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Autore: SuperTeleGattone    27/02/2012    3 recensioni
Dicono sia meglio aver amato e poi perduto, che non aver mai amato.
Già,
dicono. Lo dicono e non avvertono. Scaltri, non avvertono: non c’è faro rosso o sirena, ché sì, sarà meglio, meglio in entrambi i corsi. Sì, presto e bene in cima e, sì, presto e bene sul fondo. Sì, presto e bene, il meglio, solo il meglio a chi ha amato. Ogni meglio a chi ama… e basta.
Una medaglia avvitata in petto agli invalidi di guerra: partiti e poi caduti; partiti consci di cadere; partiti solo per cadere.
Il meglio, sì, solo il meglio all’amore non corrisposto.
Meglio entro il quale:
io ti amo, e tu… tu?
Sì. No. Forse. Forse, soltanto, non lo sai.
Tu non lo sai… e va bene. Va bene così.
In breve: un’enorme, melensa, infantile dichiarazione d’amore a quel babbeo di Naruto Uzumaki. Niente di più e tanto di meno. Avvertenze: lauto, lauto fanghérlismo, notice me, senpai! Ultime dai campi: lavori in corso e pulizia dell’ambaradan, ci scusiamo per il disagio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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– Angolo dell’autrice –

__Ehm, buondì, gente! Come vi va? Bene/mica tanto/chemmifregammé? Ragione vostra, sì; sono d’uno schifo nelle introduzioni, scusate (perché nel resto, invece, sai che roba). Allora, altro giro, altra corsa (e altra menata); anzitutto, però, una doverosa premessa verso l’ignaro utente!
__Dunque, carissimo lettore/lettrice/dolce, sfortunato avventore: devo purtroppo avvisarti che l’aggeggio qua sotto è, in bella sostanza, un mega pippone, cioè, uno one-shot; one-shot a carattere introspettivo/malinconico. Per carità, parla un po’ di tutto e tutti, all’incirca… Sì, magari le allusioni a un certo qualcuno potranno avere una lieve, lievissima, lievissimissima predominanza; fatto sta sia, infelicemente per la balorda qui presente, un flusso di coscienza. E quello fa, il flusso di coscienza: numeracci brutti bruttissimi di pagine più pubblico ludibrio.
__Purtroppo, credo questa scomposizione possa causar disturbi: per una questione d’atmosfere, in senso lato e stretto (atmosfere figurate e standard, atm proprio, ma no, non quella milanese), essendo la maglia parecchio incasina-, ehm, concatenata, concatenata; come un domino, più o meno. Per tutto ciò risulterà sicuramente un po’ rotta; nondimeno, ho cercato di ridurre questo attrito, inserendo a inizio capitolo delle congiunzioni col precedente. Temo, però, non sia cambiato un accidente, uhm… Va be’, poche balle, mi sono dilungata anche troppo.
__Per i pochi (pochi? Nulli!) che vorranno leggere davvero: vi rimando alla fine del capitolo per riconoscimenti, citazioni e altre pinzillacchere varie. Sempre se volete (o vorrete. O vorreste. O vogliate. O vogliaste. Vogliaste? Vorre-, ehm). Grazie comunque per essere passati (inchino). Direi che me ne posso pure andare: ciao, ciao, eh! (Vola via.)

Grazie mille e buona lettura.












Quell o   _ c h e
n o n _ c è
Look for the girl with the sun in her eyes





__Arriva l’alba, o forse no
__A volte, ciò che sembra alba non è

__Perciò io maledico il modo in cui sono fatto
__Il mio modo di morire sano e salvo, dove m’attacco
__Il mio modo vigliacco di restare, sperando che ci sia
__Quello che non c’è

__“Quello che non c’è”, Afterhours










__Dicono sia meglio aver amato e poi perduto, che non aver mai amato.
__Già, dicono. Lo dicono e non avvertono. Scaltri, non avvertono: non c’è faro rosso o sirena, ché sì, sarà meglio, meglio in entrambi i corsi. Sì, presto e bene in cima e, sì, presto e bene sul fondo. Sì, presto e bene, il meglio, solo il meglio a chi ha amato.
__Ogni meglio a chi ama… e basta.
__Una medaglia avvitata in petto agli invalidi di guerra: partiti e poi caduti; partiti consci di poter cadere; partiti solo per cadere. Sono in tanti, là, naufraghi alla corrente: da me a te e da te a me, andata e ritorno e, talvolta, no, grazie, solo andata, andata e niente ritorno. Viaggi, armi e bagagli, leghe e leghe appresso stelle comete, deposte tutte a porte poi cintate. E loro, là, là come merce cacciata. Povera sventurata, non pare gradita. Resa al mittente, desolati. Respinta.
__Il meglio, sì, solo il meglio all’amore non corrisposto.
__Meglio entro il quale: io ti amo, e tu…

[E tu…]__

Tu?

__Sì. No. Cosa?! Conoscendoci meglio… Non prenderla male, ma… Wow, sono lusingato, un sacco, però… Eh? Cos-? Ah, be’, grazie.
__O forse, soltanto, non lo sai. Non lo sa, lui o lei… Ma se anche sapesse? Meglio l’ignoranza, a volte.

