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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    24/02/2012    6 recensioni
«Edward?», sussurra, tremando e stringendo le dita sulla stoffa della camicia.
«Hm?», rispondo semplicemente, senza staccare le labbra dai suoi capelli. Sotto il leggero odore d’alcol c’è il suo profumo di sempre, che solo una volta ho avuto l’occasione di aspirare come ora. È dolce, sa di fragola, di shampoo, di pulito. Sa di Bella.
Sento il suo corpo tremare per un istante. «Non mi lasciare sola».
Il suo è solo un sussurro spezzato, una preghiera detta a bassa voce, ma dentro di me risuona con la stessa potenza di un’eco incessante, e si incide a fuoco nella mia mente, nella mia memoria e nel mio cuore.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Saaalve! :D

Anche se sono passati già due mesi, BUON ANNO! Non avevo in programma un'attesa così lunga, ma questo capitolo ha richiesto un umore decisamente migliore di quello che avevo il mese scorso, così ho dovuto aspettare a scriverlo. E finalmente ce l'ho fatta a finirlo ù.ù

Buona lettura! :D

___________________________

 

Don’t Leave Me Alone

Capitolo 19__Sotto la neve

Sabato 26 Dicembre

Bella

Quando mi risveglio la luce penetra nella mia stanza attraverso le fessure delle tapparelle, lasciando la camera avvolta dalla penombra. Mi rigiro verso il centro del letto matrimoniale, decidendo di poter restare ancora alcuni minuti a sonnecchiare, almeno finché Alice o Rose non verranno a buttarmi giù dal letto.

Apro gli occhi per un istante, e due iridi azzurre ricambiano il mio sguardo, sveglie e attente.

Balzo a sedere con uno scatto, spaventata. «Alice!», strillo, guardando la mia amica, sdraiata sopra le coperte già vestita. Lei ricambia il mio sguardo con due sopracciglia inarcate, come se non capisse cosa c’è di strano nel trovarsi nella camera di un’amica mentre lei dorme tranquillamente.

«Che ci fai qui?», le chiedo, ritornando a sdraiarmi, anche se il sonno è ormai completamente svanito.

«Sono qui per farmi raccontare tutto, è ovvio. Appena uscirai da quella porta resterai appiccicata ad Edward tutto il tempo, quindi ne approfitto ora», spiega, puntandosi su un gomito per guardarmi in faccia.

«Non resterò appiccicata ad Edward tutto il tempo», bofonchio imbarazzata, mentre le immagini di ieri sera mi investono, facendomi arrossire e battere il cuore più forte.

Alice scuote una mano, lasciando cadere nel vuoto la mia debole protesta. «Allora, dimmi. Cosa avete fatto di preciso ieri quando ce ne siamo andati tutti?»

«Siamo andati a pattinare», rispondo, evitando di guardarla, sentendomi in imbarazzo. «Ho usato i tuoi vecchi pattini, a proposito, va bene?»

«Sì, certo. Poi?»

«Poi niente. Siamo rimasti lì, e lui mi ha insegnato a pattinare…»

«E chi ha preso l’iniziativa? Tu o lui?», mi chiede, con un sorrisetto emozionato in viso.

«N-Non lo so… lui… forse?», balbetto, chiudendo gli occhi. Perché Alice deve farmi queste domande anche se sa che mi mette a disagio?

Alice resta in silenzio, e dopo si alza dal letto. Riapro gli occhi, sorpresa. «Tutto qui?», le domando, stupita.

Alice si volta verso di me, e un sorriso furbo spunta sulle sue labbra. «Certo che no. Ma oggi ho anche qualcun altro da interrogare oltre a te», dice, poi si chiude la porta alle sue spalle, uscendo definitivamente dalla mia stanza.

 

Dopo essermi fatta una doccia veloce ed essermi preparata per uscire, scendo in salotto, dove trovo Emmett e Rose seduti sul divano, intenti a guardare la tv con due tazze fumanti di caffè. Di Alice, Jasper ed Edward non c’è traccia.

Raggiungo la cucina, trovandola deserta; il tavolo è colmo di pacchi di biscotti di ogni genere, vasetti di marmellata di vari gusti e scatole con bustine di tè e povere per il caffè.

Il tostapane è in funzione, con due fette di pane a scaldare. Prendo un pentolino, lo riempio d’acqua e lo metto a bollire per fare il tè. Prima che mi giri per raggiungere il tavolo per scegliere i biscotti una mano si posa sul mio fianco, e la mia schiena preme contro un petto, mentre un profumo conosciuto arriva a me.

Edward.

Le sue labbra sfiorano il mio orecchio, e una cascata di brividi scende lungo la mia schiena, e la mia bocca si piega in un sorriso.

«Buongiorno», sussurra, prima di posare un delicato bacio sulla mia tempia.

«Buongiorno», mormoro a mia volta, ringraziando mentalmente la mia voce per non aver tremato.

«Buongiorno piccioncini!», esclama all’improvviso Emmett, entrando in cucina e facendomi sussultare ed arrossire.

Edward sospira pesantemente, e si allontana da me per raggiungere il tavolo con i biscotti, borbottando qualcosa che non capisco contro suo fratello.

 

Le piste da sci sono magnifiche. La neve è fresca e la temperatura è perfetta, e nonostante ci sia molta gente non è difficile spostarsi da una zona all’altra degli impianti.

Fortunatamente le lezioni di sci degli anni passati non sono state affatto sprecate, e finora sono riuscita a cavarmela bene, senza mai cadere. È ancora presto per cantare vittoria, lo so bene, ma essere arrivata all’ora di pranzo dopo quattro ore consecutive che sciamo senza finire a terra mi sembra già un bel traguardo. Ora ci siamo fermati per pranzare ad una piccola baita che offre il servizio di ristorazione ad alta quota, senza obbligarci a tornare in paese per mangiare.

