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Autore: xvespersgoodbye    01/03/2012    1 recensioni
Un racconto drammatico, un amore non corrisposto, un dolore più unico che raro.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una storia appena sfornata, drammatica, dolorosa. Non aspettatevi un bel finale! Un bacio,
Pia. <3
P.s Tutta per Miriana.




Non ho mai esternato le mie emozioni, mai tentato di farlo né tanto meno ho mai voluto. Sono sempre stata una ragazza chiusa e riservata, ma nel complesso socievole e con parecchi amici. Penso che il male della mia vita sia stato semplicemente quello di essere la seconda scelta per tutto e tutti. Di essere messa da parte troppo spesso, di non essere amata abbastanza, di dare troppo e non ricevere nulla in cambio. Nella mia vita mi sono dovuta fare in quattro per ottenere ciò che volevo, e a volte non sono neanche riuscita a raggiungere i miei scopi. No, la mia non è una storia triste, non è felice, non è bella, non è brutta. È una storia, e come tutti ha il diritto e il dovere di essere raccontata.
Devo ammettere che le persone per cui ho provato qualcosa siano state davvero poche, ma che nel complesso io abbia amato più di chiunque altro. Non lo dicevo a parole, ma ho sempre avuto il pregio di dimostrarlo alle persone che mi circondavano con i fatti, non sono stata ricompensata per questo, e lo sto capendo solamente adesso, a distanza di anni. Non c’è un problema in sé, a dire la verità: ognuno nella propria vita è destinato a soffrire, in un modo o nell’altro. C’è chi lo fa avendo accanto una persona chi invece si isola e preferisce non condividere con nessuno ciò che prova. Ma in ogni caso, il cuore si spezza, le lacrime scendono e il corpo richiede affetto: nessuno scampa. Il dolore è come la morte, lento e inesorabile o veloce e impeccabile arriva nelle vita delle persone senza neanche chiedere “permesso?”. Inconsapevolmente, tutti siamo destinati ad amare (anche). Lo facciamo senza accorgercene oppure siamo consapevoli di ciò che ci sta accadendo, ma lo facciamo, incondizionatamente. E non scegliamo noi di chi innamorarci. Non sappiamo neanche quale sia il criterio di ricerca, quali sensori usi il nostro corpo per trovare colui o colei che andremo ad amare per il resto dei nostri giorni. È lui, il nostro cuore, che sceglie per noi. E sceglie senza limiti di razza, di sesso, di età, di bellezza o di quant’altro, lo fa perché, in quell’istante preciso di incontri di due sguardi, prende a battere più forte. Ho sempre creduto nel colpo di fulmine, sempre pensato che esistesse e sempre lo farò. È la forma più feroce di amore, ti assale, ti prende, ti impugna, può buttarti giù in un istante eppure continuare a renderti felice, può fare di qualcuno la tua ragione di vita e poi… non ti fa respirare. È proprio quando ti si mozza il fiato che capisci di essere innamorato di qualcuno. Proprio quando, inesorabilmente, la tua anima si lega anche solo al tuo sentimento, che sei caduto nella trappola dell’amore, e non c’è nessun incantesimo che riesca a sciogliere quel legame ormai consolidato e scalfito.
A me è successo così. Un solo giorno, un solo sguardo. E tutto cambiò improvvisamente.
Ricordo ancora quel giorno di settembre, l’inizio della scuola. Credevo fosse stato un anno come tutti gli altri, in cui avrei avuto problemi con il resto del mondo, ma palesemente non fu così. In quell’anno cambiarono molte cose ma credo che la più importante sia aver trovato l’amore della mia vita. Colui che riuscì a cambiarmi dalla testa ai piedi senza neanche volerlo, amandolo capii quale fosse il bene e il male, amandolo capii cosa volesse dire soffrire, commettere errori, amandolo capii semplicemente che cosa vuol dire la parola ‘amare’. Un termine decisamente troppo usato per i miei gusti, a cui non si attribuisce il giusto significato, un verbo decisamente sminuito. Amare vuol dire accettare tutto quello che quel rapporto ti offre, vuol dire imparare dall’altro, ma anche lasciare andare. Amare vuol dire non essere egoisti, vuol dire donarsi completamente, amare vuol dire essere innamorati, amare vuol dire saper capire. Amare non è felicità, amare è saper capire quando è tempo di mettersi da parte e lasciare che l’altro sia felice, anche senza di te. Perché l’amore non è egocentrico, è un sogno lungo tutto la vita. Non è come la prima cotta. È quel qualcosa che ti porti dietro per tutta la vita e che continua a condizionare le tue scelte.
Salivo le scale con Karol, goffamente e anche abbastanza annoiata: il primo giorno, la prima sfida. Non potevo credere che l’estate fosse passata così velocemente, non potevo credere che il mio quarto e penultimo anno stesse terminando. Io, Nicole, diciassette anni compiuti qualche settimana prima dell’inizio di quell’inferno, stavo per raggiungere il luogo delle mie (pensate) sofferenze. L’aula n. 2 si trovava in fondo al secondo corridoio, accanto alla sala bilingue e al laboratorio di informatica. Mi voltai da Karol, evidentemente spazientita.