[Che codarda.]__

__Vero.

[Fai la commedia?]__

__Mai stata abile in quello.

[Esponiti e potrai lamentarti; in caso contrario-]__

__Sì, sì, lo so, lo so. Però, a volte… Spesso, tanto spesso, l’ignoranza è tutto. Tutto ciò che hai. E quanto ti rimane. Altrimenti, presto e bene, vi è un solo scolo: il fondo.
__Così, forse il meglio è non sapere.
__Non sapere di e non sapere che frena e innalza nel vuoto, né di qua né di là. Non puoi cadere né volare; puoi unicamente stare. Stare. Via. Non crederti in salvo, però, oh no: non sopra o sotto, ma tutto, tutto intorno rotea un globo di se, di lasciate poi perdute, di potenze trascurate e, quindi, adirate. Lì, c’è il mondo che poteva, doveva e voleva essere; e non morde né sfiora, tranquillo, ma bada, perché arde e fuma. È l’occhio del ciclone. È l’occhio di un ciclone e guarda sempre te.
__L’insidia, nel gioco, è la mischia di specchi e voci che oblia ogni retta: larghezza, lunghezza e profondità, x, y e z, no, no, via, via, non hai voluto una direzione, così non ne vedrai nessuna! Sono tutte uguali e sono tutte diverse poiché nessuna vale, nessuna pesa, nessuna è.
__Hai il mondo attorno, un mondo che è nullo.
__Un po’ come un uovo, il pulcino e il guscio di un uovo. Un utero.

[Proprio una mocciosa, tu.]__

__Già… Forse proprio per questo preferisco non sapere: così è più comodo e semplice, conveniente; così mi è più facile. Vivere.
__No, scusate. Volevo; dovevo; dovrei dire sopravvivere. Questo è: inspirare, espirare, battito cardiaco, flusso sanguigno, funzioni cerebrali elementari. Questo è, e nient’altro. Sopravvivere, quindi: andare e andare, rotolare su di una rampa sterminata, traversa per definizione, che è non sapere. Il mio non sapere e non voler sapere, il mio non essere. Non esserci.
__Non sono da molto io. Non sono, beh, praticamente da sempre… Strano, perché a volte non essere racconta più di quanto faccia essere. L’esclusione più dell’ammissione. Se togli, avrai, paradossalmente… Strano, vero?
__Non sono molto, e non lo sono da molto.
__Non sono una bella ragazza: alla sola superficie, no, non sono bella. Non sono una bella persona: nella tempra e sotto la superficie, no, non sono bella. Non sono bella in generale, io.
__Non sono sveglia, brillante, energica o risoluta. Forte, in un qualunque senso.
__Poi, non sono una figlia degna o desiderabile, quella che ci si augura. Temo di potermi solo dire figlia, senza esserlo.
__Non che non la ami, la mia famiglia… Non riesco a meritarmi il suo affetto. Di là dal vincolo genetico, che può essere muto, invalso, ipocrita, ma c’è, è; io non riesco a pesare il necessario. Non misuro il giusto, il richiesto, dunque ho solo quanto mi spetta. Né più né meno. Neanche il nobile sangue ha potuto sanare tanto difetto; e allora non c’è merito, solo vergogna.
__Non merito di essere loro figlia. Li amo ma… non sono loro figlia.
__Non sono neppure una buona sorella, sapete? Non sono una sorella ammirevole, esemplare o anche, semplicemente, maggiore. Sì, sono nata prima, ma questo non fa né basta a rendermi maggiore o migliore di altri. Di Hanabi; di Neji; di chiunque, in fondo.
__Notoriamente, poi, non sono una buona kunoichi e nemmeno una buon’allieva. Non sono intelligente, astuta, dotata o combattiva. Non sono Sakura-san; non sono Ino-san e non sono Tenten-san; non sono Kiba-kun e non sono Shino-kun; non sono Shikamaru-kun e non sono Choji-kun; non sono Rock Lee-kun e non sono Sai-kun; non sono Sasuke-kun e…

[Non.]__

__No, io, no.

[Sono.]__

__Di certo, no.

[Te.]__

__Non sono lui.
__Non sono davvero un mucchio di cose, io. Ed è curioso come questo mucchio di cose, conti stime tutte positive. Mai ch’io mi sia riconosciuta positiva, del resto: l’allegra Hinata? No. No, per carità.
__In effetti, non sono tante cose. Forse perché, in definitiva, non sono.

Io non sono.

__Non sono e basta. Sì, ci sono, se prima, no, non ci sono. Togli, e mi avrai.
__Strano, vero? Strano sì, davvero. Assurdo, e pure un po’ patetico… Ma, sapete, mi va bene così. O meglio, me lo faccio andar bene.

[Sì, fai proprio la commedia tu.]__

__Non so esattamente quando: quand’è che uno smette i panni vecchi? Quando smetti di sperarci e di attenderlo, quel preciso poi? Quando? Io non lo so.
__Quando ho gettato remi e àncora per star qui, qui dove mi va bene? In verità, non lo so più, non lo so davvero più…
__Forse dopo l’ennesimo, miserevole schianto sul tatami; forse dopo aver masticato polvere e sangue, ancora; forse dopo essere scappata da loro, da tutti, dal mondo là fuori, per la millesima volta. Forse. Tuttavia non so dirlo, mi dispiace.
__Ma il nodo è che, nel bene e nel male, ora ci credo; lo sento.
__Quindi, sì, davvero: va bene così.
__Non sapere, nel bene e nel male, è una decisione; verso l’alto o verso il basso, comunque una decisione. Vigliacca, sì, opportunista, sì, ma è una direzione. Risponde a una volontà, ed è la mia volontà. Mi appartiene e mi rende [orgogliosa?] consapevole; [felice?] serena. Serena, malinconica quasi, di una malinconia struggente, splendida: sottile quanto il filo della carta, e terribile quanto l’oceano.
__È acqua che annega: ti circonda, le dita lunghe alla gola, la carne ormai molle, e sei di nuovo in culla. Senti poco, quasi niente; quasi non lo ricordi più, il dolore. Ma non è vinto, quello, no; solo interdetto. È che manca la spia, con la chiglia a inghiottire il mare. A quello è chiamato l’anestetico: a distrarre e inibire la fuga, a farti star buono, su, da bravo, buono, mentre muori.
__Sarà dolce, un amante ideale, e sarà lento. Farà piano, piano, e non farà male, davvero; ma se anche fosse, non ti preoccupare, non sentirai niente, più niente… Saprà esser dolce e saprà esser discreto; invisibile, mentre ti uccide.
__Squarciar il ventre e, fiero, offrire a tutti la propria anima, comanda spina e polso: la tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja, e così io onoro una scelta, la onoro e la seguo: non perché giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché mia. Alta o infame, lei è mia. E così io la difendo.
__Questo è: si cade in avanti.

