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Autore: MoonRay    04/03/2012    2 recensioni
“ Il sole. Splende.
Non è una giornata bellissima?
Certo. Lo sai anche tu che è una giornata bellissima.
Tutti lo sanno, perchè... tutti pensano alle giornate soleggianti.
Ma per qualcuno non è un giorno in cui il sole può splendere, anzi, aspetta solo che piova, per vedere tutti agitarsi come delle formiche quando qualcuno gli passa troppo vicino, solo per qualche goccia d’acqua, gettando tutti enesorabilmente nel caos.
Aspetta che qualcuno alla fermata dell’autobus gli chieda “che bel tempo, vero?” per rispondere in un qualsiasi modo, purché sia normale! Tutto deve essere normale.
O almeno... dovrebbe.”
Un tuffo nel passato di Joker da “Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan”.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Too Serious To Smile



 
Bruce era in piedi nell’affollatissimo vagone metro, tra gente che non conosceva e di cui ignorava l’esistenza.
Qualcuno startunitì e cercò un fazzoletto nella tasca del cappotto, creando scompiglio tra chi gli stava vicino e doveva subire i suoi movimenti.
Era una bella giornata e faceva anche piuttosto caldo per essere solo la fine di Gennaio; ad incorniciare il quadro si univa l’afa della metro stracolma.
Le porte si aprirono riversando un fiume di gente nella stazione; una folata d’aria fresca entrò dai finestrini per essere subito risucchiata dalla seconda mandria che saliva sul treno.
Il signore accanto lo spintonò, cercando di farsi posto dove non c’era.
 
Arrivato in ufficio si sedette già esausto sulla sua solita scomoda sedia.
Il suo “ufficio” era un buco in uno sperduto angoletto, di un altrettanto sperduto piano in un qualsiasi palazzo, dove impiegati come lui lavoravano da mattina a sera per uno stipendio a dir poco basso.
Avviò il computer che partì lentamente con uno stanco ronzio. In quel luogo non c’era assolutamente niente che lo distinguesse.
Sperò che il suo capo non si accorgesse del suo ennesimo ritardo, ma non passò molto che un uomo largo due volte la sua altezza, strizzato in un giacca e cravatta che lo rendeva ancora più grasso, si avvicinasse a lui.
 
-Anche oggi sei in ritardo, Bruce.- disse Charlie, con il tono autorevole e strafottente che gli riservava.
 
Bruce deglutì.
 
-Mi scusi, signor Collins.- rispose lui.
 
-Stasera fai due ore in più. Non ti azzardare ad alzare il culo finché non te lo dico io.-
Charlie notò la sua aria afflitta, più del solito.
 
-Perché sei così serio?-
 
Detto questo, sparì in qualche corridoio che sarebbe difficilmente riuscito a contenerlo, sghignazzando tra sè e sè:
 
-"Perché sei così serio?!" bella questa Charlie.-
Bruce chinò la testa sullo schermo iniziando stancamente a lavorare e quando la rialzò erano le sei e mezza di sera; la scrivania era piena di scarti di cibo-spazzatura e di altrettanti bicchieri di caffè.
Una rapida occhiata in giro gli disse che l’orario di lavoro era passato da un bel po’, data la grande quantità di posti vuoti e luci spente.
Si alzò debolmente iniziando a sparecchiare la scrivania e cercare di tornare a casa in tempo per la cena.
 
Quando fu a casa, di fronte alla porta, stanco e sfigurato, attese pazientemente che Rose rispondesse alla chiamata del campanello.
Un lieve rumore di passi si avvicinò alla porta.
Il tempo di togliere il chiavistello e fu in casa.
 
-Sei di nuovo in ritardo.- lo rimproverò subito la moglie.
 
-Scusa, mi hanno trattenuto a lavoro.-
 
-Ti trattengono sempre a lavoro.- rispose lei, dirigendosi in salone attraverso il breve corridoio.
 
Un lieve sospiro sfuggì dalle labbra di Bruce.
 
-Tesoro, ne abbiamo già parlato tante volte...-
 
-Ed ogni volta non abbiamo concluso niente.-
 
Bruce, tolto il cappotto e lasciate le scarpe insieme alla sua ventiquattrore nell'ingresso, attraversò il corridoio passando di fronte allo specchio: delle profonde occhiaie calcavano il tratto degli occhi, incorniciandoli; erano nere e marcate.
La bocca non manifestava nessuna emozione, era seria; le poche rughe che gli attraversavano il viso erano per la maggior parte situate sulla fronte, mentre un lieve pallore completava il suo aspetto.
Scorse per un momento il suo riflesso, e lo ignorò, poi raggiunse Rose, che preparava la cena in cucina.
 
