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Autore: Diomache    03/10/2006    16 recensioni
Come la volta notturna io t’adoro
o vaso di tristezza, grande taciturna,
e tanto più t’amo perché mi sfuggi e sembri,
tu, bella che adorni le mie notti,
più ironicamente accumulare leghe
che separano le mie braccia dalle azzurre immensità (Baudelaire)

[HOUSE/CAMERON/CHASE]

Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House, Robert Chase
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti

Ciao a tutti!!

Come vedete eccomi tornata con una nuova fic! Mi spiace, ma non è quella che avevo in programma, Chicago. Quella è ancora in progress..

“This shoulden’t happen again” è la frase cha Chase pronuncia a Cameron nell’episodio Hunting, riferendosi al loro rencente incontro.. letteralmente “questo non dovrebbe accadere di nuovo.”

Pur essendo io una Cottoncandy fino al midollo, ho deciso di scrivere una storia che spazia un po’ dalla coppia HouseCam, trattando questo strano triangolo: House-Cameron-Chase… dopo aver visto Hunting, mi sono domandata cosa sarebbe accaduto, cosa avrebbero provato Cameron, Chase ed House adesso.

E la mia fic è proprio questo. È l’evolversi di questa stranissima situazione, in cui i sentimenti si confondono, si sovrappongono, vengono a galla.

Non saprei dire qual è il paring della mia fic.. forse lo scoprirete solo alla fine..

Spero che mi lascerete un commentino, giusto per sapere che ne pensate e come potrei migliorarmi!

Un bacio a tutti e buona lettura,

Diomache.

This shouldn't happen again

“this shouldn't happen again”

“Do you think I want it to?”

Chapter one: The sound of your heart when you’re running

Musica.

Quella voce bellissima e forte nelle orecchie e nient’altro.

Musica in ogni fibra del suo corpo, musica nella mente, nelle braccia, nelle gambe.

Niente, non sentiva nient’altro. Ed era una sensazione bellissima, stupenda. Sentirsi piena di qualcosa che sia bellezza e grinta, aprire gli occhi e vedere il paesaggio che scorreva velocemente intorno a lei e guardarlo con occhi diversi.

Sentire il profumo dell’estate sulla sua pelle, il vento tra i capelli, il sole sulla faccia.

Sentirsi finalmente senza paure, libera, leggera come se stesse per iniziare a volare da un momento all’altro.

Avere la bellissima sensazione di non avere nulla in testa, come se fosse piena di spazio.

Oppure sentire il suono del suo cuore. Mentre stava correndo.

Sentire le gambe completamente indipendenti dal resto del corpo, correre sull’asfalto scuro e illuminato appena da quel sole sull’orlo del tramonto.

C’era niente di più bello?

Senza preoccupazioni, senza se stessa. Senza la sua razionalità, senza Allison Cameron.

Senza il suo amore stupido per un uomo e il desiderio, altrettanto stupido, per un altro.

Senza niente e nessuno.

Corse.

Corse tanto, più di quanto il suo fisico allenato era abitato a fare.

Si fermò molto più tardi di quanto aveva programmato e solamente quando sentì che le gambe non l’avrebbero più portata. Quando la musica, la rabbia per i suoi sentimenti incompresi, per la possibilità di essere malata, più di quanto non lo fosse già, la rabbia per la sua stupidità, fin quando anche l’odio che provava verso il mondo e se stessa non era bastato a farla correre ancora.

Allison si fermò, il respiro che non voleva saperne di ritornare nei polmoni, le gambe che a stento la reggevano ancora in piedi, appoggiò le mani alle ginocchia, e chiuse gli occhi.

Esausta.

Esausta e felice. Ecco come si sarebbe definita.

Si raddrizzò, si asciugò la fronte con il palmo della mano e assaporò la bellissima sensazione di piacere e stanchezza insieme che solo lo sport sapeva donarle. Sapeva farla sentire leggera e spensierata, senza problemi.

Una ragazza tranquilla, con il suo lavoro.

Senza la possibilità di essere malata di HIV.

Senza l’amore per un uomo bastardo, stronzo, misogino e figlio di puttana.

Senza il desiderio e l’errore di essere andata a letto con un suo collega. Con un suo bel collega.

Semplicemente stanca. E basta.

Allison mosse dei passi incerti verso la sua auto, poco distante da dove si trovava ora.

Per fortuna, non sarebbe stata in grado di camminare ancora.

La sua abitazione le sembrava stranamente accogliente quella sera.

Aveva ancora i capelli bagnati per la doccia che aveva fatto poco prima e si trovava seduta sul divano ad ascoltare quella deliziosa musica classica che si diffondeva nell’ambiente in maniera quasi “naturale”.

Come se quella serenità avesse fatto sempre parte di casa sua, come se quell’appartamento fosse sempre stato un rifugio tranquillo, la sua tana.