-          Passeremo un altro anno di merda. Me lo sento. – dissi, così, dal nulla. In realtà sentivo il cervello di Karol formulare mille pensieri, pensieri mai detti a voce alta ma di cui conoscevo la sostanza. Erano pensieri condivisi, oltre tutto. Non mi rispose, ma capii che era d’accordo con me.
Arrivammo all’ultimo piano, svoltammo a destra per poi trovarci di fronte ad un ammasso di ragazzi che cercavano le proprie classi, alcuni piccoli altri più grandi di me, così disinteressati alla scuola che non avevano neanche avuto la briga di andare a controllare quale fosse la loro nuova aula. Gettai un’occhiata a Karol, che intese subito il mio non essere d’accordo a tutto quello che c’era intorno a noi. Sospirammo quasi insieme. Lei era la mia migliore amica, la mia persona: l’unica che sapeva veramente tutto di me e a cui non nascondevo mai niente. Mi capiva con un solo sguardo e per me era sufficiente, non era esigente e non pretendeva tanto da me: un pregio che io apprezzavo, visto che non ero abituata a dimostrare a parole ciò che provavo. Lei sapeva che io le volevo bene, senza che glielo dicessi ogni giorno, perché conosceva anche i miei lati più oscuri, e in quei lati si celavano le mie paure, le mie insicurezze, sentimenti che, comunque, non avrei mai svelato ad una persona che per me era come il nulla. Mi voleva bene, e a me stava bene così. Sapevo che la nostra amicizia era più forte di qualsiasi cosa, ne ero consapevole e non avevo paura di quel rapporto.
Boom. Il fatidico momento. “Adesso mi si accollano tutte, chiedendomi come sia andata la mia estate, mi chiedono come sto e non le posso mandare a fanculo. Bene.” Fu davvero questo il mio primo pensiero, credetemi. Non sopportavo nessuna ragazza in quella classe, erano tutte delle oche in cerca di ragazzi cresciute a suon di soldi e vizi. Non fatte per me, con dei genitori operai, no? E così fu. Mi limitai a rispondere un “bene” biascicato e dei sorrisi sparsi qua e là. I ragazzi neanche li guardai, ancora non ero consapevole. Uno di loro sarebbe stato la mia seconda persona, più in là, ma adesso non riuscivo ancora a vedere cosa c’era veramente in lui. Era solamente un ammasso di acidume in più rispetto a tutto il resto della classe. Ero cieca, al tempo.
Le prime ore passarono molto velocemente, stranamente: i professori iniziarono subito a raffica, tanto che non mi bastarono due quaderni. Si capiva di già che il nuovo anno sarebbe stato differente da quello precedente. In ogni modo… Finalmente suonò l’ora di ricreazione. Appena aprimmo la porta, un chiasso lancinante mi invase le orecchie, non sopportavo affatto il caos. Eppure era il succo di quella scuola.
-          Acqua. Voglio dell’acqua minerale. – dissi a Karol, sapeva che non amavo muovermi dalla classe, preferivo la mia classe, quando si svuotava durante quei quindici minuti c’era un silenzio sorprendente, che amavo. Sembrava svuotarsi di pensieri stupidi, davvero.
-          Non fare la guasta feste. È un nuovo anno, mica vorrai rimanere qua da sola? Eddai Nicole. – con quelle poche parole mi smontò. Conosceva i miei punti deboli, e quelle parole “nuovo anno”, erano dei miei punti deboli. Stronza, pensai. Sbuffai e, con fare annoiato, la seguii.
La scuola pullulava di ragazzi, ma non lo avevo mai notato. Più che come “momento di socializzazione” intendevo la ricreazione come “momento per pisciare e mangiare”. Eppure era una bella cosa stare in mezzo alla gente. Mi faceva sentire meno strana e meno inopportuna.
-          Vado a prenderti l’acqua, tu resta qui. C’è troppo casino… merda – Karol rise, e io la vidi sfrecciare verso quella folla di gente. Non ricordo molto di quel momento, ad essere sincera. So solo che volevo scoprire di più di quella scuola, e come una stupida mi misi a camminare senza Karol: un brutto errore visto che conoscevo solo quel corridoio e le scale principali. Imboccai delle scale a salire, pensavo fosse una nuova costruzione, ma evidentemente non lo erano. Salii circa dieci scalini, quando qualcosa – o meglio qualcuno, mi venne addosso. Cazzo, pensai, proprio quando decido di uscire io, no? Pensavo fosse un professore che mi volesse sospendere per essere entrata in un’area riservata. Ma non era così.
-  Scusa! Ehy, ciao Nicole! – la sua voce riecheggia ancora oggi nella mia mente.
-  Hey… - dissi, timidamente.
Si può dire “hey” all’amore della tua vita?
Salutai la mia ragione di vita.
Salutai il mio universo.
Salutai il mio respiro.
Il mio cuore.
La mia testa.
La mia metà.
Lui.
  
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