È la prima volta che ci ritroviamo tutti quanti insieme a tavola da quando siamo arrivati ieri sera, e per qualche secondo restiamo in silenzio dopo aver ordinato.

Poi Emmett parla, e il suo sguardo salta fra me ed Edward, entrambi davanti a lui. «Quindi… voi due adesso state insieme? Ufficialmente, intendo».

Le mie guance si tingono di rosso, e abbasso lo sguardo, imbarazzata. Vedo Rosalie tirargli una gomitata nel fianco, facendolo lamentare, ed Edward irrigidirsi per la sorpresa accanto a me.

Jasper fa un commento sul tempo sereno, ma nessuno sembra ascoltarlo. Stanno tutti aspettando una risposta da noi. Alzo gli occhi lentamente, incrociando lo sguardo di Edward. Lui inarca un sopracciglio, come se stesse chiedendo il mio permesso per parlare.

Ma sono io ad aprire bocca per prima. «C-Credo di sì…», mormoro, senza staccare gli occhi da lui.

Le sue labbra si piegano in un sorriso storto, e mentre penso che potrei sporgermi e baciarlo, Emmett si schiarisce la voce, ricordandoci la presenza dei nostri amici.

«Bene, era ora», commenta Rosalie, ringraziando subito dopo il cameriere che ha appena portato le bevande.

La osservo perplessa per un istante, ma Edward mi precede, accigliato: «“Era ora”?», ripete.

Rose scrolla le spalle, sorseggiando il suo bicchiere d’acqua. «Ci stavamo chiedendo tutti quando vi sareste decisi a farvi avanti».

Li osservo con le sopracciglia aggrottate, mentre Edward nasconde la sua espressione dietro al suo bicchiere.

Si aspettavano tutti che io ed Edward ci mettessimo insieme nonostante tutti i problemi che abbiamo dovuto affrontare? Perfino io avevo smesso di sperarci, ormai, eppure sembra che loro abbiano sempre saputo che saremmo giunti a questo punto.

Dall’altro lato del tavolo, Alice mi fa l’occhiolino, e capisco che è proprio così: lei non ha mai smesso di sperare.

 

Domenica 27 Dicembre

Edward

Sono passati già due giorni da quando siamo arrivati a Whistler, eppure a me sembrano trascorse solo poche ore dal nostro atterraggio a Vancouver. È strano come il tempo voli quando si è felici.

Questo è stato il secondo giorno di sci, e come prevedevo la stanchezza dovuta al continuo movimento ci ha costretti a tornare a casa prima del solito. Perfino l’instancabile Alice non riusciva più a reggersi in piedi per la spossatezza.

Mentre gli altri si riposavano sul divano in salotto ho seguito l’esempio di Bella, e ho deciso di andare a farmi una doccia veloce, prima di potermi sdraiare sul letto e leggere. Non ho voglia di dormire, perché so che altrimenti questa notte non chiederò occhio.

Sento bussare alla porta, e raggiungo l’uscio, aprendola. Davanti a me trovo Bella, vestita con abiti leggeri, adatti alla temperatura calda della casa. Sembra assonnata, e la cosa non mi stupisce; non sciava da anni, e tutto questo movimento deve averla stancata parecchio. Improvvisamente il bisogno di dormire sparisce.

«Ti disturbo?», mi domanda, e le sue guance si tingono leggermente di rosso.

Scuoto il capo, e la lascio entrare in camera. Si siede sul bordo del letto, e nasconde dietro una mano uno sbadiglio.

«Perché non dormi un po’?», le chiedo, sedendomi accanto a lei.

«Non voglio dormire. Se dormo adesso stanotte mi addormenterò tardissimo e domattina sarò ancora più stanca», spiega, lasciandosi cadere indietro e nascondendo gli occhi dietro il braccio.

Il mio sguardo scivola velocemente lungo il suo corpo, e distolgo lo sguardo. «Allora parliamo un po’, così non ti addormenti», propongo, schiarendomi la voce.

Con la coda dell’occhio la vedo rialzarsi e spingersi indietro sul letto, fino ai cuscini. Prendo un profondo respiro e la seguo, appoggiandomi vicino a lei e aprendo un braccio per lasciare che si appoggi a me.

Dopo un attimo di esitazione, Bella poggia la testa sul mio petto, e automaticamente le mie braccia la circondano, stringendola a me.

La sento sospirare, mentre con le dita di una mano appiattisce le pieghe della mia camicia. «Sono stanca morta», mormora, con la voce assonnata.

«Non sei ancora abituata al ritmo di queste giornate. Oggi abbiamo sciato fermandoci solo per un’ora, è normale che tu sia stanca».

«Tu però non sei stanco», borbotta, strofinando il viso contro la camicia.

Mi irrigidisco per un istante, ma lei sembra fin troppo stanca per notarlo, fortunatamente. È difficile resistere a Bella quando è così vicina, e ogni volta devo ricordarmi che stiamo insieme da pochi giorni, che devo darmi una calmata. Non ho idea di fin dove possa spingermi con lei, e dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per arrivare a questo punto non voglio rovinare il nostro nuovo rapporto agendo spinto dagli istinti e dagli ormoni.

«Sono ancora abituato a quando venivo qui con gli altri», le dico, usando la prima scusa che mi viene in mente, per non dirle che è la sua vicinanza che mi risveglia totalmente.

Lei ride leggermente. «Ma se non vieni qui da anni».

«Edward?» La voce di Alice giunge da oltre la porta, salvandomi in corner per una volta. «Puoi venire giù un secondo?»

«Vai», sussurra Bella, sollevandosi sui gomiti per lasciarmi alzare. «Altrimenti verrà a prenderti con la forza», aggiunge con una risatina.

Mi alzo con un sospiro, mentre Alice mi chiama ancora.

«Torno subito», dico a Bella, prima di uscire dalla stanza.