Le accarrezzò una spalla, ma prima che potesse parlare lo fece lei:
 
-Sei sottopagato e ti chiedono anche gli extra; se si lamenta tanto, quel Collins, che arrivi sempre in ritardo potrebbe aumentarti lo stipendio in modo da permetterci una macchina!-
 
-Sì, Rose, hai ragione...-
 
-Dovresti chiedere un aumento, o almeno di farti lavorare per quello che ti pagano, a proposito: è arrivato un sollecito dalla banca e ci sono le bollette da pagare...-
 
Le parole della moglie si persero nei fumi della cena che Bruce mangiò senza appetito, mentre faceva finta di ascoltarla.
Dopo di che sparì subito nella loro camera spogliandosi e gettandosi sul letto.
Si passò le mani sul volto, stravolto... esausto.
La moglie lo raggiunse poco dopo sdraiandosi accanto a lui.
Bruce si voltò verso di lei: era veramente bella, bellissima.
La guardò negli occhi e le rivolse una carezza; Rose iniziò a baciarlo, prima dolcemente, poi sempre più passionale.
Bruce ricambiava il suo amore, l’affetto che gli offriva, ma tutto ciò sembrava non bastarle.
In fine si staccò scappando sotto le lenzuola fresche di bucato.
 
-Perché sei sempre così serio?-
 
 

***

 
 
Alle sette suonò la sveglia.
Come una marionetta seguì i fili dei suoi burattinai per tutto il giorno: dopo un’ora era sul treno, sempre e costantemente in ritardo.
Appena sceso respirò avido una boccata d’aria pulita, anche se pulita non era, e non era avido, è solo un termine per cercare di definire ciò che dovrebbe essere la normalità ed erano solo i suoi polmoni a cercare qualcosa che non fosse smog. Era forse lui che sudava mentre correva cercando di arrivare in tempo in ufficio?
Era un involucro.
 
“Un altro giro, un’altra corsa.”
 
Collins lo rimproverò per la sua solita inefficenza, staccò tardi, tornò a casa, discusse con la moglie e di nuovo a letto per un’altra giornata.
Così il giorno dopo, e quello dopo ancora, e quello dopo il giorno dopo ancora, e via dicendo.
Erano tutti uguali.
Non solo i giorni, ma anche le persone che incontrava, ciò che mangiava, qualunque cosa!
Tutto e tutti erano niente, e il niente lo ignorava.
Il mondo continuava a girare, giorno e notte si alternavano ritmicamente.
L’automa ogni giorno usciva dal suo guscio ubbidendo al mondo.
Ogni giorno un errore, era un errore; semplicemente sbagliato.
Una mattina si alzò... come sempre. Sempre uguale a sempre.
Arrivò tardi.
 
-Quante volte devo dirti che non tollero i ritardatari!-
 
-Mi scusi, signor Coll...-
 
-Sempre “mi scusi”, “mi dispiace”, “mi scusi, signor Collins”,- lo scimmiottò Charlie enfatizzando la sua voce, -quando imparerai ad arrivare puntuale, eh?-
 
Bruce potè solo abbassare lo sguardo, essere schiacciato dal sistema che lo circondava, perire sotto il suo peso.
 
-Non ignorarmi! Guardami mentre ti parlo.-
 
Bruce alzò lo sguardo su di lui; Charlie lo guardò:
 
-Perché sei sempre serio? Eh, Bruce?-
 
Quest’ultimo impallidì più di quanto il suo chiaro colorito gli permettesse.
 

“Perché sei così serio?”

 
 

***

 
 
Ancora, ed ancora staccò a tarda ora.
Suonò al suo campanello, ma dopo qualche minuto di attesa fuori al freddo tirò fuori le chiavi, sbuffando.
Fece scattare la serratura.
 
-Rose, sono a casa!-
 
Superò l’ingresso ignorando lo specchio, non vide neanche il cartone della pizza sul tavolo. Si trascinò su per le scale andando subito in camera; la porta del bagno era aperta ed un leggero vapore scaldava la stanza.
Bruce si affacciò piano.
Rose era sotto la doccia, sarebbe andato subito a dormire; e lo avrebbe sicuramente fatto se l’occhio non gli fosse caduto sul test di gravidanza, inevitabilmente negativo, nel cestino accanto alla porta.
Bruce lo fissò per un istante, poi riaccostò la porta del bagno, uscendo.
 
