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Autore: Vahly    25/02/2012    1 recensioni
Ambientata durante la terza stagione. Neal e Peter ripensano a quanto accaduto e al rapporto che c'è tra di loro.
[Introspettiva, GEN, spoiler season 3]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note dell’autrice: Scritta per la quarta settimana del Cow-t, con il prompt “indecisione”. Non tiene conto di tutto ciò che è accaduto dopo l’episodio 3x10, ma fa riferimento ai primi episodi della terza serie.

 

 

Pensieri

 

 

Sembrava facile, dal punto di vista di Moz. Lui non aveva legami che non poteva perdere, a New York. Non aveva una carriera – e a questo pensiero, Neal rise. Una carriera? Seriously? Da quando considerava il fatto di essere in libertà vigilata, come alla sua carriera, alla sua vita? – una vita, una famiglia  lì a New York. Non aveva tra le mani qualcosa di fragile, come lui, qualcosa che avrebbe potuto scomparire da un momento all’altro.

No. Per Moz era più semplice. Lui avrebbe potuto scappare facilmente e tornare non appena si fosse stancato della vita in una qualche assolata isola tropicale. Avrebbe potuto ricostruirsi facilmente una vita, perché non avrebbe avuto il rimpianto di aver perso la cosa più grandiosa che mai gli fosse capitata davanti.

Non avrebbe mai avuto il rimpianto di aver perso il lavoro alla White Collar.

Non avrebbe mai avuto il rimpianto di aver perso Peter.

Neal si prese la testa tra le mani, come se volesse nascondersi al mondo. Ma subito si disse che doveva farsi forza e capire davvero cosa voleva fare della sua vita, come risolvere quell’assurda situazione.

Si costrinse ad alzarsi in piedi e guardò il panorama fuori dalla finestra.

Aveva già perso Sara, perché quando la donna aveva scoperto che lui aveva il tesoro. Avrebbe perso anche Peter per lo stesso motivo?

Forse, se avesse provato a parlargli…

No. Parlare non avrebbe cambiato nulla. L’agente si sarebbe sentito comunque tradito dal fatto che Neal, per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che dire che non aveva lui il tesoro, che non lo aveva rubato lui, che non c’entrava niente, che… beh, mille scuse. E la cosa buffa era che, tecnicamente, lui non aveva mai mentito: quella volta in cui aveva detto che non aveva mai mentito a Peter, e che era l’unica persona a cui non avrebbe mentito mai, aveva detto la pura verità.

Certo, aveva nascosto delle cose. Ma non aveva mai detto il falso.

Eppure, per Peter non avrebbe fatto differenza: omettere la verità per non mentire, per lui, era puro sofismo. Un problema filosofico che non lo riguardava. Per lui, tutto ciò che contava era il fatto che Neal non era stato sincero. E non lo avrebbe perdonato per questo.

Lo avrebbe guardato sempre con sospetto, d’ora in poi, si sarebbe sempre domandato se ciò che Neal affermava era tutta la verità o solo un’interpretazione di essa. Non si sarebbe più fidato di lui, e la sintonia che avevano così faticosamente costruito sarebbe andata distrutta, in mille pezzi. Non che ora le cose andassero meglio, ma se avesse detto a Peter “Ehi, io so dov’è il tesoro!” sarebbe stata la fine della loro relazione. La fine della loro amicizia. La fine di tutto.

No, decisamente parlare con Peter era fuori discussione.

Ma continuare a vivere così, con un tesoro di immenso valore nascosto in un bunker, Mozzie che cercava di convincerlo a partire, Peter che indagava su di lui e controllava ogni sua mossa e Sara che lo odiava per averle nascosto tutto… anche quello era fuori discussione.

«Maledizione, Moz,» disse fra sé e sé, «perché lo hai fatto? Non potevi lasciare tutto lì dov’era? Non poteva semplicemente essere ritrovato dalla polizia e chiuso in qualche museo?»