[Dico le cose.]__

__Si muore di fronte.

[Così come stanno.]__

__Non si fugge indietro.

[E non cambio idea.]__

__Acqua che annega, frena e innalza; nel vuoto non puoi cadere né volare, puoi unicamente stare. Stare. Una dolce catalessi, questa, che mi è cara.
__È simile alla marea: fatta di onde e abissi, di flutti vivi. Certi giorni, se pensierosa, non avrà stracci da dedicarti, scivolandoti appena sui piedi. Certi altri, invece, gorgoglierà al tuo stomaco con voce di tempesta. E certi giorni ancora, a fauci larghe e giulive, ti prenderà, ti prenderà in sol boccone… Sarà allora, il meglio.
__Come acqua che annega, e come marea che culla.
__È simile… a lui.
__Un poco lo ricorda, quello che provo per lui. Lui e quello che provo per lui. Potrebbero dirsi consanguinei, credo. È difficile separali, distinguerli e chiamare ciascuno col suo giusto nome; è difficile, con loro che si assomigliano tanto e un ponte, nel mezzo, a mancare; è difficile, con io che non ci sono.
__Così accade: quello che vedo e quello che provo si allineano. Fuori e dentro non hanno più coordinate e, smarriti, si mescolano, si sovrappongono. E succede: quello che vedo [Naruto] e quello che sento [Naruto-kun] diventano un uno soltanto. Sono la stessa cosa. Sono il ciclone tutto attorno.
__Quando lo guardo, non vedo mai me e lui, n-noi, accostati o separati. No. Quando lo guardo, vedo solo lui, solo lui, e non vedo altro. Altro, di là dal sole e dal cielo. Questo e nient’altro.
__Un vecchio e logoro cliché, dico bene? Però, credetemi, non che non m’interessi altro: davvero, davvero io non vedo altro. Non lo vedo e non riesco a vederlo. Non ci riesco, anche a dispetto dei miei occhi bianchi.
__Quanto vedo e quanto sento collimano [onde e abissi], affollano [flutti vivi] e inondano [le dita lunghe alla gola], sovrastano [con voce di tempesta] e annientano [a fauci larghe e giulive]. Così è. Ed è bellissimo.
__So che è solo patetica masturbazione… ma va bene, mi basta.
__Eppure non mi basta per davvero, ma deve, deve bastare. Capitemi [comprendimi], per favore: io non posso [non voglio] pretendere altro da lui [da te]. Quello che c’è; quello che non c’è; quello che non è; va bene. Così com’è, va bene; sta bene; sto bene.
__Così, con per me che è tutto.

[Con tutto quello che vorrei.]__

__Con per lui che è niente.

[Con tutto quello che non ho.]__

Così [con niente] va bene.

__Davvero, va bene.

[La volpe che non arriva all’uva, no?]__

__Forse sì. Forse. Però, dannazione, perché ancora una volpe?
__Ancora una volpe, quando io, quell’altra, non l’ho mai vista.
__Sono tonta, e ben poco sveglia, e chissà cos’altro, ma giuro: io non l’ho mai vista. La bestia a nove code, il demone del Fuoco, la Volpe: mai, mai visto, no, niente di tutto ciò… E non mi capacito di come si possa; come abbiano fatto, in passato, ad avvistare tanto… in un bambino. Era un bambino, solo un bambino e… Io davvero non lo so.
__Non capisco e non vedo, ma fa male. Fa male pensare a quel un bambino.
__Mi dico che non è possibile, che è assurdo e ingiusto, perché no, non è vero, non è così, non è mai stato così! Eppure… è quello che vedono. Ed io continuo a chiedermi come, come possano.
__Se solo riuscisse loro di vedere quanto vedo io; di vederlo come lo vedo io. Se solo potessi cavarmi gli occhi e cacciarli nella testa degli altri, per permetter loro di vedere, e vedere per davvero, quanto c’è, quanto è. Quanto, per me.
__Se avessi forza per far almeno questo, giuro, giuro, mi basterebbe. Ma nemmeno questo sembra essere alla mia portata, nemmeno questo… Non posso fare nulla, mai, mai nulla… E, maledizione, vorrei riuscire! Vorrei [lo sa il cielo, se vorrei] riuscire in questo! Solo, solo questo! Lo vorrei, sì, con tutta me stessa; però… mi trema il cuore. Vorrebbe salire, andar oltre le labbra, via, fuori; ma s’impiglia in gola e cade; cade nello stomaco; cade come i sassi in acqua; cade e va giù.
__Ed io rimango lì.

