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Autore: lady dreamer    02/03/2012    3 recensioni
Andrea Rovoli è un ragazzo come tanti finchè non gli succede qualcosa di inaspettato e inquietante...riuscirà a sfuggire al suo destino?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per sempre nell’abisso
 

“Signor Rovoli, le dispiacerebbe raccontare ai lettori del nostro giornale cosa le è accaduto quella sera di tre anni fa?”
Andrea aveva lo sguardo fisso sulla parete dinanzi a sé e per buona parte del tempo lo mantenne stabile sulla stampa giapponese che adornava il muro dell’ufficio anche se parlava. Durante l’intervista non guardò quasi mai in faccia il suo interlocutore come se avesse avuto la paura di trovare, nei suoi occhi, la follia del suo aggressore. Iniziò a raccontare con distacco, quasi con freddezza e per questo il giornalista lo guardava incredulo: non aveva mai incontrato nessuno come lui e, d’altronde, come avrebbe potuto?
“Doveva essere una serata come tante: il mio migliore amico aveva insistito a organizzare una festicciola d’addio poiché io dovevo lasciare l’appartamento dove abitavamo insieme nel periodo in cui ero all’università per tornare a casa mia, nel sud.”
“Chi venne invitato a partecipare alla cena?”
“Oltre noi due?”
“Certamente.”
“La sua ragazza.”
“E nessun’altro?”
“A detta di Corinna tutti i nostri compagni di corso, ma in realtà non si presentò nessuno.”
“Capisco…”
Il ragazzo scattò in piedi urlando “Lei non potrà mai capire!!! Nessuno ha mai capito, tutti voi volete solo condannare. È facile puntare il dito contro ciò che non vi fa comodo. Loro sono qui, sono intorno a noi…ci circondano e ci annienteranno…e non aspetteranno altro tempo…la loro sete non verrà placata dalle chiacchiere inutili che la gente come lei mette in circolazione!”
Due infermieri si erano avvicinati ad Andrea e lo avevano fatto accomodare nuovamente sulla poltrona del salottino con maniere poco gentili.
“Si calmi, qui nessuno vuole farle del male.”
“Qui, ma lì fuori chi ci salverà da loro?”
Chiuse gli occhi e quando li riaprì una lacrima gli imperlò il viso. Se fosse stato solo evidentemente avrebbe dato carta bianca a quello sfogo, ma in presenza di giornalisti che non aspettavano altro che la sua maschera di fierezza e forza andasse in pezzi per poter arricchirsi a sue spese, non avrebbe dato loro questa soddisfazione.
“Stia tranquillo. Partiamo dall’inizio, come si chiamava il suo amico?”
“Vittorio.” Aveva riacquistato la fermezza di prima ripromettendosi che quella sarebbe stata la prima e ultima volta che avrebbe concesso un’intervista. Voleva lanciare un appello ma, ora gli appariva chiaro, nessuno lo avrebbe preso sul serio, tutti lo avrebbero trattato come un fenomeno da baraccone.
“Cosa ricorda di quella sera?”