Certo, adesso era tutto a posto. Tutto perfetto. Ma un paio di giorno di fa era tutto a soqquadro.

I suoi occhi si posarono istintivamente sul divano dove si era consumato il suo errore con Chase.

Non aveva immaginato che sarebbe potuto accadere. È vero, lo desiderava. Ma non aveva mai immaginato di poter essere attratta da qualcuno che non fosse il suo House.

Se qualcuno le avesse detto che cosa sarebbe accaduto, avrebbe riso di gusto.

La sua mente la riportò ad appena tre giorni prima.

Quel giorno sembrava un giorno come tutti gli altri.

Avevano un caso nuovo, un certo Kelvin, un tipo con l’HIV che tormentava House e che alla fine, a quanto pare, era riuscito ad ottenere una visita da lui. Anche se questa visita non era stata così.. amichevole..

Ma tutto era nella norma. House che picchia i pazienti? Beh, poteva considerarsi un fatto … molto sopra le righe ma, allo stesso tempo, molto molto alla House.

Non le era dispiaciuto troppo occuparsi di Kelvin, all’inizio.

Tutto sommato era affascinante star ad ascoltare i suoi sproloqui, le sue strane teorie e le avances che rivolgeva Chase erano davvero divertenti.

Soprattutto era spassassimo vedere il volto del suo collega ombrarsi di disagio e di irritazione e vederlo uscire frettolosamente dalla stanza del paziente. Ma oltre queste piccole sfumature, occuparsi di un malato era il suo lavoro e lei lo aveva eseguito con tranquillità, senza nemmeno farsi passare per l’anticamera del cervello quello che sarebbe potuto accaderle.

Finché non si ritrovò nella sua stanza, per un banalissimo test.

Dopo i primi minuti Kelvin iniziò a tossire e lei giustamente iniziò ad interessarsi della sua tosse. Quando lui le disse che sembrava sangue quello che aveva sulla mano si era voltata immediatamente, come avrebbe fatto ogni medico. Perché tossire sangue non è proprio normale.

No, forse non è corretto. Ogni medico non si sarebbe comportato come lei. Lei era stata troppo istintiva, troppo preoccupata per la salute del suo paziente da trascurare la propria. Troppo presa dai sintomi del paziente che aveva dimenticato la sua incolumità. O forse, se vogliamo, troppo ingenua.

E qui, la fatalità. Lei che si gira, si avvicina, preoccupata e Kelvin che è scosso da un nuovo e più violento attacco di tosse e il suo sangue infetto che le sprizza in faccia, negli occhi. Nella bocca.

E Allison, terrorizzata, immobile. Non aveva pensato a nulla, per circa un manciata di secondi. Aveva solamente sentito il suo sangue sulla sua pelle. E aveva sentito la consapevolezza che quello non era sangue qualunque.

Era sangue malato.

Malato di HIV.

Era rimasta immobile, ferma, incapace anche solo di respirare per alcuni secondi.

Poi però aveva realizzato subito ed era immediatamente corsa in bagno per sciacquarsi, detergersi il viso.

Tremava mentre lasciava che l’acqua le corresse sul viso, tremava mentre era corsa dal dottore specializzato in infezioni e si era fatta consigliare una terapia.

Tremava mentre lo ascoltava, tremava come una bambina incosciente che aveva commesso uno stupido errore, un errore che poteva pregiudicarle una vita intera.

Il dottore era stato rassicurante. Fin troppo forse ma lei sapeva benissimo che le probabilità di contagio erano basse. Ma c’erano.

Traballava mentre, uscita da quella camera, si dirigeva nel suo ufficio.

Sei settimane prima di fare il test. Un’eternità.

Era entrata nel loro ufficio e si era imposta di non farsi vedere così giù, così preoccupata. Così aveva mentito egregiamente quando Chase le aveva consigliato di prendersi un pomeriggio libero. Gli aveva risposto un “no, sto bene” cercando di apparire tranquilla.

Certo, era davvero una stupida se pensava di fregare House. Lui, con il suo sguardo contorto, indagatore e terribilmente arguto, l’aveva sgamata con meno di un soffio di Eolo. Le aveva letto subito l’ansia negli occhi e l’aveva ridicolizzata per il suo patetico tentativo di nasconderla.

Ma non c’ aveva badato tanto. Infondo conosceva bene Gregory House, sapeva che non le avrebbe mai detto una parola di conforto.

E pensava di poterne fare a meno.

Ma si era resa subito conto del contrario. L’aveva capito accorgendosi che lui era stato l’unico a non preoccuparsi affatto per la sua salute, l’unico che non le aveva chiesto nemmeno come stava. Non pretendeva che l’abbracciasse e le facesse sentire tutto il suo calore. Oddio, lei per lui lo avrebbe fatto. Ma non pretendeva di riceverlo.