[Ferma.]__

__A guardare.

[Vorrei andare.]__

__E basta.

[E non mi basta.]__

__Ferma a guardarti… Si può dire non abbia fatto altro in vita mia. Non c’è da stupirsi io arrossisca ancora tanto… Però giuro, giuro: lo farei, ancora e ancora, tutta la vita.
__Che cosa patetica, eh? E nemmeno molto originale, anzi. La deviazione più comune e infantile, a ben guardare, la meno interessante.
__Eppure, davvero, io lo farei ancora. Ancora e ancora. Tutta la vita ancora.
__Anche se tu non mi vedi, non mi guardi e, forse, nemmeno sai.
__Anche se tu vai avanti, cresci; cambi, pur rimanendo te stesso.
__Scherzi e ridi.
__Ti arrabbi.
__Ma, grazie al cielo, poi ridi.
__E ridi ancora.
__Parli, e tanto, forse troppo, ma va bene; troppo, a volte, va bene.
__Ti confronti, ti metti in discussione e, spesso, no, non ti piaci.
__Ti odi, così come sei non ti vuoi, ma comunque vai avanti.
__Combatti, ti sforzi; potendo, ti distruggeresti.
__Allora cadi, sanguini, piangi, urli, urli, urli.
__Molleresti, sì, molleresti davvero.
__Eppure ti rialzi, a fatica, ma ancora.
__In piedi, tutte le volte.
__Non ti arrendi.
__E, sì, sei bellissimo.
__Non parlo solo e puramente del tuo aspetto: degli occhi spietatamente azzurri; del sorriso terribile e radioso; del biondo, sulla testa, irto e ruvido come grano; dell’angolo mandibolare squadrato, eppure ancora nostalgicamente infantile.
__Parlo di te in senso più un po’ più ampio. Più ampio e più esatto. Dell’espressività: di un calderone in viso che non par vero, che fa spavento, che sbalestra; perché non pensavi potesse starci tanto, così tanto, sulla pelle. La vita stessa, lì, tutta sulla pelle.
__Parlo dei modi: i gesti, le braccia, il collo che si torce; è una fisicità irruenta ma mai violenta. Di quando, annoiato, insacchi le mani nell’arancio inseparabile della tuta. Di quando sei corrucciato e dai noia al mento. Di quando, in imbarazzo, sfreghi a volte il naso, a volte il capo. Di quando sei offeso, sì, sei proprio offeso adesso, e metti il broncio, il broncio dei dodici anni all’Accademia. Di quando fai sul serio, aggrotti le sopracciglia e ghigni; ghigni in faccia al nemico, in faccia alle ossa rotte, in faccia al mondo: ché se esser intelligenti significa imboccar la via più facile e dar le spalle al resto, allora ti sta bene restare scemo a vita. E di quando strizzi gli occhi, come per troppa luce, e sorridi; sorridi anche per poco, anche di niente; ché a volte serve anche solo sorridere, così, al niente.
__Perché sei come un tornado [il ciclone tutto attorno]: il primo sole d’aprile, che scalda gentile la schiena anche a spalle voltate; l’arsura estiva che trascina a terra; le lenzuola pulite in autunno, un po’ ruvide ma benefiche; il lampeggiare attorcigliato del fulmine o lo strumento lontano di un temporale.
__Sei come vento [sei vento]: ovunque, sì, ma per tutti; circondi, ma non abbracci; giri intorno, sei addosso, ma non resti, non resti mai.
__E sei, sei… Suonerà banale, eccome, ma sei come il ramen. Ne hai i colori, e non sarebbe strano potessi vantarne anche i profumi. Già il tuo nome ne è parte. Significa, rimanda a qualcosa, qualcosa di reale: un nome concreto, da poter impugnare o trattenere, da sentire. Volendo, lo potresti mangiare, il tuo nome…
__È una fortuna da invidiare, sai? Un nome di carne e di ossa, un nome che esista… Deve essere bello. Dev’esser qualcosa di molto, molto bello.

[Essere te deve essere bello.]__

__Ed è al presente il modo che hai di essere; si fa lungo la via: tu sta qui e ci sta ora, e ogni volta è diversa, proporzionata al momento, al reale.
__Essere, esserci, per davvero, non è facile. Affatto.
__Per questo, tanta contingenza, sempre, è… è meraviglia.
__E nonostante questo, no, anzi: contestualmente a questo, sei anche la persona più idealista che avrò mai il privilegio d’incontrare.
__Idealista, sognatore, illuso, solo un povero svitato…
__Potrebbero chiamarti in molti modi, a denuncia dei tuoi sogni. Quei sogni che sono tanto belli e tanto lontani, tanto luminosi; destri a recuperare i cocci di ogni frana, per offrirteli presto in mano: ecco, tieni, adesso puoi continuare.
__Eppure, anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa ha stretto i denti per tenersi assieme. Testardo, lui insiste ancora a brillare.
__Hai guardato l’abisso; lo hai guardato bene e a lungo, in quella sua faccia scura e terribile; e lo hai lasciato guardarti bene e a lungo, dentro e in fondo agli occhi. Nemico o amico, così comprendi chi ti sta di fronte: guardandolo negli occhi e porgendogli i tuoi, pugno contro pugno. Così si affrontano i mostri, e così si convive col buio.

Così [tu] si conserva [sei] luce.

__Così si va avanti. Così si va. Si va, sempre.
__Perché sei determinato, irragionevolmente e ferocemente determinato. Ostinato, cocciuto e leale. Alludo alla fedeltà che non si intacca né vacilla; alla dedizione sincera, di viscere e cuore, non a bandiere, no, ma a persone, nomi di carne e di ossa.
__È di loro che parlo: di Sakura e di Sasuke.
__Della squadra sette, la tua squadra.
__Della famiglia e della casa.
__Di legami.
__Sono beni tremendi, scavati; radici sotto il cuore: possono sostenere e possono confinare; possono offrire forza e possono offrire dolore; possono tanto [presto e bene, sì] in entrambi i corsi [in cima come in fondo].
__E tra i due litiganti, il terzo è il campo di battaglia, la corda strozzata dai due tiri: quanto è presente e quanto è passato; ciò che sai dover fare e ciò che davvero vorresti fare; quello che dicono faccia bene e quello che sai farà solo altro male.
__Dimmi, allora: ti è più facile l’amore o la rabbia? Dov’è che sei? Dal rosso o dal nero? Ma sei giallo tu. Giorno e sole, tra il buio della notte e la dolcezza dell’alba; così chiaro da esser più simile al giallo, per lucentezza.