“Nel pomeriggio Vittorio mi aveva accompagnato all’ università a ritirare i miei documenti, poi avevamo fatto un giro per i negozi, volevo comprare un regalo a mia sorella e ai miei. Poi tornammo all’appartamento, io credevo solo per posare i pacchetti ma la sorpresa consisteva proprio in una festa a casa. Quando entrammo le luci erano tutte spente e io non sospettavo niente. Andammo in salotto: il divano, il mobile del televisore, le mensole con i libri, sembrava tutto normale, solamente ogni cosa era stranamente a posto. Io e Vittorio non eravamo poi così ordinati e la cosa mi parve strana. Poi mi resi conto che c’erano delle candele sul pavimento, sa quelle candele tonde che si usano per creare un’atmosfera ricercata e che consumandosi emettono nell’aria un profumo appena percettibile. Creavano un percorso, erano state usate  un po’ come i sassolini che delimitano i sentieri di montagna. Quelle che attraversavano il salotto in tutta la sua lunghezza erano spente, evidentemente per non farmi scoprire tutto appena entrato, ma per darmi il tempo di capire che i miei amici ne avevano organizzata una delle loro. Mentre io facevo la parte dell’esploratore Vittorio, con la scusa di andare in bagno, si era allontanato. Quando, seguendo le candele, mi imbattei nella porta del corridoio la luce si spense per farmi gustare a pieno lo spettacolo delle piccole fiammelle che vi risplendevano. La cosa mi lasciò sul momento molto perplesso: conoscendo il mio amico sapevo che non era il tipo che avrebbe potuto organizzare una cosa del genere. Evidentemente quello che vedevo era il risultato del sapiente lavoro della sua fidanzata che io non avevo ancora conosciuto. Mi recai quindi nella sala da pranzo e qui vi trovai i due organizzatori della messa in scena che mi aspettavano sorridendo. Erano appoggiati alla tavola apparecchiata per tre su cui si stagliavano due enormi candelabri, ce ne erano anche per terra e sui mobili. Io sorrisi quando mi vennero in contro e dissi subito a Vittorio “Sarebbe stata una bella idea per risparmiare sull’energia elettrica se non fosse stato necessario comperare un arsenale di candele!” lui sorrise e mi diede una pacca sulla spalla, Corinna invece rise e nel silenzio della casa semivuota la sua risata fece lo stesso effetto dei due attacchi dell’Eroica di Beethoven nella quiete di un teatro della Vienna dell’inizio del Ottocento. Lui me la presentò e lei, invece di stringermi la mano che le porgevo, mi diede un bacio sulla guancia per salutarmi come se fossimo vecchi amici. Era una ragazza bellissima dalla figura slanciata e longilinea, aveva una nuvola di capelli lunghi e ricci, neri come la pece, con leggere sfumature viola. Indossava un vestito blu notte sopra il ginocchio e calzava un paio di stivaletti bassi con un tacco sufficientemente alto per dare slancio alla sua figura ma non tanto da impedirle di correre se avesse voluto. Era un abito senza maniche monospalla con una scollatura quadrata. Non dava l’idea di avere freddo nonostante fossimo in inverno e un vento gelido si abbatteva su chiunque fosse per strada. In casa non faceva particolarmente caldo e se io stavo bene con il mio maglione di cotone felpato dubitavo fortemente che potesse essere lo stesso per Corinna. Il suo vestito sembrava avere un taglio estivo, le lasciva le braccia e gran parte delle gambe nude e quando io espressi preoccupazione per la sua salute, lei mi rispose di non preoccuparmi e per tranquillizzarmi si mise uno scialle dello stesso colore del vestito e mi fece notare che aveva dei guanti alle mani, l’unica parte del corpo dove avvertiva freddo. Ricordo che erano neri, ma mi parvero macchiati di rosso. Vittorio sembrava abituato al comportamento della ragazza e mi sorrise scuotendo la testa.
Io chiesi degli altri e Corinna mi rispose che pochi avevano detto che sarebbero venuti ma all’ultimo momento le avevano comunicato che, chi per un motivo, chi per un altro, non avrebbero potuto recarsi alla festa.
“Saremmo solo noi” concluse “ti dispiace?” e mi rivolse uno sguardo che mi sforzavo di fraintendere. Era come se, in qualche modo, fosse attratta da me. O da qualcosa di me, pensai in seguito.