In corridoio trovo mia sorella, ferma davanti alle scale. Mi fa cenno di seguirla fino al piano inferiore, in cucina, dove Emmett è seduto al bancone, con il telefono di casa premuto contro l’orecchio.

Appena mi vede parla al trasmettitore: «Finalmente il tuo bambino ha deciso di farsi vedere. Te lo passo. Ciao, mamma!»

Afferro il telefono, portandomelo all’orecchio. «Pronto?»

«Edward, tesoro. Come stai?»

«Ciao, mamma», dico subito, sentendo la voce di Esme arrivare dall’altro lato dell’apparecchio. «Tutto bene, e tu?»

«Benissimo. I tuoi fratelli mi hanno raccontato che tu e Bella state insieme ora», dice, mentre io lancio occhiatacce ad Alice ed Emmett, ancora in cucina ad osservarmi, ridacchiando. «Sono contenta che alla fine sia andato tutto bene, nonostante tutto».

Il suo nonostante tutto mi riporta in mente un’altra faccenda, poco piacevole e soprattutto difficile da gestire. Ne avevo parlato con Esme proprio il giorno in cui avevo lasciato Tanya, ma lei mi aveva assicurato che era tutto a posto, che avrebbe pensato lei a gestire la situazione. «Mamma…» Volto le spalle ai miei fratelli, cercando un minimo di privacy che in questo momento non mi concedono per parlarle chiaramente. «Sei sicura che sia tutto a posto? Non ci sono stati problemi questa settimana?»

Esme tentenna per un secondo, ma subito dopo mi risponde: «No, tesoro. Non è successo niente, credimi. Adesso devi solo pensare a rilassarti e a goderti questi giorni di vacanza. Quando tornerai a New York ne parleremo con calma insieme, d’accordo?»

La sua voce è tranquilla, ma non mi convince. Tuttavia ha ragione: ne dobbiamo parlare faccia a faccia a New York, e non per telefono.

«Va bene», accetto.

«Dimmi, come sta Bella? È lì con te?», mi chiede, cambiando argomento e riprendendo il suo tono vivace.

«No», rispondo, guardandomi alle spalle per controllare che nel frattempo non sia scesa a vedere che fine abbia fatto. «Sta bene. È solo stanca, oggi abbiamo sciato molto».

«Allora è meglio lasciarla riposare. Adesso devo andare, vostro padre ha prenotato al ristorante e devo prepararmi. Buona serata, tesoro. Salutami anche gli altri».

«Buona serata anche a voi», mormoro, prima di riagganciare.

Alice ed Emmett mi lanciano occhiate interrogative. «Di cosa stavi parlando con la mamma prima? Che problemi dovrebbero esserci a casa?», mi domanda mia sorella.

Inarco un sopracciglio, nascondendo l’irritazione. «Lo sai che questa è violazione della privacy, vero?»

Esco dalla stanza prima che altre domande - che sicuramente verranno ancora - mi sommergano, e risalgo le scale per tornare in camera.

Quando entro in stanza mi aspetto di trovare Bella pronta a chiedermi per quale motivo Alice mi ha chiamato, invece la trovo ancora distesa sul letto, con gli occhi chiusi e il respiro pesante. Mi avvicino in silenzio, e faccio attenzione a non far sobbalzare il materasso mentre mi siedo accanto a lei.

È girata su un fianco, con un braccio è piagato sotto la testa a mo’ di cuscino. Il viso è rilassato, e le labbra sono leggermente dischiuse. Sposto silenziosamente una ciocca di capelli che le copre il viso, riportandola dietro l’orecchio.

Immaginavo che si sarebbe addormentata. I primi giorni sono sempre i più pesanti, a causa del fuso orario a cui bisogna abituarsi e del continuo movimento con gli sci.

Decido di lasciarla riposare, almeno per un po’.

Prendo il libro che ho iniziato l’altro giorno dal comodino e mi appoggio alla testiera, mentre Bella continua a dormire al mio fianco.

 

Bella

Mi risveglio che sono intontita. Apro gli occhi lentamente, crogiolandomi nello stato di torpore e sonnolenza che provo. La luce nella stanza è accesa, e la prima cosa che noto è che sono ancora nella stessa posizione in cui mi trovavo quando Edward è uscito dalla stanza per andare a vedere cosa voleva Alice. Ma adesso Edward è sdraiato al mio fianco, con un libro fra le mani e gli occhi puntati sulle pagine. Non si è accorto che mi sono svegliata, così posso guardarlo tranquillamente, senza provare l’istinto di abbassare subito lo sguardo.

Lo osservo per un lungo istante, in silenzio, senza muovere un muscolo. È talmente concentrato sul libro che non credo si accorgerebbe di me nemmeno se mi mettessi a scalciare. I suoi occhi si muovono veloci a destra e a sinistra, registrando le parole del romanzo, facendo scorrere pagine dopo pagine. Non mi sono mai accorta di quanto è veloce a leggere.

La sua fronte è aggrottata, tre rughe si accavallano, leggermente nascoste dai ciuffi rossicci che cadono leggeri come piume in ciocche disordinate. Ogni tanto solleva leggermente un sopracciglio o un angolo della bocca, in un’espressione a metà fra il confuso e lo stupito.

I suoi occhi slittano improvvisamente nella mia direzione, lasciando il libro. «Ehi», dice, notando i miei occhi aperti. «Ti sei svegliata».

Annuisco, senza alzarmi. Mi sento ancora stanca e assonnata nonostante abbia dormito. «Cosa leggi?», gli domando.

Edward chiude il libro, mostrandomi la copertina. Il titolo non mi è per nulla nuovo, infatti l’ho già letto qualche mese fa.

«È bello», commento, tirandomi a sedere lentamente. 

«L’hai già letto?»

Annuisco, e lui infila il segnalibro fra le pagine, chiudendo il libro e appoggiandolo sul comodino.

«Quanto ho dormito?», gli chiedo, stiracchiando i muscoli delle braccia, intorpiditi.

