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Autore: Christine23    01/03/2012    6 recensioni
«Perché non gli porti dei fiori come fanno le persone normali?» la canzonò Ron, arrivatole alle spalle di soppiatto.
Hermione rimase inginocchiata sull’erba, senza distogliere lo sguardo dall’iscrizione.
«Harry è allergico ai fiori, Ron» lo rimproverò, brusca.
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Ron Weasley | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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II capitolo






Hermione aveva lavorato presso il Ministro della Magia, portando avanti la sua causa per il miglioramento della vita degli Elfi Domestici; questo le aveva fatto guadagnare una promozione al Dipartimento per l'Applicazione della Legge Magica.
Si sentiva realizzata nell’ambito lavorativo, era anche riuscita a far approvare una legge che tutelava gli Elfi Domestici, ai quali sarebbe spettato un salario da parte dei propri padroni. Tuttavia, sapeva di essere lontana dalla felicità.
La sua vita era ordinaria, priva di emozioni, seguiva uno schema rigoroso, che lei non trasgrediva mai: lavoro, casa, cimitero.
Nemmeno ricordava più  l’ultima volta che era uscita per fare shopping o visita a qualcuno che fosse ancora vivo.
Sua madre tempestava puntualmente la casella della segreteria telefonica con messaggi che non leggeva; si limitava a cancellarli solo quando questa diveniva stracolma.
Si era isolata da tutto, caduta in un baratro troppo profondo, da cui non riusciva  più a venire fuori.
Nessuno comprendeva il suo tormento interiore, quella rabbia che le dilaniava il petto. Le continue osservazioni compassionevoli di tutti, compresi i suoi genitori, non facevano altro che irritarla e indispettirla.
«Sono passati sette anni, devi andare avanti con la tua vita. Harry non vorrebbe vederti così», o ancora «Fattene una ragione, Hermione. Harry è morto».
Perché erano talmente ciechi? Possibile che ancora non avessero capito? La sua vita si era spenta assieme a quella di lui.
Lo stesso identico giorno.
Ma, a differenza di Harry, che probabilmente riposava in pace, Hermione riposava all’inferno. Anzi, sarebbe stato più corretto dire che non riposava affatto.
Le sue notti insonni erano tormentate da ricordi dolorosi, dal viso di quel ragazzino con gli occhiali perennemente rotti, che lei si premurava di riparare con un semplice incantesimo.
Talvolta si ritrovava il colletto del pigiama umido, anche se lei stessa non si accorgeva di piangere: le lacrime erano frutto del suo inconscio, ormai.
Si ripulì il mento macchiato di farina con il grembiule:  aveva preparato la novecentoduesima torta di zucca.
Sembrava riuscita meglio del solito, stavolta: la polpa era compatta e vellutata, di un intenso color arancio.
Sorrise di soddisfazione; un sorriso debole, quasi invisibile a occhio esterno.
Adesso bisognava portarla a Harry. L'avrebbe sicuramente apprezzata, pensò lei con orgoglio. La sua mente visualizzò subito il cimitero, collegandolo al ricordo dell’uomo che aveva visto una settimana prima.
Fu invasa da brividi inspiegabili, probabilmente dovuti all’inquietudine che questo le aveva trasmesso quel giorno, ragion per cui si augurò di non rivederlo.

                                                     

                                                                                                          ***

 

  


