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Autore: Exelle    04/03/2012    2 recensioni
Seguito di tutte quelle Charles&Erik che ho scritto precedentemente.
... Solo che questa ha più capitoli.
"Charles si chiedeva se la colpa non fosse sua. Forse era perchè Westchester non gli era mai sembrata tanto accogliente, al pensiero che Erik fosse lì, che dormisse a poche porte di distanza dalla sua."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Welcome to Westchester


CAPITOLO V

 
 
 
 
 

1962. Un notte di un po’ di tempo fa.
Monroe’s Motel. Savannah, Georgia.

 
Nessuna meraviglia se si fossero baciati ancora. E ancora.

Da parte sua, non c’era alcuna fretta. Certo, andava contro ogni  buona intenzione, contro ogni giusto proposito. Ma forse era un po’ come uccidere qualcuno, un po’ come fare qualcosa che solitamente non andava fatto. Era sempre così e non gli dispiaceva mai. Era stata  l’idea migliore che potesse avere, e per questo,era grato a sé stesso.  L’idea migliore dell’intera giornata. Non era stata nemmeno una giornata vera. Solo tempo grigio ed incoerente, come se quelle ore fossero state solo un’indispensabile preludio di apatia. Non si sentiva una persona meschina. Non c’era niente del genere in lui, niente di subdolo, niente di nascosto. Forse lui pensava di sì, per quello non gli parlava. Non chiaramente. Almeno finché non arrivava la sera. Almeno finché non era ubriaco.
Finché non era così, quando sembrava che non guardasse nient’altro.
Non sapeva mai cosa pensasse Charles, ecco. Probabilmente perché Charles poteva, a differenza sua, vedere tutto, vedere ogni cosa. E forse, a dispetto della sua indecisione, capiva. Poteva rovinare tutte le sorprese, tutti i progetti... Però era lì. Era una fortuna?
Come si faceva a nascondergli qualcosa?
Credeva, aveva creduto di riuscirci. E, al contrario, Charles poteva nascondere qualsiasi cosa… Ci era riuscito così bene, fino a qualche giorno prima a Washington, così bene.. Lui no. Che ingiustizia. Eppure non aveva cominciato lui. Avrebbe voluto litigarci solo per dirgli che un paio di giorni prima…Perché metterci tanto?
Perché scappare in un altro stato, quando bastava cominciare così?
Charles sembrava l’avesse solo fatto per giocare. Non aveva capito quanto fosse serio…
Ma ora non era più così. Resta con me, aveva detto. Ed era così che cominciava. Perché se Charles si fosse tenuto per sé quello che credeva fosse la scelta migliore…Difficile ignorarlo.
Si era solo fatto trascinare. Ecco la scusa che avrebbe usato. Niente indecisione, né prese di posizione. Solo lasciarsi andare, nient’altro. Ed era giusto, giusto così.
Chiudere gli occhi, tirarlo per i capelli, e magari ripensarlo appoggiato al muro in una strada fredda, magari al modo in cui gli era sembrato tanto sicuro di sé nella hall del Four Season. Ripensare a come l’aveva guardato dopo, con l’odio vivo negli occhi.
Come se davvero, Charles credesse che fosse colpa sua.
Non era stato odio vero, no. Però lo aveva fatto preoccupare. Charles sembrava fatto apposta per quello. Per fare insieme da ostacolo e da soluzione.E poi l’odio era sparito. Correzione. Forse non c’era mai stato e lui adesso aveva tutto quello che voleva. Bastava guardarlo adesso, a come lo baciava adesso.
Non voleva aprire gli occhi, andava bene, anche solo così. Tutto quello che voleva. Non sembrava più tanto indeciso. E a lui non importava nemmeno della ragazza. Un’altra ancora -aveva pensato, incrociandola giù nel parcheggio- non gli poteva dare fastidio se era solo una ragazza, se era umana.
Non avrebbe mai avuto diritto di dire cosa fosse giusto e sbagliato sull‘argomento, non a Charles. Non voleva avere la pretesa di cambiare tutto, gli bastava così, averlo ogni tanto. Sperava bastasse.
Poteva avere tutto quello che voleva, Charles, perchè tanto Charles era uguale a lui e a lui solo.
E il fatto che ora non l’avesse lasciato andare via era abbastanza chiaro.
A differenza sua -ma era così chiaro che non se ne sarebbe mai andato, che non si sarebbe mai allontanato, non dopo quello che gli aveva detto, non con Charles seduto sul letto. Era così ovvio, così…-. Certo, era stata un’altra sceneggiata, ma sì, bisognava essere teatrali a volte. E magari riuscire anche ad adattarsi.
Charles sapeva? Da quanto? Leggeva nella mente ed Erik.. Erik non credeva che non l’avesse fatto di nuovo. Magari sì. Sapeva che avrebbe voluto stare con lui fin da quando se l’era ritrovato addosso, stretto tra lui e la parete del corridoio al Four Season. Gilel’aveva praticamente detto; poi se ne era vergognato, perché aveva ceduto, proprio così. Così debole. Charles non l’aveva nemmeno baciato, non si era poi compromesso così tanto, non aveva… Sarebbe ancora riuscito a farlo passare per un errore….
Continuando a baciarlo, solo con un po’ più di fretta adesso, cercò di farlo stendere. Charles fece ancora un po’ di resistenza; ma sembrava quasi pronto a ridere quando  cominciò a baciarlo sul collo. Mormorò che era assurdo, tutta la situazione era assurda, e gentilmente lui gli disse di stare zitto.Tornò a baciarlo sulla bocca.
Presto ne avrebbe avuto abbastanza. Lo aveva immaginato che l’avrebbero fatto lentamente, ma ora era come se avesse fretta. Era così stanco di dover aspettare, ma non sapeva bene come comportarsi. Charles gli sembrava così ... Quasi assente. Eppure continuava a baciarlo, in un modo che era  adorabile e lascivo insieme, giocando con la sua lingua. Quante ragazze baciava Charles, così? Ma non lo toccava. Lo teneva solo abbracciato. Come se stesse aspettando. Possibile? Era...
Era tanto diverso da come era a Washington. Molto meno sfrontato. Forse allora era stato solo l’alcool a spronarlo.
Forse era davvero tutto un errore…
Ma era per quello che erano in Georgia, pensava Erik, solo per quello, per quante scuse cercasse Charles. Per qualcosa che in realtà era tanto facile …
Era da giorni che aspettava, che sopportava il suo comportamento incerto e scontroso, sempre pronto a scusarsi, sempre in imbarazzo, perché sì, era ovvio che ricordava. Era ovvio che ci pensava.
Doveva solo dargli un po’ di tempo, si era detto, ma adesso basta, erano andati abbastanza lontano. fino in Georgia. Erik voleva solo chiedergli cosa gli piaceva, come gli piaceva farlo. Voleva solo dirgli quello che adesso gli sarebbe piaciuto fare.
 E contemporaneamente pensava a come Charles l’aveva provocato la prima volta. Era stato solo l’aver bevuto? Forse no. Ma era anche vero che se Charles non ci avesseprovato per primo, bè, lui non lo avrebbe seguito. Non lo avrebbe assecondato così docilmente. Avrebbe solo fatto finta di niente. Continuando a desiderare quasi inconsciamente che qualcosa succedesse davvero, probabilmente. Voleva disperatamente chiedergli se era la prima volta, ma l’idea della risposta lo frenava. Quanto a lui, Erik.. Bè, poteva anche far finta che lo fosse. Gli sembrava quasi così.
Gli piaceva così tanto, Charles. Ed era da quando era arrivato in America che non faceva sesso con qualcuno. Aveva quasi smesso di pensarci, non rientrava nemmeno tra le sue priorità dopo aver trovato Shaw….  finché non aveva incontrato Charles, e anche se non era certo stato subito quello che aveva voluto da lui -non voleva niente da lui, all‘inizio, per la verità, niente- , era diventato inevitabile. Ma, comunque fosse, se Charles aveva scelto di spingersi fin laggiù in Georgia, dopo quello scontro a Washington, doveva sapere bene quello che voleva Erik, come lo voleva Erik.
Eppure Erik era stanco di prendere tempo, di aspettare. Era, erano così vicini. Era quello che voleva anche Charles, si ripeté. Non poteva immaginarlo diversamente. Lo voleva da giorni, era per quello che erano venuti lì. Non era così?
“E’ per questo che siamo in Georgia?”
Non aspettò una risposta. Parlare cominciava a sembrare inutile. Si dondolò un po’ contro di lui, abbassandosi. Voleva che Charles facesse lo stesso, che lo toccasse di più magari, ma lo teneva solo abbracciato, e lo baciava sempre più lentamente. Erik cercò di ignorarlo, fingendo di non accorgersene. Era troppo.. Oltre. Charles faceva solo così perché era la prima volta che gli capitava. Probabilmente doveva esserne spiazzato.