[Sebbene tu, forse, gli preferisca l’arancio.]__

__Credo di vederlo, sai?
__Vedo come li ami; perché, sì, li ami entrambi. Con la furia di chi non vuole più perdere niente, mai, mai più niente! Te li legheresti alla cintola, pur di sentirli sicuri, addosso. Li ami senza ritirata e senza vergogna, benché la paura ci sia, ci sia ancora. C’è, eppure non basta a contrastarti, perché senza chiedere vai. Non c’è risposta e non c’è domanda: io lo farò, lo farò comunque, che voi facciate lo stesso mio o meno!
__Non sembri voler nulla in ritorno; nemmeno pari aspettartelo, un qualche ritorno… E mi trovo a pensare tu sia una di quelle persone, più uniche che rare, cui evidentemente basta amare. Anzi, anche più: vuole e deve amare.

Ama. Punto.

__Perché non può far altro. Perché, anche potendo, non farebbe altro. Perché quello che fa è quello che vuole; e lui fa solo quello che vuole, chiaro? Perché altro, sapete, lui non vuole proprio fare.
__Però, qualcosa mi galleggia in stomaco e non se ne vuole andare…
__Perché d’amore te ne hanno sempre mostrato e, perdonami, concesso poco, proprio poco, sin da piccolo. Concesso, alla stregua di elemosina.
__E se non l’amore, quantomeno l’affetto; quel poco che di cuore si spende, perché davvero non costa niente: oh, il figlio di Shikaku-san! Eccolo qua, il piccolo Akimichi, sputato suo padre! Ino-chan, ma guardati: una fortuna per i tuoi genitori! Prendi pure, Sakura-chan, e porta i miei saluti alla mamma! Questo è stato per tanti di noi. Hinata… Hyūga? La primogenita di Hiashi-sama?! Chi più, chi meno. E tu devi essere il fratello più piccolo di Itachi-kun! Molti di noi, comunque, qualcosa hanno sempre avuto. No, non lo guardare. Molti. Fa’ finta di niente e non lo guardare. Non tutti. Non lo devi guardare.
__Anche quello, quel poco, te lo sei dovuto guadagnare.
__Guadagnare, ho detto, ma non ha un buon sapore. Guadagnarsi un sentimento, farne merce di scambio, baratto, moneta: tu fai qualcosa per me e io, in cambio, cosa? Ti do qualcosa? Ti pago?
__È una prospettiva, questa, che può nauseare.
__D’altronde, però, è inevitabile: il giudizio altrui e con esso, quindi, la sensazione che si ha di noi sono materialmente innescati dal nostro agire, dall’essere in questo mondo, e in questo mondo con altri, appunto. È più che logico supporre una nostra azione stacchi, negli altri, una sensazione.
__A ogni azione corrisponde una reazione di forza uguale e di direzione contraria.
__È fisica. È realtà. È.
__Eppure, una meccanica tanto asciutta mi lascia, non so, interdetta.
__Ho sempre preferito pensare che sentimenti ed emozioni sgorghino spontanei, senza forze estranee o spinte applicate, ma con la franchezza un poco grezza di uno starnuto. Per quanto, in fin dei conti, il contorno sia ininfluente all’identità del risultato.
__Tuttavia, di là dalla cosa, dalla sostanza, a interessarmi è il come, la forma. La differenza può sembrar minima; la distanza, a me, pare immensa.
__Ed io sono sicura, nella freschezza delle tue emozioni, la fisica o il dare e avere non c’entrino un bel niente. Perché, per me, è solo poesia.
__È disarmante vederti corrucciare, riflettere o rimuginare.
__Innervosire e poi sbuffare; bloccare.
__Non capire, spesso, ma nel giusto; è quanto di più umano non capire.
__Non capire, per poi realizzare.
__Comprendere e assimilare, migliorare: crescere.
__E, infine, ridere, ridere.
__Chissà se tu lo sai…
__Forse neanche lontanamente lo immagini, cosa, come e quanta luce, la tua risata possa regalare. Senza pianificazione e, potrei azzardare, senza nemmeno consapevole intenzione, oltre il semplice istinto di dare, dare senza chiedere: tieni, eh, e ci vediamo!
__C’è tanto nella tua risata; c’è quanto si può provare per la vita; la gratitudine d’essere vivo e d’essere qui, di esserci, sì, nonostante tutto. Una riconoscenza così bella e grande è rara: se ne abusa, il più delle volte, benché sia mai, mai scontata.
__Dire: ehi, sono qua e ne sono felice, è una forza e un dono; è fibra non comune a tutti. È amore.
__E se coinvolgo proprio l’amore, te ne prego, permettimi di spiegare.
__Tralascia che io, con te, non stia realmente parlando; tralascia l’assurdità e la vigliaccheria di un simile da me a te zoppo di un vero te; tralascia tutto questo, se puoi… Perché è importante. Non vanterà senso, ma per me è importante. È importante chiarire che, quando dico amore, e lo dico a te, coinvolgo qualcosa che rovescia dai bordi entro cui questo segno si costruisce.
__Quindi, per favore, non storcere subito il naso, perché con amore non intendo alludere alla sfumatura più romantica e sciupata; quella più correntemente ovvia. Mi riferisco, invece, a qualcosa più in viscere, uterino; qualcosa di caotico e brutale nella sostanza più autentica; infantile per dialettica immediata, e ostile nel galoppare e, no, non farsi addomesticare.
__Credo abbia questo carattere il tuo amore.
__Quello che ti percorre e anima; che sfama i polmoni e gonfia le vene; che risale la spina dorsale e batte sulla pelle; che s’irradia in elettricità. È simile a radioattività [è contagio]; si trasmette e allarga [infezione e cura] come sangue da un’arteria [insieme].
__Così credo sia. E così credo vada
__Riconoscente e grato, va, va…

Da Iruka-sensei.