Sostituì alla vecchia fetta quella nuova, come era solita fare. Oramai vittima di  un' incessante litania, che onorava più di un dio.
Accarezzò amorevolmente l’iscrizione, soffermandosi in particolare sulle lettere del suo nome, di cui tracciò i contorni scolpiti sul marmo.
Chissà se Harry la stava guardando in quel momento. Spesso le piaceva pensarlo.
Le piaceva pensare anche che in realtà Harry non fosse morto, che quello nella bara non fosse il suo corpo, ma solamente un sosia, un impostore.
Le piaceva. Lo sognava. Lo credeva. Da sette anni.
Ron l’aveva chiamata pazza. Forse era davvero diventata pazza, diceva tra sé e sé, quando si trovava da sola, immersa nel buio della sua stanza.
Però, quella pazzia la salvava ogni giorno.
Stava osservando la foto di Harry, quando sentì un’ondata di gelo investirle la schiena: dei rami secchi scricchiolarono alle sue spalle.
Si voltò di scatto verso la fonte del rumore con il cuore in gola; i rami dell’albero erano scossi  dal vento, nessuno si celava dietro di essi.
Probabilmente era stato solo il vento, si convinse, tornando a respirare in modo regolare.
Spazzò via con la mano la polvere e la terra che si erano accumulate sopra la tomba, poi diede un ultimo saluto a Harry.
Non appena uscì dal cimitero si rese conto di essersi dimenticata di togliere il coperchio del contenitore, cosicché la torta fosse più agevole da mangiare per Harry.
Era una sciocca convinzione la sua, ma era anche l’unica che le rendeva sopportabile vivere.
Tornò sui propri passi, addentrandosi nuovamente all'interno del cimitero.
«Mettila subito giù» sibilò minacciosa, premendo la punta della bacchetta sulla schiena dell'uomo.« Non è roba tua».
«Non credo che a lui servirà» la schernì una voce dal timbro maschile e piuttosto lugubre, sicuramente alterata da un incantesimo.
«Ti ho visto la settimana scorsa» lo avvertì.
L’uomo misterioso riposizionò la fetta di torta sul prato e si girò lentamente verso di lei; il suo viso era occultato da una maschera bianca, attraverso la quale potevano scorgersi solamente gli occhi e la bocca; era vestito con lo stesso abito sacerdotale dell’altra volta, su cui faceva bella mostra di sé la preziosa croce gotica.
Hermione non riuscì a capire di che colore fossero i suoi occhi, poiché il buio era pesto, ma dovevano essere sicuramente chiari.
«Fissato piuttosto intensamente, vorrai dire» la corresse, ironico.
La ragazza non abbassò la guardia e, al contrario, puntò la bacchetta alla sua gola, guardandolo in tralice.
La rabbia che provava nei confronti di quello sconosciuto era inspiegabile, nonché apparentemente immotivata. Era consapevole del fatto che preparare una torta per qualcuno che non l’avrebbe mai mangiata era solo uno spreco di energie e cibo, eppure non aveva sopportato la vista di quell’intollerabile furto.
Quella era la torta di Harry. Di Harry e di nessun altro.
«Vaghi per il cimitero con lo scopo di derubare i defunti?» l’acredine nella sua voce era palese.
«E tu con quello di far ingozzare platonicamente il tuo amore perduto?» replicò a tono.
Hermione vacillò per un attimo, allentando la presa sulla bacchetta.
Il suo amore perduto? Harry?
«Lui … non … È il mio migliore amico» precisò, balbettando.
«Certo. Vieni qui da sei anni, ogni settimana, per portare una torta di zucca a un tuo amico» la sfotté, ridacchiando.
La sua risata le fece accapponare la pelle: le ricordava quella di Voldemort.
Da sette anni. Ma in quel momento la cosa che le premeva di più fare non era quella di correggerlo.
«Come fai a saperlo? Chi diavolo sei?» con un incantesimo non verbale gli impedì di muoversi.
«Ti ho osservata in questi anni, sai. Molte persone vengono qui a piangere per i loro cari, ma nessuno ha una tale dedizione. O, forse, sarebbe più corretto dire ossessione» l'uomo si liberò dall’incantesimo, prendendo alla sprovvista l’ex Grifondoro.
Fece qualche passo in avanti, allontanandosi da lei, e a Hermione non rimase che seguirlo con lo sguardo, cercando di mantenersi stabile sulle gambe, che avevano preso a traballare.
«Ho fatto una domanda» ruggì lei a denti stretti.
«Sono il custode del cimitero» rispose semplicemente l'altro con il capo rivolto alla luna.
«E perché ti nascondi dietro una maschera?» controbatté, scettica.
L’uomo distolse gli occhi dal cielo, puntandoli su di lei.
«Credi che sia il solo?».
«Evita i discorsi filosofici» esclamò, brusca, resa sempre più agitata dalla sua presenza.
«Il mio viso è rimasto sfigurato» confessò finalmente.
Fu in quell’istante che un raggio della luna si rifletté negli occhi dell’uomo, o almeno quel che era visibile di questi, fornendo la prova che fossero effettivamente chiari, come lei aveva sospettato.
E soprattutto verdi.




                                                                                                         ***

 



