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Autore: Keiko    25/02/2012    6 recensioni
Io e Tate eravamo sbagliati, inaccettabili.
Qualcun altro, al mio posto, si sarebbe chiesto cosa può aver spinto Tate a compiere la strage al liceo, ma la verità è che in Tate non c'è luce. Non è solo la solitudine a guidarlo, è un'innata crudeltà che lo spinge a compiere il male nella convinzione di rendere felici gli altri.
Tate è uno specchio deformante nel quale mi sono riflessa e dal quale sono fuggita perché avevo paura di ciò che vi avevo visto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate, Langdon, Violet, Harmon, Violet, Harmon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Sweet Revenge © [25/02/2012]
Disclaimer: Tutti i personaggi di American Horror Story appartengono ai produttori e agli sceneggiatori, alla casa di produzione e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti.
Nessun copyright si ritiene leso.


 
“This is the last time I'll abandon you
and this is the last time I'll forget you”
 
(da “Stockholm Syndrome, Muse)
 
 
Tate era una persona distorta, a tal punto da poterne intravedere il buio profondo.
Privo di luce.
Eppure, per me, il mio primo amore, brillava più di qualsiasi altra cosa al mondo. C'era qualcosa, in Tate, che mi attirava come una forza magica, che mi catturava nonostante ne avessi paura, che mi ipnotizzava offrendomi ciò che né mio padre né mia madre potevano darmi. Ero diventata una figlia invisibile mentre loro correvano dietro ai lembi di un matrimonio che arrancava sulle proprie ginocchia sbucciate dalle troppe cadute, le mani grondanti del sangue di un figlio perduto, di un tradimento e un tentato omicidio. Io ero la figlia sbagliata che era sopravvissuta a tutto, più o meno. Trascinarsi attraverso la vita era solo un modo per uscire indenne dallo schifo che mi circondava, non provare sentimenti o piacere ma solo un distaccato disinteresse era l'arma infallibile con cui combattere il dolore.
Se non ami non soffri.
Se non sogni non ti illudi.
Se non cresci non dovrai smettere di sognare.
Se non vivi resterai per sempre un essere umano a metà, un involucro vuoto la cui sostanza é il niente. Io e Tate eravamo un niente prima di incontrarci, diventammo un tutto quando scoprii che appoggiarsi a qualcuno con cui potevi persino scambiare la tua stessa pelle e le ossa e il cuore e il sangue - tanto erano simili ai tuoi - era facile e rassicurante.
Tate mi inquietava, a volte, ma mi dava sicurezza. Riusciva a colmare il vuoto della famiglia che non possedevo più e si annidò lì, tra l'arteria e il cuore, a pompare fiele e rabbia e amore disincantato. Per Tate avrei fatto qualunque cosa, così come lui fece qualsiasi cosa per me. Lo scantinato in cui ci davamo appuntamento, le giornate passate insieme vivendo in totale simbiosi senza stancarci un solo istante l'uno dell'altra, gli psicopatici che ci piombarono in casa, quei due fottuti froci che volevano prendersi mio fratello... come un principe, Tate affrontava una a una le prove che io gli presentavo, sfide da cui usciva sempre vincitore.
Tate era il mio eroe, era tutto ciò che potevo desiderare perché l'amore che provavo era ripagato con la stessa intensità e ancor più devozione. Avevamo un mondo che era solo nostro - questa casa - e ci bastava. Avevamo tutto qui, e una finestra sul mondo che ci veniva incontro da YouTube e internet. Tate non poteva sapere quanto facile potesse essere scoprire il suo passato e inorridire di fronte a esso. Non furono le sue azioni a farmi provare orrore ma l'amore che continuai a provare nonostante iniziassi a intravedere quelle tenebre senza fondo in cui stavo precipitando. Tate desiderava solo essere amato e io lo stavo facendo, l'ho fatto sino alla fine e, nonostante tutto, continuo a farlo anche ora. Ci sono scelte giuste da fare, nonostante il cuore ti supplichi di continuare ad ascoltarlo e cessi di battere nel momento in cui ti imponi di fare quella maledetta scelta, sacrificando ogni battito che ti rimane in favore dell'unica scelta giusta che potrai fare nella tua vita, costellata da troppe scelte sbagliate sino al momento della tua morte.