__Con lui in Accademia o da Ichiraku. Con lui a crederci per davvero, in te.
__Va allegro, nocche in sacca e ghigno alle labbra, lui va, torna in camerata; tra compagni d’armi e, forse, non può negarlo, amici.

Sai-kun e Konohamaru-kun.
Shikamaru-kun e Choji-kun.
Kiba-kun e Shino-kun.
Neji-niisan e Rock Lee-kun.

__La spalla coperta in territorio nemico; il branco cui sa di appartenere.
__Ho detto territorio nemico, sì. Eppure, questo non basta a fare di tutta l’erba un fascio, né della sabbia un deserto intero. Così si affrontano i nemici: pugno contro pugno e occhi contro occhi; così comprendi chi ti sta di fronte.
__È andato in un paese straniero, dunque, e ha compreso come straniero non significhi necessariamente nemico. È stato lui stesso straniero in un paese lontano, e ha scoperto come quello straniero fosse, sotto, più simile a lui di chiunque altro. È andato, sì, ed è tornato forte di un alleato, un amico.

Gaara-sama.

__Anche lui orfano, anche lui maledetto, anche lui Kage. Anche lui. Non lo sospettava tanto identico nella partenza [avresti potuto esserci tu], e nemmeno tanto distante nel calvario [là dove stava lui]. Gaara del Deserto: quel bivio che poteva [potevi] essere.
__E va, va ancora. Va verso colei che, forse, può considerare… una madre? Forse una madre, forse un capo; forse l’affetto e la stima insieme.

Madamigella Tsunade.

__L’affetto e la stima verso un ruggire cui si presta orecchio: l’Hokage. Un sogno; il sogno; quel sogno tanto bello e tanto luminoso, ma che con lei e la sua voce grossa, no, non sembra poi tanto lontano. Qui, l’orizzonte è a portata di mano.
__E se è approdato a lei, beh, lo deve prima a lui. A lui, alto e robusto, un gigante buono cui va dietro a suon di sbuffo; eppure va correndo, a passo di marcia, per stargli appresso, piede e piede nelle impronte sul terreno. Il più anziano davanti, e il più giovane dietro. Così camminano allievo e maestro. Così va…

Dal sommo Jiraiya.

__Prima il maestro, a segnare la via, e dopo l’allievo, a guardare bene i passi. A guardare e capire, a crescere; protetto da chi, al mondo, ci sta da tanto.
__Così è, davanti [a difesa del Re].
__E dietro, l’allievo segue e ha fede, ne ha e ne dà. Seguirà le impronte, il più giovane, e le raccoglierà tutte. È solo un prestito, ragazzo, non credere. Sino ad avere tutto. Lo affido a te perché io devo andare. In lascito. Trattalo bene, mi raccomando.
__Ha segnato la via e ha lasciato un erede: ha cresciuto un uomo.
__Così è un maestro, e così è… un padre.
__Un padre, sì, un padre.
__Anche se tu, ironicamente, lo definiresti più vicino a tuo nonno, forse, per anzianità. Ma è così che funziona in famiglia: si dà aria alla bocca e alla mani senza riflettere, talvolta senza reale intenzione e solo per dare aria e dare pugni. Eppure va bene, va comunque bene. Perché la famiglia lo concede. Puoi trattarla male, ma lei ci sarà, ci sarà sempre. Questo è, anche più in là del nobile sangue.
__Da maestro ad allievo e da padre a figlio: quanto lega e segna è sempre e ovunque famiglia. Quella che ti sei costruito e quella che ti ha voluto; la radice, sotto, che hai sempre desiderato.
__Così va: segue le orme e le raccoglie, eredita, e ancora va, va avanti.
__Va da chi, a un trio di dodicenni passò fagotti preziosi: non tecniche e sigilli, ma esperienze, pezzi di vita a lui cari, perché possiate arrivare dove non ho potuto io. Diede loro in regalo una parte di sé; in regalo per la promozione; in regalo come aveva già visto fare. Il valore di una parola: compagni.

Kakashi-sensei.

__La colonna vertebrale della squadra sette: gamba che sostiene e voce che corregge; ombra gentile dietro la tela, che protegge. La guida sicura, tra sentieri irti e cattivi, che vorresti un giorno incarnare. L’esempio che, sì, vuoi essere.
__E da lui, poi, a loro.
__Va a loro, ai prati in verde della primavera, alle foglie rosse, cadute in terra. Va, viaggia come sole, dall’alba alla notte. Va là, dove c’è luce. Va…

Da Sakura-san.

__L’aurora.
__Va da lei col battito tranquillo e svelto di chi conosce la strada. Ancora un po’ brusco, sì, e ancora un po’ goffo, sì; è un adolescente dopotutto. Ma ci andrà ancora e sempre. Andrà sempre dove sa di potersi coricare; da chi sa di potersi fidare.
__A casa, tornerà sempre.
__E lei, alla destra del cuore, è un lido sicuro cui pensare; il tronco segnato nel bosco, perché adesso, sì, hai capito dove andare. È il nodo col presente: perché c’è, c’è sempre stata e, sì, ne è sicuro, ci sarà sempre.
__Come la terra sotto il piede: è lì. Per te. Sempre.
__Alla luce, però, segue fedele il buio.
__Così, dall’alba lui va alla notte. Va, torna e poi va ancora. Da tanto tempo ormai.
__È un viaggio accidentato, il suo, e mai facile. Sin dal principio.
__Partì come franca ammirazione, il wow! di un bambino al coetaneo tanto bravo in tutto. Eppure, con quello lì a esser sempre musone e a trattar male tutti quei doni con cui era nato, divenne presto invidia: invidia, perché lui aveva tante cose belle e non le curava. Dall’invidia alla rivalità, poi, il balzo fu breve; breve e scomodo, perché lo aveva davanti tutto il giorno, quel bambino tanto bravo in tutto eppure sempre musone.
__Ha un che di ironico, perché spesso non vi è credito più autentico di quello fra rivali. Così è risalito a stima, alla fiducia di schiena contro schiena per affrontare il mondo intero: gli aveva offerto il proprio pugno, prima chiuso poi aperto; la borsa al Fuoco tutto, loro tre! Eppure…
__Un amico, dicono, va visto come il miglior nemico: gli si è vicino quando lo si contrasta. E il contrasto, sì, c’è stato. E ha strappato. Ha strappato la schiena dell’uno da quella dell’altro; ha strappato l’averlo davanti tutto il giorno, quel bambino tanto bravo in tutto eppure sempre musone; ha strappato; ha strappato; ha strappato.
__È partito e si è strappato. Lui come l’altro.
__Quel viaggio, accidentato e mai facile, si è chiuso male. Male giacché, per uno dei due, chiuso non lo è affatto. Con quel pugno aperto, avrebbe dovuto andare diversamente, avrebbe dovuto andare e andare ancora: borsa al Fuoco tutto e schiena contro schiena, gara a chi sale più in alto, a chi corre più veloce, a chi la fa più lontano! Con quel pugno… Quel pugno… lo chiamava rivale. Lo chiamava fratello.
__Lo chiamava; lo chiama; lo chiami amico.