Una brezza, leggermente meno fresca aveva incominciato a farsi sentire agli inizi di Febbraio, annuciando che la parte più rigida dell’inverno era passata.
Era un’altra insopportabile giornata di sole, quando Bruce uscì di corsa di casa.
Perse il treno che era appena passato facendo più tardi del solito.
 
-Basta. Con me hai chiuso, non voglio più vedere la tua faccia da cazzo qui, chiaro?! Sei licenziato!-
 
 

***

 
 
Il pugno lo colpì in pieno viso, centrando l’occhio e spedendolo spalle a muro.
Bruce, accecato dal dolore, tentò di allontanarsi, ma uno spintone lo fece piombare a terra.
 
Dylan gli si avvicinò:
 
-Allora... caro, innocente, Bruce! Che cosa vogliamo fare? Me li vuoi ridare i miei fottutissimi soldi?!-
 
Tirò il cane della revolver.
 
-Li troverò! Dammi ancora tre giorni.- ansimò Bruce, le frasi spezzate dal respiro irregolare per il dolore.
 
-Tre giorni?!- inveì Dylan, puntandogli contro la pistola, -forse non mi sono spiegato: tu non hai più tempo.-
 
Per Bruce ogni respiro era una stilettata di dolore, ma la vista della pistola non lo spaventava: accoglieva ogni tormento come una benedizione.
 
-Perché sei così serio?- domandò lui, ironico, mentre un sorrisetto sadico gli si allargava agli angoli della faccia.
 
Dylan sghignazzò tra sé e sé.
 
Chiuse gli occhi, aspettando che il mondo iniziasse a sgretolarsi al suono della pistola.
Bruce sospirò, attendendo il colpo.
 
-Tre giorni.-
 
 

***

 
 
Quando Rose tornò a casa, troppo presto dato il solito orario di rientro del marito, trovò la porta chiusa dall’interno.
Sorpresa suonò il campanello attendendo impaziente che Bruce le aprisse.
Il volto le si illuminò in un sorriso al pensiero che il marito la stesse aspettando con qualche parola dolce pronta per lei, ma subito si spense quando le si parò di fronte un Bruce barcollante con una bottiglia di birra in mano.
 
-Mio Dio...- esclamò la donna, -ma che cosa...?- le parole le morirono in gola quando si accorse dell’occhio gonfio e nero che spiccava sul viso di Bruce.
 
Rose entrò in fretta in casa chiudendo a chiave la porta.
 
-Sono stati loro, vero? Bruce, dimmi, sono stati loro?!- chiese la donna agitatissima.
 
-E chi vuoi che sia stato? Io? Quelli volevano i loro soldi, sono venuti qui e li hanno cercati.- farfugliò in preda ai fumi dell’alcool.
 
-Ti sei di nuovo ubriacato?- Rose notò le carte da gioco sparse sul tavolo,
 
-E hai giocato d’azzardo?-
 
-Io? No!- sghignazzò Bruce scoppiando a ridere.
 
-Mi avevi giurato che non lo avresti più fatto!- gridò lei fuori di sè.
 
-Li hai chiamati tu, loro non sarebbero venuti così, di punto in bianco.-
 
-Amore, è tutto a posto...- iniziò Bruce, avvicinandosi a lei con fare apprensivo per farle una carezza.
 
-Non toccarmi!- tuonò Rose, trappandosi la sua mano dalla guancia.
 
Bruce rimase pietrificato. Per un momento credette di essersi addormentato, perso in un punto poco interessante di fronte a sè se non in una dimensione totalmente estranea. Forse quasi sereno...
Buttò nel secchio la bottiglia oramai vuota che urtò le altre tre.
La moglie gli dava le spalle, leggermente scossa dai singhiozzi mentre le lacrime le deturpavano il volto, tramutandolo in una maschera di dolore.
Bruce si reggeva a malapena in piedi.
Salì barcollando le scale issandosi grazie al corrimano delle scale che gli permetteva di tenere le gambe quasi salde, rischiando comunque di inciampare più di una volta.
La voce rotta di Rose lo raggiunse dal piano di sotto:
 
-Non è così che risolverai i nostri problemi!-
 

-Perché sei così serio?-

 
 

***

 
 
