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Autore: Nenelafolle    25/02/2012    4 recensioni
{ Soul X Maka. }
Il loro incontro, la prima volta.
cit./ E Maka si alzò. Trovò la forza dentro di sé, nel profondo, e si alzò, come se quella voce l’avesse chiamata. L’aveva sentito, ne era sicura, non se l’era immaginato.
ENJOY ! ☆
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stanza era gremita di persone, affollata, un vocio confuso che sibilava nelle orecchie di Maka.
Il cartellino con scritto “MEISTER” le pesava sul petto, come un macigno la portava in basso dove non voleva cadere.
Vedere suo padre, accanto a Lord Shinigami, alla cerimonia di apertura avrebbe dovuto riempirla d’orgoglio, ma la sola vista di quell’uomo –e come cercò di congratularsi con lei mentre scendeva dal palco- le dava la nausea, la faceva sentire scocciata.
Un ragazzo non molto alto ma muscoloso, con i capelli azzurri come il cielo e un tatuaggio a forma di stella inciso sul bicipite destro, le passò davanti. Il suo passo sicuro, aleggiava tutto intorno a lui, lo illuminava. Un egocentrismo senza pari, uno sbruffone. A Maka pareva quasi di poterla vedere, di poterla percepire, quell’aurea che lo circondava, come se avesse una qualche abilità inconsapevole.
Il ragazzo si allontanò a grandi passi, uscendo con un’aria contrariata sul viso. Maka aveva letto che anche lui era un maestro d’armi e vista l’espressione pareva non avesse trovato la Weapon per lui.
Maka sospirò: erano nella stessa situazione. Vedeva le persone davanti a sé conoscersi, espansive, e pronte a tutto per trovare il compagno perfetto per loro.
E lei? Non sapeva se davvero voleva affrontare quel momento. Era determinata, lo era sempre stata fin da bambina, ma era come se una vocina dentro di lei le dicesse “Non potrai mai creare una Death Scythe come tua madre se non trovi il compagno giusto”. E allora esitava.
Rimase attaccata al muro, temporeggiando, ancora per un po’, osservando un ragazzo con una strana pettinatura –pelato ma con due spunci di capelli appena sopra le orecchie- che rideva con un altro, che indossava un buffo paio di occhiali.. e si arrese.
Le lacrime riempirono i suoi occhi come quando era bambina e aveva paura delle ombre. Ma non c’erano più i suoi genitori a consolarla. Si voltò ed uscì dalla stanza con ampie falcate.
Corse per i corridoi, si perse nell’immensità della DWMA ma continuò a correre, come se ne andasse della sua vita. E quando fu stanca di piangere e scappare, si inginocchiò in mezzo al corridoio e rimase lì a singhiozzare.
Sei patetica, Maka, patetica. Cosa direbbe la mamma?” pensò, e le lacrime si fecero più violente.
Fu allora che lo sentì.
Una nota musicale. Un pianoforte, sicuramente –lei un po’ se ne intendeva- ma c’era qualcosa di terribilmente malinconico in come risuonò lenta e decisa nell’ampio corridoio.
- Oh, questo non è per niente cool. – disse una voce.
E Maka si alzò. Trovò la forza dentro di sé, nel profondo, e si alzò, come se quella voce l’avesse chiamata. L’aveva sentito, ne era sicura, non se l’era immaginato.
- Non è accordato. – continuò la voce, e schioccò la lingua, frustrato.
Maka si avvicinò alla posta da dove proveniva il suono, incuriosita.
E cominciò.
Lo sguardo di Maka diede solo una rapida scorsa alla bellezza della sala, le tende rosse di velluto, l’ampio soffitto a volta per migliorare l’acustica, e anche al pianista, un ragazzo magro e alto, di cui vide solo l’immagine sfocata, tre colori confusi: nero, rosso, bianco. Il suo sguardo si fermò invece sulle sue mani, sulle sue dita. Erano innaturalmente lunghe, si vedeva che erano state cresciute per suonare strumenti. Si muovevano sui tasti come se ne facessero parte, come se volassero. I polpastrelli non riuscivano nemmeno a toccare l’antico avorio del pianoforte a coda, correvano veloci lungo i tasti, e il salone si riempiva del suono della composizione, tanto complicata e allo stesso tempo rigogliosa da non poter credere che a suonarla fosse un solo paio di mani.
Il ragazzo non si accorse della presenza di Maka mentre lei si avvicinava, continuò a suonare tranquillo, perso nel suo mondo, mentre la musica li avvolgeva senza pause.
Fu solo quando lei entrò nel cerchio formato dalle note dei pianoforte che lui la guardò di sfuggita. La musica rallentò fino a fermarsi, mentre lui drizzava la schiena e si voltava verso di lei.
Il silenzio si propagò per un lungo istante, durante il quale Maka lesse il cartellino “WEAPON” sulla giacca nera in netto contrasto con la camicia rossa del giovane, e capì che era lui.
Un ragazzo dai capelli bianchissimi, dalle dita lunghissime e sexy, una persona che passava inosservata quanto un leone in un branco di gazzelle. Una persona forte. Giusta.
Quel ragazzo, quella musica.. l’avevano rapita.
Maka aveva quasi paura di ciò che stava provando, paura di chiedergli se avesse già una Meister, paura di presentarsi, paura e basta.
Ma tese comunque una mano in avanti ed esclamò: - Maka! – come un ordine.
Il ragazzo sorrise, un ghigno storto che scosse Maka nel profondo. – Puoi suonarla di nuovo? – chiese.
Le mani del giovane si mossero nonostante i suoi occhi restassero fissi su Maka. Occhi rossi come le fragole, come il tramonto.. come il sangue.
La musica di prima rallentò, si trasformò in qualcosa di più morbido, un’ondata di note che ricordavano molte cose a Maka. La colazione nei giorni estivi, suo padre che le leggeva le fiabe, uno strano bellissimo ragazzo incontrato in un’aula buia a suonare il pianoforte, la madre che le rimboccava le coperte, odore di casa, di famiglia, d’amore.
Quando finì, Maka non si era nemmeno accorta di avere le lacrime agli occhi.
- Non ti sei ancora presentato. – borbottò, cercando di ricomporsi.
- Cool. – disse lui. – Sono Soul. – e tese la mano.
Soul. Un nome bello quanto strano. Un nome perfetto.
Maka fissò la mano. Quelle dita eleganti, capaci di tali magie da farle brillare.. e la strinse.
La scossa elettrica passò fra di loro leggera ma potente. Fu un attimo, dove Maka la vide distintamente. L’anima di Soul. Bellissima. Perfetta come il suo nome. Tale da far venire i brividi a Maka. Un’anima.
Ma fu solo un secondo, un battito, un lampo:
- Vuoi essere il mio partner? – domandò, arrossendo.
E lui sorrise di nuovo, quel ghigno che lei non avrebbe più dimenticato.

Ma questo fu solo l’inizio.
   
 
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