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Autore: AngelSword    29/02/2012    3 recensioni
Non gliene era mai fregata una mezza cicca di quella scuola, di quei ragazzini o della sua carriera. Se n’era reso conto tre anni prima, quando aveva cominciato la sua vita da liceale. I primi giorni aveva pensato che sarebbe stato divertente - una “nuova avventura”, come scherzosamente l’aveva chiamata il preside nel suo discorso di apertura. Beh, non era mai stato così stupido.
Essere adolescenti ed avere un sogno nel cassetto non è facile, specialmente per Sanji.
~*~*~
||Quarta classificata a "Il Contest Degli Universi Alternativi" di Starhunter|| Prima classificata al contest "I Quattro Elementi (non solo nel senso che credete voi)" di Sweet96 e valutato da ro-chan||
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Giovedì, 20/x/20xx :  appena dopo l’Ultima Ora ~ Tempesta


Tirò indietro la sedia, strusciandola contro il pavimento con un secco stridio. “Vediamo di finirla in fretta,” sospirò Sanji sedendosi scompostamente sulla sopracitata. Fissò annoiato il professore, in attesa della solita vecchia ramanzina - “Dovresti essere più preoccupato riguardo la tua situazione scolastica, non ti stai impegnando al massimo, so che potresti fare di più, se continui così verrai sbattuto fuori,” quella solita roba lì, insomma.

“Non mi fare quella faccia, Sanji, a me non la dai a bere,” replicò spicciamente Zoro, il volto congelato in quella sua perenne impassibilità.

Wow, lo aveva chiamato per nome, incredibile. “Quale faccia? Questa è la mia solita faccia, sensei, non so a cosa si sta riferendo,” disse il biondo fingendo meraviglia, tanto per irritare ancora di più il suo insegnante. Peggio di così non poteva andare, in ogni caso. Sperava di farlo arrivare ai limiti dell’esasperazione cosicché lo avrebbe cacciato fuori dall’Aula Professori. Al più presto possibile. Con tanto d’intimazione a non farsi più vedere. Quello che sarebbe stato un sogno che s’avvera.

“Sanji, smettila di fare il cretino.”

La freddezza della sua voce gli fece subito alzare la guardia. Abbandonò l’atteggiamento odiosamente amichevole per scoccare al verde un’occhiata inviperita. “Che diamine vuoi, marimo?”

“Oi.” Lo fissò, gelido come non mai, mentre pressava la punta di un indice sul tavolo al ritmo della sua voce. “Sono più grande di te e sono il tuo insegnante, vedi di prestarmi un po più di rispetto.”

Il liceale non replicò, optando di mantenere il... come si chiamava? Silenzio degli Innocenti? Boh, forse è  quello. Comunque non aveva intenzione di parlare, specie se con quell’alga marina del suo professore. Magari ho anche diritto ad un avvocato...heh...

Ignorando la sua non disponibilità, Zoro andò avanti, poggiandosi sul tavolino con entrambi i gomiti. “In nome del Cielo... Che diavolo ti è preso? Manca poco ai voti di fine semestre, non dovresti andare a causare problemi che potrebbero farti abbassare la media proprio ora.”

Sbuffò divertito, abbandonando un braccio dietro lo schienale della sedia. “Hah, ma io ho solo fatto a botte con chi mi aveva sfidato. Non li ho mai provocati.”
“Comunque, di solito cercavi di essere più discreto per non essere scoperto,” continuò imperterrito l’altro.

Mise su un’espressione provocante, prendendolo in giro. “Oh, mi conosci.”

“Ovvio che ti conosco, idiota,” sospirò alzandosi. Allungò una mano attraverso il tavolo per farla scivolare sotto la giacca di Sanji, sorprendendo il liceale. Tirò fuori un pacchetto di sigarette. “Ed anche queste,” disse battendoci un dito sopra. “Almeno nascondi l’odore. Non ti posso aiutare se qualcun altro oltre me lo viene a sapere.” Fece una pausa per scoccargli una lunga occhiata indagatrice. “Perché lo stai facendo?”

