Angolo dell’autrice:
___Ehm, buondì (come la merendina), gente (come il rotocalco)! Allora, allora, allora. Seconda e ultima (grazie al cielo) parte della faccenda: anche questa lungotta; anche questa un tantino incasinata. Se non altro, però, è finita qui, giurin giurello. Bene, dunque: buon proseguimento a chi volesse rimanere, e grazie d’essere comunque passati a chi volesse levare le tende, giustamente. Scusate ancora il tedio e l’umorismo da quattro soldi; sono un soggetto all’ultimo stadio (sigh).
Grazie ancora e buona lettura.
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As Time
[Leaves]
Goes By
Time
[Yellow Moon]
Yellow moon
Ima mo mittsu
Kazoete me wo akete
Shadow moon
Mada yume wo miteru?
Kaketa yozora dewa tsuki wa kyou mo
Shizuka na kao de hikaru no sa
Me wo mite
Itsu aeru?
[“Yellow Moon”, Akeboshi]
[Luna gialla
C’è una luna gialla
Conta fino a tre e poi apri gli occhi
All’ombra della luna
Stai ancora sognando?
Mentre la luna cala nel cielo notturno
Brilla ancora con un sorriso sereno stasera
Guardami negli occhi
Quando ti vedrò di nuovo?]
___Minato si stiracchiò con indolenza, allungando braccia e gambe come un gatto – zampe lunghe lunghe, le sue. Garbo a parte, prese a dondolare il capo: “crick” a sinistra e “crack” a destra, qualche finissima pacca all’altezza del coccige e un massaggio veloce ai litorali posteriori. Area, quella, su cui più d’una delle molte casalinghe di Konoha avrebbe ragionevolmente calcato i denti, comunque: somma sciagura non vi fosse nessuno a prestargli mano!
___Le diatribe avevano sempre trovato terreno fertile presso la Foglia – dalle diatribe, dopotutto, lei c’era germogliata: “Quale disciplina ninja è la più forte: arti marziali, magiche o illusorie? E fra le abilità oculari, quale: Byakugan o Sharingan? E fra clan: Hyūga o Uchiha? E i Kage: i fratelli Senju o il saggio Sarutobi?” Una sola, però, sembrava conciliare gli animi, anche i più faziosi: “L’Hokage più avvenente? Ma Minato Namikaze! Minato Namikaze, senz’ombra di dubbio!”
___Ciò nondimeno, casomai qualcuno lo avesse colto in un simile atteggiamento – gambe divaricate e mano al posteriore –, non avrebbe creduto ai propri occhi: “Il Quarto… a grattarsi? Suvvia, un’allucinazione, ecco cosa! Colpa del saké di Teuchi-san! O di un qualche malignità illusoria, recante la firma di tal Fugaku Uchiha, sicuro!”
___Diamine, stava decisamente accusando la stanchezza accumulata: levatacce e ore insufficienti a far tutto; infiniti girotondi burocratici; occhio vigile, sempre, su Konoha e i suoi confini; Fulmine, Vento e relativi Cercoteri; e l’ansietà, sua e di Kushina, del Terzo e di tutti. Il Fuoco intero giaceva in attesa; il rischio era grosso e aveva di già un nome. Due nomi. Avrebbero potuto dar e strappar loro ogni cosa, quelle due pesti dentro la pancia. Che poi, “dolce attesa”? Fermentazione, altroché!
___Nel torcersi con maggiore successo, finì per volgere il capo; la coda dell’occhio che, inevitabile, s’impigliava all’alabarda rossa lassù: il kanji “fuoco”.[1] Si raddrizzò meglio, senza staccare gli occhi da un legaccio che accordava spazio giusto in terra: la roccaforte dell’Hokage. La cervice di Konoha.
___In Accademia, una delle prime lezioni somministrate era quella circa la morfologia, l’anatomia del villaggio: la Foglia era una capocchia di sfera con cerchio in roccia e base di cellulosa. Lungo l’asse, due vertici amministravano le forze: le porte d’ingresso, a est, accoglievano; il monte dei Kage, a ovest, vigilava. “Una testa”, aveva subito pensato Minato.