I giorni successivi all’accaduto passarono monotoni; Rose non gli aveva ancora rivolto parola e Bruce, recuperata un po’ di lucidità, aveva smesso di esistere per chiunque.
Le prime giornate di una piacevole primavera avevano iniziato a farsi sentire, nonostante il clima di Bruce mutasse sempre, ma restando apparentemente calmo, quando a tre giorni esatti dall’avvenimento i suoi cupi pensieri vennero interroti da un intenso bussare alla porta.
Bruce si alzò dal divano, attraversando il corridoio passando di fronte allo specchio.
Si rispecchiò. Sorrise.
La televisione creava un chiacchiericcio di sottofondo.
Aprì la porta senza mettere il chiavistello o controllare chi fosse dallo spioncino della porta, sapendo già chi fosse.
Non aspettava altri.
Era anche riuscito a convincere Rose a non stare in casa per quella giornata, dicendo che forse aveva bisogno di un po’ di tempo per se stessa; sicuramente non era stato difficile convincerla, aveva pensato Bruce quando alla sua domanda benevola aveva risposto “almeno siamo d’accordo su qualcosa.”
Dylan e Jude entrarono in casa sbattendo la porta, mentre Bruce li raggiungeva con passo lento.
Il più alto, Dylan, si guardò in torno; attraversò il salone per poi passare alla cucina; poi guardò Bruce con aria compiaciuta:
-Non hai perso tempo a cancellare le tracce.- disse, indicando l’occhio meno gonfio, -Eh, bravo il nostro Bruce...-.
 
Lo strozzino gli si avvicinò dandogli un buffetto sulla guancia, appena sotto l’occhio nero.
Bruce non accennò a mostrare alcuna sensazione di dolore o fastidio.
 
-Ma forse avresti dovuto muovere il culo e cercare i soldi che ci devi.-
 
Jude intanto si godeva la scena, mentre accendeva una sigaretta traendone una profonda nuvola di fumo che iniziò ad invadere la casa.
Bruce estrasse una busta piuttosto voluminosa dalla tasca posteriore dei pantaloni; la sollevò all’altezza dei loro volti facendola teatralmente roteare nella propria mano.
 
Dylan e Jude guardavano l’oggetto:
 
-Adesso ci capiamo.- disse il primo.
 
-Come hai rimediato i soldi?- continuò.
 
Bruce guardò di sfuggita la busta.
 
-Avevo qualcosa da parte.- rispose, infine.
 
Dylan si avvicinò per prenderla, ma la mano di Bruce si allontanò mantenendo la stessa distanza di prima tra la busta e l’uomo.
 
-Giochiamo un’ultima partita,- esordì Bruce, -vi pago, sparite e chiudiamo i conti. Per sempre.-
 
Dylan si lasciò andare ad una fragorosa risata, seguito da Jude che rise scompostamente, imitandolo.
Anche Bruce scoppiò a ridere insieme a loro.
 
-E che cosa ci guadagniamo, eh? Una partitina in nome dei vecchi tempi e di un’amicizia mai esistita?-
 
Bruce tornò improvvisamente serio.
 
-Perché no?-
 
 

***

 
 
La busta con i soldi era nel “piatto” insieme alle fiches.
Jude aveva buttato giù le carte, scoraggiato dalle puntate dei due uomini, abbandonando la partita.
Rimanevano Dylan e Bruce.
Il tavolo della cucina era invaso dalle carte ben sistemate e dai posacenere pieni di mozziconi e cenere dalle varie sfumature grigiastre.
Un alone di tensione avvolgeva i due uomini rimasti in gioco, mentre Jude aspettava pazientemente la fine della partita accendendosi l’ennesima sigaretta.
Dylan lanciò un’occhiata al suo sfidante cercando di intuire la sua prossima mossa, come se i suoi occhi potessero riflettere le carte che aveva in mano.
In fondo non si stavano giocando nulla, ma per entrambi la posta in gioco sembrava essere alta.
Erano tutti assorti nel silenzio della casa quando Jude lo interruppe bruscamente:
 
-Io esco un attimo.-
 
Dylan gli lanciò un occhiata complice che il compagno parve non cogliere, ma essendo già a conoscenza del piano lasciò che il compagno uscisse.
 
-Allora, Bruce. Che facciamo?-
 
-Due fiches per vedere.- rispose Bruce, aggiungendo i pezzetti di plastica sul piatto.
 
In tutta risposta Dylan ne mise quattro. Bruce aggiunse la differenza.
 
-Sei sicuro di te, oggi.- disse Dylan, sorridente.
 
