendere il sentiero sotto il suo naso.
___Mai avuti problemi di rotta, prima; del resto, non aveva mai navigato nelle acque di Uzushio, prima. Villaggio dei Mulinelli nel Paese del Vortice, non a caso, evidentemente. C’era stato disagio e c’era stato affanno, tempesta, oh sì; cose ben poco piacevoli e che con l’amore non dovrebbero averci niente a che fare. Ma era pur sempre una sfida e le sfide andavano raccolte, quindi: “Saluto! E combattete!”
___Kushina lo aveva fatto sentire totalmente e disperatamente vivo. Questo, forse perché fu lei, tempo addietro, a fargli promettere di non morire. Era successo in coda alla loro prima missione congiunta. Avevano poco più di dodici anni, all’epoca: lui straordinariamente già jōnin; lei banalmente ancora genin. Era stata lei, però, la prima a parlare.

[A volergli parlare.]___

___«Promettimi una cosa, Namikaze.»

[Voleva qualcosa.]___

___«Hm?»

[E, sfortuna sua, la voleva da lui.]___

___«Avanti, devi farmi una promessa, capito? O giuro che da oggi inizio a chiamarti “signorina Namikaze”!»
___«Va bene, va bene. Cosa devo promettere?»
___«Che, che… che non morirai prima di me.»
___«Eh?»
___«Sì, che non mi pr-precederai almeno in quello, ecco.»

[Lei era seria.]___

___«Allora, pr-prometti o no?»

[Lui la fissava.]___

___«Oh! Guarda che se non lo fai, ti chiamo sul serio “signorina Namikaze”!»

[Ma anche lui era serio.]___

___«Lo faccio, sai! Davanti a tutti, davanti a quel pervertito del tuo maestro, persino davanti al Terzo!»
___«Va bene.»
___«Uh?»
___«Va bene, lo prometto.»
___«Ah. Oh. Mo-molto bene.»
___«Però, anche tu devi promettermi una cosa.»

[Lui aveva sorriso.]___

___«Eh? Che… No! No, no, no! Non erano questi i patti! Non c’era nessun accordo sul fatto io, poi, dovessi fa-!»
___«Fifa?»
___«C-che? Cosa?! Un corno! Avanti, spara, Namikaze: che vuoi?!»
___«Bene. Allora, io prometto di non morire prima di te, ma…»

[Lei aveva grugnito.]___

___«Ma anche tu devi promettere di non morire prima di me, va bene?»

[E lui continuava a sorridere.]___

___«Cos-, ehi, ma non vale! Mi hai copiato, dattebane!»
___«Sì.»
___«Ma era una mia idea!»
___«Sì, infatti mi è piaciuta.»
___«Ma!»
___«Allora?»

[La stava guardando.]___

___«M-ma…»

[Lei era confusa.]___

___«Va bene?»

[Solo per poco, comunque.]___

___«Promesso, Uzumaki-san?»

[Lei aveva sorriso con aria di sfida.]___

___«D’accordo, dattebane! Promesso, Namikaze

[E, a mignoli stretti, avevano sorriso entrambi.]___

___Poi, erano trascorsi cinque anni e loro erano cresciuti. Le tensioni lungo i confini del Fuoco erano sfociate in scontri intestini, e lo spauracchio del conflitto aveva cessato di rimanere tale: era guerra. La terza grande guerra ninja. Misuravano entrambi diciotto anni, all’epoca; entrambi jōnin, all’epoca.