Le parti, tra me e Tate, si sono invertite quando scelsi mia madre prima, e la mia famiglia poi. Avevo creduto che Tate fosse il mio personale eroe, e lo è stato sino a quando non si è sbriciolato il piedistallo di menzogne su cui si era eretto per rendersi speciale ai miei occhi, come per assicurarsi di fare le cose giuste per essere amato.
Per essere accettato.
Una volta lo sentii supplicare mio padre di ascoltarlo, qualche volta, perché era certo di avere bisogno di aiuto, ma gli voltò le spalle.
Chiese a Moira di poter stringere il piccolo, offrendosi di aiutarla a far cessare il suo pianto insistente, ma lo cacciò in malo modo dalla cucina.
È  come se la sua condanna ora, fosse quella di rimanere imbrigliato per sempre nelle tenebre, prigioniero nella parte più profonda parte della casa, circondato dalla solitudine e dalle belve che la dimorano.
Questa villa è un limbo abbandonato, ormai dimenticato anche dagli esseri viventi. È  passato moltissimo tempo da quando abbiamo fatto fuggire l'ultima famiglia di inquilini, e dubito che qualcun altro si trasferirà qui tanto facilmente. Le storie dell'orrore si susseguono, gli omicidi e le sparizioni e i casi irrisolti che ruotano attorno a questa dimora sono troppi per essere frutto del caso o solo qualche stupida leggenda metropolitana.
Sono diventata io l'eroe, tra noi due, quando Tate ha capito che non avevo più  bisogno di lui ma che, invece, lui non poteva stare senza di me. Nel nostro rapporto non c'era nulla di pulito, di innocente, di buono. Era tutto sporco, malato, brutale e cattivo. Ci siamo amati nel modo più totale, sbagliato e forte che potesse esistere, ci siamo abnegati sino a cancellare noi stessi, sino a perdere di vista le regole che stanno alla base della società persino.
Mille volte, mentre camminavo per i corridoi di qualche nuovo liceo, mi ripetevo che avrei voluto essere un fantasma, essere invisibile per il resto del mondo, quando in realtà volevo solo essere vista, accettata, amata.
Per Tate credo fosse la stessa cosa, o comunque molto simile a ciò che avevo provato io. Quando la solitudine grida sino a sovrastare ogni altro suono e diviene l'amica di lunghe notti e pomeriggi fatti di silenzio rotto dalla musica e dal pianto, ti sembra di impazzire. Basta uno sguardo che si posa nel tuo, una mano che sfiora le tue dita con leggerezza e che poi sale, trasformandosi in un abbraccio che può proteggerti da tutta la merda che hai conosciuto sino a quel momento.
Io e Tate eravamo sbagliati, inaccettabili.
Qualcun altro, al mio posto, si sarebbe chiesto cosa può aver spinto Tate a compiere la strage al liceo, ma la verità è che in Tate non c'è luce. Non è solo la solitudine a guidarlo, è un'innata crudeltà che lo spinge a compiere il male nella convinzione di rendere felici gli altri.
Tate è uno specchio deformante nel quale mi sono riflessa e dal quale sono fuggita perché avevo paura di ciò che vi avevo visto.
 
 
"Violet! Violet aspetta!"
I passi di Tate risuonano alle sue spalle, pochi istanti e scompaiono, inghiottite dalle pieghe della casa. Quando se lo ritrova davanti ha gli occhi cerchiati dal pianto e le labbra gli tremano impercettibilmente, mentre cerca inutilmente di mantenere il controllo. Ogni volta arrivano a questo punto: cercano di parlare, di chiarirsi, si supplicano di amarsi ancora un poco e finiscono con l'odiarsi come mai hanno fatto prima, sputandosi addosso fiele e rancore, residui di chissà quanti anni prima.