___Le teste, però, lamentavano la disgraziata necessità di un supporto per star su e funzionare: alle teste serviva un collo. Ma non occorreva andar troppo lontano, poiché ridosso la parete scolpita stava un palazzo; un palazzo alto e ritto come un fusto: “Oh, eccolo, il collo!”
___Era la fantasia di un bambino, lineare e libera da troppi significati sotterranei; Minato, tuttavia, aveva sempre avuto buon occhio. La successiva esperienza come Hokage aveva avuto, fra i molti pregi, anche quello di avallare quella prima suggestione… e di cementarne un’altra. Il palazzo, ufficio dei Kage, era sì la nuca, forca per la testa; ma dal collo in giù, da basso sino al valico dell’ingresso, era corpo. “Giusto, un corpo!” Testa e collo volevano più di tutto un corpo, sotto; altrimenti… beh, non avrebbero avuto molto senso. Né pratica. Un grosso daruma[2] rosso, il Villaggio della Foglia!
___Salì un po’ più su, guardandole bene quelle maschere tutte serie; passo cauto a ogni modo: era un feudo di santi, quello! Il tetto del possibile e del desiderabile.
[E fa spavento stare in alto, vero?]___
___Si chiuse in religiosa contemplazione, preparandosi a incontrarli: per primi, vennero i lineamenti asciutti di Hashirama Senju; secondi, in coerenza, quelli più affilati di Tobirama-dono; poi, i tratti volitivi di Sarutobi-sama; e infine… Toh, un intruso! E tu come ci sei finito, lassù?
___Tornò a trovarlo ancora, quella brutta piega agli angoli della bocca. Tornava e ritornava sempre, da brava habitué.
___Mai che gli fosse andato a genio quel ritratto, e chissà perché, poi: non si riconosceva, lo metteva in imbarazzo, forse? Forse sì, forse no; forse non era “imbarazzo”, forse era il suo meschino compare “disagio”. Non gli entrava a dovere, vestiva stretto, erano i panni di un altro: là dentro, lui non ci stava.
___Senza falsa modestia, non si sentiva né era alla misura dei suoi predecessori: chi poteva, del resto? A bilancia dei grandi Hokage, della loro guida e della loro leggenda, lui chi era? A fronte del loro di sacrificio, il suo dov’è che era?
___Il sommo Hashirama, fondatore e padre di Konoha, aveva dato la vita, vita e compagna, per proteggere il villaggio da Madara Uchiha e dal suo destriero a nove code.[3] Durante il secondo grande conflitto ninja, Tobirama Senju si era immolato contro le lame di Kinkaku della Nuvola, nella fermezza che preservare le giovani Volontà del Fuoco costituisse il cardine essenziale del ruolo di Kage. Hiruzen Sarutobi, Terzo Hokage per volontà diretta di Tobirama-sama, aveva impegnato tutto se stesso per conservare il villaggio nella pace; dalle radici ai rami, tutto, pur di impedire ai tarli di divorarlo.
___I grandi Hokage passati avevano dato, dato e dato ancora, sistematicamente, per onorare quanto faticosamente costruito [il passato], tutelare quanto conquistato [il presente] e salvaguardare quanto sarebbe poi cresciuto [il futuro].
Per Konoha.
[E tu, Minato-kun?]___
___E lui, già. E lui? Di là della raggiunta o mancata perfezione, lui avrebbe saputo, non già teatralmente sacrificarsi soltanto; in autentico, proteggere e proteggere davvero il villaggio? Il desiderio sarebbe stato all’altezza del sogno?
___Sfiorò un’ultima volta le effigi di uomini arsi nel mito, gli occhi opachi e la nebbia nella testa; prese commiato da quella conferenza e tornò al suo, di posto: la terra e la strada.
___Si incamminò lento e si sorprese tremare appena; il vento blu che insisteva a operare.
___A quell’ora, Konoha era un bosco di travi scure e righe gialle che dormivano in piedi, trespolo per civette e cattivi pensieri: il filo malconcio dei suoi, ad esempio, non ci mise davvero niente a cascarci, incrociando lo steccato del quartiere Uchiha.