Sasuke-kun.

__La parallela tanto brava eppure musona, che avrebbe dovuto correre insieme, alla pari tua; non piegarsi in tangente e andare via.
__Siete forze uguali e contrarie voi due, e forse, proprio perché così opposte, anche tanto affannose da armonizzare. Eppure, tre anni fa fu lui la spinta al moto; credo, quindi, debba trovarsi ancora in lui la coda della parabola. Lì sta la meta del viaggio. La meta o, forse, la metà: del viaggio e di te stesso; di alba, giorno e notte; di rosso [rosa], giallo [arancio] e nero [blu].
__E se lei risiede a destra, lui dimora a sinistra; è buca dietro il cuore e dentro il polmone. Come uno spettro, è quando non lo vedi che infesta il buio oltre la testa. Come uno spettro, è stato, se n’è andato, eppure ancora è. Come uno spettro, lui ancora c’è.
__Va e va lontano, vero? Ma andrebbe in un luogo anche più lontano, potendo. Un luogo passato che, in verità, è un tempo. Non vi è accesso, poiché nel tempo si avanza soltanto; così rimane dietro e là non ha varco. Eppure sa, lo sente nel sangue e nel baratro dello stomaco: là, una volta, c’è stato davvero. Per questo forse fa anche più male: perché gli urla dentro; perché gli è dentro, vivo dentro, ma no, non lo può incontrare.
__Resta dunque il vuoto lasciato dall’orma; la fame di un tempo in cui, lì, c’erano per davvero. C’erano…

Un padre e una madre.

__Lui va lontano e con gran rumore, ma quando pensa a quello… si ferma. E non fiata. Non ha voce per parlare, né mani da afferrare; non ha avuto tempo, lui, per ricordare.
__E mi chiedo come si possa andare e non smarrirsi, se non si sa da dove si parte: quanta, dimmi, quanta fibra serve per nuotare, ancora e ancora, in alto mare? Quanta, per camminare sapendo che indietro non puoi tornare? Che il solo luogo cui vorresti arrivare è anche il solo che, no, mi spiace, non potrai mai toccare? Quanta, quanta fibra consuma tutto questo?
__Può darsi il sangue non covi nobiltà, tuttavia è fluido sveglio, e ammonisce: non spunti dal nulla tu, tu come chiunque, e da qualche parte dovrai pur discendere; ché un tempo, da due risultò poi uno!
__Spesso lo si dà per scontato, ovvio, questo tempo: tutti lo hanno. Non a tutti, però, è concesso tanto a lungo da salvarne un poco. Dovrebbe essere uno stato di natura, la dotazione minima sulla linea di partenza: senza non si può iniziare.
__Tuttavia, nemmeno la santità di un luogo simile pare inviolabile…
__E non ti è stata risparmiata.
__Era tua, già da principio tua, eppure… l’hanno sradicata: dalle mani e da sotto il cuore, ogni ramo è andato via, via, in un luogo impossibile che in verità è un tempo lontano. Perciò me lo chiedo: come? Come si può non annegare nel ventre di un naufragio? Me lo chiedo, perché rifiuto di credere il solo non potere ricordare capace di ammansire il mostro di una voragine sotto il cuore.
__Non li hai conosciuti, sì… e no.
__No, perché erano i tuoi genitori.
__Erano, e questo non può, non può non far male.
__Va lontano, ma quando pensa a quel luogo, lui si ferma. Giusto un momento. Uno. E al due riprende, va, perché da due fu poi uno, e quell’uno ora deve andare.
__Forse così riesci a camminare senza annegare; così, ancora, riesci ad amare. Ad amare e a farti amare, in risposta, benché prima non vi sia domanda. Ma succede. È fisica: a ogni azione, per legge, risponde una reazione. Sta alla bontà, invece, assicurare a ogni starnuto il proprio salute!
__Perciò credo sia questo il lascito più grande di tutti; la radice sotto il cuore che, no, non potrà condurti a quel luogo impossibile che in verità è un tempo lontano; ma starà lì, dentro e sotto, a ricordarti che c’è stato davvero quel tempo e quel luogo, e a ricordarlo per te. C’è stato ed era tuo. E lo sarà sempre.
__Sarà lì e ti terrà in piedi, mani sotto le ascelle per non lasciarti cadere. Sarà lì, a farti andare, andare avanti, verso un luogo e un tempo dove esser tu radice sotto il cuore. Vai e non avere paura: io sarò qui, dietro di te, sempre, ma tu vai, vai. Io sarò qui. Sempre.
__Il viaggio però è davvero lungo, e occorre un giaciglio ove riposare, una casa cui tornare. Una casa nascosta in un bosco, come nelle fiabe. Una casa che è un albero. Una foglia.