“... Facendo cosa?” Tentò nuovamente l’approccio da finto tonto.

“Risparmiami il teatrino da innocente. Stai facendo tutto questo di proposito,” replicò stizzito Zoro mentre giocherellava con il pacchetto di sigarette. “Stai sbandierando ai quattro venti con ostentazione che fumi e fai a cazzotti. Sai esattamente quello che stai facendo. Ti sto chiedendo cosa speri d’ottenere con tutto questo.” La sua non era una domanda: era un ordine.

Il biondo grugnì, annoiato dalla solita solfa. Cercò di tornare al silenzio, ma lo sguardo di quel marimo spregevole gli stava letteralmente trapanando il cranio. Dopo qualche istante di muta sopportazione, anche l’ultimo argine alla sua rabbia crollò, lasciando che il fiume delle sue emozioni lo inondasse. “Che cosa voglio?” ripeté, incredulo di fronte a quella domanda per lui così ovvia. Sbatté una mano sul tavolo abbandonando le buone maniere da gentiluomo per passare alla strafottenza adolescenziale. “Prima di dirti cosa voglio, ti dirò cosa non voglio. Non voglio che le ragazze mi sbattano a destra e sinistra per fare i loro comodi. Non voglio che i ragazzi dell’ultimo anno mi provochino. Non voglio fare il leccaculo ad ogni professore che incontro solo per prendere bei voti. Non voglio che qualcuno mi chieda cosa sia giusto e cosa sia sbagliato per poi darmi contro il momento stesso in cui finisco di parlare. Non voglio--“ E continuò ad elencare, elencare ed elencare tutto ciò che trovava di marcio nella sua vita - quindi più o meno tutto - mentre Zoro ascoltava in silenzio, stoico, seguendolo con gli occhi ogni qualvolta si alzasse e passeggiasse per la stanza.

Infine si fermò di fronte a lui, sorreggendosi sulla mano che aveva poggiato a pochi centimetri dal suo gomito. “Non voglio che qualcuno mi sgridi. E soprattutto, non voglio rimanere su questa fottutissima terra ferma.” Ecco, l’aveva detto. L’aveva finalmente detto. Dio quanto aveva aspettato questo momento! Ma... perché dirlo proprio a quel professore? In fondo, per lui non era nessuno di speciale. Solo uno dei tanti tizi che si mettevano dietro ad una cattedra ben disposti a farsi mandare mille e più paralisi dai loro studenti. Eppure... per la prima volta era stato libero di parlare senza che lo interrompessero ogni due minuti.

Il verde sospirò, riflettendo su quanto gli era stato appena rivelato. Giunse le mani di fronte a sé, poggiandoci sopra la fronte. “Sanji, ascoltami.” Il suo tono era insolitamente pacato, la sua postura rilassata. “Io ti conosco da quando eri bambino, lo so quando qualcosa ti turba.” Ed era vero. Lo conosceva bene, quel ragazzo. Era stato il suo vicino di casa - nonché tutore alle medie - fin da quando frequentava il liceo. I suoi genitori erano spesso assenti, chi si prendeva cura di lui era lo zio. Lo aveva praticamente visto crescere, quel biondino scapestrato. Poi aveva dovuto lasciare la città per andare al college, tornando quattro anni dopo. Quando l’aveva rivisto, aveva subito capito che qualcosa in lui era cambiato. “Esattamente, qual è il tuo sogno?” gli chiese con solennità.

Lì per lì Sanji non seppe come rispondere. Si sentiva colpevole, come quando faceva scena muta ad un’interrogazione. Ciononostante, non aveva nulla di cui sentirsi in colpa. Mica poteva prepararsi per una cosa del genere. Heh-heh. Stavolta non era nel torto, nossignore--

Oddio, ma a che cosa diamine sto pensando?Dio, patetico. Per caso era nervoso? Cristo, quel marimo era riuscito a metterlo in difficoltà?! Gli veniva da ridere, sul serio.