Edward guarda la sveglia al suo fianco. «Poco più di un’ora».

Sgrano gli occhi. «Così tanto?»

«Non è molto», mi rassicura.

Sbuffo, cercando di svegliarmi completamente. «Cosa voleva Alice, prima?»

«Ha telefonato Esme. Voleva essere sicura che stia andando tutto bene», risponde. «È una fortuna che non abbia dovuto avvisarla che una certa Isabella Swan è volata a terra facendosi male», aggiunge, con un sorriso divertito. «Per ora».

Gli faccio la linguaccia. «Figurati! Sono una sciatrice provetta, non hai visto?»

«Io non sfiderei così la tua sfortuna sfacciata, lo sai?», ghigna lui, afferrandomi il polso.

«Che vorresti dire?», ribatto, senza riuscire a restare seria.

«Che è un po’ presto per cantare vittoria. Manca più di una settimana alla fine della vacanza, potresti ancora cadere», commenta, guardandomi divertito.

Faccio una smorfia, e lancio il cuscino in faccia, cercando di fargli sparire quel sorrisetto divertito dalla faccia. «Vai a portare sfortuna a qualcun altro, grazie».

Lui ride, liberandosi dal cuscino. Blocca i miei polsi prima ancora che possa afferrarlo di nuovo per lanciarglielo contro un’altra volta.

«Potresti cadere anche tu», lo sfido.

Edward sorride, avvicinandosi di più a me con il viso. «Io non cado mai», sussurra, fin troppo sicuro di sé.

«Ah, no?», ribatto, divertita.

«No», risponde lui, avvicinandosi ancora, tenendo i miei polsi fra le sue mani.

«Scommettiamo che riuscirò a farti cadere prima della fine della vacanza?»

Edward inarca un sopracciglio, fissandomi con lo stesso sguardo divertito di poco fa. «E sentiamo, cosa vorresti nel caso vincessi?»

Ci penso per alcuni secondi. Cosa potrei volere? In questo non mi viene in mente niente, perché mi sembra di avere tutto quello che mi serve. «Facciamo che potrò chiederti di fare qualcosa - qualsiasi cosa - quando mi verrà in mente, e tu dovrai farlo».

Una scintilla illumina gli occhi di Edward per alcuni secondi. Malizia, forse? «Qualsiasi cosa?»

Sento le guance scaldarsi inspiegabilmente davanti al suo sguardo malizioso, e abbasso gli occhi. «E tu cosa vorresti in caso non riuscissi a farti cadere?»

«Niente», risponde subito. «Mi basta la soddisfazione di aver vinto la scommessa».

Rido leggermente. «Certo…»

«La avviso, signorina Swan, non sarà un’impresa semplice la sua», mi ammonisce, con il tono di voce serio ma un sorriso divertito in viso. Le sue mani lasciano andare i miei polsi, afferrando la mia vita.

«Lo sa, signor Cullen? Lei ha troppa fiducia in se stesso», dico, stando allo scherzo. Allaccio le braccia intorno al suo collo, lasciando che mi avvicini a lui.

«Lei dice?», sussurra, divertito, con le labbra ormai a pochi centimetri dalle mie.

Annuisco scuotendo il capo, e le nostre bocche si sfiorano. Prima leggermente, poi premendo l’una contro l’altra con più foga, schiudendosi dopo pochi secondi.

Le sue dita si muovono leggere sui miei fianchi, sfiorando e stringendo, e soffoco una risata sulle sue labbra, che percepisce.

«Mi fai il solletico», rido, quando lui si allontana leggermente per guardarmi con le sopracciglia inarcate.

La sua espressione sorpresa viene preso sostituita da una divertita. E capisco di essere spacciata.

«Ah, sì?», sussurra. E subito con un braccio mi circonda il busto, impedendomi di scappare, mentre l’altra mano inizia a solleticarmi il fianco attraverso la maglietta leggera.

Mi contorco fra le sue braccia, mentre le risate iniziano a scuotermi completamente; cerco di scacciare la sua mano con la mia, inutilmente, e in poco tempo mi ritrovo con le lacrime agli occhi e senza fiato. Quando Edward mi lascia andare, mi sdraio sul materasso, cercando di riprendere un ritmo di respiro normale, e lui si mette al mio fianco, osservandomi con un’espressione a metà fra il divertito ed il soddisfatto. Asciuga via una lacrima che è scivolata lungo la mia tempia.

«Se Emmett sapesse che soffri il solletico per te sarebbe la fine», mormora, sorridendo.

«Guai a te se glielo dici», lo minaccio, ricordando l’insana fissazione di Emmett per chi soffre il solletico. Alice lo soffre moltissimo, e ogni occasione per lui è buona per ridurla in lacrime per il troppo ridere.

Edward sogghigna, e gli tiro una pacca leggera sul petto. «Non preoccuparti, non ho intenzione di dirglielo», mi tranquillizza. «Preferisco rimanere l’unico con il privilegio di strapazzarti in questo modo».

Alzo gli occhi al cielo, e quando lui si china verso di me per baciarmi gli lancio un’occhiata ammonitrice.

«Niente solletico, promesso», mi assicura, divertito. «Per questa volta», sussurra poi, quando le sue labbra sono già sulle mie, impedendomi di replicare.

Purtroppo, non avevo pensato al fatto che Edward avrebbe potuto essere peggiore di Emmett.

 

Mercoledì 30 Dicembre

«Ti fa male?»

Trattengo una smorfia di dolore, mentre le sue dita mi sfiorano delicatamente il polso sinistro, spalmando la crema per le contusioni. «No», mento.

Edward mi lancia un’occhiata di disappunto, e prende la benda per rifarmi la fasciatura.

«Allora noi andiamo a fare la spesa», ci dice Rosalie, apparendo con Alice e i loro ragazzi in salotto.

«Sicura che sia tutto a posto, Bella?», mi domanda Jasper, preoccupato.