Lo ricordava con quella ragazza a Washington, al modo in cui l’aveva guardata, sfiorata, lusingata. Non dovevano essere serviti molti giochetti mentali. Aveva tecnica, sembrava venirgli così facile, naturale. E forse, ora che i ruoli erano un po’ confusi, non sapeva cosa fare adesso. Anche se Erik gli avrebbe fatto fare tutto ciò che voleva.
Bastava così poco, e Charles era così bravo.
Hai cominciato tutto tu, gli mormorò all‘orecchio, passandogli una mano fra i capelli. Charles accennò un sorriso, un po’ colpevole, un po’ incerto… poi allontanò lo sguardo e disse che non ne era così sicuro. Una frase come un’altra.
Erik cominciò a slacciargli i bottoni della camicia, a caso. Uno sulla pancia, due sulla gola, disordinatamente. Non riusciva a togliergli le mani di dosso. Aveva la pelle così calda. Era colpa di quel caldo soffocante. Da quanto tempo non gli succedeva?
Aveva solo bisogno di qualcuno come Charles. Era stanco di svegliarsi inappagato dopo averlo sognato steso sotto di lui, gemente. Era stanco di doverlo solo osservare, di parlare, parlare senza cercare di dirgli nulla.  Di essere solo suo amico. Poteva essere molto di più. Doveva esserlo.
Quanto avrebbe voluto che fosse successo prima, gli disse. Se lo lasciò praticamente sfuggire. Charles non rispose. C’era solo il suo respiro piano, e quell’odore di doccia appena fatta e la pelle calda del viso. E un incastro di braccia e bocche affannate. 
Non riusciva a trattenersi. Gli disse che andava bene, che l’aveva fatto impazzire nella hall, a Washington, nell’albergo, che voleva che stesse nella sua testa, che era incredibile. Che sapeva che era come lui, aggiunse, ignorando gli occhi di Charles, freddi per un attimo. Erik smise di slacciargli i bottoni e lo guardò.
Doveva andare avanti? Charles si sollevò appena e lo baciò piano, all‘angolo della bocca. Sembrava troppo lontano ora.
Poteva ancora stare calmo e parlare poco. Bastava che lo lasciasse fare, gli disse Erik, che lasciasse fare a lui. Poteva farlo smettere, non doveva pensarci, non volevadargli fastidio. Effettivamente, Erik si rese conto che gli avrebbe detto qualsiasi cosa. Era stanco che fosse tutto così lento.
Affondò con decisione la lingua nella sua bocca, lasciando scivolare le mani a stringergli seccamente i fianchi. Si lasciò sfuggire un gemito basso e roco, schiacciandosi su di lui, e Charles provò di nuovo a sollevarsi. Erik lo ignorò, gli disse che era così, non c’era niente, assolutamente niente che non fosse a posto. E che lo stava eccitando solo di più. Voleva spogliarsi, che Charles lo spogliasse magari. Gli sarebbe solo piaciuto.
Inclinò la testa, le mani di Charles si raccolsero sulla sua nuca, trattenendolo. Poi però Charles allontanò le labbra dalle sue.   
Perché non gli parlava nella mente, cazzo, almeno avrebbe potuto continuare a baciarlo, pensò Erik, un po’ frustrato. Gli era venuto duro, a furia di baciarlo, di toccarlo, di abbracciarlo. Doveva decidersi, ma Charles si limitava a tenere le palpebre socchiuse, la bocca semiaperta. Limitandosi ad accarezzargli il viso e la schiena. Non poteva bastargli solo quello.
Gli fece scivolare le mani sulle gambe, stringendogli  le cosce, risalendo fino al sedere. Poi lo tirò contro di sé, con forza. Charles si sollevò appena, verso di lui.Erik continuò a dirgli che era ok, che era così, andava bene. Era come se dovesse andargli addosso; cercò ancora la sua bocca, mentre glielo faceva sentire.
Lo sfregò soltanto contro di lui, all’inizio, mentre infilandogli le mani sotto la camicia, tirandogliela su, cercando di scoprirgli la schiena. Chissà come era fatto Charles.
L’aveva sempre visto solo con i suoi completi grigi, con quei cardigan blu scuro ne camicie chiare. Ne era curioso. Ad un certo punto, sfiorandolo senza guardarlo, Erik gli sussurrò che gli sarebbe piaciuto se lo avesse toccato a sua volta. Lo sentiva, era proprio contro di lui. Era eccitato, non poteva certo fregarlo. Non così.
Doveva piacergli tanto quanto a lui. Charles scosse la testa.
“Erik…”
Lo ignorò ancora, lasciandosi scappare un verso insofferente.
“Va tutto bene.” Gliel’avrebbe ripetuto quanto bastava. Non riusciva nemmeno a concepire l’idea di smettere adesso.
Il ventilatore ronzava piano sopra le loro teste. E quel caldo umido appiccicava addosso i vestiti. Si spinse su di lui e gli spinse la lingua in bocca, ancora. Era sfiancante.
La stretta di Charles diventò impercettibilmente più leggera. Come se non ne fosse più tanto convinto. Erik cercò di vincere l’impulso di scusarsi. Voleva schiacciarlo, voleva continuare a giocare con la sua bocca, voleva vedere come era fatto.
Nella stanza faceva troppo caldo. Sentiva i pantaloni e la maglia tirare sulla pelle sudata. Faceva così caldo perché era schiacciato contro Charles. Voleva che si svestisse, voleva svestirlo, voleva infilarglielo dentro e farla finita. Che bastardo. Lo faceva sentire così. Gli faceva desiderare cose che di solito non pensava.
Era una meravigliosa distrazione. Voleva che non finisse. Ma voleva anche concludere. Se fosse finito tutto adesso non sarebbe più riuscito a guardarlo in faccia. Si poteva morire di eccitazione insoddisfatta? Come faceva a dirgli che non era strano, che gli poteva piacere? Dirlo a Charles, Charles che  sembrava così educato, tanto perbene, tanto a posto. Tranne quando parlava di ragazze.
E perché non capiva? Quello che faceva con loro, poteva farlo con lui. Non c’era alcun problema, era solo un po’ diverso. Erano solo uguali. Ma non poteva dirglielo. Non poteva dirgli una cosa così. Non erano cose che poteva dire a parole.
Se solo avesse dato uno sguardo ai suoi pensieri…
Lo sentì dire qualcosa, meno divertito. Più serio. Stava facendo qualcosa di sbagliato? Non avrebbe fatto preoccupare Charles.
Lo avrebbe fatto stare bene, se solo si fosse lasciato trascinare un po’...
“Andrà bene. Andrà bene.”
Sembrava essere qualcosa di così importante…
Non è normale.
Charles lo aveva pensato davvero, realizzò Erik. Cazzo. Tirò su la testa. “Cosa?”
Charles distolse lo sguardo. Forse non voleva parlargli nella testa. Forse gli era solo sfuggito.
“Cosa?” chiese ancora Erik. Ora era arrabbiato. Di nuovo.
Stava sbagliando lui, forse? Voleva solo che fosse tutto a posto. Forse però non poteva esserlo. O forse era solo Charles che faceva finta di niente. Non c’era niente
di sbagliato, avrebbe voluto urlargli. Assolutamente niente, qualunque cosa pensasse.
Era normale. Se gli piaceva, volerlo fare era normale. Per Charles non lo era?
Charles sembrava stesse cercando a sua volta una motivazione. Poi lo sentì spostarsi sotto di sé. Ed Erik si accorse, anche se non aveva bevuto, che non era stanco, che non era offeso, che quella rabbia cieca che ogni tanto lo prendeva, si era di nuovo riversata verso Charles. Voleva solo rendergli le cose più difficili, perché Charles era fatto così. Così … confuso? All’inferno.
Erik cominciò a stringerlo per i polsi e lo schiacciò di nuovo sul letto, mettendosi su di lui, implorandolo, dicendogli ancora quanto avrebbe solo voluto farlo stare bene, che non era niente di sbagliato, quanto gli piaceva, aveva quello strano controllo su di lui, Charles....
Charles si divincolò un po’, poi lo senti gemere, quando lo sfiorò con una gamba, mentre cercava di sistemarsi ed Erik gli disse che lo sapeva. Lo voleva quanto lui e lo sapeva e lui non leggeva nella mente. Charles ansimando gli disse di sì. Allora, Erik lo lasciò andare e dopo aver fatto scivolare una mano lungo il torace, lo toccò di nuovo.
Un altro gemito. Erik sentì quasi dolore in mezzo alle gambe, premendosi contro Charles, trattenendosi dal dirgli che sapeva che andava bene anche per lui. Era troppo intenso. Gemeva così, Charles? Gli aprì di più la camicia, tirandogli su la maglia in fretta, accarezzandogli il torace, la pancia, continuando a tenerlo giù. Cominciò a slacciargli la cintura, poi lo baciò sul collo, con la bocca troppo aperta. La fibbia tintinnò e Charles girò la faccia. Anche se aveva quasi lottato per andarsene, ora era fermo. Non faceva più niente. Erik non voleva che se ne andasse. Stava bene con Charles, voleva solo stare con lui. E adesso era così facile dirglielo.