-Mai stato così sicuro.-
 
Dylan calò le carte sul tavolo, in modo che fossero in bella vista.
Colore: cinque carte di cuori.
Lo strozzino spense nel posacenere la sigaretta guardando soddisfatto la sua mano ed attendendo quella di Bruce, fissandolo ostinatamente, sicuro di aver già vinto.
Bruce calò le sue carte fissando l’avversario a sua volta, serio.
Il sorriso che brillava sul volto di Dylan passò su quello di Bruce.
Lo sguardo dei presenti si spostò sul poker d’assi di Bruce ed il Jolly che lo accompagnava.
Delle risate isteriche invasero la stanza; nessuno dei due riusciva a trattenersi mentre si sganasciavano dal ridere, come se volessero slogarsi le mascelle per farle risuonare ancora più forti per la casa sino a farsi sentire chissà dove.
Bruce smise improvvisamente di ridere; Dylan si asciugò del sale all’angolo degli occhi, mentre si teneva la pancia cercando di recuperare la calma e tornando a respirare regolarmente.
 
-Perché così serio, vecchio amico?-
 
Si alzarono dal tavolo nello stesso istante in cui l’odore penetrante della benzina li raggiunse.
Sulla porta della cucina stava Jude con una tanica di benzina ancora mezza piena, questa volta ben attento a non accendere nessuna sigaretta.
 
-Non prendeterla, Bruce- iniziò Dylan, -è solo questione di affari. Niente di personale.-
Bruce continuava a fissarlo.
 
-Affari...- disse, per poi riprendere a ridere.
 
Dylan lo mandò carponi con un pugno, ma Bruce non smise di ridere; intanto Jude stava spargendo il resto della benzina nella cucina per poi passare al piano superiore.
 
-Niente di personale!- continuava a ripetere, a ridere, Bruce.
 
Un calcio allo stomaco gli mozzò il fiato, facendolo contorcere a terra per il dolore, o meglio...  “piegare in due dalle risate”.
 
-Mi state facendo “morire” dal ridere,- continuava a ridere ossessivo, -ed io sono troppo divertente.- mormorò, infine tra sé e sé, compiaciuto.
 
La puzza di carburante era ovunque.
Bruce si alzò barcollando ancora sghignazzante facendo forza per tirarsi , mentre Dylan lo guardava come frastornato.
 
-Dylan, perché così serio?- chiese Bruce.
 
Quest’ultimo afferrò velocemente il coltello che aveva avuto in tasca sin dall’inizio di quella serata.
 
-‘Sta sera non hai la tua pistola, che peccato.-
 
Dylan sgranò gli occhi nel comprendere la situazione in cui si trovava.
Jude era sicuramente da qualche parte della casa, ma non poteva sentirli se Bruce gli puntava la lama contro la gola intimandogli di tacere come stava facendo adesso.
L’uomo sotto la sua lama tremava come una foglia guardando il suo aguzzino; Dylan sudava freddo mentre i suoi occhi lo trapassavano da parte a parte come avrebbe presto fatto anche la lama.
 
-P-prenditi i tuoi soldi, m-ma t-ti prego, non uccidermi.- ansimò appena Dylan.
 
-Non sono come voi; non cerco soldi, droga o roba simile, io. Sono più un tipo... dai gusti semplici.-
 
Bruce si passò la lingua tra le labbra secche.
 
-Dimmi che cosa vuoi. P-posso darti tutto!-
 
L’altro uomo scoppiò nuovamente a ridere, per poi tornare non completamente lucido.
 
-Ed allora dimmi, Dylan: perché sei così serio?-
 
-Che c-cosa?- chiese quest’altro tremante ed impaurito.
 
-Perché sei così serio?-
 
Il sangue denso e caldo invase la mano di Bruce stretta al manico del pugnale nello stomaco di Dylan; si accasciò quasi subito a terra iniziando a ricoprire il pavimento di quel  rosso viscido che andava mescolandosi al combustibile.
Bruce raccolse la busta, la osservò un’istante per poi gettarla nel lavandino; sfilò l’accendino dalla tasca e diede fuoco alla carta che prese a contorcersi tra le fiamme.
 
“Tutto brucia.”
 
La voce di Jude lo raggiunse dalle scale:
 
-Ehi, Dylan! L’hai già fatto fuori?-
 
Appena passato l’ingresso della cucina Bruce lo aveva già preso alle spalle puntandogli il solito coltello contro la schiena.
 