[Restava però un voto, una questione tra veri ninja, di mezzo.]___

___«Sai, stavo pensando alla promessa che c’eravamo scambiati a dodici anni. Ricordi?»

[C’era lui ad aprire le danze, questa volta.]___

___«Eh? Quale pro-, uh!»

[Lei gli aveva offerto giusto le spalle.]___

___«Ah, quel-quella cavolata?»
___«Sì, e mi chiedevo se non fosse un po’ stupida.»
___«C-che?!»

[Si era girata a guardarlo.]___

___«Sì, stupida

[A lui avrebbe giovato rimaner zitto.]___

___«Cosa?! Ma, ma… OH! Vola basso, capito?! E in più, tu me l’hai pure copiata; perciò hai proprio poco da sbavare nel piatto in cui mangi, tsk!»
___«… Sbavare?»
___«Sbav-, sì, sbavare.»
___«Sputare.»
___«Sput-? Sput-… Ma che schifo! Non ha senso, dattebane! Perché accidenti dovrei sputare dove mangio, scusa?»
___«Appunto, non ha senso.»
___«Appunto che?»
___«Come dicevo.»
___«Dicevi cosa?»
___«Che è stupido.»
___«Ma stupido cosa?!»
___«Quello che hai detto.»

[Minato e il suo centrare i bersagli.]___

___«Eh? Eh?! Ma che hai, le vuoi prendere, Namikaze?!»

[Compresi quelli sbagliati.]___

___«No, no, no! Scusa, scusa! Non volevo; insomma, intendevo quello che hai detto cinque anni fa; la promessa, ecco.»
___«Na-mi-ka-ze! Oggi è proprio la buona volta che ti prendo a calci in cul-!»
___«Perché non possiamo mantenerla…»
___«Oh, ma davvero? E io che stavo giusto giusto per estinguerla, tu pensa!»
___«Perché non possiamo “non morire” entrambi, non credi?»

[La sua voce era calata.]___

___«E-eh?»

[Sembrava triste.]___

___«Sì, non è fisicamente possibile, intendo. Neanche volendo. E uno dei due, prima o poi, dovrebbe romperla.»
___«Ma che…»
___«Per questo mi è sembrato stupido: perché verrà infranta, comunque, e non avremo scelta.»

[Lei aveva smesso di guardarlo.]___

___«Ah. Già.»
___«Già.»
___«Bella fregatura.»

[Anche lei si era un po’ spenta.]___

___«Quando me ne sono accorto, sai, io ci sono rimasto… beh, ci sono rimasto.»

[Anche lei triste.]___

___«Non mi è parso giusto. Sì, era solo una promessa fra bambini, lo so, però…»

[Lei non fiatava.]___

___«Io ci tenevo. Ci tenevo davvero, comunque.»
___«Allora…»
___«Eh?»
___«Credo che, forse… No-non pensi che…»
___«Cosa?»
___«Voglio dire…»

[Non lo guardava.]___

___«Non credi che, forse, sarebbe meglio pr-promettere d-di…»

[Non voleva.]___

___«Di-di mo-morire…»

[Non ci riusciva.]___

___«Insieme?»

[Il “Lampo giallo” era lesto in tante cose.]___

___«Ah.»

[E in alcune, nel modo sbagliato.]___

___«Sì, insomma: se no-non possiamo “non morire” uno prima dell’altro tutti e due, né “non morire” in assoluto; allora… a-allora, forse, no-non ci rimane che mo-morire i-insieme… No?»

[Lei, povera anima, si era voltata.]___

___«Oh.»

[Lui aveva gli occhi bassi e fermi.]___

___«Sì, cioè, no-non fraintendermi, dattebane! Non che voglia morire con te adesso! Voglio dire: sai che schifo?! No-non sia mai! E non t’azzardare a farti strane idee, Namikaze: t’ho mica chiesto chi-chissà che! È solo che, che… Oh, insomma, ’ttebane! L’hai iniziata tu ’sta faccenda della malora, non io, quindi che diamine vuoi?!»

[Lei stava diventando rossa.]___

___«E poi, io neanche ci pensavo più ma, oh! Tu ti metti a tiare fuori cose di tremila anni fa; di pr-promesse che non possiamo mantenere, eccetera eccetera; e allora io ci penso e mi dico: “Ehi, ma è vero, dattebane!” E non mi piace, non mi piace per niente; così cerco di trovare una soluzione, una qualunque; e pe-penso, cioè… Cre-credevo che, insomma, fo-fosse la co-cosa meno… meno peggio, ecco!»