“Non voglio…. Non voglio che te ne vada.”
Poi Charles si mosse di scatto, stringendolo per le braccia, e come se stesse ingaggiando una lotta, tirò indietro la testa. Erik cercò di allontanarlo e lui lo strattonò ancora, ma non disse niente. E allora Erik non poté fare altro che trattenerlo. Gli afferrò le braccia, strette, cercando di abbracciarlo. Ci provò, almeno.
Charles lo respinse, anche se non più bruscamente, e non si divincolò subito dalla stretta. Rimase solo lì, contro di lui.
“Va tutto bene, non c’è…” Gli venne quasi da ridere. Cosa non c’era? Pericolo? Fretta? Il niente? Era il niente che non andava?
Erano così tante domande. E tutte stupide.
Passandosi una mano fra i capelli, Charles lo guardò, quasi seccato, poi guardò oltre. Respirava molto più lentamente, ed Erik si sentì di nuovo sulla difensiva per come gli era uscita la voce, così calma. Come se stesse cercando di rassicurarlo. Effettivamente era così. Non voleva che andasse via. E poi quella era la stanza di Charles.
Avrebbe dovuto andarsene lui, ma non ne aveva la minima intenzione. Se fosse andato via sarebbe finito tutto. Lo lasciò andare, un po‘ bruscamente. Non voleva essere lui a stabilire cosa fosse giusto e cosa no. Non voleva infastidirlo, ma era anche così stanco. Stava bene con Charles. Quindi voleva stare con Charles. Ma forse per Charles non era così semplice.
Non se era sobrio o se ci pensava troppo.
Non sapeva cosa fare adesso. Perciò si sdraiò accanto a lui e provò ad accarezzargli il braccio, ma gli sembrava tutto così finto che preferì lasciar perdere. Non era più quello che Charles voleva? Poi lo sentì mormorare qualcosa d‘indistinto.
“Cosa?”
Charles rimase in silenzio. Poi parlò ancora.
“Non ci riesco.”
Erik si sporse sopra di lui. Si accorse anche di stare sorridendo, ma effettivamente non c’era niente da ridere. Solo... Non capiva. Andava così bene…
Era così bello, baciare Charles, stare con lui nel modo migliore. Non era quello che doveva volere anche lui?
Charles però era serio. E lui incapace a capire cosa pensava veramente.
“A te piacerebbe?”
Erik sentì il suo sorriso smarrito congelarsi. “Come?”
Charles distolse lo sguardo e - Erik non lo credeva- fece per scendere dal letto. Così lo trattenne per la mano, ma era appena riuscito a stringergliela, che Charles si ritrasse, guardandolo di nuovo adesso, ma ancora in quel modo serio e imperscrutabile che lo tagliava fuori del tutto da quello che succedeva nella sua testa. Se solo…
Se solo gli avesse parlato. Ma non glielo chiese. Sembrava sempre così inutile.
“Charles…” Non voleva supplicarlo. Non voleva nemmeno che finisse tutto però.
“Fottiti” sbottò Charles, sollevando appena la testa. Erik spalancò gli occhi. Charles fece altrettanto, come se fosse sorpreso a sua volta. Sembrava una parola così fuori posto su quelle labbra gentili. Gliele aveva fatte diventare rosse, a fuori di morderle, di baciarle.
Nessuna ragazza era così. Non avrebbe avuto mai niente di meglio. niente di così vicino a sè stesso.
“Ti ho chiesto se ti piacerebbe, Erik.”
Sì, è ovvio che è così. E’ così, devi solo fidarti di me. Però non riusciva a dire niente. Non poteva. Quello che a lui sembrava giusto e piacevole a Charles doveva sembrare…
Non voleva pensarci. Era come doversi sentire in colpa, anche se non era né giusto, né vero. Charles, Charles, perché non capisci?
Erik provò ancora a baciarlo, mettendoci un po‘ troppa foga. Era nervoso, era arrabbiato ed era dispiaciuto, e non capiva perché dovesse essere tutte quelle cose assieme quando Charles era così freddo e assente, quando l‘aveva illuso del contrario. Per qualche momento, Charles lo assecondò, ma poi lo respinse ancora.
Erik inspirò, distogliendo lo sguardo. Per un momento fu tentato dal domandarsi cosa ci facesse lì.
“Sono io?”
Charles non rispose.
“Cosa… Cosa credevi che sarebbe successo? Cosa…” Erik lo afferrò per le braccia, poi lo accarezzò piano sul viso. Voleva solo capire, voleva solo essere gentile, ma forse era più agitato di lui. “Se è perché è la prima…”
Atterrito, Charles lo fulminò con gli occhi. Io non sono come te. Non devi parlarmi come... “Come se lo fossi” aggiunse, incattivito.
Erik tacque e rimasero a fissarsi.
Erik respirava pesante. Aveva le mani appoggiate ai lati della sua testa. Gli sarebbe stato facile strozzarlo, pensò, strozzarlo e farlo smettere di pensare. A Charles venne di nuovo da ridere, forse stava ascoltando quello che pensava. Poi tornò serio. Erik non capiva.
C’era qualcosa di fastidioso, di invidiabile negli occhi di Charles. In qualunque modo lo guardasse, sembrava che si stesse prendendo gioco di lui. Che fosse divertito, sempre. forse non era affatto gentile e diplomatico e amabile forse era solo....
Ma, Cherles era anche... Charles era divertente. Lo faceva divertire. Voleva solo che stesse bene, voleva solo… Ricambiarlo?
Si sdraiò accanto a lui, ancora, rimanendo a fissare il soffitto. Sospirò.
“Vorrei che non fosse mai successo.”
Le pale del ventilatore sopra di loro giravano sempre più lente. Ora riusciva quasi a sentire la pioggia sul tetto. Quel letto era scomodo e scadente. Qualità Monroe’s Motel.
Non è vero.
Non c’era più molto da dire. Voleva solo che stesse tranquillo.
“Non farei.. Non farei mai niente che non vada bene a te, Charles.”
Dopo un po’, non sapeva quanto tempo, Charles si girò verso di lui. Non disse nulla, si strusciò un poco e poi lo baciò. Fu un bacio lungo. Erik provò a circondarlo con le braccia ma Charles si mosse contro di lui, mentre cercava di abbassarsi i pantaloni e lui lo lasciò fare. Poi, quando si avvicinò per baciarlo di nuovo, Erik lo rovesciò ancora con la schiena sul letto, aiutandolo in parte a svestirsi. Ora era Charles ad abbracciarlo.
Erik non sapeva perché avesse cambiato idea, non glielo chiese. Cercò di dimenticare ogni cosa, di non pensare a niente. Rischiava di impazzire, altrimenti. Charles s’inarcò appena quando Erik cominciò a toccarlo. Glielo avrebbe fatto diventare ancora più duro. Lo avrebbe fatto venire. Charles cominciò a lamentarsi.
No, non si stava lamentando. Stava godendo. E aveva smesso di guardarlo. Teneva gli occhi chiusi e la faccia rivolta al soffitto.
Lo accarezzò, ancora, più a lungo, sotto e risalendo. Poi più energicamente, sentendo Charles gemere piano, ansante e fremente.
Più lo toccava e più Erik si eccitava; doveva resistere all’idea di girarlo e… Dio, meglio non pensarci. Charles si rannicchiò su sé stesso, sospirando di piacere, indolente. Erik lo sentì digrignare i denti. Si strinse ancora a lui, sentendosi indolenzito.
Nemmeno lui ce la faceva più. Riuscì solo a slacciarsi i pantaloni, prendendo a sfregarsi contro di lui, accarezzandolo in fretta. Sembrava solo la cosa giusta, gli sarebbe piaciuto.
“Charles…”
Lui aprì appena gli occhi. Erano strani, assorti e luccicanti. Gli accarezzò la testa, quasi con espressione di scusa, ed Erik ci rinunciò. Forse non era il momento?
Charles lo strinse a sè, trattenendolo per la maglia. Lo sentì dire che era complicato, che era difficile, che ancora non ci credeva.
Erik gli credette, perché ora era Charles a baciarlo, ancora. Socchiuse le labbra volentieri; allora, gli sussurrò che avrebbe fatto tutto quello che voleva, gli avrebbe dato solo piacere, scoparlo in qualsiasi modo. Non importava come. Cominciò a toccarsi a sua volta, guardandolo e spostandosi più in basso, al suo fianco, accucciandosi vicino alle sue gambe.
Guardò le sue palpebre abbassate sugli occhi lucidi, ascoltando i suoi gemiti bassi. Guardando la sua bocca semiaperta, un po’ lucida di saliva, gli veniva solo voglia di toccarselo. Era sicuro che così , sarebbe venuto subito anche solo guardandolo.