-Sì, Jude. L’ho fatto fuori.-
 
Bruce lasciò perdere il corpo morto davanti a lui quando un movimento alle sue spalle catturò la sua attenzione.
Si materializzò sulla superficie riflettente dello specchio; si alzò, avvicinandosi ad essa per studiarla da più vicino. Il coltello nella mano destra gocciolante di sangue, il volto quasi estraneo e nessun pensiero, se non: “Perché sei così serio?”
Ma qualcos’altro catturò nuovamente il suo interesse.
Da sotto la scarpa staccò una carta bagnata: il Joker. La fissò intensamente per poi portarla accanto al viso e confrontarla, paragonarla al suo riflesso.
Inserì la carta nella cornice. Continuava a fissarsi per poi passare le sue attenzioni alla carta. Guardò prima lui, poi il jolly. Ancora ed ancora.
 
-Perché sei così serio?-

 

“Perché sei così serio?”

 
-Eh, Bruce? Perché. Sei. Così. Serio?!-
 

“Perché sei così serio?”

 
-Perché... sei così serio?!-
 
Portò la lama alle labbra. Accarezzò il filo con la lingua.
La mise in bocca.
Il sapore del loro sangue, il sapore che ha il peccato, ma con un retrogusto di vita.
 

Aberrante. Perverso.
E straziante. Terribilmente... straziante.

 
-PERCHÉ SEI COSÌ SERIO!-

 

“Perché sei così serio?”

 
 

***

 
 
-Bruce, hai lasciato il gas aperto?-
 
Rose entrò in casa lasciando la borsa nell' ingresso.
 
-Bruce?-
 
La mancata risposta del marito iniziava a farla preoccupare, ma ancor di più era l’odore di benzina che soffocava la puzza del fumo, il tutto accompagnato dall’immagine dello specchio infranto dinanzi a sé.
Alcuni frammenti erano chiazzati da gocce vermiglie ed il pavimento era ricoperto da ciò che ad occhio nudo poteva sembrare acqua mischiate a ciò che era inconfondibilmente sangue.
 
-Bruce?!- chiamò nuovamente Rose, agitata.
 
L’infrangersi dei frammenti anticipò Bruce nell' avvertire Rose che era in casa.
L’uomo aveva la testa china e la donna non riusciva a vederlo in faccia. Non ancora.
 
-Dio Santo! Bruce, cos’è successo?-
 
Rose avanzò verso di lui, ma passò oltre andando subito a controllare la casa che non era nelle migliori condizioni, forse lo sarebbe stata se non fosse stato per i due cadaveri nel bel mezzo della cucina e la benzina ovunque.
Sgranò gli occhi nel constatare che cosa doveva essere successo, mentre lei era via. Le sfumature delle emozioni che provava passarono poco a poco sul suo volto: per la paura seguita dallo sgomento, poi rabbia, un’immensa rabbia ed infine una paura più grande della precedente... puro terrore.
Quando riportò la sua attenzione a Bruce era alle sue spalle accompagnato da due orrende cicatrici.
Il macabro urlo di Rose riempì le loro orecchie a quella vista: lo sfregio gli apriva gli angoli della bocca sfigurandogli il viso in una maschera di felicità inesistente, la pelle bruciata da un tizzone ardente aveva arrestato l’emorrargia carbonizzando il sangue ai bordi dei tagli slabbrati ed irregolari, ma che continuava a tingere il volto di Bruce.
 
-Bentornata a casa, amore.- disse lui, sardonico, estendendo ulteriomente il sorriso su quel volto sfregiato.
 
-Che cosa hai fatto a mio marito?- riuscì ad articolare Rose quasi sussurrando.
 
-Non mi riconosci, Rose?- una risata, -Sono io, tuo marito, Bruce.-
 
L’occhio della donna cadde sul coltello nella mano destra dell’uomo, non più quello che conosceva, innanzi a lei. Indietreggiò sino ad incontrare il muro.
 
-No, Rose. Non devi p-preoccuparti...-  Bruce si passò la lingua vicino ad una delle cicatrici, -... non farò lo stesso anche. A te. Non a te. Almeno.-
 
Una risata spietata, sguaiata uscì dalla sua bocca.
 
-Che cosa hai fatto? Bruce! Che cosa hai fatto?!- urlò Rose sgomenta, iniziando a piangere.
 
-Stai zitta!-
 
Bruce la afferrò per la gola poggiando il filo del coltello su una sua guancia.
 
-Sh... fai silenzio.- le sussurrò Bruce.
 