«Sì, non preoccupatevi», rispondo, guardando i miei amici. «Voi andate pure».

«Secondo me avete escogitato tutto per rimanere a casa da soli», commenta Emmett, sghignazzando.

Sgrano gli occhi, mentre il rossore si propaga sulle mie guance. «Ma se è Alice a costringerci a rimanere a casa!», strillo, bordeaux in viso.

«Su, su, state calmi», interviene Alice. «È inutile andare in sei a fare la spesa e spostare due auto. Bella ora ha una mano non utilizzabile, quindi è meglio che rimanga lei a casa, e mi sembra giusto che sia Edward a farle compagnia».

Mi sorprende che Alice non colga al volo l’occasione per punzecchiarci, ed anzi prenda le nostre difese, ma ovviamente non intendo farglielo notare ora.

«Okay, adesso potete andare», borbotta Edward, disfando la fasciatura che mi stava facendo con un gesto nervoso.

I nostri amici ci salutano perplessi, e non appena restiamo soli lo osservo attentamente. «Cosa c’è che non va?», gli chiedo, preoccupata.

«Niente», mormora, facendo la fasciatura da capo. Nonostante il suo tono arrabbiato le sue mani si muovono gentilmente, attente a non farmi male al polso già contuso.

«A me sembri arrabbiato…», bofonchio, cauta, nel timore di farlo chiudere in se stesso.

Gli occhi di Edward incontrano i miei per un breve istante, per poi tornare subito alla mia mano. «Prima mi hai fatto prendere un colpo. Pensavo ti fossi spaccata qualcosa», sussurra, e mi sembra di scorgere del rossore appena accennato sulle sue guance.

Si è spaventato. Trattengo un sorriso dovuto al piacere di questa scoperta, che di sicuro non allieterebbe il suo umore in questo momento.

«Mi dispiace», dico, seguendo le sue mani che finiscono di sistemarmi la benda. «Non volevo farti preoccupare».

«Avresti dovuto lasciar perdere Emmett e le sue stupide sfide», borbotta, alzandosi dal divano e dirigendosi verso il bagno a pianoterra.

Sento l’acqua del rubinetto scorrere, segno che si sta lavando via dalle mani la pomata rimanente. Quando torna in salotto si avvicina alla finestra che dà sul cortile della villa.

«Però ho vinto, alla fine», esclamo, con una punta di entusiasmo nella voce.

Edward sospira esasperato, e scuote il capo.

Poco prima di pranzo Emmett mi ha sfidata a chi arrivava prima alla fine di una pista, e ho accettato senza pensarci due volte. Stava andando tutto bene, sono arrivata alla fine senza problemi, riuscendo a lasciare Emmett indietro di pochi metri; ma una volta giunta a fine discesa, quando ho provato a sterzare per fermarmi, sono scivolata su una lastra di ghiaccio scoperta, e sono caduta a terra, posando stupidamente il mio peso sulla mano sinistra, nel tentativo di ammortizzare la caduta. Gli altri mi hanno raggiunta subito, e siamo andati al centro medico degli impianti, dove un dottore mi ha controllato la mano, facendomi fare una lastra per sicurezza, e, dopo essersi assicurato che non c’erano fratture, mi ha fasciato il polso e la mano, dicendomi di tenerli a riposo ma di muoverli ogni tanto, per mantenere i muscoli allenati. In pochi giorni la contusione dovrebbe diminuire, e già da dopodomani potrei perfino riprendere a sciare usando la racchetta, se il dolore svanisce.

Raggiungo Edward alla finestra, e passo le braccia sotto le sue, abbracciandolo da dietro. Si irrigidisce per la sorpresa, e poi si rilassa, posando le sue mani sulle mie.

«Oggi non fa tanto freddo, vero?», gli chiedo, appoggiando la guancia fra le sue scapole.

«Non molto», conferma, pensieroso.

«Ti va di uscire fuori in cortile?», propongo, sperando che accetti.

Edward scioglie le nostre mani, e si gira verso di me, con un sopracciglio inarcato. «Che cosa hai in mente?»

«Stavo pensando che è da quando avevo otto anni che non ho più fatto un pupazzo di neve», mormoro, con un piccolo sorriso.

Gli angoli delle labbra di Edward si incurvano verso l’alto. «Dovrebbero esserci sciarpe e cappelli vecchi nello sgabuzzino».

«E ci sono delle carote nel frigo», aggiungo.

Lo sguardo di Edward scivola fino alla mia mano bendata. «A patto che non sforzi quella mano, d’accordo?»

Annuisco, trattenendo a stento l’istinto di mettermi a saltellare e battere le mani con una bambina il giorno di Natale davanti a una marea di regali.

«Okay, allora andiamo a recuperare gli oggetti», acconsente, portandomi con sé verso il ripostiglio.

 

«Sembra Emmett», rido, mentre scatto una fotografia al pupazzo di neve terminato. Il sole sta calando rapidamente, e nel giro di pochi minuti l’unica luce disponibile sarà quella dei lampioni della villa. Siamo fuori da quasi due ore, e presto dovremo rientrare.

«Questo perché tu gli hai fatto il corpo rettangolare invece che rotondo. Spero che a teatro non usino neve vera per le scenografie, o ti licenzieranno in un attimo», commenta Edward, scrollandosi la neve dai guanti.

Ritiro la macchina fotografica nella tasca della giacca, e in pochi secondi faccio una palla di neve, che finisce dritta sulla sua nuca. «Antipatico», scherzo, ridendo alla sua espressione buffa quando si volta a guardarmi.

«Devo dire che hai un’ottima mira», commenta, abbassandosi lentamente per raccogliere a sua volta della neve. «Ma non pensare che possa bastarti per averla vinta».

Gli faccio la linguaccia, e mi volto, prendendo il suo colpo sulla schiena.

Iniziamo una battaglia a palle di neve, finendo per ritrovarci con i capelli e le giacche cosparse di bianco, come se fosse farina.