[4][Il ghetto Uchiha.]___
___Cattivi, cattivi pensieri appollaiati come cornacchie…
___Non era la prima volta che sorgeva, dal fondo della gola sino la fossa sulla lingua: “Quanta squallida ipocrisia!” Lunga e larga a calzare un borgo intero, tanto, tanto a onore e ricompensa del glorioso corpo di polizia! Così si celebrava la conclamata emarginazione di tutto un clan, e così si tracciavano le frontiere e i gradi: io di là, tu di qua e statu quo.
___Alla Foglia, gli Uchiha erano intrusi: metallo immesso come scudo ma scansato, poiché cannone da fuoco. Valevoli ma pericolosi e pericolosi proprio perché valevoli. Potenti, ben oltre gli occhi.
___Il caso poi, più o meno accreditato, la ferita tra “corpo” e “braccio” della Foglia fosse [comprensibilmente, sant’Iddio] tenuta viva e furiosa dalla discendenza stessa dello Sharingan, non l’avrebbe comunque mai resa più giustificabile e meno orribile. C’era una falda, urlata forte ma perfettamente muta: Konoha tutta aveva paura del clan Uchiha.
___Perché lo Sharingan poteva dominare la Volpe.
[Perché uno Sharingan aveva dominato la Volpe.]___
Perché aveva [già] tradito.
___Così temeva e no, non si fidava. In barba agli sforzi di Senju e Sarutobi-sama per palesarne la fedeltà e favorirne l’integrazione, lei si conservava scettica. “Integrazione”, poi? Non avrebbe dovuto esserci nulla da integrare: che forse un braccio dev’esser integrato al corpo? Il sangue Uchiha non era forse del medesimo rosso di quello Senju? Non erano forse altrettanto vulnerabili anche loro – accidenti, anche loro! – nella carne? Bastava quell’unico varco a fallare l’interezza del carico?
___Inspirò l’aria, che mulinava tra le vie e le loro epidermidi di pietra.
___Evidentemente bastava.
___C’era umidità nell’atmosfera, già da prima, e parve farsi quasi elettrica, palpabile: avrebbe potuto stringerla nella mano, sì… e quella lo avrebbe istantaneamente azzannato.
___Più denso dell’acqua, il sangue, senza dubbio; e altresì più difficile da lavare, se versato.
___Ma lui era lì per quello.
___Mai state un grande affare, le dicotomie: Yin e Yang, nero e bianco, corpo e mente – un momento! E lo spirito, lo spirito? Desolati, non c’era spazio per lo spirito. Se così, allora urgeva più spazio, una direzione in cui poter andare o deviare, una forza a far le altre circolare: un’alternativa.
___Due non era mai stato un gran numero. Vero che alle teste occorreva un corpo e ai corpi, una testa; entrambi, però, avevano bisogno di uno spirito per collaborare: un terzo.
___Tre, tre era un buon compromesso.
___Che il clan Uchiha fosse legittimato, per suoi stessi trascorsi, a nutrire risentimento e a esigere rivalsa; che i vertici di Konoha non disponessero d’altre soluzioni praticabili per arginare tanto, selvaggio potere, se non fomentandone inevitabilmente anche il rancore; che il torto o la ragione risiedesse da una sola o da entrambe le parti; indipendentemente a chi andasse quella diavolo di colpa… lui avrebbe impedito ai due fuochi di deflagrare.
___Non l’avrebbe concessa mai una guerra civile.
___Il suo villaggio non avrebbe attraversato un’altra guerra con ancora nelle narici il sangue della precedente, né con né senza. Tre grandi, grandi guerre… che di “grande” non avevano avuto davvero nulla, portata del massacro esclusa. Tre conflitti mondiali in appena cento anni di storia e di ortodosso assetto geo-politico: da che i ninja erano la norma.[5] E da allora, dalla prima di molte, altre, troppe guerre l’avevano seguita; nonostante un mondo più prossimo ai castelli che alle piane di armature vuote.