Il custode era scomparso nel nulla, così come era apparso, gettando nello sconforto Hermione, che era tornata a casa talmente turbata da non essersi nemmeno ricordata di sfilarsi il mantello.
Non riusciva a togliersi dalla testa i suoi occhi.
Aveva provato un insieme di emozioni inspiegabili, quando li avevi visti.
E se Harry non fosse morto? E se il corpo seppellito fosse stato quello di un altro?
La speranza è la forma normale del delirio.
Scosse il capo violentemente, cercando di scrollare via quei pensieri assurdi.
Decise saggiamente di preparare una tazza di tè caldo per distrarsi dalle sue elucubrazioni mentali; mentre stava mettendo la teiera sul fuoco, qualcuno suonò al campanello, facendola sobbalzare.
Non aspettava nessuno a quell’ora.
L’unica persona a cui permetteva di venirla a trovare era Ron, ma lui era solito avvertirla prima di farlo.
Scorse una cascata di capelli rosso fuoco guardando dallo spioncino della porta. Capelli che non appartenevano sicuramente a Ronald.
Tirò un lungo sospiro, dopodiché girò la maniglia; non era proprio dell’umore adatto per ricevere visite.
Ginny la salutò calorosamente, lanciando occhiate preoccupate al fisico di Hermione, che le rimproverava essere troppo ossuto.
Hermione evitò di controbattere, d’altronde non le interessavano le prediche di Ginny, né quelle di altri.
«Sto preparando del tè. Ne vorresti un po’?» le chiese educatamente, facendola accomodare sul divano.
«Sì, ti ringrazio».
Sparì in cucina per tornare in salone con un vassoio, su cui vi erano due tazze fumanti  accompagnate da un piattino con alcuni biscotti.
«Scusami se sono venuta senza preavviso. Mi trovavo da queste parti e ho pensato di venire a trovarti», le spiegò, soffiando sulla tazza.
«Non c’è bisogno che ti scusi. Mi fa piacere» la rassicurò, sentendosi un po’ a disagio.
Lei e Ginny non erano amiche nel vero senso del termine, non si erano nemmeno trovate a parlare più di cinque volte durante gli anni a Hogwarts; era la sorella di Ron e la trovava simpatica, certo, ma tra loro non c’era quel rapporto confidenziale che si instaura fra due amiche.
Per lei era solo la sorella di Ron e la ragazza di cui si era, improvvisamente, infatuato Harry al sesto anno.
Perciò, si sentiva leggermente in imbarazzo a parlare con lei, a maggior ragione che non la vedeva da moltissimo tempo.
«Siamo molto preoccupati per te, Hermione. Specialmente Ron» le confidò, sfiorandole una mano.
Hermione non aveva ancora mandato giù alcun sorso, si ostinava a guardare il liquido all’interno della tazza come se aspettasse che, da un momento all’altro, svanisse da solo, per magia.
«Perché? Non avete motivo»
«Non mangi, ti reggi in piedi per miracolo. Passi le tue giornate al Ministero e al cimitero, senza pensare minimamente a prenderti cura di te stessa. Non parli con nessuno, solo con Ron a stento. Non puoi andare avanti così» la ammonì, severa.
Hermione si conficcò le unghie nella coscia, impedendosi di urlare.
«Con tutto il rispetto, non credo che siano affari vostri»
«Perché ti comporti così? Ron sta malissimo per te. Possibile che tu non lo capisca?» le rinfacciò Ginny, alzando la voce.
«Così come? Non faccio niente di male! Non capisco cosa vogliate da me!» esplose tutto d’un fiato, mettendosi in piedi.
In bilico tra realtà e pazzia.
«Vogliamo che tu ti renda finalmente conto che Harry è morto! È morto, Hermione! So quello che provi, non credere che non sia così. Neanche per me, che lo amavo, è facile accettarlo, ma devo. Non c’è giorno in cui non mi manchi, però ho imparato a conviverci. Dovresti farlo anche tu. Pensa alle persone che ti vogliono bene, a quelle ancora vive» l’ultima allusione era certamente riferita a Ron.
Le parole della ragazza avrebbero dovuto confortarla, aprirle gli occhi, farla ragionare; invece, ebbero un effetto del tutto contrario.
Benzina gettata sul fuoco.
«Stai zitta» digrignò i denti.
Non le diede neanche il tempo di protestare, quando vide il suo viso oltraggiato e contrariato.
«Non ti azzardare a dire che sai quello che provo. Tu non lo sai. Nemmeno lo conosci Harry! Eri innamorata del Prescelto, del Bambino Sopravvissuto, non di Harry! Dov’eri tu nei momenti in cui era triste? Quando era arrabbiato col mondo, eh? Lo sai qual è la sua torta preferita, Ginny? Dimmelo, lo sai?!» era entrata nel  labirinto del delirio e non ne sarebbe uscita facilmente.
C’è un granello di verità che si nasconde in ogni delirio.
Ginny rimase in silenzio, sconvolta, intenta a cercare nei suoi ricordi la risposta. Che non riuscì a trovare, nonostante lo sforzo.
«Già. Come pensavo. Quindi, se non ti dispiace, vattene da casa mia e non venire più a dirmi che “comprendi quello che provo”» le parole vennero abbracciate dal gesto della sua mano, che le indicò la porta.
Ginny, palesemente offesa e delusa dal comportamento di Hermione, si diresse alla porta.
«Mio fratello non merita di soffrire così per te. Anche se fai finta di non saperlo, lui ti ama» detto questo, si chiuse la porta alle spalle.
Hermione non credeva a quello che era appena successo, le sembrava che un’altra avesse preso possesso del suo corpo e avesse parlato al posto suo.
Non c'è niente di più pericoloso di una persona intelligente impazzita.






Note dell’autrice.
-“La speranza è la forma normale del delirio[Èmile M. Cioran].
-
C’è un granello di verità che si nasconde in ogni delirio[Sigmund Freud].
-
Non c'è niente di più pericoloso di una persona intelligente impazzita[Domenico Esposito Mito].

   
 
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