Ci accomodammo a tavola, Corinna mi fulminò quando chiesi con timore se avremmo potuto accendere la luce e mi disse che sarebbe andata in fumo tutta l’atmosfera. Volsi uno sguardo alle finestre e vidi che erano state tirate le tende. Era scomparso il crocifisso di legno che mia madre aveva tenuto a appendere lei stessa vicino al camino, dove i ciocchi di legno ardevano per produrre calore. Chiesi sottovoce a Vittorio il perché e lui mi rispose dicendo che Corinna era atea e lui l’aveva tolto per farle piacere. La ragazza tornò sorridente dalla cucina con un vassoio in mano. Fu allora che vidi che aveva due canini più pronunciati del normale. Mi balenò in mente un’idea assurda, mi dissi che era una sciocchezza. Mi chiesi se fosse possibile che la mente del mio amico non fosse attraversata dai miei stessi tempestosi pensieri. Abbandonai quelle considerazioni con la stessa irruenza di quando si va a buttare l’immondizia nel cassonetto. Poi lei ci porse i nostri piatti con un antipasto a base di pesce e ci disse che non avrebbe mangiato con noi perché non aveva appetito. Vittorio insisté e le rispose che avrebbe dovuto mangiare qualcosa anche se non aveva fame per sostenersi. Lei respinse la proposta e lui continuò ingenuamente a chiederle di mangiare per amor suo. Io avrei potuto sgattaiolare senza essere visto ma no, non mi mossi e continuai a dirmi che era una coincidenza, che era una ragazza che ci teneva alla linea, che se fosse stata quello che immaginavo Vittorio se ne sarebbe accorto. Lei all’ultima proposta non riuscì più a trattenersi e quando io, per evitare l’inevitabile, le dissi che se non voleva prendere parte alla cena non ci saremmo offesi, lei mi lanciò uno sguardo che non potrò mai dimenticare. Mi si avvicinò e, fissandomi con i suoi occhi da assassina, mi accarezzò una guancia con la mano destra, fu allora che guardai con attenzione il suo guanto, era davvero macchiato. Era macchiato di rosso. Era macchiato di sangue. Ed ebbi la convinzione che presto lo sarebbe stato anche del mio.
Vittorio si rese conto di quello che stava accadendo troppo tardi per salvare entrambi, ma abbastanza in fretta per salvare me. Cercò l’aglio in cucina ma non ce n’era traccia. Tornò in salotto e mi vide accasciato a terra, avevo cercato di dibattermi e di divincolarmi ma Corinna non aveva impiegato molto tempo a rendermi inoffensivo. Si stava sedendo accanto a me e io ero sicuro di essere  spacciato. Stavo recitando le mie ultime preghiere e mi auguravo di non soffrire. Fu allora che Corinna mi sussurrò che mi avrebbe ucciso, mi disse che sarebbe stata una morte dolce, io ne dubitavo fermamente ma ormai mi ero rassegnato. Vittorio invece non si era arreso. Arrivò dove io pensavo che la mia vita avrebbe visto il suo tramonto e si interpose tra me e  la mia assassina e le fece l’appello disperato di nutrirsi con il suo sangue invece del mio. Stava rischiando la sua vita per salvare la mia e io capii non dovevo lasciarmi scappare quell’opportunità perché sarebbe stata l’ultima. Corinna si alzò e lo strinse a sé sussurrandogli che per lui aveva altri progetti. Mentre lui prendeva tempo io mi alzai e riuscii a sgattaiolare fuori dalla loro immediata portata. La ragazza però non si lasciò ingannare da quell’espediente banale e mi disse “Andrea, ma dove vai? La festa è in tuo onore e vuoi andartene senza regalo? E noi che amici siamo se te lo lasciamo fare?” si voltò verso Andrea e gli chiese “Giusto caro?”