Dopo che Edward annuncia il time-out, lo vedo chinarsi vicino all’estremità del giardino, dove la neve è più fresca e profonda, e mi tornano in mente le mie parole di pochi giorni fa:

«Scommettiamo che riuscirò a farti cadere prima della fine della vacanza?»

Un piccolo sorriso furbo spunta sulle mie labbra, e mi avvicino silenziosamente alle sue spalle. Guardo nella direzione verso cui sono puntati i suoi occhi, e noto una piccola pianticella verde che spunta dalla neve, con un piccolo bocciolo bianco ancora chiuso in cima.

«Cosa guardi?», gli domando, non capendo se sta osservando davvero la pianta.

«C’è un bucaneve lì», risponde, indicando il fiore. «Esme li aveva portati qui dall’Europa anni fa e li aveva piantati, ma non erano mai cresciuti».

«Gli faccio una foto, così glielo puoi far vedere», propongo, tirando fuori la macchina fotografica. Scatto velocemente la foto, e subito dopo la ritiro, al riparo dalla neve.

Quando Edward fa per alzarsi, capisco che è il momento buono per mettere in atto il mio piano. Premo i palmi contro la sua schiena, ignorando la fitta alla mano sinistra, e lo osservo mentre perde l’equilibrio e cade in avanti, finendo con la faccia nella neve fredda, a pochi centimetri dal bucaneve. Scoppio a ridere, e lui rotola sul fianco, mettendosi a sedere velocemente, togliendosi dal viso la neve.

«Ho vinto la scommessa», gli dico, osservandolo dall’alto con le braccia incrociate, fingendo un’aria di superiorità.

Edward mi guarda senza capire, con un sopracciglio inarcato.

«Avevamo scommesso che sarei riuscita a farti cadere prima della fine delle vacanze l’altro giorno, non te lo ricordi?»

La sua espressione diventa ancora più confusa. «Ma si riferiva a cadere dagli sci, non da in piedi», precisa, guardandomi dal basso.

«Tu non l’hai specificato quando abbiamo fatto la scommessa», ribatto, con un sorriso innocente dipinto in viso.

Edward sorride, divertito. «Credevo fosse sottinteso».

Scrollo le spalle. «Avresti dovuto essere più preciso, allora».

Si alza in piedi, scrollandosi altra neve di dosso. «D’accordo, hai vinto tu».

Sogghigno, soddisfatta. Poco importa se mi sto comportando in maniera infantile, sono troppo felice per trattenermi.

Le labbra di Edward si piegano nel suo sorriso sghembo. «Lo sai che te la sto lasciando passare liscia solo perché sono curioso di sapere cosa vuoi farmi fare, vero?»

«Quanto sei orgoglioso, Eddy. Non riesci ad accettare che io abbia vinto», ghigno, prendendolo in giro e chiamandolo con il nomignolo rifilatogli da Alice ed Emmett che lui tanto detesta.

I suoi occhi brillano per un istante, e prima che possa capire cosa sta per fare ha già afferrato la mia giacca. Mi attira a sé facendomi cadere in avanti, e mi ritrovo con le ginocchia affondate nella neve, mentre mi reggo alla sua spalla con la mano sana e l’altra sollevata per aria dopo essermi ricordata all’ultimo momento di non doverla assolutamente usare per sostenermi.

Edward trattiene una risata, e sta per dirmi qualcosa quando in lontananza sentiamo il rumore della jeep di Emmett.

«Che ne dici di coalizione contro Emmett?», mi propone, mentre le sue mani stanno già raccogliendo la neve per formare una palla.

«Ci sto!», esclamo, preparando la mia schiera di proiettili di neve da lanciare contro il caro orso.

L’auto entra nel cortile e si ferma accanto all’altra jeep, in perfetta posizione per me ed Edward, pronti a colpire il conducente, che ha appena aperto la portiera.

Il tempo che è sceso dall’auto due palle di neve sono già finite contro la sua schiena, imbiancando il giubbotto scuro che indossa. Emmett si volta nella nostra direzione con un cipiglio confuso, e proprio in quel momento la mia palla di neve lo colpisce in pieno viso.

Mi porto entrambe le mani alla bocca, nascondendo la risata che sento nascere spontanea davanti alla sua faccia bianca. Edward mi batte il cinque, congratulandomi con un «Bel colpo!» e aiutandomi a rialzarmi dalla nostra postazione, decidendo che per oggi può bastare così.

Rosalie e gli altri raggiungono Emmett, scoppiando a ridere davanti alla sua espressione.

I suoi occhi si puntano su di me. «Bellina, inizia a scappare, perché non avrò alcuna pietà», esclama, con un ghigno divertito in viso.

Alice, Rosalie e Jasper sospirano, e mentre loro trasportano le borse con la spesa in casa, io, Edward ed Emmett restiamo fuori in cortile, continuando la nostra battaglia a palle di neve, lasciando che le nostre risate risuonino fra le montagne.

 

Lunedì 4 Gennaio

«Bella? Bella, mi stai ascoltando?»

Sussulto, mentre una voce mi strappa ai miei pensieri. Mi volto a guardare Edward, sdraiato accanto a me e con un cipiglio perplesso in viso. Siamo in camera di Esme e Carlisle, sdraiati sul letto a guardare un film. Alice e Jasper hanno preso il comando della tv in salotto, e le alternative erano le sedie della cucina o la camera dei genitori di Edward, essendo le uniche stanze con un televisore, oltre al salotto.

«Eh?», ribatto stupidamente, cadendo dalle nuvole.

Lui inarca un sopracciglio, incuriosito. «A cosa stavi pensando? Sembravi su un altro pianeta».

«A niente!», rispondo, mentre sento il consueto rossore espandersi rapidamente sulle mie guance, tradendomi. Fortunatamente la camera è immersa nel buio, e l’unica luce è quella che proviene dal televisore acceso.