Ma non fu tanto questo a farlo esitare, quanto la consapevolezza che non aveva una risposta. D’altro canto, nessuno prima d’ora glielo aveva mai chiesto.

“L’All Blue,” rispose infine fissando il tavolo. “Il mare di tutti i mari.” Nemmeno si era accorto di star parlando, le sue labbra agivano da sole, mosse dall’emozione del momento. “Sì, la leggenda del cavolo a cui più nessuno crede,” aggiunse poi in tono annoiato, ripetendo le parole che spesso gli venivano dette in mezzo a tante risate ogni qualvolta si azzardasse a parlare del suo sogno.

Trasse un lungo respiro, allontanandosi dal tavolo per strusciare fiaccamente i piedi fino l’ampia finestra che dava sul cortile - ora deserto - della scuola. Il cemento stava cominciando a colorarsi di rossastro, ferito dai raggi del sole calante. Le ombre si stavano facendo più lunghe e spesse, pronte ad ingoiare il cancello, il patio, tutto, nella loro oscurità. Solo l’Aula Professori pareva essere un’eccezione, largamente illuminata, con le sue luci al neon accese. Un’eccezione, come lui.

“Io voglio viaggiare, come i miei,” disse poi, più a se stesso che a Zoro. “Voglio vedere ogni giorno un posto nuovo, voglio trovare l’All Blue.” Prese fiato per aggiungere altro, ma si fermò, rilasciando infine l’aria in un lungo sospiro. “L’unica cosa che voglio sentire sono l’infrangersi delle onde sulla scogliera, l’unica cosa che voglio vedere è il mare che si allunga fino a toccare l’orizzonte,” mormorò, quasi con rassegnazione.

Diede in una piccola risata a denti stretti. “Ma tanto lo so che non accadrà mai.” Si voltò con uno sciolto ed ampio movimento, tornando a fissare Zoro con un misto di strafottenza ed amarezza. “Quindi vediamo di finirla in fre--“

“Ma allora sei davvero deficiente come giustamente credevo.”

“Che cos...?” disse in un soffio, stupefatto. Ah, questa era una cosa che proprio non se l’aspettava da un professore. Nel senso, non che non ci fosse abituato - anzi, tra casa e scuola, poteva scriverci un libro con tutti i modi in cui l’avevano insultato - ma... è strano quando esce dalla bocca del tuo tutore. Mentre nella sua mente frullavano queste idee, si riprese in fretta, corrugando la fronte e scoprendo i denti in una smorfia rabbiosa. “Cosa vuoi insinuare, sottospecie di alga spiaggiata?!”

L’altro non accennò a cambiare la sua attitudine calma e rilassata. “Niente, è come ho detto. Chiaro e tondo.” Parlava come se stesse spiegando un concetto elementare ad uno stupido bambino di due anni.

A quello non seppe davvero più trattenersi. Scattò in avanti, afferrando Zoro per il collo della maglietta. Rinunciò, però, all’idea di tirarlo su nel momento esatto in cui lo toccò: era pesante, oltre che ad essere molto più alto e robusto di lui. “Non accetto critiche dai tipi come te,” sibilò, guardandolo con piaggio.

Zoro continuò a fissarlo, gelido. Cosa che fece infuriare Sanji ancora di più.