A volte, lo aveva immaginato così; aveva immaginato che Charles glielo prendesse in bocca. E che lo guardasse, mentre lo faceva. Dopo, si era sentito male quando ci aveva pensato; ingiusto, stupido. Sbagliato. Ma il desiderio di essere guardato da Charles, da quegli occhi, era troppo forte. Adesso avrebbe voluto che lo facesse.
Ma non lo avrebbe fatto. Non era colpa sua. Forse era così che doveva andare, non poteva avere tutto.
“Erik…”
Charles gli restituì lo sguardo, gli occhi vacui. Aveva il viso arrossato. Sembrava un ragazzino ed Erik riflettè; aveva quasi trent’anni. Lo invidiava, lui, lui e quella sua faccia di solito tanto gentile e scherzosa. Era tutto quello che avrebbe potuto essere. Charles, Charles che aveva fiducia in tutto. Anche adesso che era così diverso.
Erik odiava sé stesso perché si era scoperto, perché ne era attratto così visceralmente da spaventarsi. Si lasciò sfuggire un verso roco, allungandosi per baciarlo. Poi, quasi mormorando svogliatamente, Charles gli disse di finirla, perché non ce la faceva più. Lo disse come se gli fosse sfuggito; non lo pregò.
Erik avrebbe voluto che lo facesse. Era un po’ troppo diverso da come se l’era aspettato. Però era Charles. Non riusciva a staccarsi da lui.  Non era ubriaco. Non l’avrebbe lasciato andare via. Non ora. Aveva bisogno di lui.
Trattenendolo per la camicia, scese giù, fino al suo inguine. Guardò Charles e Charles fece finta di niente. Erik si chinò sulla sua erezione, e Charles girò del tutto la faccia. Erik cominciò a leccarglielo piano, prima di farselo scivolare in bocca. Strinse di più la stoffa della sua camicia, tenne gli occhi chiusi.
Forse quello era ciò a cui pensava Charles, dopotutto. Volerlo fare come … Come qualcosa che poteva controllare.
Inclinò la testa per prenderlo meglio, muovendosi, aiutandosi e accarezzandolo con la mano libera. Charles non lo spinse via. Per un attimo, Erik pensò che tutto si fosse capovolto. Forse, nella testa di Charles, lui sembrava debole. Si sentiva strano; gli sembrava tanto giusto e tanto sbagliato insieme che persino il vero motivo per cui lo stava facendo, quel volere così tanto Charles...
“Dio… Mio dio, Erik, Erik…”
Charles gli mise una mano sulla testa, ansimando convulsamente. Sembrava pesare tantissimo. Lo sentì dire qualcosa. Sul fatto che che era meglio, qualcos'altro che finiva in ..ila...
Ma ansimava troppo, e tutto quello che riusciva a fare era mangiarsi le parole. Erik lo sentiva accarezzargli la testa disordinatamente, scompigliargli malamente i capelli e tirandoglieli, ma non per allontanarlo. Gli mosse la testa quel tanto che bastava per poterlo quasi ingoiare ed Erik si senti piacevolmente costretto ad obbedire.
Charles disse altro, respirando rauco, ma Erik non lo sentiva. Aveva la parte più intima di lui in bocca. Carne pulsante in gola e sulla lingua, mischiata a saliva. Lo stava scopando.
Era quello che voleva. Meglio, quello che voleva anche Charles. E Charles glielo stava dicendo, gli stava chiedendo di farlo venire. Charles che gli diceva quanto lo conosceva, che sapeva quanto tutto questo in realtà gli piacesse, quanto ne dovesse prendere. Non era più Charles. Non lo era più.
Era così diverso da quello che aveva conosciuto. Ma anche lui, anche lui si sentiva diverso. Era la prima volta, erano soli. Era come voleva davvero che stessero le cose tra loro. Ed era colpa di Charles, di Charles che gli faceva quell’effetto. Erik era stanco di essere, di sembrare, sempre controllato. Non era così.
Charles doveva saperlo che lo pensava, anche senza quelle parole gentili, senza sentire il bisogno di difenderlo, di assecondarlo, di capirlo. Lo voleva anche così, toccarlo, sentire la sua carne tiepida, scoprire come era fatto, sentirlo parlare in quel modo lascivo, andare a letto con lui. Tenerlo vicino, abbracciarlo, magari dormirci assieme. Eccitarlo.
Cose così normali… E non doveva essere importante, né difficile capirlo. Era eccitante ed interessante, e sì, era Charles.
Era un maschio e sì, la cosa non gli creava alcun problema. Anzi era meglio. Molto meglio, perché diverso da com‘era, non l‘avrebbe mai guardato.
Voleva solo sapere cosa si provava ad averlo, però. Fece per sollevare il capo, voleva dirglielo, voleva baciarlo. Voleva sapere se era lo stesso anche per lui. Alzò il viso.
“N -non ti fermare. Cazzo, non… Oh, Erik… oh, Cristo.”
Charles gli spinse più giù la testa e gli afferrò stretti i capelli. Come se volesse imporgli qualche stupido movimento, come se dovesse controllarlo. Lo sentì inarcarsi ancora sotto di lui, poi gli prese la testa fra le mani, con foga, gemendo e dicendogli di continuare, pregandolo piano.
Lo sentì scalciare, ed Erik  si allontanò un momento, finendo di svestirlo dai pantaloni attorcigliati ai polpacci. Poi tornò su di lui, le mani agganciate alle sue gambe, accarezzandolo insistentemente. Gemette e lo riprese fra le sue labbra, lanciandogli un’occhiata. Ma Charles, adesso, teneva la testa troppo reclinata. Erik vedeva solo la sua gola, il pomo d’Adamo muoversi, mentre deglutiva.
Erik chiuse gli occhi, muovendo solo il capo e la bocca e la lingua. Ora Charles lo teneva quasi stretto sia con le mani che con le gambe, spingendo il bacino contro di lui. Forse era meglio che non lo guardasse. Forse, per Charles, era più corretto non guardarlo mentre glielo succhiava. Così poteva fare finta di niente. Come se in realtà non stesse succedendo. Come se fosse possibile.
Se l’avesse guardato direttamente, gli avrebbe detto che non era normale, di smetterla, forse.
Erik era stanco di pensare in termini così definitivi. Aveva la schiena sudata; la maglia completamente appiccicata al torace. Faceva troppo caldo. Alzò ancora gli occhi verso Charles, muovendosi più lento.
Ci era vicino, piegato su di lui. Perché non lo guardava? Lo stomaco e il bassoventre gli dolevano, non vedeva l’ora che quella tensione se ne andasse. Fece scivolare le mani all’interno delle sue cosce, accarezzandolo, allargandogli meglio le gambe. Ancora pelle calda e sudata. Aveva un bel corpo. Da ragazzino cresciuto.
Era più pallido di quanto aveva pensato, e meno magro, più robusto. Perché anche Charles non lo guardava? Perché non lo guardava come faceva lui?
Adesso che erano...  Forse non era importante.
Poi sentì Charles iniziare a rilassarsi, scosso solo da qualche fremito; ricominciò ad accarezzarlo sulla testa, più gentilmente adesso. Aveva smesso di parlare, rantolava e basta. Erik ne fu quasi sollevato. Continuò a darsi da fare, il suo respiro in accordo con i suoi movimenti, suoni umidi che si mescolavano ai mugolii soffocati e più fitti, alla voce rotta, ai movimenti convulsi di Charles. Sarebbe cambiato tutto. Charles poteva andare con tutte le donne che voleva, ma non sarebbe più stata la stessa cosa. Ma ad Erik non dava alcun fastidio. Pensò a Charles con Moira; non sarebbe stato un problema, no...
A lui, Erik, bastava, giusto ogni tanto, giusto così…
Quasi ci credeva.
Lo sentì fremere. Come se avesse i brividi. Stava per farlo venire e poi, accadde.Charles era nella sua testa.
Non se lo aspettava, ma era possibile. Se perdevi il controllo. A lui sembrava accadere solo se si arrabbiava.
Vide cose che non credeva di ricordare, di pensare. Poi tutto si confuse, ancora. Non era niente di terribile, una manciata di ricordi piacevoli e passati da tempo. Spesso insignificanti. Altri di qualche giorno prima. Poi, ebbe l’impressione di sentire anche i pensieri di Charles, molto più confusi, a tratti solo la sua voce.
Niente che avesse senso, al principio. Poi cominciarono le frasi spezzate, confuse. Avvertì di nuovo il freddo, ebbe l’impressione di camminare per lunghe stanze buie e infine la sensazione di essere sotto le coperte, al caldo.
C’era una luce chiara; ma non veniva dalle finestre, fuori era notte. E quel mormorio. Era ancora Charles? Non conosceva quel posto, però ci stava bene. Non era casa sua.
Non conosceva quel posto. Era davvero nella testa di Charles, adesso.
C’era una donna bionda in una delle stanze. Beveva. Sorrideva.
