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Autore: Willy Wonka    26/02/2012    1 recensioni
Non c'è il nome del protagonista (non è un caso, è stata una mia scelta perchè da una parte vorrei che provaste ad indovinare la sua indentità dato che è un personaggio realmente esistito, ma soprattutto perchè vorrei che vi immaginaste nella vostra testa chiunque voi vogliate, senza farvi influenzare :) ).
Un bes- ah no, ho la febbre D: un abbraccione a tutti!!!!!!!!!!!!!!!!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se ne stava lì, ritto su quell'altura, ad osservare un punto nel cielo notturno. Quegli occhi, quegli occhi scuri li teneva ben fissi su una stella precisa, bella, limpida, luminosa, che sembrava dominasse la notte. Poi si spostò a guardare la Luna piena: gli ricordava un grande disco di zucchero, che luccicava e donava una pallida luce a tutta quella oscurità. I rumori della giungla ormai non lo spaventavano più, era come se fosse diventato una sorta di Mooglie, o Robinson Crusoe: si era più o meno bene conformato a quell'ambiente, aveva imparato a cavarsela anche in zone a lui sconosciute, ed inoltre le sue scoperte mediche erano notevolmente aumentate. Si infilò una mano nella tasca della sua uniforme verdastra e ne tirò fuori un sigaro. Ogni tanto poteva permetterselo. La fiamma dell'accendino illuminò appena il suo volto segnato dalla fatica, per poi spegnersi del tutto. Tirò una boccata di fumo, e tornò a guardare il cielo. Come era bello quel cielo in un paese come quello. Sembrava quasi che la guerra non ci fosse. E allora lui non avrebbe dovuto trovarsi lì, non sarebbe servito più, e sarebbe da qualche parte in Guatemala a scorrazzare a tutta velocità con la sua Poderosa II. Gli mancava quella motocicletta, gli mancava davvero. Forse più di una donna, forse perché ci era praticamente cresciuto assieme. Era ormai la fine di un afoso Luglio, ed il caldo di certo non aiutava lo scorrere dei suoi pensieri. Sembrava che quella notte nessuno avesse bisogno di lui, così, un po' sollevato, avrebbe potuto considerare l'idea di rintanarsi nella sua tenda leggermente più grande di quelle degli altri soldati, ma questo a loro non dava fastidio. Tutti rispettavano il comandante. Certi addirittura lo ammiravano. Lui a volte si ritrovava a chiedersene il perché. Era per via del suo carattere? Aveva un carattere così freddo e sicuro dì sé? Freddo non lo era, non completamente, ma di certo aveva imparato a tenere chiuse dentro di sé le emozioni, come se fossero sigillate in un cassetto. Ma era più che normale, visto che lui era il comandante di una “truppa” formata quasi interamente da contadini, da gente comune, che mai aveva imbracciato un fucile. Se cominciava a farsi vedere debole o demoralizzato, era la fine. Aveva mai pianto? Sì, lo aveva fatto. Di nascosto, nella sua tenda, di notte, quando nessuno poteva vederlo o sentirlo. Quando il sonno non arrivava e la mente non riusciva a non pensare alla morte. Quando il guerrigliero non era più un guerrigliero, almeno per un istante. Forse lo amavano per il suo coraggio, per la sua forza, per il suo sorriso. Non lo sapeva proprio, alla fine era esattamente come tutti gli altri, solo che aveva molte più responsabilità, molte più cose a cui pensare, che però, in fondo in fondo, gli piaceva sbrigare perché lo distraevano dai brutti pensieri. Quella sera li avevano raggiunti anche l'altra truppa, sfortunatamente senza più due uomini. Quando arrivava la squadra del suo amico si sentiva quasi riempire di serenità perché vedeva negli occhi di tutti quei soldati una speranza ancora accesa, ma anche di tranquillità quando si ritrovava a discutere davanti a delle cartine con l'altro capo. Tirò un'altra boccata di fumo, si voltò e con passo un po' stanco si diresse verso la sua tenda. Aveva un sonno tremendo, le palpebre si erano fatte velocemente pesanti ed aveva cominciato a sbadigliare sonoramente con una mano davanti alla bocca.

“Hey, dormi in piedi come un bambino, che hai da sbadigliare? Non hai fatto niente tutto il giorno!”
“Fanculo...!” rispose con un sorriso furbo e due occhi brillanti pieni di divertimento.

“Aah, buonanotte anche a te” rispose l'altro mandandolo a quel paese con un gesto della mano. Lui e il capo dell'altra squadra erano fatti così, si scambiavano continuamente battutine con l'unico scopo di dimenticare per un attimo l'odore acre della guerra. Si volevano molto bene, ma a volte sembrava proprio che i loro caratteri fossero separati da un'abisso. Un giorno quel tipo gli aveva confidato che quando avrebbero vinto la battaglia, e lui sarebbe diventato governatore, lo avrebbe eletto ministro di un qualchecosa. Lui gli aveva risposto ridendo, diavolo non riusciva proprio ad immaginarsi vestito di tutto punto dietro ad una scrivania a fare e rifare le stesse cose burocratiche giorno dopo giorno dopo giorno. Si sarebbe impiccato prima, questo gli aveva risposto.

Entrato finalmente nella tenda, si sistemò quei due o tre teli che ricoprivano uno scarno sacco a pelo, gonfiò il cuscino e si distese facendo riposare le sue ossa. Aveva male un po' ovunque, e quella ferita alla gamba ancora gli bruciava. Si levò il cappello e lo gettò di lato, liberando ancor di più quei lunghi ciuffi di capelli mossi che gli facevano sempre il solletico sul collo e che cominciava a detestare. Allungò le mani verso il suo corpo e cominciò a sbottonarsi i primi bottoni della divisa perché il caldo proprio non lo sopportava e voleva cercare di catturare tutta l'aria fresca che quella notte poteva dargli. Si scoprì il petto straordinariamente pulito, senza una cicatrice o taglio, dove il sudore di quel periodo afoso continuava a scintillare man mano che respirava e gli faceva risaltare i pettorali e gli addominali, andando giù fino al bordo della sua cintura. Alzò leggermente la testa e con le mani si sistemò i capelli in modo che non gli stuzzicassero il collo e l'incavo delle sue spalle forti. Chiuse gli occhi canticchiandosi mentalmente una ninna nanna argentina che aveva sempre saputo, fin da quando era piccolo. Portò piano la gamba ferita sopra all'altra, e con un gemito di dolore cercò di sistemarsi il meglio possibile. Alla fine, anche se con un po' di dolore, era riuscito a togliersi completamente l'uniforme e aveva gettato anch'essa da una parte vicino al suo basco. Rilassò i muscoli delle braccia appoggiandole sul suo petto madido di sudore, e dopo essersi perso un altro istante nei suoi pensieri, si addormentò accompagnato da una lieve brezza notturna che gli accarezzò tutto il corpo.









L'autricesifaiviaggizozziconilcomandante. Mica vero D:<
Non c'è il nome del protagonista (non è un caso, è stata una mia scelta perchè da una parte vorrei che provaste ad indovinare la sua indentità dato che è un personaggio realmente esistito, ma soprattutto perchè vorrei che vi immaginaste nella vostra testa chiunque voi vogliate, senza farvi influenzare :) ).

Un bes- ah no, ho la febbre D: un abbraccione a tutti!!!!!!!!!!!!!!!! <3

   
 
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