Rose tremava spaventata sotto la sua stretta morbosa, estranea, folle.
Anche Bruce tremava, forse per l’adrenalina ancora in circolo o per ciò che stava facendo, ma non avrebbe saputo per definire le sue sensazioni.
 
-Sembri agitata; è per le cicatrici?-
 
Sorrise ancora, anche se il sorriso non gli mancava, non più oramai.
 
-Vuoi sapere come me le sono fatte? Sì? Allora chiedimelo!- tuonò lui.
 
Rose sussultò sotto la sua presa.
 
-Co-me t-ti sei fat-to... le cicatrici?- riuscì a spiccicare.
 
Rose chiuse gli occhi, vietandosi di vederlo.
 
-GUARDAMI!- gridò Bruce.
 
Rose riaprì gli occhi ignorando la repulsione che ogni cosa di lui le trasmetteva.
 
-Sai, Rose, io ti amo tanto. Ti ho sempre amato.- iniziò a parlare quando sembrò aver recuperato la calma.
 
-Ma per te non era mai stato abbastanza.-
 
-Tu sei pazzo.-
 
-No. Per. Niente.-*
 
La guardò serio.
 
-Non ho... mai. Capito. Che cosa realmente volessi. E ora...-
 
Inclinò leggermente la testa verso la spalle guardando le sue belle labbra. Fece scorrere la lama tagliente fino a far pressione all’angolo della bocca, quasi volesse strapparglielo.
Rose avrebbe tentato di dire qualcosa in sua difesa se non fosse stato per la minaccia imminente che rappresentava il coltello perennemente sulla sulla bocca, pronto a sfregiare anche lei. L’odore di carne bruciata le dava il voltastomaco ed il sangue sparso vicino ai suoi piedi, ma probabilmente era la parte meno mostruosa.
 
-Perché sei così seria?-
 
La lama penetrò senza difficoltà la carne. Rose crollò inerte, morta, tra le sue braccia.
Bruce cadde in ginocchio, seguendo la forza che li attraeva a terra; le sue spalle sussultarono seguendo il suo respiro spezzato dalle risate e dai singhiozzi.
La sua faccia, ora tramutata per sempre in una smorfia ipocrita, avrebbe raccontato il suo dolore. Intanto le lacrime scendevano sul cadavere della defunta moglie, mentre un intenso ridacchiare continuava a scaturire dalla sua gola.
Finalmente Bruce poteva permettersi di non essere serio o semplicemente ed ancor meglio non essere affatto.
Non era Bruce. Non era neanche nessuno.
Sfilò dalla tasca dei pantaloni la carta.
 
“Vedo. A chi tocca?”
 
 

***

 
 
Pioveva.
Le goccioline d’acqua picchiettavano i vetri dell’appartamento.
Un bussare irregolare e piatto interruppe la partita che Charlie stava guardando. Cercò di ignorare il rumore, ma dato che non sembrava aver intezione di andarsene si alzò rassegnato.
 
-Arrivo! Arrivo... ma chi diamine è a quest’ora?- disse, andando ad aprire.
La porta si spalancò rivelando una sagoma difficile da definire umana. Non esattamente ciò che si aspettava...
 
-Ciao, Charlie. Come stai?- chiese la figura dinanzi a lui.
 
-Ma chi diavolo sei?-
 
-Come non mi riconosci?- continuò innocentemente la voce.
 
Charlie si stropicciò gli occhi intorpiditi dal sonno per poi studiare meglio l’individuo di fronte a lui: era stranamente vestito; di certo cappotto viola e pantaloni a righe abbinati con quel verde non passano inosservati, per non parlare della faccia truccata...
 
 -Bruce,  ma... cosa cazzo ci fai qui?- sbottò Charlie, -Vai a fare il travestitone in turné?-
 
“Quanto sei simpatico Charlie.”pensò lui stesso.
 
-Bruce? Chi è Bruce, signor Collins?- continuò “Bruce”, ignorando le offese.
 
-Sei tu testa di cazzo. Bruce!-
 
-Non mi chiamo Bruce!- inveì spingendolo nel suo sudicio appartamento da nerd sfigato, uscendo dall’ombra ed entrando nel monolocale.
 
 Chiuse la porta.
 
-Charlie! Signor Collins? Charlie Collins...- iniziò a cantilenare come un vecchio disco incantato mentre estraeva il coltello dalla tasca della lunga giacca, saltellando allegramente verso di lui.
 
La luce si accese e con un grido di orrore Charlie fece un salto indietro per lo spavento.
 