“Che ne sai tu: niente!” continuò con rabbia crescente. “Che ne sai tu che cosa significa perdere i genitori? Che ne sai che cosa significa avere un sogno irrealizzabile?! Che ne sai cosa significa sentirsi in gabbia?! NIENTE! Tu di certo non ti preoccupi se parte una nave al porto, no, per te è una cosa normale. Anzi, perché dovrebbe fregartene in primo luogo?!” Ridacchiò nervosamente, un ovvio sfogo di adrenalina. “Io, però, ogni volta che ne vedo una prendere il largo, mi sento sprofondare tre metri sottoterra. Perché è partita, ed io non ci sono salito sopra. E non guardarmi con quell’aria da “è una cazzata assurda”, perché non lo è. Non ti permetto di ridere in faccia al mio sogno, marimo bastardo.”

“Stupido ricciolino ritardato,” replicò il verde, afferrando la mano del liceale stretta attorno alla sua maglia. “Non sto ridendo in faccia al tuo sogno...” Lentamente la strinse, fozandolo a mollare la presa. “Ma alla tua cretinaggine,” concluse alzandosi per squadrarlo grevemente. Non gli lasciò andare il polso, voleva tenerlo fermo dov’era. Doveva starlo a sentire e basta. “In questo momento mi sembri un marmocchio che piange, piange e piange, finché non gli danno il suo giocattolo. Un lattante che non ha nemmeno un briciolo di determinazione per decidere il proprio futuro.”

Sbuffò, tendendo le labbra in un sorriso sprezzante. “Non trattarmi come uno sprovveduto,” lo intimò. “Sappi che io sono abbastanza cresciuto da prendere la mia vita tra le ma--“

“Io so solo che non puoi attraversare il mare semplicemente stando fermo e fissando le onde, ragazzino,” lo rimbeccò Zoro, liberando nel suo tono di voce qualche scheggia della sua irritazione. “Cresciuto? Ma dove? Magari solo in altezza,” proseguì con un lieve accenno di spregio. “Se tu fossi realmente cresciuto allora ti comporteresti da vero uomo, impegnandoti al massimo per raggiungere quel sogno. Invece no, tu stai qui, a piangerti addosso, a giocare una partita che secondo te è già persa. Ad aspettare che qualcuno bussi alla porta di casa tua e ti dica ‘ Salve, ecco a lei il suo sogno ’.” Stavolta fu lui ad afferrare l’altro per il bavero dell’uniforme. “Sai che c’è? Non funziona così,” gli disse in un sussurro a denti serrati, vicinissimo al volto del biondo, i suoi occhi scuri fissi in quelli azzurri di Sanji. Lo lasciò andare con una lieve spinta, voltandosi poi per tornare alla sua sedia, senza però mai interrompere il contatto visivo.

Sanji era scosso, in ogni senso della parola. Si sentiva rintronato sia a livello fisico che mentale. Era come se qualcuno avesse appena smagnetizzato la bussola del suo cervello; in un primo momento non seppe chi era, dov’era, cosa stesse facendo, i pensieri si formulavano da soli per poi polverizzarsi al minimo accenno di presa di coscienza. Ma, repentina come i cavalloni in mare aperto, una zaffata di nuova ira lo pervase - insomma, lui le solite vecchie prediche non le aveva mai accettate, e mai le accetterà, perché sapeva anche meglio dei suoi compagni che la vita non era solo rose e fiori - ristabilendo il suo precario equilibrio. Effimera però, si sciolse non appena incontrò nuovamente gli occhi del professore. Lo avevano... tranquillizzato, forse? Perché non erano furiosi, non erano sprezzanti. Erano semplicemente attenti. E magari giusto un tocco rassegnati.

Incredibile, quell’uomo era incredibile. In tutti gli anni che lo aveva conosciuto non era mai riuscito, nemmeno una volta, a capire cosa gli passasse per quella schifosa testa verde. Magari il marimo era lunatico. Sì, doveva essere quello. O, peggio ancora, schizofrenico. Hm, sì, per forza. Soltanto “imprevedibile” non bastava a descriverlo.

Si limitò quindi ad assottigliare lo sguardo, nascondendo efficacemente il tumulto dentro di sé.