Konoha.

__Una dimora di legno ed erba; una dimora celata nel pelo verde di un continente di fuoco; una dimora di guerrieri e maghi; una dimora, casa degli eroi, come nelle fiabe.
__Così credo sia. E così credo vada. Così lui, così te.
__Così vai, lotti, cadi, ma comunque provi.
__E inciampi, e cadi, e rotoli indietro.
__Ma ti rialzi, e riprovi, e rotoli, e daccapo, ancora.
__Daccapo e poi ancora, ancora.
__Ancora, ancora e ancora.
__Per quante volte necessarie, per ogni no, non ci siamo, si riprova e si continua; avanti fino al coprifronte; fino alla Tecnica superiore della moltiplicazione del corpo; fino al sogno. Per camminare a testa alta e stare là, con loro. Per esserlo davvero: accettato.
__Non più al muro, fuori dall’aula o nel banco scartato, ma nel cerchio, dentro. Sentirselo addosso e nelle orecchie: ehi, che fai ancora lì? Coraggio, su, vieni!
__La strada verso l’Accademia, e quella di ritorno a casa con la sosta alla bottega di Teuchi-san o al pontile; la pausa pranzo sul retro; gli allenamenti fino al tramonto: possono sembrare poca cosa e, chissà, forse lo sono davvero… Eppure, dal bordo del selciato o al fianco di Ko-san, hanno sempre brillato tanto. E qui, se non altrove, penso di capirti tanto e bene.
__Stare tra la mischia e i sigilli improvvisati, sentire urlare il proprio nome in mezzo a tanti, tanti altri… Uno può desiderare questo, anche solo questo.
__Uno può non volere altro.
__Trovare un posto, un posto tuo, là in mezzo; come tanti, come tutti, uno fra molti. Può essere poco per altri; può essere tanto per pochi.
__La scala da genin a chūnin, da chūnin a jōnin, sino a lui, l’Hokage, credo sia giusto quello che è: una scala. Un trabiccolo con altezze e difficoltà alla misura nostra, per arrivare là in alto, dove anche saltando, noi soli non potremmo. È il mezzo quello, il come; ma il cosa sta là in alto, dove, così come siamo ora, non arriviamo.
__È lassù, in mezzo a tanti, tanti nomi, il bollo per far urlare il tuo, di nome: ohi, Naruto-kun, di qua! Sentirsi chiamato in mezzo, voluto, come un bambino fra tanti.
__Un bambino e niente più, oltre quello.

[Fa’ finta di niente e non lo guardare.]__

__Appena un bambino, non quello.

[È lo spirito della Volpe.]__

__Quello con cui hai perso tutto.

[Non lo devi guardare.]__

__Per cui hai perso tutto.

Tutto quanto.









Ed ecco arriva l’alba, so che è qui per me__
Meraviglioso come, a volte, ciò che sembra non è__
Fottendosi da sé, fottendomi da me__
Per quello che non c’è__
 
“Quello che non c’è”, Afterhours__
 
 
 

Look for the girl with the sun in her eyes and she’s gone  
 
 
 
 
 
 
 
 
 


– Angolo dell’autrice –

__Bentornati, figlioli. Com’è andata? Tutto bene? Miseria, sembro mia madre… Bleah! Dicevo: tanto per cominciare, grazie infinite. Grazie davvero se avete letto; ma grazie pure se non avete letto, e siete qui per caso, bug informatico o nuova frontiera della tortura; in ogni caso: grazie.
__Passo lesta lesta ai credits, se non vi spiace. Allora, il titolo, anzi, i titoli: dunque, quello principale, che dà poi il nome anche a tutta la faccenda, è un rimando all’omonima canzone degli Afterhours (e che il buon Agnelli mi perdoni); lo stesso dicasi per gli estratti infilati a inizio e fine capitolo. Il sottotitolo, o titolo del capitolo che dir si voglia, è invece un omaggio (ruffiano, ruffiano e maleodorante) a “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles. Richiamo distintamente palese, oh sì, ma gli opportuni onori restano comunque doverosi.
__Ora: né l’una né l’altra sono state ascoltate/sfruttate nella scrittura, per cui costituiscono solo delle… immagini, dei leitmotiv. Più che altro, volevano e vogliono esser emblematiche della voce narrante: di come vedo e credo sia il personaggio (di Hinata). Soprattutto, m’interessava rendere lei in funzione di Lui (Lui, con la elle maiuscola. Lui, quello delle “Superchicche”). Non è propriamente lusinghiero, ma temo mi sia fisicamente impossibile maneggiare Hinata senza sconfinare pure in quell’altro.
__Tutta questa geremiade, tra l'altro, nasce prima dei più recenti capitoli del manga (cough, cough – cinquecentocinquantanove – cough, cough); perciò, se la vedete un po’ abbacchiata, è per aderenza a quanto accaduto sino alla quarta, grande caz-, guerra! Guerra ninja, sì! In altre parole: sedici anni nell’anonimato e da stalker; dichiarazione; lui non la fila; nemmeno la guarda; è sempre di spalle; sta olueis dietro a Sas’ke (solo in senso figurato: Naruto è notoriamente uke); e piuttosto che rimanere a casetta sua, se ne va su un’isola a catalogare l’orientamento sessuale della fauna locale.
__Credo d’essermi appena screditata in via definitiva (alé!), e d’aver pure dimenticato qualcosa, ma fa lo stesso. Spero. Niente, scusatemi infinitamente per la logorrea, il tedio, la ripetitività e la cialtroneria.

Grazie, e al prossimo capitolo.

__P.S. Sempre se volete, chiaro (scuro? Rosso? Mosso? Bollicine a noi!).

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.


  
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