___Tre guerre in cento anni. Una ogni trent’anni, secondo statistica. Una. Ogni. Trenta.
___Aggrottò le sopracciglia, la matematica a falciargli in testa.
___Nemmeno, non era nemmeno nato e…
[Prenderà anche lui, anche lui, Minato-kun.]___
___Nel vento o nel cielo, da dentro o da fuori, non sapeva da dove.
[Non lo sai, mio buon amico, dove?]___
___Un messaggio però restava, un oracolo.
[Sta arrivando; sarà lì presto.]___
___A lui non piacque quel che sentiva, affatto, ma non era maligno né benigno; solo quanto esisteva.
[Conviene tu sia pronto.]___
___Bene, come desiderava: sarebbe stato lì e sarebbe stato pronto.
Sarebbe stato il “terzo”.
___Non voleva che suo figlio, che un qualunque figlio [dei bambini, solo dei bambini, maledizione!] fosse schiacciato dalla vita prima ancora di poterne comprendere il valore; imparare a maneggiare kunai prima ancora di sapersi reggere sulle gambe [basta, basta jōnin di dodici anni nei campi di battaglia]. Avrebbe usato quanto in suo pugno per impedirlo; per offrire a Naruto, se non la certezza, almeno la possibilità di una vita pacifica [una terza via, oltre il bianco e il nero].
___Un mondo senza guerre, eh? Che visione romantica… romantica come ogni ingenuità. Quel sentiero, con il bianco ma senza il nero, risiedeva lontano lontano, purtroppo: via dalla sua mano e dai suoi pugnali a tre punte, via e via… oltre il possibile.
___Eppure, Minato si chiese quanto fosse legittimo e automatico dover assecondare questo limite; se “connaturato” designasse anche “giusto”.
___Un mondo che si strutturava sulla necessità della guerra; un mondo, la cui economia si reggeva sul meccanismo speculativo della guerra; un mondo che educava i suoi stessi figli affinché ci scendessero, un giorno, a forza, in guerra; un mondo simile, con quella a riprodursi ovunque, ovunque, non poteva essere giusto. No, un ragazzino di dodici anni scarsi costretto a scegliere [e dover scegliere] tra la servitù alla nazione e la vita di un compagno, una cosa così… no, non era giusta. E non sarebbe bastate mai le “drammatiche eventualità” e le “perdite inevitabili”, il “rischio calcolato” e il “dovere”: il nindō.
___C’era la peste, camminava fra gli uomini, e i ninja n’erano gli araldi.
___Ebbe voglia di sedersi, andare a terra, toccare il basso e restarci.
___Con che criterio si mettevano al mondo figli in un tempo simile? Davvero non avevano svolta e quello era l’unico scolo percorribile? Nessun altro sentiero, anche poco battuto o integralmente vergine, ma esistente, quantomeno esistente, dannazione! “Fantasia”, “utopia”, qualunque fosse il suo nome, doveva avere un volto, doveva. Doveva risiedere da qualche parte.
[6][Anche se mi uccidi, ci saranno altri sicari ad assalire il tuo villaggio.]___
___Qualche parte, passato quello.
[Finché vivremo nel maledetto mondo dei ninja, non ci sarà pace per noi.]___
___Più in là dei ninja.
[Allora, scioglierò questa maledizione.]___
___Oltre il bianco e il nero.
[Se la pace è possibile, sarò io a potarla fra i ninja!]___
___Dopo il limite, lo vedeva.
[Non mi arrenderò mai!]___
___Lo vedeva e ci credeva.
[Chi sei tu?]___
___Lui credeva in…
[Mi chiamo…]___
Naruto.
___Sorrise. Naruto, già. Chissà non fosse proprio lui il bimbo destinato al maestro Jiraiya: colui che avrebbe operato una grande scelta entro il sistema degli shinobi, sancendone la liberazione o la caduta.
___Il rivoluzionario.
[Il cambiamento.]___
La terza via.
___Quella via, tra il bianco e il nero, che Minato non sapeva scovare: quanto non poteva essere. Benché desiderato, sì, e tanto. Per se stesso.
[Mi dispiace.]___
___Per il suo maestro.
[Mi dispiace, sensei.]___
___Per sua moglie.
[Kushina, mi dispiace.]___
___Per i suo allievi.
[Kakashi, Rin, Obito.]___
___Per la sua casa.
[Scusatemi.]___
___E per suo figlio.
[Scusami.]___
[Scusa,] Per tutto [Naruto].