Zoro infine sospirò, strofinandosi piano la nuca. Distolse lo sguardo dal liceale per farlo scorrere sulla mobilia della stanza, dicendo “Senti, sono il tuo docente...”

Oddio, no. Proprio ora che stava cominciando a considerarlo un insegnante decente, diverso da tutti gli altri, partiva con la ramanzina. Poteva persino prevedere cosa gli avrebbe detto. Tanto era sempre uguale. “Tu sei un alunno che potrebbe prendere dei voti altissimi, lo sai.”

“Tu sei un alunno che potrebbe avere dei voti altissimi, lo sai.”

“Sempre con molto impegno da parte tua, è ovvio.”

“Sempre con molto impegno da parte tua, ovvio.”

“Vorrei davvero aiutarti, ma non posso fare tutto da solo.”

“Vorrei aiutarti, ma non posso inventarmi i voti.”

“Quindi il mio consiglio è: mettiti sotto a studiare.”

“Quindi il mio consiglio è: sali su una nave e parti.”

“Altrimenti sarò costretto a chiama--“ Che cosa...?! Spostò lo sguardo dalla libreria che stava fissando senza interesse per farli saettare di nuovo sul professore, stupefatto. I suoi occhi si spalancarono, le labbra si dischiusero e la mascella si rilassò, come la sua postura in generale. Ma non riuscì a biascicare nemmeno mezza parola.

L’altro trasse un lungo respiro. “E sì, lo che sono il tuo insegnante, che non dovrei stare a dirti queste cose, che dovrei preoccuparmi solo, soltanto ed unicamente alla tua educazione, ma...” Corrugò la fronte in un’espressione che diceva ‘beh, è ovvio!’. “Sei quel tipo di persona che ha bisogno di saltare sulla prima cosa che galleggia che trova e prendere il largo. Basta.”

Si riprese a malapena dallo shock iniziale. Chinò il capo, oscurato dai capelli biondi, per poi scuoterlo, accompagnato da una roca risatina. “Nah, non potrà mai accadere,” ripeté alzando il volto al cielo, gli occhi coperti da una mano, le labbra tese in un sorriso al contempo beffardo e rassegnato. “Ho un debito da saldare, in fondo...” Ogni qualvolta considerasse seriamente l’idea di partire si ripeteva quelle parole come un mantra e tutto passava. Passava, come un malore. Wow, grandiosa immagine di ‘sogno’ che hai, pensò amaramente.

“No Sanji.”

Il tono serio, la voce profonda, uniti al fatto che l’aveva effettivamente chiamato per nome, lo spinsero ad abbassare la mano per guardarlo. Stupito, una volta di più.

“Ho un amico che lavora nell’organizzazione di crociere,” attaccò poi, buttandola sul casuale, sedendosi.

Sanji pressò le labbra tra loro, riducendole ad una sottile linea rosea. Raggiunse la porta a grandi falcate, cercando di non ascoltarlo. Perché non poteva. Sapeva che ci avrebbe davvero pensato, facendolo magari anche stare peggio di come stava.

“Mi ha detto che probabilmente metteranno un annuncio sul giornale per cercare personale,” continuò imperterrito.

Poggiò una mano sul freddo pomello di metallo, ma rimase immobile. Improvvisamente era diventato pazzescamente pesante, rendendo l’atto di girarlo praticamente impossibile.

“Se tieni al tuo sogno, se sei pronto a rischiare tutto, se sei un vero uomo...” Tese le labbra in un lieve sorriso. “Sali su quella dannata nave.”

Mentre pronunciava quelle cinque parole udì il click della serratura che si apriva, il rumore di suole allontanarsi a passo svelto, la porta che si chiudeva di nuovo.
Da solo nella stanza, il suo sorriso si allargò in un ghigno di sfida. “Cazzo se non ci salirai,” ridacchiò. “Anche perché ti ci manderei sopra ad ogni costo, dovessi pure ammazzarti, ricciolino.”
 

~ END ~

 
  
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