Sospirò. Non poteva cambiare il passato, e di certo non poteva neppure dare la colpa a Moz. Anche lui aveva fatto la sua parte per proteggere il tesoro che l’amico aveva nascosto, quando avrebbe potuto consegnare tutto a Peter. Avrebbe potuto salvare sia se stesso che Mozzie, se avesse finto bene con il dipartimento. E invece aveva deciso di aiutarlo nel suo piano. Vero, non avrebbe mai potuto tradire l’amico di una vita, ma non aveva forse ripetuto più e più volte che sarebbe andato con lui, che sarebbero partiti assieme?

Non aveva scusanti, per quanto si era trovato in una situazione difficile, aveva fatto delle scelte. Peccato che fossero le scelte sbagliate.

E ora non sapeva più che cosa fare.

 

 

* * *

 

Peter non riusciva a dormire, quella notte. Continuava a pensare a Neal, al tesoro, a tutto quanto. Continuava a domandarsi se avrebbe dovuto perseguire nel suo intento di scoprire cosa nascondeva il truffatore, o se forse sarebbe stato meglio lasciar perdere, dimenticarsi di tutto. Valeva la pena di distruggere così la loro intesa per colpa di un mucchio di quadri ritrovati in un sottomarino?

Sospirò. Forse doveva chiedersi se valesse la pena di proseguire un’amicizia con qualcuno che ti aveva mentito spudoratamente, più e più volte. Che era tornato alla vita da ladro e di truffatore quando tu gli hai offerto tutto, tutto ciò che avresti potuto offrirgli. Che aveva scelto il denaro a te.

A volte, Peter si domandava se davvero Neal avesse il tesoro. Ma la domanda che lo tormentava quella notte era un’altra: supponendo che Neal avesse il tesoro, se le cose fossero andate diversamente, glielo avrebbe mai detto?

Peter ricordava con fin troppa chiarezza quel giorno in cui il magazzino era andato a fuoco, in cui aveva visto un pezzo della tela di Neal volare fuori. Ricordava la sua rabbia cieca, e l’accusa rivolta verso Neal. Ricordava lo sguardo ferito di quest’ultimo, e la sfida. «Dimostralo,» gli aveva detto, con lo sguardo carico di ira e di tristezza.

Peter aveva sempre pensato alla propria rabbia, alla propria delusione, ma non era forse possibile, anzi, praticamente certo, che Neal avesse provato le stesse cose, in quel momento?

Se non aveva il tesoro, si era visto accusare ingiustamente da uno dei suoi migliori amici, forse l’unica persona a cui aveva dato la propria fiducia, per cui aveva rischiato molto, più e più volte.

Se aveva il tesoro, beh, forse c’era una minima possibilità di chiarimento da parte sua, se Peter gli avesse ricordato che la sua vita non era fatta di truffe e furti, che quello che aveva alla White Collar valeva davvero molto. Se si fosse seduto accanto a lui e gli avesse parlato come un amico, come un padre.

E invece aveva agito spinto dall’istinto, e lo aveva accusato. E Neal si era chiuso a riccio, come prevedibile.

Forse, se erano giunti a questo punto, era colpa sua molto più di quanto non fosse colpa del truffatore.

Forse, se avesse provato un approccio diverso, le cose sarebbero andate in maniera molto diversa.

Forse… maledizione, la sua testa era piena di forse.

Ma l’unico a contare qualcosa, fu quello che lo fece alzare dal letto in cerca del cellulare.

«Forse non è troppo tardi, ancora.»

 

 

* * *

 

 

 

Neal era ancora in piedi, nonostante fossero le due passate di notte. Continuava a tormentarsi, a domandarsi se seguire Mozzie o no. Se chiedere aiuto a Peter o no. Se trovare una soluzione creativa, come regalare tutti i quadri in beneficienza, o buttarsi dal palazzo e farla finita. Rise all’idea di una donazione da parte di un anonimo di tutti quei quadri, quegli oggetti di valore, quei gioielli.

In quel momento, squillò il telefono.

«Pronto?»

«Ehi, Peter. È successo qualcosa?»

L’uomo esitò. «No, niente. È solo che… disturbo?»

«No, figurati, tanto non riuscivo a dormire…»

«Nemmeno io,» sospirò, «volevo parlarti.»

Neal si sedette sul letto, e ascoltò. Ben presto, si dipinse un sorriso sulle sue labbra. E anche se non lo poteva sapere, dall’altra parte del telefono stava sorridendo anche Peter.

 

 

   
 
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