-Esci subito da casa mia e vai a fare il pagliaccio da un’altra parte!- disse, cercando di mantenere la voce più autorevole che sapeva imitare.
 
L’altro avanzò sino ad essergli di fronte. Charlie si accorse solo allora che non era semplicemente trucco quello che aveva in faccia o una semplice maschera, gli occhi neri, la faccia bianca e le labbra rosse tirate in un sorriso fin quasi sotto le orecchie erano delle cicatrici.
Il panico si fece largo negli occhi dell’uomo nel riconoscere chi conosceva e constatare la situazione ed il tale che aveva di fronte.
 
-Tu,- deglutì, -non sei...-
 
-No. Non sono Bruce.- completò la frase enfatizzando ciò che era stato il suo nome.
 
-Ti vedo preoccupato, impaurito come un topolino. È per il mio aspetto.-
 
Charlie continuava a fissarlo respirando affannosamente.
 
-Chi sei?-
 
-Joker.- rispose iniziando a ridere, sadico.
 
-Lo vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici? Uhm?
Vieni qua.- Joker lo afferrò per la canottiera imbrattata di sugo puntandogli il coltello contro.
 
-Allora? La vuoi sapere o no questa favoletta?-
 
Charlie annuì nel panico, non sapendo che altro fare.
 
-Beh, una sera, arrivano gli strozzini per prendere i soldi che gli devo e... facciamo un’ultima partitella a poker, così, tanto per. Vinco e questo non gli va molto a genio. Ma loro. Avevano. Già deciso... di uccidermi!
Avevano portato la benzina e sparsa per tutta casa... Anche io avevo già deciso di ammazzarli. Tutti e due.
Perciò prendo il coltello e gli dico “perché sei così serio?”. E lo uccido. Lo stesso con l’altro e dico “Perché. Sei. Così. Serio.”. E lo uccido.
Ma poi ci sono io! Io! E “perché sei così serio, Bruce? Eh, Bruce?”. Perciò mi ficco il coltello in bocca, e mi faccio queste.- disse indicando con il coltello le cicatrici e girando la testa per farle vedere bene.
-Ma adesso ne vedo il lato buffo. Ora sorrido sempre!*- Joker scoppiò in un’altra delle sue risate gettando la testa indietro, mentre Charlie lo guardava allucinato, sconvolto.
 
-Allora torna mia moglie a casa e la storia, a lei, non piace. Neanche. Un. Pochetto!
Quindi mi avvicino a lei e le dico “Perché sei così seria?”.
Le metto la lama in bocca.
“Perché... sei così seria?”-
 
Charlie guaì terrorizzato poco prima che Joker riportasse la sua attenzione su di lui.
 
-E... perché sei così serio?-
 

“Why so serious?”

 

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In loving memory of Heath Ledger

 
 
*citazioni tratte dal film “Il Cavaliere Oscuro” di Christopher Nolan, del personaggio Il Joker interpretato da Heath Ledger.
 

N.d.a.:
 
 Allora... se sei arrivato fin qui avrai tremila perché su ciò che hai appena letto, mentre spero che tu abbia apprezzato XD 
Questa one-shot meriterebbe una luuuuuuuuuunga introduzione a causa delle mie diaboliche idee: questo Joker, che ho cercato di riesumare da, l'ho detto e lo ripeto, da Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e non da Batman di Tim Burton, ho deciso di chiamarlo Bruce dato che nel film non viene citato alcun nome precedente come invece in altri, ovvero "Jack Napier". Dopo una serie di lunghi filmini mentali ho deciso di dargli lo stesso nome di Batman non a caso, ma dopo aver pensato "il confine tra bene e male non è così netto..." e bla bla bla... le solite cose, ma non sto qui ad ammorbarvi.
So che è tremendamente lunga e sono stata logorroica più del solito, ma spero che abbiate comunque apprezzato i miei sforzi ^^"
Se avete domande o qualsiasi tipo di osservazioni: I'm here!
Ringrazio immensamente la mia beta carissima <3 _Lightning_ , che ha avuto più pazienza del solito :3
Ah, ultimissima cosa... in questo fandom, per chiunque voglia XD sono aperta alle commissioni riguardanti Joker, anche di Tim Burton; ok... non ve ne frega niente XD
Grazie a chiunque leggerà o ricensirà ^^
 
MoonRay (_ Shadow _)



 
*Questi personaggi non mi appartengono. Questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro, tutti i diritti del film “Il Cavaliere Oscuro” appartengono al regista Christopher Nolan.*

  
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