Non poteva fare altrimenti con una bocca del genere, lucida di rossetto. A forma di cuore. Avrebbe voluto baciare anche lei. Sarebbe stato bello. Lei e Charles. La scena cambiò.
Ora fissava un  soffitto azzurro scuro. Era sempre una stanza buia, più piccola; c‘era un‘altra donna, bionda anche lei, inginocchiata fra le sue gambe a fare qualcosa di abbastanza simile a quello che lui stava facendo ora a Charles.
La ricordava, questa. E lui, Erik pensava… Poi capì.
Era Charles adesso, era Charles che pensava a lui nel ricordo. Lo pensava e ne era eccitato, ed era sicuro che se non fosse uscito, se non l‘avesse trovato, tutto sarebbe finito. Ne era eccitato morbosamente, e odiava quella ragazza perché non era lui, non era Erik, immaginava solo di scoparsi Erik, si sarebbe rovinato? Non era un idea così brutta.... Andare da lui, provare a... Qualsiasi cosa.
Dio, se solo fosse stato Erik. Subito.... E poi, il ricordo e quei vecchi pensieri sfumarono.
Quando era successo? Quando? Era così importante… Poi rapidamente, tutto sembrò esplodere, sparendo, inghiottito nel buio.
Erik spalancò gli occhi e Charles, ansimando, venne nella sua bocca. Sentì il suo gemito rauco rompere gli ultimi frammenti di ricordo, come se improvvisamente si fosse risvegliato, come se avesse di nuovo avvertito il sonoro.
Dopo, si staccò lentamente da lui, posandogli la testa in grembo, di colpo affaticato. Lo accarezzò ancora, piano, passandosi una mano sulle labbra umide e indolenzite.
Era inspiegabilmente euforico e terrorizzato, mentre, senza nemmeno cercare di mettersi seduto, si tirava su. Trascinandosi quasi, sdraiandosi stancamente al suo fianco.Era come tornare vivo, e con il tornare, si ricordò di sé stesso, di quanto era eccitato, del fatto che lì c’era Charles, che quella non era la sua immaginazione. Charles. Tutto quello di cui aveva bisogno.
“Charles. Charles… ?”
Gli mise una mano a lato del viso. Charles si girò appena. Gli diede appena un’occhiata, gli occhi azzurri troppo seri, offuscati da un piacere acido e dalla stanchezza. Anche lui era stanco. Ora voleva che finisse. Si sporse per baciarlo, ma Charles si limitò a girare la faccia dall’altra parte, sospirando. Gli disse di no. S’irrigidì e non lo guardò più, rimettendosi lentamente in ordine i vestiti. Come se il tempo a disposizione fosse finito. Almeno il suo.
Erik era quasi venuto, solo sentendolo nella testa. Ne era affascinato, insoddisfatto e spaventato insieme e non capiva. Non era giusto. E quando Erik glielo disse, la voce roca, anche se stava scioccamente cercando di scherzare, Charles rispose serio che era vero, non era giusto, ma lui non poteva farci niente.  Non lo disse in tono cattivo, o sfrontato. Lo disse solo come una constatazione.
 “… Perché?”
Charles si girò, dandogli in parte la schiena, rannicchiandosi. Mormorò qualcosa, forse di nuovo -scusami-, ma un po‘ troppo brusco.
Erik cominciava ad odiare le sue scuse. E poi  Charles non lo guardava più. Non era più nella sua mente. E gli dispiaceva.
Erik mise solo la testa contro la sua, la fronte appoggiata contro la sua nuca. Non era giusto, non era così che doveva andare.
Non così.
Lo baciò sulla tempia, sull’orecchio, lasciando scivolare le labbra sulla sua guancia arrossata, sul suo viso immobile.
Allora si masturbò, sentendo quel piacere crescente che l‘aveva tanto tormentato, abbandonarlo del tutto. Soffocò il suo orgasmo tenendo la bocca semiaperta, premuta contro la gola di Charles, cercando di ricordare quella scena. Non sarebbe mai stato più così adesso, non così intenso. Si lasciò lentamente ricadere sulla schiena, sconfitto.
Charles non sembrò reagire. Il suo respiro stava tornando normale, l‘affanno quasi sparito. Erik adesso voleva solo trovare la forza per uscire, anche solo guardare fuori da quella stanza malmessa e scadente. Per un attimo gli era sembrata il paradiso.
Le tende ingiallite schermavano l’unica finestra. Anche le tapparelle erano giù. Non si vedeva niente. Forse però fuori piovigginava. Persino il panorama di una finestra da cui non si vedeva niente, era meglio che guardare quella camera scadente. Forse, se fosse successo al Four Season sarebbe stato meglio. Forse gli sarebbe piaciuto di più.
Per quanto lo riguardava gli sarebbe piaciuto anche farlo in quel corridoio al nono piano, sere prima. Andava bene ovunque, si era detto, bastava che quello strazio finisse.
Avevano guidato lungo tutta la 64, e ad ogni dannato motel, ad ogni VACANCY, Erik aveva immaginato cosa sarebbe successo se solo Charles si fosse deciso a
fermare quella dannata macchina. Scopare con Charles. L’unico prezzo sarebbe stato mantenere quella facciata sul perché erano in Georgia. Non erano obbligati a parlarne direttamente. Non lo erano stati. E adesso, adesso…
Charles. Sbattersi una cameriera, una ragazza qualsiasi, inconsistente… nella sua testa doveva essere così semplice, come leggere un giornale o bere un caffè. L’avrebbe fatto comunque e ovunque. Si girò pigramente verso di lui, sentendolo muoversi. Si stava aggiustando la camicia e sembrava profondamente a disagio.
C’era solo il copriletto stropicciato tra di loro. Aveva pensato che gli bastasse solo una ragazza? Gli avrebbe volentieri fatto cambiare idea, aveva pensato. Ma se lui era presuntuoso, Charles era meschino.
A Washington l’aveva eccitato da morire e poi si era tirato indietro. E l’aveva solo baciato sul collo. Poteva, sarebbe potuto essere magnifico, Erik l‘aveva capito subito. L’aveva immaginato così spesso negli ultimi giorni. Non gli capitava spesso. Sarebbe stato solo bello. Lui e Charles, tutto quello di cui aveva bisogno.
E poi basta così, tutto era finito adesso. Come se si fosse spaventato. O schifato, che era anche  peggio. A Washington, era tornato in camera con un erezione quasi dolorosa e un senso di delusione anche peggiore. Anche quella sera si era masturbato pensandolo e aveva pregato che a Charles non gli saltasse in testa di entrargli nella mente. Perché non era la prima volta che lo faceva. Sorprendentemente, ora che l’aveva fatto sdraiato a qualche centimetro da lui, non si vergognava neppure.
Forse non era Charles quello davvero anormale.
Lui, Erik, era solo stato chiaro. Quello che voleva doveva volerlo anche Charles, no?
Però ora... Non ne era più così sicuro. Ma non poteva  nemmeno giocare così, non con lui. Charles l’aveva fatto. E ora lo faceva di nuovo. Non era giusto.
Charles disse qualcosa sul tempo. Gli rispose a bassa voce. Non si voltava nemmeno.
Pioveva ancora, fuori ? Faceva insopportabilmente caldo.
L’aria nella stanza sembrava immobile. Erik si riallacciò la cintura, poi lento, si sporse dal letto e raccolse la giacca che era scivolata a terra. Doveva averla scalciata giù. E quel pavimento di linoleum era pessimo e macchiato. Adesso avrebbe voluto bere. Però era tardi e ai distributori al piano di sotto, vicino al parcheggio avevano solo
quelle bottigliette piccole, da alcolizzati disperati, con nomi e marche che non conosceva. Per la prima volta da quando aveva incontrato Charles, si sentì davvero solo.
Non aveva immaginato che andasse così. Per niente.
“Non doveva andare così.”
Charles aprì gli occhi, rivolti al soffitto. Si strofinò il naso, poi richiuse gli occhi. Non si girò. Era qualcosa di enorme. Non voleva pensarci.
Non voglio parlarne adesso.
Lo immaginava. Sempre così. Quanto avrebbe desiderato che gli entrasse e gli cancellasse ogni cosa dalla mente. Non sembrava un’opzione così brutta. Dimenticare, pregò Erik, dimenticare tutto…
“Te ne stai andando.”
“Non lo so” mormorò dopo un po’. Era il peggior scambio di parole da giorni. Si alzò, ma lasciò la giacca sul letto, in fondo. Guardò di sfuggita la macchia sul copriletto e sentì lo stomaco contrarsi. Non gli avrebbe dato fastidio, non così tanto. Se Charles non si fosse voltato e messo a sedere. Si alzò a sua volta e cominciò a disfare le lenzuola, tirando il copriletto indietro. La macchia sparì dalla vista. Charles ora era calmo, non aveva rughe a solcargli la fronte.