[Era integralmente rossa, crine compreso.]___

___«Eh su, di’ qualcosa, cazzo! Che hai da guardare co-co-così, dattebane?!»
___«Uh! E-eh?»
___«Come “e-eh”?! “Eh” un cavolo! Parla, accidenti a te! Parla, parla, parla!»
___«Eh? Ah, no, cioè, sì.»
___«Cosa “eh-ah-no-cioè-sì”? Ma “sì” che?! Ohi, sei scemo, Namikaze?!»
___«Sì, cioè, no, cioè-»
___«Na-mi-ka-zeee…»
___«S-sì! Sì! Sì, sono, sono d’accordo.»
___«Eh? Asp-, sei… sei cosa, scusa?»
___«Sono d’accordo con te, Uzuma-»
___«Sì, sì, come no…»
___«No, davvero, sul serio. Mi… mi piace.»
___«Cos-? T-ti… ti piace?»
___«Sì, mi piace.»
___«Da-davvero?»
___«Sì, davvero.»
___«Sì?»
___«Sì.»
___«Hm…»

[Lei non era molto convinta.]___

___«Solo che-»

[A ragion veduta.]___

___«Ah-a! Ti pareva!»
___«No, tranquilla, davvero. Lasciami giusto spiegare.»
___«Seh, seh…»
___«Dico solo che…»
___«Embè?»

[Namikaze-kun sapeva fare tante cose.]___

___«Piuttosto che promettere di morire i-insieme…»

[Tante, tante davvero.]___

___«Non potremmo semplicemente pr-promettere…»

[Ma non balbettare.]___

___«Di vi-vivere… i-insieme?»

[E ora, balbettava.]___

___Sotto le coperte, Minato riaprì piano gli occhi; non ricordava quando, come e per quanto gli avesse chiusi. Guardò poi Kushina. Mosse una mano lentamente, per non permettere al calore racimolalo di disperdersi; cercò quella di lei, abbandonata sul ventre, e le sfiorò il mignolo.
___«Promesso, Kushina-san?» Così in passato.
___«D-d’accordo… promesso, Minato.» E così sarebbe stato, sempre.
___Strinse il dito al suo, sentendosi stanco e vivo, dove voleva essere: «Promesso.»
___Un soffio e niente più sul volto di Kushina, vento. Minato sorrise, senza sciogliere quel nodo vecchio meno di dieci anni: sapeva bene che nulla l’avrebbe mai svegliata; nulla nel modo più categorico e senza sconti a nessuno, lui compreso. Sorrise ancora. Lo sapeva… perciò gli venne da ridere e ridere a crepapelle, quando ebbe la sciocca sensazione che il dito intorno al suo stesse tentando di muoversi. Che stramberia. Per stringerlo. Che stramberia davvero.
___E Minato sorrise.
___Non lo volle davvero, eppure i pensieri gocciavano dalla testa e, fiacchi, rotolavano verso il calore di Kushina; sicché anche lui, poco a poco, iniziò a svanire. Piedi, gambe, mani, la sua, quella di Kushina, Naruto là sotto, c’erano, sì, restavano e gli respiravano accanto; era lui, lui a sfumare nella foschia del sonno. Era lui che se ne andava. “Buonanotte, buonanotte”, la voce triste di chi parte. Un saluto, il gesto dell’armonia e poi, via, via. “Buonanotte…”
___Oltre il lenzuolo, la camera era una cassa di nero; le ombre, intorno, a soffocare e invitare al silenzio.

[Sta arrivando, sta arrivando.]___

___Era necessario il buio.

[Presto, sarà lì presto.]___

___Il buio, al sonno.

[Conviene tu sia pronto.]___

___E di nuovo.

Una fluttuazione.

[Tu non sei stanco?]___

___Si era perso ancora.

[Non vuoi lasciare?]___

___Fermo da qualche parte.

Ma dove?

___A casa?

[Nell’ufficio dell’Hokage?]___

___Sdraiato nel suo letto?

[Steso in mezzo alla strada?]___

___Vicino a sua moglie?

[Davanti a due occhi gialli?]___

Era ancora paura?