___Non era svariate cose lui, non le era e mai le sarebbe state: era il suo limite. Oltre quello, non poteva. Tuttavia…
[7][Non è vero.]___
___Non importava.
[Questo romanzo è meraviglioso.]___
___Non gli importava.
[Il bello di questo racconto è che il protagonista non si è mai arreso.]___
___Non levatura o quantità ma capacità, profondità.
[Leggendolo, ho pensato che…]___
___C’era altro, dietro testa e corpo.
[Vorrei che mio figlio diventasse un ninja come questo protagonista!]___
___Altro a esistere, dentro.
[8][Rassegnati al fatto…]___
___A resistere.
[Che io mi rassegni.]___
Così, lui avrebbe resistito.
___Pur con i limiti, e le mancanze, e il nero, e il vento, e le voci, avrebbe comunque lottato e cercato, anche appena cercato, una strada diversa: non ninja. Solo, al momento, non avrebbe davvero saputo proporne un’altra; una concretamente fattibile.
[Predichi bene e razzoli male, eh, Minato-kun?]___
___I castelli in aria non erano certo la sua arte maggiore.
___Riflessivo, sì, a volontà; ma creativo? Hm. Perspicace, comunque: sapeva cogliere ispirazione, scrutare ed estrarre per, quindi, ricollocare. Aveva l’animo della massaia che recupera tutto e non spreca niente, Minato. Tuttavia la “novità”, il “mai provato”… Ci sarebbe stato da fidarsi? Non che, poi, “consueto” e “rodato” costituissero figuri troppo positivi. Anzi. Ma lui una cosa soltanto conosceva: la realtà dei ninja. Una realtà entro cui un signore feudale [il Daimyō], illustre fantoccio burocratico, affidava il presidio del paese a sentinelle interne, nascoste e autonome [i villaggi ninja]. In questo gioco di paraventi e ombre, l’equilibrio del potere aveva piede sulla spartizione dei capitali; e i demoni dalle code rientravano in questa borsa. Così era: il benessere dei molti estinto dal tributo dei pochi, mentre cinque galletti si litigavano un’aia della misura di un continente.
___Non che fosse granché come partenza ma, onestamente, non aveva la presunzione di poter approdare molto lontano, anche con banchine migliori.
___Minato non riuscì, però, a non interrogarsi su quale fosse, negli effetti, il suo posto là dentro; se dovesse riconoscersi evidentemente di parte e inservibile nel grembo di un così meschino scenario; adulterato, poiché marito di Kushina Uzumaki, Forza Portante della Volpe a Nove Code. Tra le nazioni e i loro cani, dove finiva l’imparzialità del Quarto Hokage? E dove iniziava l’interesse di Minato Namikaze?
___Sapeva di non avere, né di poter avere mai, il distacco necessario alla delibera; e la strettoia era quanto del poco, del suo, sarebbe stato pronto a dare in favore del più.
___Un dardo obliquo alla testa, e due nomi si fecero vivi: Sakumo Hatake, Obito Uchiha. Nomi di morti [uno, costretto a scegliere] che si facevano vivi [l’altro, che già aveva scelto], vivi, che diamine!
___Gli fischiarono le orecchie, forse per il vento, forse per l’esaurimento; forse era solo stanco. Già, forse. Eppure, sulla sua testa, la mezzaluna si conservava.
___Ci fu un rullare, un rullare di metallo, qualcosa che si schiantava, là, alla sua destra: “Crash!”
___Calma e niente palpitazioni: Konoha era un posto sicuro, dopotutto. Voltarsi e obbedire al fracasso fu istantaneo. Un posto sicuro, sì. Nell’ombra fangosa di un vicolo, Minato incontrò due fiaccole gialle. “Sicuro”, no? Gelò.
___Per un lungo istante, sapere quelle fessure verticali attributi, fra i più ovvi, di un qualunque gatto non riuscì comunque a scacciare l’allarme, in profondità, di aver sconfinato nella riserva di un predatore.
___Minato si accucciò piano, attento a non spaventare come a non alterare lo sguardo: “In battaglia, chi cede il passo è perduto.” Constatando, poi, come lo straniero non paresse affatto coinvolto, prese l’iniziativa e azzardò una mano nella sua direzione, invitandolo. Prima delle lame veniva il saluto, il medio e l’indice a livello del cuore: era il cerimoniale shinobi.