"Io ti amo Violet. Più della mia stessa vita."
Bugia.
Lo osserva con distacco mentre la sua mano le sfiora la guancia. E' calda, dannatamente morbida e delicata come quando hanno fatto l'amore per la prima volta. La stessa mano che ha colpito sua madre e l'ha violentata, spogliandola della ragione.
"Ti prego perdonami."
"Sai che non posso."
"Certo che puoi! E' una tua decisione!"
"Sarò più chiara: non voglio."
A quelle parole i suoi occhi diventano grandi come fari - pozze nere prive di luce, cupe di disperazione e odio - e le lacrime si inseguono sul suo viso come perle sgranate di un rosario su cui sono state patteggiate troppe preghiere mai esaudite.
"Ho fatto una cosa così atroce Violet? Era per rendere felice Nora."
"A me non me ne frega un cazzo di Nora, che nemmeno sa come crescere un figlio! Tu hai violentato mia madre!"
"Ma é stato prima di conoscerti, di..."
"Questo dovrebbe darti un'attenuante? Be', non é così. E poi perché per Nora e non per Hayden, magari?"
"E' stato tutto prima di amarti!"
Fa differenza il prima e il dopo, quando il dopo delle persone normali coincide con l'eternità della tua esistenza? Se lo chiede, Violet, nel tentativo di ricordare i motivi che l'hanno spinta ad allontanarsi per sempre da lui. Perché é fottutamente facile perdersi nel suo sguardo disperato e cedere alla tentazione di stringergli il volto tra le dita e sussurrargli che andrà tutto bene, che da qualche parte per loro c'è un posto migliore ad attenderli. Sa che sono solo bugie perché il loro inferno è la casa stessa, che si nutre di vita e sentimenti. Persino i loro, di spiriti dimenticati, sembrano renderla più forte. Di certo più forti e chiari sono i sentimenti dei suoi abitanti, come se la morte avesse dato a tutti nuova coscienza di sé, creando un taglio netto tra le emozioni fatte di chiaro scuri e prive di sfumature. Non conoscono più le mezze tinte o quelle più tenui e delicate tipiche della primavera: tutto è disperato, portato all'eccesso, sporcato dei colori abbaglianti dell'estate o delle fredde tonalità invernali. È un rosso carminio come le labbra della giovane e provocante Moira, è il nero vischioso dell'anima di Tate, è il gelido blu notte che avvolge le spalle della perduta Nora, è il rosa e l'azzurro acceso delle bimbe, è... un arcobaleno fatto di emozioni e suoni, di ricordi che si sfiorano continuamente in una vita dopo la vita, come se non fosse in verità cambiato nulla, perché ancora tutto possono.
Anche cambiare il destino, cancellare i rimpianti e dare un nuovo senso alle loro esistenze. Hanno un'eternità dinnanzi per fare ammenda degli errori e riparare ai torti subiti; un'eternità di solitudine, se nessuno è pronto a renderli di nuovo vivi, facendo provare loro nuove emozioni, calde e accoglienti come una coperta di lana posata sulle ginocchia davanti al camino acceso nelle notti invernali.
"Lasciami andare Tate. Ora e subito. Vai via."
La morte non rende differente la vita, rende differenti le emozioni che puoi provare. Con la morte scopri cosa é davvero importante e può renderti felice per l'eternità. E' una consapevolezza nuova, che non ti toglie la dolcezza di un abbraccio o la bellezza di un sorriso ma le rende terribilmente più vere e mai scontate.
“Vattene Tate, sparisci.”
“Non allontanarmi ancora, ti prego. Dammi una maledetta possibilità per cambiare! Se non lo fai tu, chi può farlo qui? Nessuno! Aiutami Violet, fammi diventare una persona migliore.”
Mentre le parla le lacrime gli rigano il viso e le sue spalle sono scosse da singhiozzi violenti. Sembra un bambino quando si comporta così: non conosce filtri per le proprie emozioni, il suo corpo non è altro che un involucro che non riesce ad arginare le ondate di piena dei sentimenti ma li fa tracimare fuori nella loro forma più esasperata.