___Del tempo che andava?

[Del tempo che non aveva?]___

___Perché stava per diventare padre?

[Perché, esserlo davvero, non avrebbe potuto?]___

___Perché non riusciva ad andare avanti?

[Perché ormai, capolinea, già arrivato?]___

Non ne aveva forse più, di tempo?

___Gradualmente, con la temperanza della neve che si accumula, il buio cominciò a sgretolarsi; il silenzio, a calare; il mondo, a svanire. Né bianco, né nero, ma nulla. Solo l’eco, la scottatura di quella porta, abbandonata alle viscere della retina, riemergeva prepotente, come umidità dall’intonaco.
___Quella porta rossa.

[Non la ricordava rossa.]___

___C’era una porta rossa.

[Non lo era stata mai.]___

___Una porta che lo fissava.

[Io sono qui, e tu?]___

___Dal fondo della stanza.

[Sei pronto?]___


Una porta chiusa.








___Era notte a Konoha.

[Era il dieci ottobre a Konoha.]___

E il tempo era compiuto.



 
 
 
 
 
 
 
And it’s time, time, time
And it’s time, time, time
And it’s time, time, time
That you love
And it’s time, time, time

And the things you
can’t remember
Tell the things you. c a n ’ t .forget

And it’s time, time, time
That you love
And it’s time, time, time

 
[TimeTom Waits]
 
[Ed è tempo, tempo, tempo
Ed è tempo, tempo, tempo
Ed è tempo, tempo, tempo
Che tu ami
Ed è tempo, tempo, tempo

E le cose che non riesci a ricordare
Ti parlano delle cose che non puoi dimenticare

Ed è tempo, tempo, tempo
Che tu ami
Ed è tempo, tempo, tempo]


As Time
[Leaves]
Goes By

 
 

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Angolo dell’autrice:

___Benone, è finita, gente! Andate pure in pace, figlioli. Amen.
___Allora, intanto grazie per essere (sopravvissuti) arrivati fin qui, sorbendovi qualcosa come ottanta e passa pagine in “Microsoft Word, Times New Roman, dodici”. Che matte risate, no? Ehm… Comunque, grazie davvero. Non so come né perché l’abbiate fatto (come, come sopratutto), ma grazie lo stesso.
___E ora, i riconoscimenti di rito: il “Yellow Moon” del sottotitolo (in quel bel giallino che tutti avranno odiato, e avete fatto bene, avete fatto!), come pure le strofe immediatamente sotto, sono borseggio dell’omonima tredicesima ending di “Naruto”; firmata ancora Akeboshi. Quelle poste a chiusura, invece, sono rapite a “Time” di Tom Waits (come dicevo una pagina fa). Volendo, pure suddetti brani potrebbero essere consigliati (biecamente sfruttati) come sottofondo musicale, ma… non è strettamente necessario. Mi scuso per il loro uso improprio, comunque.
___Ah, ecco, lo dico qui! Quel “Bull che fa festa in un cimitero di elefanti” altri non è che una delle gigionissime evocazioni di Kakashi: il cane grosso grosso e nero nero, simile a un mastino gigante, tanto per intenderci (Bull, patatone lui, arf! Io amo i cani di Kakashi-sensei).
___Benerrimo, allora, gli ultimissimi ringraziamenti: grazie al sito e all’amministrazione per l’occasione; agli utenti, per fiducia, impegno e tempo (più le diottrie evaporate); a quanti (no, sul serio, quanti?) hanno apprezzato e a quanti (tanti) gli han dato giusto un’occhiata. Ma grazie anche a quanti (tutti) non hanno apprezzato: perché, pur non gradendo, prima avranno sicuramente letto un pochino (e perché i broccoli faranno sì schifo, ma per saperlo occorre prima assaggiarli). Per cui grazie (della smozzicata). In sostanza: grazie un po’ a tutti di tutto.

Grazie infinite davvero.

___Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro (neanche a volerlo, eh).

Note:

___[1] Il kanji “fuoco”: i kanji sono caratteri di origine cinese usati nella scrittura giapponese (by Wikipedia). La cosa avvincente, in tutto ciò, è come io non abbia la minima certezza quella sorta di “v” rovesciata sia effettivamente un kanji; nella fattispecie, quello significante “fuoco” (la lingua giapponese è incantevole ma d’un complicato… Una volta hanno cercato di spiegarmi la differenza fra hiragana e katakana: ho perso conoscenza cinque microsecondi dopo). Chiedo ancora venia per il pressappochismo (“Rana Spiaccicata no Jutsu”!). []
___[2] Daruma: o meglio, bambole daruma. Figurine votive giapponesi, dall’aspetto di ometti privi di gambe e braccia. []
___[3] Il sommo Hashirama […]: mega-licenza di uccidere sua grandezza “il Canon”! Ebbene: se Kishimoto m’assiste, il Primo Hokage ha sì combattuto contro Madara feat. Volpe, ma non mi pare sia perito in quell’occasione specifica. Necessitando, però, di precedenti parecchio forti, ho distorto appena appena i fatti. []
___[4] Il ghetto Uchiha: altra ciccionissima incongruenza storica. Se non erro, il quartiere Uchiha (certo, “quartiere”, proprio) fu, come dire, ufficializzato solo dopo l’attacco del Nove Code; che si sospettava manovrato dai signori dello Sharingan, appunto. Sicuramente v’erano già profonde tensioni, ma la zampata del Cercoterio è stata il capro espiatorio, atto a sbattere gli Uchiha fuori dalle… fuori. Comunque sia, non credo all’epoca dell’amministrazione Namikaze tale estradizione fosse già stata pienamente consumata. []
___[5] Tre conflitti mondiali […]: non sono certo una cima in materia di “Narutoverso” e cronologia interna. Da quel poco che ho capito, però, più due calcoli, credo di essere giunta alla conclusione che: dalla fondazione del Villaggio della Foglia, con annesso sistema dei cinque paesi e relativi villaggi ninja, sino al tempo in cui si svolgono i fatti, siano trascorsi circa un’ottantina, novantina di anni. Sottolineo credo, giacché ho sempre fatto una confusione della malora per contestualizzare qualsiasi roba. []
___[6] Anche se mi uccidi […]: stralcio del manga originale, ossia i dialoghi del primo libro di Jiraiya, “La leggenda dei ninja coraggiosi” (ma avrei tanto, tanto voluto coinvolgere pure “Il paradiso della pomiciata”. Che poi, “La violenza della pomiciata” anche. “La violenza”, signori, parliamone!). []
___[7] Non è vero: altro taccheggio, sì, vittima la chiacchierata fra Minato e Jiraiya circa il libro di cui sopra. Nello specifico, ho arraffato solo le battute del Quarto. []
___[8] Rassegnati al fatto […]: altra ruberia, sorella della [6]. Sono una brigante, già, ma Barabba l’han graziato, dai! []
___[9] Dattebane: rafforzativo usato da Kushina, simile al “dattebayo/’ttebayo” di Naruto. Temo non sia traducibile, essendo sostanzialmente un neologismo creato da Kishimoto per dare un’impronta caratteristica al personaggio. L’adattamento italiano ha preferito omettere questa particolarità in Naruto stesso, mentre la variante materna è stata poco poco forzata nel tic verbale del balbettio. Io ho improvvisato un gran miscuglio di trivialità e giapponeserie, facendola incespicare fondamentalmente quando si emoziona (e da qui, è facile intuire quale possa mai essere il mio personaggio preferito, o il battello a esso associato. Ma queste son magagne mie; ignoratemi). []
___[10] Oni: orchi del folclore giapponese. Toh, una decina tonda tonda, e mo’ è finita sul serio: tutti a casa, gente! Scusate, scusate davvero, ho un senso dell’umorismo raggelante io… ma! Proprio in virtù di ciò, grazie ancora (riverenza dell’autrice). []

  
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