Si aspettava un’occhiata, uno sguardo. Una mano sulla spalla nel migliore dei casi.

E invece niente.

Un niente elevato all’ennesima potenza.

Indifferenza, un’assenza assoluta di tatto e di comprensione.

Ma infondo, che doveva aspettarsi da lui?

Si era ritrovata sola con il suo dolore e il suo dubbio martellante, il suo chiodo fisso. Aveva risposto un secco no all’invito di Chase ad uscire con lui, all’inizio. Non le andava di uscire con Robert, lei voleva solo una parola. Ma da Gregory House.

Poi aveva visto quelle pillole, nel marsupio di Kelvin. Le aveva portate in laboratorio ma non tutte.

Aveva bisogno di sfogarsi, di urlare, di arrabbiarsi, proprio come le aveva detto l’uomo che forse l’aveva contagiata. Era andata a casa, furibonda con il mondo e con se stessa, con Kelvin e, sopra ad ogni cosa, con House.

Poi non ricordava molto.

Ricordava bene solo di aver chiamato Chase per dirgli che accettava ed usciva con lui. Ricordava di essere andata in cucina, di aver preso le piccole che teneva nella borsa e di averne prese due. Sapeva i rischi che correva, sapeva tutto.

Sapeva che si stava facendo male, ma non le importava affatto. Voleva andare fuori di testa, per un po’, potersi arrabbiare, non dover per forza seguire la sua logica, la sua mente, la sua razionalità. Voleva semplicemente staccare la spina.

I suoi ricordi erano un po’ sfocati ma ripescando nella sua memoria rivedeva benissimo il momento in cui Chase era entrato dalla porta del suo appartamento.

C’era la musica, altissima, rimbombante, c’era quella sensazione di assoluta beatitudine, c’era la droga.

E c’era Chase, davanti a lei.

Senza pensare, senza frenarsi si era buttata fra le braccia dell’unica persona che si era interessata a lei. Il motivo del suo interesse non le importava, l’importante era che lui era lì. Adesso.

Chase aveva opposto resistenza.

Ma una piccola resistenza.

Si vedeva benissimo che quella situazione eccitava anche lui, si vedeva lontano un miglio che quella era l’occasione che aspettava. Si vedeva che la desiderava e quando lei lo baciò di nuovo e gli sussurrò, con quella voce provocante “andiamo Chase, non fare il bravo ragazzo con me” l’aveva abbracciata e baciata con la sua stessa passione.

Non sapeva spiegare perché proprio lui. Perché proprio Robert Chase.

Forse l’unica risposta vera è che oltre quella porta c’era lui e se ci fosse stato un altro magari il risultato non sarebbe cambiato.

No, non è vero.

Se ci fosse stato Foreman non sarebbe accaduto.

E se fosse stato House?

Quel pensiero la fece sorridere. Magari ci fosse stato House.

O forse no. No, era meglio che fosse andata così. House non centrava nulla con quello che aveva provato per Chase e forse era meglio che le cose si fossero svolte esattamente in questo modo.

Sapeva che prima o poi tra lei e Chase sarebbe dovuto accadere.

Anche se litigavano spesso e non disdegnavano certo di scoccarsi sfrecciatine velenose, sentiva benissimo l’attrazione fisica, la tensione che c’era tra di loro. Quell’empatia provocata da un semplicissimo interesse fisico.

Se oltre quella porta ci fosse stato House.. e se.. fosse accaduto la stessa cosa… con Greg…

Ah, non voleva nemmeno pensarci.

Non era quello che voleva con House. Lei voleva conoscerlo, capirlo. Lei ne apprezzava l’intelligenza, il sarcasmo, il fascino e persino il suo lato bastardo. Era anche attratta fisicamente da lui, non poteva negarlo, ma il suo interesse per lui spaziava.

Si era sempre definita molto precisa in materia di sentimenti. Sapeva benissimo cosa provava per House. E cosa non avrebbe mai provato per Chase.

Allora perché si sentiva così confusa?

Si trovava ancora lì, sul divano, vestita nel suo accappatoio rosa, i capelli bagnati quando suonarono alla porta.

Fece una smorfia. Justine, la sua migliore amica, le aveva detto che uno di questi giorni sarebbe passata, ma non credeva che l’avrebbe fatto così presto.

Si alzò un po’ pesantemente dal divano, faticando un po’ a causa della stanchezza fisica e si diresse ad aprire.

La persona di fronte a lei era bionda, ma non era decisamente Justine.

Cameron chiuse un attimo gli occhi.

Ecco, questo non sarebbe dovuto accadere. Non ancora.

To be continued…

Mi raccomando commentate!!!

Baci,

Diomache.

  
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