Quest'oggi, però, per la prima volta le ha chiesto qualcosa di diverso, qualcosa che le martella nelle tempie da quando si sono visti e ancora continua a pulsare con forza.
“Vattene via.”
È  così che l'ha aiutato: scaraventandolo dall'altro lato della stanza per avere il tempo di fuggire lontana da lui, cercando rifugio accucciandosi ai piedi di Moira come un remissivo cane da compagnia, mentre è intenta a rammendare qualche vestito.
“Moira perché l'amore fa così schifo?”
“Perché non è amore, solo attrazione fisica. Gli uomini pensano solo a quello. Quel piccolo demonio non conosce i buoni sentimenti e tu qui sei l'unica che può avere l'età per assecondarlo. Quella puttanella di Hayden pensa ancora a tuo padre, di certo non andrà ad  aprire le gambe davanti a quel ragazzino. Troverà qualche idiota da ammazzare in giro per il quartiere, come Travis.”
“È  la posta dei cuori infranti questa?”
Vivien entra nello studio sorridendo a entrambe con aria affabile, sedendo accanto a loro. Per lei la morte è stata un sollievo, la fine di ogni tortura e di ogni crudeltà terrena.  Può combattere ad armi pari con Hayden e avere la certezza dell'amore di Ben come mai aveva posseduto in vita, le offre la forza per spaccare la terra e i cuori, se necessario. Vivien ha una famiglia in cui crede e che desidera difendere da ogni insidia. Nulla può davvero ucciderli, tutto però può ferirli nell'animo con maggior facilità. Sa di non essere sola, però: come lei, di anime dannate e buone, nella casa, ce ne sono tantissime. Non tutti sono come Hayden o Tate, legati a doppia mandata da catene invisibili alla parte più oscura dell’edificio, che reclama continuamente sangue e dolore. Se non fosse per loro, quanti sarebbero davvero morti al suo interno? Molti meno rispetto a coloro che, invece, dalla sua costruzione ne sono diventati gli ospiti fissi.
“Cos'è quell'aria cupa? Avevo dimenticato il periodo in cui non sapevi sorridere. Cosa ti preoccupa?”
“Tate” un semplice nome che basta a racchiudere tutti i significati che porta con sé il semplice ricordarne i riccioli d'oro o le fossette ai lati delle labbra, quando si distendono in sorrisi sinceri. Un ricordo che stringe in un'ulteriore morsa il cuore di Violet, le braccia adagiate sulle gambe di Moira e il viso sopra di esse.
A tua madre puoi raccontare tutte le bugie del mondo perché continuerà a credere anche alle più colossali cazzate che le propinerai. È tipico dei genitori bersi tutto ciò che i loro figli raccontano, come se fosse scritto in un tacito contratto secondo cui la loro stupidità compensa la totale fiducia nella propria progenie. Violet, però, non mente: perché non vuole farlo. Tenere assopita la bestia che le scalcia nel cuore è impossibile, ora, come se il suo lungo letargo ne avesse alimentato un'insaziabile fame.
“Sempre la solita querelle amorosa?”
“Mi ha chiesto di aiutarlo a essere una persona migliore.”
“E tu vuoi farlo?”
Negli occhi dei tuoi figli, nonostante tu creda a ogni loro parola, puoi leggere la verità se decidi di farlo e di gettare la maschera dell'idiota. Violet è un libro aperto, è sangue del suo sangue e troppo simile a lei perché possa fingere indifferenza davanti a quegli occhi grandissimi, che brillano nel  buio come gemme.
“Non lo so.”
“Pensaci. Forse dice la verità.”
“E se stesse mentendo?”
“Lo sapresti.”
“Ha mentito per mesi e io non l'ho mai capito, come posso ora...”
“Ora sei diversa tu. Non hai più bisogno di Tate Langdon per essere Violet Harmon, ma forse lui ha bisogno di te per essere un altro Tate.”