Solo la camicia un po’ stropicciata. Prese il suo cuscino, lo sprimacciò, lo sistemò. Fece una faccia strana.
“Resta” disse piano.
Incrociò le braccia dietro la schiena e scrutò ancora il cuscino. Sembrava insofferente.
Fottimi, ancora, ancora… Oh, mio dio. Per favore, per favore, Erik, Erik, Fallo ancora. Mi piace, va bene... Non smettere, Cristo, non smettere, so che ti piace... Fottimi, cazzo. E’ meglio, è meglio così, Dio… Erik…
La faccia di Charles diventò scarlatta. Erik abbassò lo sguardo. Non voleva ricordarlo. Ma era un po’ difficile pensare che il Charles che aveva davanti adesso era lo stesso che pochi minuti prima gli aveva tenuto stretta la testa contro la sua erezione, incitandolo a scoparlo con la bocca. Ora, ora sembrava Charles.
Guardò l’orologio alla parete. “E’ meglio se…”
Charles si sedette sul bordo del letto. Non lo guardò. Ti avevo chiesto di restare.
“Charles…”
“Non mi va di parlarne.”
Ci mise un po’, forse. Alla fine, si stese contro di lui. Gli permise anche di abbracciarlo. E dopo, anche Charles sembrò lasciarsi andare, abbastanza vicino, circondandolo a sua volta con le braccia. Lo accarezzava piano e non diceva niente.
“Charles?”
Lui lo strinse solo e non rispose.
“Charles. A va bene anche così. Non m’importa, se non vuoi... Non importa. Mi basta…”
Era sincero. Pensò che forse avrebbe potuto riuscirci, almeno provarci. Bastava stare con Charles, forse non dovevano farlo per forza. Non se non si sentiva a suo agio. Però non riusciva a convincersi. Non voleva che andasse così. Non poteva essere suo amico perché non lo era più, era troppo diverso adesso. Non riusciva più a guardarlo senza pensarci. Ma lo voleva così tanto che avrebbe potuto fare finta, fare altro, niente sesso. Solo.. Così.
Forse poi sarebbe cambiato, forse doveva solo aspettare, forse, forse, forse… Poi lo vide scuotere la testa. Erik non insistette.
Passò forse una mezz’ora. Era ancora vestito. Stava scivolando in un’indifferente dormiveglia. Charles mormorò qualcosa e lo sentì allontanarsi. Poi sentì il rumore dell’acqua scrosciante. Non era la pioggia, ma riuscì a svegliarlo. Faceva ancora caldo, era l’una e mezza di notte. Non era più così stanco. Si alzò dal letto e guardò verso la porta del bagno. Charles l’aveva lasciata aperta; lo intravedeva, era sotto la doccia, oltre i vetri appannati.
Lo guardò ancora un po’, ma Erik non riusciva a sentirsi in errore.
Aveva solo bisogno di uscire forse, adesso. Il tempo era così lento.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che era successo. Le cose erano molto più complicate, quando si svolgevano fuori dalla sua testa.
 

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La grondaia doveva essere rotta.
Dal tetto, la pioggia colava in fii liquidi, ininterrotti. L’acqua aveva formato una pozza sulle assi del corridoio esterno del motel. La pozza si era estesa, col passare delle ore e aveva formato una cascata quasi, giù per quattro scalini. Stranamente, solo i primi quattro in cima, quelli dove si era seduto, appoggiandosi con la schiena al muro, erano abbastanza asciutti. Meglio così.
Guardò la lunga fila di finestre buie. Giusto un rettangolo più chiaro in fondo. Poi tornò a guardare oltre la ringhiera, tra la massa nera degli alberi. L’aria della era più fredda, ma il caldo era ancora soffocante da artigliare alla gola. Caldo umido, pesante.
Era un clima che non gli piaceva. Era strano. Erik non ci era abituato.
Si era cambiato e lavato, tornando nella sua camera, ma sentiva i vestiti  di nuovo appiccicosi, e un rivolo di sudore sulla tempia.
Le assi cigolarono. Alzò appena gli occhi, lanciandogli uno sguardo obliquo poi, dopo un momento, abbassò le gambe, facendogli spazio. Dopo un istante, Charles si sedette.
“Torni a dormire?”
“Fra un po’.”
Teneva le mani intrecciate, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. “Non adesso, comunque” aggiunse Erik.
La luce bassa dell’ingresso ronzava pigramente sotto di loro. Era una luce giallastra. Non era molto gentile con il colorito acceso di Charles. Sembrava arancione. Rise piano. Charles lo guardò, un po’ incuriosito.
“Non è niente.”
“Non è mai niente.” Però sorrise e gli porse la lattina che aveva preso al piano di sotto. Non l’aveva nemmeno aperta. Se la divisero. Non era più tanto fredda, ma andava bene.
“Non c’era niente di meglio.”
“Non importa... Davvero, va bene lo stesso.”
Scese ancora il silenzio, anche se quella notte non lo era affatto. C’era la pioggia, incessante. E sul tetto risuonava sorda e ritmica, come se contasse il tempo scivolare via.
“Ti succede sempre?”
Charles abbassò la lattina dalle labbra. Poi si sfiorò la tempia. Capì di cosa parlava Erik e arrossì. La sua faccia si colorò di macchie rosso acceso. Era ancora più arancione.
“Sì. A volte.” Contrasse la fronte. “Dipende da con chi sono, credo.”
“Anche se perdi il controllo... Arrabbiandoti?”
Charles rise piano. 
“Quello succede meno spesso.”
Erik rimase zitto. Forse scherzava. Lo avrebbe preferito. Finirono di bere. Charles disse che probabilmente erano soli. Probabilmente erano soli in Georgia.
Non sapeva cosa intendesse, ma era un po’ malinconico.
“Possiamo partire anche adesso” disse Erik a voce bassa. “Arriveremmo a Richmond domattina sul tardi, ma..”
“Vuoi partire, Erik?… Ora?”
“Non sono io a decidere.”
Ennesimo silenzio. La pioggia diminuì, i fili d‘acqua che colavano dalla grondaia si diradarono.
“Perché hai voluto venire qui?” chiese Erik, dopo un po’.
“Lo sai. Sai perché.”
“Se è… Se è per quello che è successo prima, Charles… L’avrei fatto anche a Washington….” Charles rimase zitto, ma Erik continuò, guardandolo. “…Ma forse lo sai già. Non è così?”
“Erik…”
“Non voglio arrabbiarmi.”
“Ne hai tutto il diritto.”
“Non so a cosa pensavo. Non lo so neanche adesso.”
“Cosa?”
“E’ vero.”
“Stavamo pensando la stessa cosa, Charles.” Allora lo guardò. “So che è così.”
Charles scosse con decisione la testa. “Erik…”
“Se è perché pensi che fosse squallido o deplorevole..”
“Non l’ho pensato” … Erik, non l’ho pensato, credimi. Non è per  quello.
“E allora…”
“Tu sei… Tu sei il mio migliore amico. Però… E’ come se…non sempre, non...”
“Ora sì che è chiaro” provò a scherzare Erik, senza sorridere.
La mano di Charles tremò appena.
... Ma io non ti guardo come se fossi solo mio amico.
 
 

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Westchester, New York, il presente.
 
“A cosa stai pensando?”
Erik riaprì lentamente gli occhi.
“Niente d’importante.”
“A Charles?”
Erik inarcò un sopracciglio, perplesso. “Dovrei?”
“Dovresti.”
“Come credi. Adesso rivestiti.”
Raven rise, girandosi un poco verso di lui. “Non ho vestiti.”
“Non credo tu sia arrivata qui così.”
“Credici. E‘ notte e io sono… Blu. E‘ semplice.”
Erik rise, lanciandole un’occhiata.
Raven gli sorrise di rimando, poi però si fece seria. Non sarebbe riuscito ad ignorarla.
“Non lo scoprirà, se è quello che ti preoccupa. E anche se lo scoprisse, che importa?”
Erik fece finta di non aver sentito, ma Raven si voltò ancora e ripeté la frase e lui fu costretto a rispondere.
“Perché no?”
“Oh, Erik… Lo sai perché” Raven rise, lisciandosi i capelli sul cranio. Sembrava troppo presa dal suo riflesso, gli occhi gialli che saettavano dallo specchio a lui. “E’ troppo preso da sé stesso.”
“E’ la tua tesi preferita, immagino.”
“Anche da Moira. O da te. Adora le cose nuove.”
Guardò fuori dalle finestre scure, un po’ stanco. “Non mi interessa.”
La sentì avvicinarsi e quando la cercò di nuovo con gli occhi,  la vide sdraiata a pancia in giù, abbastanza vicino a lui, intenta a guardarlo. Sorrideva, il sorriso bianco
vivido sul viso blu notte. Erik si fece serio.
“Non puoi restare qui.”
“Ma non voglio restare qui a dormire.”
“E’ lo stesso.” Erik la scrutò, più intensamente che poteva. “Non voglio che Charles pensi male.”