«Vuoi che cambiamo film?», mi domanda, sedendosi dritto, pronto ad alzarsi nel caso rispondessi affermativamente.

«No, no. Questo film va bene, non preoccuparti», lo rassicuro.

Edward continua ad osservarmi attentamente, ed io abbasso lo sguardo sul copriletto, sentendomi imbarazzata.

Lo sento avvicinarsi. «È tutto a posto?», mi chiede, arrivando vicino.

Annuisco velocemente, spostando l’attenzione al film, di cui ho seguito poco e niente. Se mi dovesse fare qualche domanda sulla trama capirebbe subito che sono stata attenta per poco più di dieci minuti. Poi i miei pensieri sono stati dirottati su altro, e non sono più riuscita a guardare il film. E lui se n’è accorto.

Vedendo che sono tornata a concentrarmi - almeno apparentemente - sul film, Edward si arrende, e torna a rilassarsi contro i cuscini.

Ora siamo più vicini di prima, la sua spalla sfiora la mia, e questo peggiora la situazione.

È da due giorni che continuo a ripensare alla notte dopo capodanno, e non riesco a togliermela dalla testa. La notte di capodanno abbiamo festeggiato tutti insieme in paese, dove sono stati lanciati anche i fuochi d’artificio allo scoccare della mezzanotte; quando siamo tornati a casa era già tardi, ma dato che nessuno di noi aveva sonno siamo finiti a giocare a monopoli ed altri giochi da tavolo; io mi sono addormentata prima di tutti sul divano, e la mattina, quando Alice è venuta a svegliarmi per l’ora di pranzo, mi sono ritrovata nel mio letto, dove mi aveva portato Edward prima di andare a dormire a sua volta. Tutti ci siamo svegliati presto, intorno a mezzogiorno, su ordine di Alice che aveva puntato le sveglie per evitare che dormissimo tutto il giorno e passassimo la notte dopo svegli come grilli, rovinando così la giornata successiva, che doveva essere dedicata nuovamente allo sci. Quella sera eravamo tutti stravolti, così mentre gli altri cercavano di resistere alla tentazione di andare subito a letto dopo cena facendo una passeggiata all’aperto, io ed Edward abbiamo optato per un film alla tv.

Ci siamo sdraiati sul divano, e senza riuscire a resistere ci siamo addormentati. Il mattino successivo mi sono svegliata prima di lui, e la tv era spenta - Alice e gli altri l’avevano spenta quando erano tornati dalla passeggiata, e avevano deciso di lasciarci dormire in pace. È stata la seconda volta che ho dormito con Edward, ma a differenza dell’altra volta, dove eravamo in un grosso letto matrimoniale l’uno lontano dall’altra, l’altro giorno mi sono risvegliata circondata dalle sue braccia, e il suo corpo premuto contro il mio, completamente. La scarica di eccitazione che è corsa lungo la mia schiena appena ho realizzato la situazione è stata così forte che ancora adesso a ripensarci mi sembra di sentirla. È stato il momento in cui ho realizzato quanto davvero voglio Edward, in tutti i sensi, ed è la prima volta che provo una sensazione simile; nessun altro prima di lui aveva scatenato in me queste emozioni, e se da una parte mi sento elettrizzata, dall’altra sono terrorizzata. Io ed Edward non abbiamo ancora affrontato questo argomento, ed la paura di essere l’unica a provare queste sensazioni fra di noi mi rende più insicura e imbarazzata del solito.

Ripenso alla sensazione delle sue braccia strette appena sotto il mio seno, e del suo petto premuto contro la mia schiena, e un altro brivido mi scuote.

«Hai freddo?», sussurra Edward. I suoi occhi sono puntati su di me.

Mi irrigidisco. Mi stava osservando? Ha letto sul mio viso quello che stavo provando, quello che stavo pensando?

Scuoto il capo in segno di diniego, cercando di apparire disinvolta.

Prima che possa fermarla, la sua mano si posa sulla mia guancia, e i suoi occhi si allargano leggermente. «Sei calda», constata, spostando poi il palmo alla mia fronte, e subito dopo aggrottando la sua. «Sei… arrossita? Hai le guance bollenti ma la fronte fredda. Perché-»

Mi sporgo in avanti, e lo zittisco premendo la bocca contro la sua, prima che la domanda lasci le sue labbra. Allaccio le mani dietro la sua nuca, avvicinandolo a me. Come potrei trovare il coraggio per spiegargli il motivo per cui non riesco a rimanere concentrata per più di dieci secondi sul film e per cui continuo ad arrossire ogni volta che lo guardo da due giorni a questa parte? A malapena riesco a spiegare a me stessa quello che mi sta succedendo.

Le sue labbra rimangono ferme per qualche secondo, immobilizzate dalla sorpresa, poi iniziano a muoversi lentamente, come se stesse cercando di prendere tempo per capire cosa mi sta saltando in testa.

Spinta da un’audacia che non sento mia, mi giro su un fianco, e sollevo una gamba per mettermi a cavalcioni sulle sue. Lo sento trattenere il respiro, poi i suoi palmi premono sulla mia schiena, spingendomi verso di lui.

Con un colpo di reni ci fa rotolare di lato, fino a farmi ritrovare con la schiena sul materasso, e lui sopra di me, che si sostiene sui gomiti e le ginocchia per non pesarmi addosso.

Le sue labbra scivolano lungo la mia mandibola, lasciando una scia di baci leggeri come piume che giunge fino alla mia gola, dove la pelle è più sensibile. Sento le sue mani scivolare sotto il bordo della mia maglia leggera, premendo contro la pelle nuda dei miei fianchi.

Un’altra scarica parte dalla mia nuca percorrendo tutta la mia schiena, e per un istante sono certa di essere sul punto di perdere completamente la ragione.

«Edward…», sussurro con il fiato spezzato, posando le mani sulle sue, imponendomi di fermarci. Prima di andare avanti lui merita di sapere, ed io ho bisogno di dirglielo.