___La pantera, tuttavia, non si mosse, solida nel suo antro con quei due grandi fari gialli; fissa, non ancora nemica ma nemmeno complice, praticava l’attesa. Tenzone oltremodo strana, la loro: l’uomo ancora in ginocchio e l’animale ancora in ombra, contrari nel verso e simmetrici per posizione.
___Il vento soffiò ancora, forte, rovesciando l’insegna di una bottega; l’asta cadde male e rimbalzò peggio, sporcando il silenzio con un’ala di polvere opaca.
___Traballando sulle caviglie, Minato si girò in volata.
___Diamine… E meno male che era un ninja – il Quarto Hokage, attenzione! –, tenuto per sua prima sopravvivenza alla prontezza e ai colpi alle spalle. E invece? E invece, ah, una molla! “Lampo giallo”? Giusto “giallo”, via, i mozziconi per la sostituzione avrebbero manifestato maggiore reattività!
___Rise di se stesso e delle proprie gambe, tornando alla nicchia sulla destra e al suo signore.
___Il gatto, però, era sparito.
___Frullò le palpebre e sorrise storto: sedotto e abbandonato? Povero, povero Minato! Mollato così, come un sasso. Non doveva aver fatto troppo colpo… Pazienza. Adesso, però, in piedi! Un’ultima sbirciata al vicolo e forza: indietro ai propri passi, tra i ciottoli e un cielo che si setacciava.
___Tempo di tornare a casa.
___Accelerò un poco, salendo con gli occhi alle stelle: quanta voglia di rivedere Kushina e Naruto! Quanta… tanta… Anche perché, con tutta probabilità, sarebbe stata la sua ultima occasione di riposare decentemente. Beh, impattare sul futon, quantomeno, e senza esser scrollato per emergenza: «Ramen! Ramen al miso, Minato! E fagottini alla crema di fagioli rossi! No, dolcetti di riso! No, no, che dolcetti e dolcetti: voglio la tenpura! Tenpura di gamberi! Tenpura di gamberi e fagottini ai fagioli rossi, capito? Ohi, ohi, aspetta! E ramen! Ovviamente ramen! Ramen, dattebane![9] Ramen-al-miso, al-miso, miiisooo; chiaro, Micchan?»
___Altro che ricovero fuori dal villaggio: migrare all’Ichiraku, e di corsa! Mai svegliare can che dorme, comunque: il suo stomaco brontolò lamentoso, chiedendo cure; in guisa di tagliolini, possibilmente.
___Oh-o. Si grattò la testa.
___Valutò con prudenza le opzioni aperte e, disgraziatamente, si arrese presto all’evidenza di come: svegliare Teuchi-san per aver timbro di “demente”, nel bussare in pesca di ramen a una tal ora, forse… avrebbe potuto costargli la santità di seggio e reputazione. Ma appena appena.
___Fantastico, era ammattito! «Ah, lo dicevo io! Lo dicevo che tu non eri a posto!» Già la sentiva, Kushina, a ripeterglielo e ripeterglielo e ripeterglielo: «Io sarò pure incinta e con non una ma due bestiacce, qua dentro, a marinare tra rondelle e brodo; però tu! Tu non stai mica bene!» E aveva a suo modo ragione. Vero che lei era un’allarmista nata e lui, a forza di apparire e scomparire in tanti “puf” di fumo, vestiva più come prestigiatore da fiera che come militare; ora, però… Suvvia, duelli coi gatti e voci nella testa? No, non si fa, non si fa! Lungi dall’essere perfetto, certamente; ma risiedere a tanto così dalla barzelletta, per favore, no!
[Ti sarai mica perso qualcosa nel trasloco, Namikaze?]___
___Sempre una parola buona per tutti, Kushina Uzumaki.
[Eh? Oh, può darsi. Però è buffo.]___
___Derideva e rideva, a crepapelle e da smascellarsi.
[Sssì. E tu sei proprio fuori, sai!]___
___Rideva e sapeva far ridere lei, tanto.
[Il bue che dà del cornuto all’asino.]___
___Così, anche Minato rise.
[Che?! Brutto, brutto-, Namikaze! Figlio di buona-, io ti ammazzo!]___
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