Raven fece un sorriso furbo. “Ma a Charles non importa. Ne sarebbe solo contento.”
“Non credo.”
“Perché allora?”
“Come?”
“Perché non vuoi che pensi male?”
“Perché sei sua sorella e non mi sembra…” Erik le fece un sorriso affilato e divertito. “…Corretto.”
“Potrei essere la tua” replicò lei con un sorriso più ampio e gli occhi d’oro.
“Divertente.”
“Se devo essere ancora la sorella di Charles, non potrei rimanere così” disse, passandosi una mano sul collo bluastro e guardandosi ancora nel grande specchio
appeso alla parete. “A Charles piacciono solo le ragazze normali. Umane.”
Una ruga sottile si delineò sulla fronte di Erik. Ragazze normali, provò a dirsi. Forse prima. Forse ancora. Scopami. Sentì un brivido, pensando a Charles ansante sotto di lui, schiacciato tra lui e il letto, la sua bocca sulla sua, le sue mani avvinghiate alle spalle, dicendo cose che non avrebbe mai detto a nessun altro, figurarsi ad una donna.
Ma non l’avrebbe mai detto a Raven. Non l’avrebbe mai detto a nessuno in effetti. Perché non c’era niente da dire; erano lui e Charles, riguardava solo lui e Charles.
Raven cominciò ad accarezzargli piano l‘avambraccio. Lui non le ripeté di andarsene. “Se domani accadesse …”
“Sì?”
Raven battè le palpebre. “Se domani accadesse qualcosa, qualunque cosa… Potrei… Potrei venire con te?”
Erik rise piano. “Dove credi che voglia andare?”
“Ah” Raven sorrise. “Questo io non posso saperlo.”
“A Charles non piacerebbe.”
Lei ridacchiò, ma in un modo freddo, un modo nuovo. Con decisione, quasi.
“Ti importa di quello che pensa Charles? Credevo di no.”
“A volte” disse Erik, “A volte importa.”
“Secondo me non è davvero così. Dovresti fare quello che vuoi” Raven si mise seduta, appoggiandosi alla spalliera, contemplando le lucide scaglie blu tra le dita. “Potresti fare quello che vuoi. Non hai bisogno di avere il suo permesso.”
“Lo so” disse Erik piano, quasi controvoglia. “Lo so benissimo.”
“Dovresti ucciderlo.”
“Come?”
“Shaw. Se è quello che vuoi, dovresti farlo. Io lo farei.”
Erik fu tentato di stare in silenzio, ma poi disse: “E’ quello che farò.”
“Com’è uccidere qualcuno?”
“Non difficile” disse Erik laconico.
“Non sbagliato?”
“Non devi chiederlo a me.”
“Sei l’unico che conosco che l’abbia fatto.”
“Non è una cosa molto onorevole.”
Gli occhi gialli di lei si restrinsero a fessure. “Quelle sono parole di Charles.”
Erik distolse lo sguardo. “Vero.”
“Quindi?”
Erik rimase in silenzio.
Raven fissò dritta davanti a sé, il loro riflesso nello specchio. L‘uno di fianco all‘altra. “Se tu me lo chiedessi, io lo farei. Per te.”
“Non dire sciocchezze” disse piano Erik, voltandosi verso di lei. “Perché dovrei…”
“Perché potrebbe succedere qualsiasi cosa. E se venissi con te…”
“Non succederà niente.”
“Sai che non è vero” disse lei avvicinandosi. “Westchester non è un posto per quelli come noi, adesso. Non ho più voglia di fare finta che sia tutto.. Normale.”
Tornò ancora all’aspetto umano che aveva assunto di solito, poi lo baciò languidamente.
Erik non la respinse, non chiuse nemmeno gli occhi. Le mise ancora una mano sul viso e lei cambiò ancora e ora la fissava negli occhi gialli. La sentì sorridere ancora e poi lei cambiò di nuovo; divenne l’agente McTaggert, i capelli castani sciolti su una spalla.
Lui le strinse appena il braccio e lei tornò Raven e poi divenne Angel e infine la vera Raven, Raven in blu. Solo allora, Erik si lasciò un po’ andare, abbracciandola e tenendola un po’ contro di sé, almeno finchè lei non accennò ad accarezzarlo, mettendogli una mano sul petto. Avrebbe potuto, solo un momento, così...
"No".
Erik l’allontanò da sé e riprese fiato, cercando di non guardare le loro sagome nello specchio.
Raven gli sorrise. “Posso essere quello che vuoi. Puoi permettermi di venire con te.”
Erik la guardò fisso. Raven. Non sapeva se essere felice per il fatto che non capisse, che non capisse niente. Che pensasse che, a dispetto di tutto, ci fosse ancora qualcosa di normale. Però, però…  Per un folle attimo, avrebbe voluto chiederle di diventare Charles. Un Charles che era solo come appariva.
Ma non sarebbe mai stato uguale. Non aveva bisogno di un essere vuoto. Non era così che funzionava… Però l’avrebbe voluto e tanto, ammise con sé stesso.
E Raven era lì e gli sorrideva e gli diceva che poteva essere qualunque cosa. Charles era innamorato di lui, ma in fondo non funzionava davvero così. Non c’era bisogno di alcuna esclusiva.  Era così stanco. E poi Charles? Pensava sempre a sé stesso.
Meglio... Un Charles senza conseguenze, senza tutti quei problemi per la testa, gli sarebbe stato così preferibile… forse non migliore, meno amabile…
Ma non erano certo quelle le cose che l’avevano attratto la prima volta, non lo erano affatto…
Solo, una copia magari? Ora che Charles era così lontano.
Uccidere Shaw voleva dire quello, no? Ottenere qualcosa, perdere altro. Stupida etica. Stupido Charles….
“Erik?”
Lui tornò a metterla a fuoco. Lei sorrise. “Dico sul serio.”
“Non ne dubito.”
“A Charles piaceva.”
“Cosa?”
Lei si passò una mano fra i capelli, rannicchiandosi contro di lui e la testiera. “Voleva che diventassi sua madre. Ogni tanto.”
“Ah.” Erik cercò di allontanare il più possibile tutti i pensieri che gli stavano venendo in mente. Era meraviglioso, pensò ironicamente; Charles era più disturbato di lui.
Però era Raven a dirglielo, e per quanto lei lo affascinasse, lui non le credeva  davvero. Non voleva crederle. Non voleva sapere niente delle insicurezze di Charles; gli facevano solo venir voglia di andarlo a cercare e dirgli che avrebbe fatto ogni cosa per lui.
“Non mi interessa.”
Raven stirò la bocca in un sorriso storto. “Non devi pensare male.”
“Non è così. Ma non è giusto che tu lo dica a me.”
Lei distolse appena lo sguardo.
“Volevo solo farti capire che… Per me, per me non è un problema se.. Erik, capisci?”
Per un momento si ritrovò a fissarla. Avrebbe voluto dirle tutto, ma come poteva? Poi il momento passò. Non avrebbe fatto nulla di così stupido, di così avventato. “Capisco. Ma non ho intenzione di farlo.”
Raven sorrise come se fosse sua complice. “Possiamo parlarne però…”
“Ho detto no.”
“Per me non è un problema” continuò lei. “E’ il mio potere, no?”
Lui scosse la testa. “Non essere infantile.”
Gli occhi gialli s’indurirono, ma il sorriso non sparì. “Credi che stia giocando?”
“No” replicò Erik. “E’ proprio questo il problema. Non dovresti rimanere così.”
Raven sorrise docilmente. “Dovrei rimanere sempre blu?”
Lui le sorrise di rimando. “Solo quando non hai un motivo migliore.”
“Charles lo sa che dai questi consigli?”
Il sorriso di Erik s‘incrinò appena. “Non vedo nessun Charles adesso” rispose in tono freddo.
“E ora?” Raven rise. Ma quando rise, lo fece come Charles.
Lei era Charles. Lui ne guardò solo il riflesso nello specchio. Non riusciva a sopportarlo.
“Cambia.”
Lui la fissò. Charles gli restituì uno sguardo troppo altero. Era un’espressione che il vero Charles non avrebbe mai assunto.
“Cambia.”
“No.”
“Non so che giochetti tu sia stata abituata a fare ma, Raven, seriamente. Non mi interessa.”
Lei tornò col suo aspetto umano. “Lo faccio per te.”
“Mi va bene come sei. Non ho bisogno di copie.”
Lei tornò blu. Cambiava così velocemente da far male agli occhi.
“Sono meglio di una copia.”
“Non ne dubito.”
“Non è mia intenzione usarti così. Non mi interessa.”
“Carino” disse lei inclinando il capo.
“Solo corretto” replicò Erik. “E’ diverso.”
“Erik, te lo sto chiedendo io. Posso essere chiunque tu voglia. Non è così terribile” disse, allungandosi verso di lui, sorridendogli divertita.
“Marilyn Monroe.. ? Rita Hayworth… Marlene? Chiunque tu voglia. Consideralo un regalo.”