Lo sento irrigidirsi immediatamente, e le sue labbra si arrestano sul mio collo. Sfila le mani da sotto la mia maglia, e fa per allontanarsi, ma prima che possa farlo lo fermo, prendendo il suo viso fra le mie mani, costringendolo a guardarmi negli occhi. I suoi sono lucidi, e risplendono di eccitazione e pentimento.

Quando le sue labbra si aprono per dire qualcosa, sicuramente una scusa per il suo comportamento, lo interrompo. «C’è una cosa che devo dirti», mormoro, sentendo le guance calde e rosse.

Edward aggrotta le sopracciglia, perplesso, e aspetta che io continui. In sottofondo si sente solo il chiacchiericcio proveniente dalla televisione.

Lo osservo cercando il coraggio per dire quello che voglio, trovando solo un’ondata di imbarazzo che lentamente mi sommerge. «Io… io n-non ho mai… insomma, n-non sono ancora stata c-con…». Lascio la frase in sospeso, incapace di continuare.

Gli occhi di Edward si allargano leggermente, mentre il significato della mia frase spezzata diventa di secondo in secondo più chiaro. «Mai?», sussurra, e nella sua voce posso avvertire stupore e incredulità.

Scuoto il capo, chiudendo gli occhi per l’imbarazzo. Adesso penserà che sono solo una ragazzina. Una ragazzina stupida ed emarginata che non ha mai avuto uno straccio di ragazzo fino ai suoi venti e passa anni. La verità è che nessun ragazzo prima d’ora ha mai suscitato il mio interesse in quel senso, nessuno a parte Edward.

Una mano si posa sulla mia guancia, riportando il mio viso ad alzarsi. Riapro gli occhi leggermente, trovando il volto di Edward a pochi centimetri dal mio, a fissarmi incuriosito e preoccupato. «Cosa c’è?», mi chiede, dolcemente.

«Mi dispiace», sussurro, sentendomi incredibilmente imbarazzata.

Un sopracciglio si incurva verso l’alto, mentre la sue espressione diventa scettica. «Per cosa?»

«P-Per questo… s-so che tu n-non…»

Anche l’altro sopracciglio si inarca, e mi interrompe. «Ti stai scusando per essere ancora vergine?»

Porto un braccio a coprirmi gli occhi, sentendo l’imbarazzo a quella parola sommergermi. «Io… credo di sì», bofonchio, sentendo le guance bollenti a contatto con il mio braccio.

«Questa è la cosa più assurda che abbia mai sentito», commenta Edward, e nella sua voce sento una nota di divertimento.

«Cosa, sapere di una ragazza con più di vent’anni che è ancora vergine?», borbotto, sentendomi ancora peggio e senza avere il coraggio di uscire dal riparo del mio braccio.

«No, che qualcuno si scusi per esserlo», risponde, tornando ad essere serio. Una sua mano afferra il mio polso, e allontana il mio braccio dal mio viso, costringendomi a guardarlo. «Bella, io non ti giudico per essere ancora vergine, né ho cambiato idea su di te, hai capito?»

Abbasso lo sguardo, sentendomi in parte rassicurata dalle sue parole. «Sei sicuro? A te va bene che io non abbia nessuna… nessuna esperienza in questo campo?»

Non sono stupida. So che Edward non è più vergine da un bel pezzo, e sono sicura che con Tanya era abituato a fare sesso frequentemente. Io non ho mai avuto alcuna esperienza, sebbene in qualche modo conosca la teoria - fra libri e certi racconti di Alice poche cose ormai sono lasciate alla fantasia.

Le labbra di Edward si piegano in un piccolo sorriso. «Credimi, in certe cose l’esperienza non è tutto», mormora.

Arrossisco, e lui rotola di fianco, sistemandosi accanto a me. Apre un braccio per farmi avvicinare, e mi accosto a lui timidamente, poggiando la testa sul suo petto, riprendendo a guardare il film.

«Sei deluso?», gli chiedo a bassa voce, senza staccare gli occhi dal televisore. Sotto il mio orecchio il suo cuore continua a battere più rapidamente del solito, al ritmo del mio, ancora scombussolato dagli avvenimenti di poco fa.

«Per niente», risponde, e so che è sincero. «Piuttosto, direi che sono sorpreso».

«Non te lo aspettavi?», mormoro, imbarazzata.

«A essere sincero no», ribatte, con una lieve risata che mi scuote insieme a lui. Le sue dita giocano con una ciocca dei miei capelli, e questo semplice gesto riesce a rilassarmi.

Chiudo gli occhi, abbandonandomi a lui, lasciando che il suo respiro e il battito del suo cuore mi cullino, e trovando la sicurezza di cui avevo bisogno fra le sue braccia.

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EDIT DEL 25/02: mi sono appena resa conto che quando ho postato il capitolo per qualche strano motivo il programma dell'html mi ha cancellato un pezzetto di storia, mettendo uno spazio bianco. Nulla di grave, sono solo poche righe, e fortunatamente me ne sono accorta. Ho risolto poco fa; si trattava di un pezzo dopo la ripresa del Bella POV, dove invece di uno spazio bianco dovevano esserci un paio di battute che non avrebbero spezzato il discorso fra lei ed Edward. Sorry per il problema.


Ricordo che lo chalet dei Cullen è questo. :D


Bene, bene, contente che per una volta non c'è nessun dramma di mezzo? XD Dopo ben 18 capitoli di tormenti mi sembrava giusto lasciare a questi poveri Edward e Bella un po' di pace ù.ù

Grazie per essere arrivati fino a qui e avermi aspettata anche questa volta! E un super GRAZIE va a Marika che mi minaccia sempre di scrivere ù.ù


Vi lascio il link per il blog e quello della mia nuova ff, Route 66. Se vi piacciono i viaggi fateci un salto, mi farebbe piacere! :D


A presto! :*

   
 
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