La domanda di una qualsiasi ragazzina sarebbe “quindi?”, ma Violet si limita a prendere atto delle parole di sua madre come una tacita concessione. Vivien sa cosa significa soffrire per amore e conosce, soprattutto, la sofferenza in ogni sua forma. Può davvero fare del male a sua figlia, quel ragazzino malato? Sono morti, possono mostrarsi o sparire a proprio piacimento, cosa potrebbe mai ferire Violet, oltre ai suoi stessi sentimenti e la battaglia interiore che sta combattendo per lei, giorno dopo giorno, per restituirle un atto di devozione assoluta, rinnovando il patto di fedeltà con colei che le ha dato la vita e a cui, in un certo senso, l’ha tolta?
“Sai cosa devi fare. Fallo e basta.”
“Che razza di madre sei?”
“Una madre svitata. Ma questo dovresti saperlo meglio di me.”
“Sei una madre con le palle. Te l’avevo detto, no?”
Violet le sorride, prima di sollevarsi dal proprio posto con una certa riluttanza, lanciando un’ultima occhiata a Moira che, in silenzio da diversi minuti, non ha più proferito parola a riguardo.
“Moira?”
“Dico che soffrirà. Tate Langdon non ha mai avuto nulla di umano nemmeno da vivo, figuriamoci da morto.”
Violet non ha avuto la fortuna di conoscerlo in vita ma, oltre all’orrore e alle tenebre, in Tate ha visto davvero poco. Forse ha intravisto qualcosa da salvare ma fatica a ricordarlo, come se tutto il male che ha compiuto possa aver cancellato le rare cose buone, prive di sangue e disperazione, che si è lasciato dietro. Sarà solo un confronto, si ripete stringendo i pugni lungo i fianchi mentre si dirige verso il seminterrato, nella tana di quelli come lui: cani rabbiosi che nessuno vuole tenere più al proprio fianco.
 
 
È un pomeriggio di primavera, di quelli che ti mettono di buonumore solo mettendo il naso fuori di casa, quando l’aria è frizzante ma non ti infastidisce contro la pelle, e gli abiti sottili fanno capolino dopo mesi di velluto e maglioni pesanti. Violet scorge i riccioli dorati di Tate tra le ogive del portico, una gamba lasciata a penzoloni oltre il muro di cinta.
Sono mesi che attende di poterlo vedere e per tutto quel tempo, Tate non si è mai mostrato. È diventato una delle presenze silenziose della casa, di quelli di cui non riesci a ricordare il nome nemmeno volendolo, troppo miti o spaventati, a volte disinteressati a un’altra possibilità di vita per fare capolino tra una stanza e l’altra. L’ha cercato un po’ ovunque, lei, giocando con Beau in soffitta o scendendo più spesso del necessario nello scantinato nella speranza di incrociarlo, fermandosi a bere un tè immaginario con le piccole figlie di Harvey. La casa è un mondo a sé stante, un universo in cui perdersi nei secoli, se si ha la pazienza di ricostruirsi una vita. Ha ripreso a dormire nella sua stanza – la stessa che prima fu di Tate – nella speranza di rivederlo di nuovo, coltivando quell’illusione avvolta dalla sensazione di calore e sicurezza che offre l’ultima camera del secondo piano.
“Ehi” non è un buon inizio, ma la fantasia non le viene di certo in aiuto. È nervosa perché sa che ciò che sta  facendo manderà su tutte le furie suo padre e, in fondo, ferirà ugualmente sua madre, anche se le ha dato il proprio benestare per riprendersi un amore che ha vissuto solo a metà e che, pure, l’ha divorata totalmente.
“Credevo non volessi più vedermi.”
La voce di Tate è priva di inflessioni mentre non smette di giocare con alcuni sassi del giardino, lanciandoli con espressione annoiata in aria per poi riprenderli al volo e rilanciarli di nuovo.
“Mi hai detto una cosa che mi ha fatto pensare. Volevo parlartene prima ma non ti ho più trovato.”