Fu in quell’attimo che capii che aveva trasformato anche lui in un vampiro e che, essendo giovane e inesperto, Vittorio mi avrebbe ucciso senza pietà e avrei sofferto molto di più, non mi avrebbe regalato una morte dolce, ma avrei sofferto doppiamente perché sarebbe stato proprio il mio migliore amico il fautore delle mie sofferenze. Allora corsi senza voltarmi indietro e mi sbattei la porta alle spalle. L’ascensore era occupato e il neon delle scale era spento e mentre cercavo al buio l’interruttore la porta di quella era che stata casa mia si aprì, Vittorio e Corinna ne uscirono fuori. Io avevo la sensazione di essere già morto. L’ascensore arrivò al piano e riuscii a infilarmici solo per puro miracolo. Noi abitavamo al sesto piano di uno stabile che si affacciava su una strada trafficata dove c’era una fermata dei taxi. Appena uscii dal portone corsi con le ultime forze che mi erano rimaste al primo taxi della fila. Sentivo il fiato sul collo dei miei inseguitori. Avevo paura che il tassista stesso fosse un vampiro, fortunatamente non lo era. Gli chiesi di portarmi all’aeroporto e mentre la vettura si allontanava li vidi corrermi dietro. E allora…”
“Allora?”
“Allora scoppiai a piangere e raccontai all’autista tutto quello che era successo. Sbagliai, lui fece inversione di marcia e mi portò in una struttura psichiatrica.”
“E lì cosa successe?”
“Io non ero pazzo ma per poco non lo diventai. Mi misero in isolamento e tutti i giorni da me si recava uno psicologo che voleva convincermi che le mie “allucinazioni” erano dovute a dei traumi subiti durante l’infanzia. Alla fine mi convinsi che aveva ragione…sa è più facile ricordare le cose spiacevoli sotto forma di incubi che come realtà. Un giorno mi disse che c’erano delle visite per me. Mi trovai di fronte Vittorio e Corinna, sembravano persone normali e io mi ero convinto che  tutto ciò che era successo fosse solo un incubo. Li salutai, li abbracciai. Loro mi dissero che se non fossi diventato uno di loro avrebbero ucciso tutta la mia famiglia. Io risi, pensai ad uno scherzo. Li lasciai andare via…e non me lo perdonerò mai…”
“Cosa accadde?”
“Quando uscii dalla clinica tornai a casa e scoprii che mia madre, mio padre e mia sorella erano stati brutalmente uccisi, i cadaveri erano stati portati via ma i miei “amici” ebbero il riguardo di lasciarmi le loro foto in una busta gialla. Non ebbi il cuore di aprirla, la buttai nel fuoco per disfarmi per sempre del suo contenuto. Capisce, era colpa mia…era tutta colpa mia!”
 
Poco dopo aver rilasciato questa intervista Andrea si tolse la vita. Al funerale poche persone care, pochi amici di università. Nessuna traccia dei due vampiri.
Passarono i giorni, gli anni. Sulla sua tomba ogni giorno venivano portati dei fiori freschi. Un giorno il custode del cimitero vide un foglio ai piedi della lapide al posto dei fiori. Pensò che fosse carta straccia e si avvicinò, lo prese e vi lesse quanto segue…
“Andrea,
lo so che non potrai mai leggere questa lettera e so che è colpa mia. È passato un numero sufficiente di anni dalla trasformazione e finalmente ho il pieno controllo di me. Non avrei dovuto fidarmi di Corinna, ma puoi starne certo, amico mio, non ne sapevo niente. Se ho fatto ciò che ho fatto è perché quando sei quello che sono io adesso e sei inesperto, non ti controlli e il tuo unico obiettivo è soddisfare i tuoi istinti. La morale si annulla e l’io ha il libero arbitrio. Corinna poi mi ha spinto a fare cose orribili perché tu sei stato l’unico che non ha voluto collaborare, l’unico che non è riuscito a uccidere o a trasformare. E questo ti fa onore. Sai quanto bene volevo a tua sorella e sai anche che se fossi stato in me non l’avrei uccisa. Non chiedo di perdonarmi e neanche di capirmi. Voglio solo che tu lo sappia. Nient’altro…come voglio che tu sappia che ho ucciso Corinna. Te lo dovevo. Ricordi? Eravamo amici una volta…
Vittorio.”     

 

  
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