“Sai benissimo che non possiamo uscire di qui.”
“Ma alla spiaggia…”
“Certo, ma alla fine siamo tornati. Non fuggi più lontano della recinzione, a meno che tu non abbia qui un valido motivo per cui tornare. Io l’avevo, e la casa mi ha lasciato uscire.”
“Come stai?”
“Un’altra domanda del cazzo?”
“Okay okay, scusami” si giustifica lei, alzando le mani dinnanzi a sé in un gesto di resa.
“Mi hai detto che vuoi essere una persona migliore: perché?”
“Perché anche le tenebre hanno bisogno della luce per esistere. Ci sei tu, e tu puoi aiutarmi ma non vuoi farlo. Mi hai detto che non esistono mostri o santi e hai finito con il conoscerne l’esistenza. Ridicolo, no?”
“Tate…”
“Perché non vuoi aiutarmi? Lo sai perché esistiamo?”
Lei scuote il capo, i capelli che le ricadono oltre le spalle in onde morbide.
“Perché c’è qualcosa che ci lega ancora alla nostra vita precedente. La casa amplifica solo questo desiderio sopito e ci tiene stretti a lei. Non ce ne andremo mai, nemmeno se dovessero demolirla.”
“Io non voglio andarmene. Ora sto bene. E poi questa casa mi piace.”
Abbozza un sorriso che sa di perdono, almeno un po’, o quanto meno è l’interpretazione che la mente del ragazzo si concede per aprirsi l’ennesima speranza che verrà disattesa da Violet.
Tate di lei ha sempre amato la fragilità, prima di scoprirsi a propria volta persino più debole di lei, e quel suo sguardo che ti scava dentro e ti rapisce, occhi neri che ti inchiodano brillando di una luce che rischiara la notte. Non è poesia di Keats o Shelley, è il suo cuore che la guarda come ha fatto la prima volta, schiudendosi e facendosi schiacciare da una forza che non credeva possibile potesse esistere. Violet è la luce, lo sa perché ogni volta che ha rischiato di perdersi è stato il pensiero di lei a fermarlo. Tutte le cose cattive e meschine che ha fatto dopo, le ha fatte solo per amore, per proteggerla dal mondo. Avrebbe ucciso chiunque si fosse intromesso tra loro – e lo farebbe ancora, senza esitazione –, chiunque avesse tentato di portargliela via o farle del male. Violet aveva bisogno di lui e lui aveva bisogno di essere guardato da lei come al proprio principe azzurro. Si sentiva forte, invincibile, pulito. È caduto e si è sporcato di nuovo, ha pianto e ha scoperto che quella dei due che aveva le palle per spaccare il mondo era Violet. Era stato lui a trasformarla? Forte o fragile, restava comunque la sua Violet, glielo leggeva in quello sguardo malinconico, sulle labbra piene increspate in un sorriso incerto.
“C’entra solo questa cosa della luce?”
“Sono stanco di ferire le persone che amo.”
“Sono tante?” domanda lei abbassando lo sguardo sulle proprie mani, adagiate in grembo mentre le dita giocano nervosamente con i lembi del maglione di un pallido grigio perla.
“Quante ne conosci?”
La domanda di Tate è una sfida, la risposta di Violet sarà l’esito che attende il loro futuro. Lo sanno entrambi, perché non giochi sulla linea di confine senza decidere di mettere nel piatto tutti i tuoi averi, vita compresa se è l’unica cosa che ti rimane.
“Ho bisogno di te per cambiare” continua lui senza distogliere lo sguardo dal viso della ragazza, deciso a dirle tutto ciò che gli passa per la mente perché sa che potrebbe essere un addio definitivo il loro.
“Non ti sto raccontando cazzate, te lo giuro. Che senso avrebbe? Ci sei solo tu qui che vali qualcosa.”
“Ci sono un sacco di altre persone, Nora per esempio.”
“Basta con questa cazzo di storia! Nora, Nora e ancora Nora! Non me ne frega un cazzo di Nora! Mi basti tu per sentirmi in pace con il mondo. Lo senti, Violet?”
Tate le stringe le mano e se la porta al petto: sembra assurdo, eppure Violet avverte i battiti di un cuore e sgrana gli occhi, lucidi di lacrime e forse di stupore.
“Come…”
“Emozioni. Le sentiamo anche noi. Si dice che l’anima risieda nel cuore. Non ho mai capito perché, ma sembra che funzioni anche se in realtà siamo solo fantasmi.”
Violet lo sente, il cuore di Tate battere, e poco a poco, come se per la prima volta potesse guardarsi dentro senza paura, si accorge che anche il suo esiste, vive e pulsa all’unisono con quello del ragazzo.
“Tu mi fai sentire una persona migliore, lo dico davvero. Se ci fossi tu tutto sarebbe più facile.”
“Tate sai che…”
“Non voglio più fare male alle persone che amo. Non voglio più ferirti Violet. Posso continuare ad amarti?”
A quelle parole qualcosa si spezza, il suono secco di un ramo o di un osso alle loro spalle, o forse solo dentro la testa della ragazza. Cosa ci sarebbe di sbagliato nel salvarlo? Cosa ci sarebbe di giusto nell’amarlo? Resteranno per sempre adolescenti, legati a una casa maledetta in attesa di qualche altra famiglia disgraziata da terrorizzare prima che faccia la loro stessa fine. Resteranno per sempre loro, così come sono adesso, come sono stati quando lei era viva e lui già morto, quando sono stati un tutt’uno perché l’amore – lo stare insieme – li faceva sentire un tutto, non qualcosa di mutilato, spezzato, rotto.
“Sei tutto ciò che ho.”
Violet si morde il labbro inferiore che trema tra gli incisivi, cercando di trattenere le lacrime. Abbassa lo sguardo per un istante, poi solleva le mani verso il viso di Tate e ne sfiora i contorni, come se le occorresse riscoprirli per realizzare che sono veri, che a parlarle è lo stesso ragazzo che le ha rubato il cuore e non il pazzo che ha distrutto la sua famiglia.
“Sei tutto ciò di cui ho bisogno.”
Gli occhi di Tate diventano immensi e per un istante Violet teme di aver fatto un terribile errore, ma le lacrime che le scivolano lungo le dita e le sue labbra che le baciano i polpastrelli, stemperano la tensione.
È il bacio di un pellegrino alla propria santa protettrice, è il bacio disperato di chi ha ritrovato il proprio cuore e la propria ragione di vita. I loro volti si sfiorano, e a Violet sembra persino di sentire il respiro di Tate sul proprio viso, ma è solo l’illusione della brezza primaverile che solleva le foglie morte e gioca con i loro capelli. Le labbra di Tate sono calde e accoglienti, morbide e dolci.
Profumano di passato e nostalgia come le loro promesse già vecchie di cent’anni senza che loro possano saperlo. Il tempo scorre in modo differente, all’interno di quella prigione, e a poco a poco il ricordo della loro vita si affievolirà sino a divenire sbiadito e inconsistente, come una vecchia fotografia di cui non resteranno che i colori più vividi.
“Non lasciarmi.”
Quella di Tate è una supplica, bisbigliata sulle labbra piene di Violet, lo sguardo velato di lacrime che riflette i suoi.
“È l’ultima volta che ti abbandono, te lo prometto.”
 
 
 
 
 
Note dell'autrice.
Credo che trovare una motivazione valida per il ricongiungimento tra Tate e Violet sia parecchio difficile senza far cadere quest'ultima in un'orrenda OOC. Per contro, spero di essere riuscita ad assecondare il desiderio di un futuro differente per questi due adolescenti in un modo credibile e con la giusta dose di equilibrio. Indubbiamente, la staticità della casa e degli eventi al suo interno, mi hanno aiutata: in un lasso di tempo che porta il nome di "eternità", credo sia piuttosto semplice riuscire a trovare un escamotage, dopotutto.
   
 
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