“Ci hai provato così anche con il piccolo scienziato?”
“No.”
Una piccola ruga si disegnò sulla fronte di Erik.
“Con Charles?”
“Bè, lui sì, ma…” Lei rise. “E’ stato lui a chiederlo, ma non per… Se gliel’avessi proposto io… Mi avrebbe cacciato. Una lunga storia. Sono io che lo chiedo a te… Erik.”
Nonostante l’impulso di allontanarla, di gridarle che no, grazie, in tutta onestà preferiva altro, le sorrise.
“Non ti chiederei di diventare mia madre. Se è quello che ti preoccupa.”
Lei rise e lui si pentì. Erano appena, appena vagamente riusciti ad allontanare l’ombra di Charles dalla conversazione… Ma lui non ci riusciva. Ormai glielo aveva detto. Ed Erik non riusciva, non riusciva a non pensarci.
“Perché?” chiese. “Perché te lo chiedeva?”
“Perché lui era gentile” rispose Raven, avvicinandosi ancora. “Perché era sempre solo.”
Questa volta fu di nuovo Erik a baciarla per primo. In realtà, non gli dispiaceva. Non riusciva nemmeno a sentirsi davvero in colpa. Le fece scorrere la mano sulla spalla, lentamente, indugiando. Quella pelle era così curiosa. Particolare e insolita. Lei non era la sorella di Charles. E lui non era davvero suo amico. Non c’entravano niente con lui.
“Perché era sempre solo?” le chiese piano.
“Perchè lo odiava” disse lei accarezzandolo sulla nuca. “Lei aveva paura di lui.”
Erik sorrise contro le sue labbra. Non per ridere di Charles. Era solo… Triste. Raven aveva gli occhi chiusi, non lo percepì.
Raven era legata  a Charles. Quasi come se ne fosse davvero innamorata. Perciò, non trovava strano parlare di Charles anche quando erano così, anzi. Forse, le faceva piacere, la rassicurava; era Charles che sbagliava, che fingeva che fosse sempre tutto a posto e normale. Non loro. Charles era solo qualcosa che li univa, inevitabilmente. E faceva piacere a lui.
Perverso, pensò Erik. 
“Lui le voleva disperatamente piacere…” disse ancora Raven, staccandosi e mettendosi ancora al suo fianco, stringendosi  a lui. “Ma lei … Lei se n’è andata.”
“E cosa ha fatto?”
“Come?”
“Charles. Che ha fatto, quando lei se ne è andata?”
“Quello che farà con noi.” Raven fece un sorriso strano. “L’ha lasciata andare.”
Erik appoggiò la testa contro la sua. Forse non sarebbe stato tanto male. Forse stare lontano da Charles non poteva essere così brutto. Adesso non gli mancava.
Appena appena… Con il tempo, sarebbe andato tutto a posto. Forse non l’avrebbe dovuto vedere più. Gli era già successo. Succedeva di continuo, vero? E poi era meglio che lui stesse da solo. Non era fatto per gli altri. Uccidere Shaw risolveva parte del problema, ma non risolveva sé stesso.E non poteva tenere Charles vicino, no. Charles in realtà non lo capiva davvero, se lo avesse capito, gli avrebbe lasciato uccidere Shaw, anzi, l’avrebbe aiutato e l’avrebbe lasciato rimanere a Westchester… Oppure, oppure avrebbero potuto andarsene assieme, da qualche parte, dopo. Solo lui e Charles, non c’era bisogno di niente.
Gli avrebbe dato tutto quello che voleva. Avrebbero avuto solo giorni. Giorni e notti come quella a Savannah.
Niente di più, pensò Erik premendosi contro Raven, la sua gamba contro la sua.
“Diventa lei.”
“Cosa?”
Erik abbassò il viso verso di lei, parlando contro il suo orecchio, come se dovesse sussurrarglielo. Non avrebbe voluto dirglielo davvero. Però ora lo desiderava.
“Diventa lei.”
Raven lo guardò. Gli occhi topazio fissi, le pupille nere e strette, implacabili.
Lui non abbassò gli occhi. Batté appena le palpebre e poi Raven si spostò davanti a lui, scrutandolo. Dopo un attimo, Raven cambiò.
Erik la riconobbe. L’aveva già vista, più di una volta. Non solo quella sera a Savannah. Tutte le volte che riusciva ad entrare nella mente di Charles, tutte le volte che Charles pensava così intensamente da cancellare ogni barriera che li divideva. Come se anche Erik fosse, per qualche momento, alla pari con lui.
Vista con gli occhi di Charles gli era sembrata solo molto più bella. Ma a vederla ora, duplicata da Raven, il viso non era così dolce, le labbra non erano così piene e invitanti. Semmai dure e decise e gli occhi inspiegabilmente fissi e rigidi, come se fossero finti, come se non vedessero davvero oltre sé stessa.
Però erano azzurri.
Azzurri come quelli di Charles… E i capelli biondi impeccabili e il disegno degli zigomi erano gli stessi di come li aveva visti nei ricordi di lui. Raven -la madre di Charles- sorrise.
Lei gli si avvicinò, ancora sorridendo, aggiustandosi i capelli dietro l’orecchio. Sembrava uscita dagli anni quaranta. Erik stesso non sapeva perché ne era così affascinato. Forse perché era una delle prime immagini che aveva visto nella mente di Charles.
Un'immagine che gli era rimasta vivida della mente perché l’aveva vista la prima sera in cui l’avevano fatto. Forse perché quella donna, era parte di Charles. Non lo era davvero; era solo uno specchio.
Lo specchio di una donna che aveva amato Charles e poi -stando a quanto diceva Raven, ma anche pensando a quel poco che Charles si era lasciato sfuggire, ora sembrava più che vero-quella era la donna l’aveva abbandonato a sé stesso…
Quanto avrebbe voluto dimenticarsene…
Gli aveva chiesto di diventare lei, perché non poteva chiedergli di diventare Charles, pensò mentre la baciava. Era già abbastanza strano che fosse così.
Raven aveva riso all’inizio. Lui non aveva cercato nemmeno di difendersi, ma si stavano baciando ancora e lei disse che non aveva intenzione di smettere, se era quello che lo divertiva. Se lo trovava strano, non lo disse.
Erik non voleva smettere. E poi.. E poi aveva cominciato lei…
Così è come va, aveva letto una volta Erik. Non aveva mai baciato una donna così, almeno da quel che riusciva a ricordare adesso. Forse nessun altro uomo.
Ricordava solo di aver baciato Charles. Sempre e solo Charles. Voleva solo andare a cercarlo. Quando pensava, tutto si collegava a lui.
Non aveva voglia di tenerlo fuori dalla sua mente.
Sarebbe stato difficile se Charles avesse scoperto la verità. Una verità che nemmeno Erik sapeva bene, che non sarebbe riuscito nemmeno a pensare, definendola. Però era lì, gli aleggiava davanti, se fosse stata solida avrebbe potuto prenderla…
Era innamorato di lui. Era così innamorato che qualunque cosa si legava a Charles gli faceva perdere la testa, dalla prima volta in cui aveva capito che voleva molto di più. Era il suo migliore amico, era il suo salvatore. Se Charles fosse stato con lui avrebbe sempre avuto ragione, sarebbe stato solo completo, perché
Charles, Charles era tanto… Straordinario.
Riaprì gli occhi. Sotto di lui, Raven\La madre di Charles aprì le palpebre e all’azzurro per un momento si sostituì il topazio.
Sentiva il peso delle sue gambe intrecciate alle sue, agganciata a lui in un modo che non era poi così diverso da quello con cui stava con Charles.
Non sarebbe stato troppo complicato, pensò Erik. Non c’erano molte conseguenze da considerare adesso… Però avrebbe voluto che lei rimanesse così. Bionda, bella ed elegante, con quella vaga ombra di rossetto poco sopra il labbro.
“E’ divertente vero?” mormorò lei piano. Anche se non sembrava poi così convinta.
Erik non disse niente. Le tenne le braccia sopra la testa, strette per i polsi e la baciò ancora. Lei inarcò la testa, esponendo il collo. La baciava lentamente e poi intensamente, schiacciandola sul materasso, fra le lenzuola e le coperte che profumavano di pulito. Più la baciava, più serrava le palpebre, accarezzando quel viso che conosceva così poco. E vedeva Charles, e continuava a vederlo. Riaprì gli occhi e fu quasi sicuro di vederlo nella cornice dello specchio.
Ne era perseguitato. Sentiva come un fischio nella testa, un suono distorto. Ad un certo punto, credette di sentire la sua voce. Stava impazzendo? Ci era molto vicino.
L’azzurro dei suoi occhi era identico a quello di quelli di Charles. Come se quella fosse una motivazione a quello che stava facendo. Lei lo abbracciò, sembrava stringerlo così forte. Molto di più. Anche se era una donna, una donna alta, sì, ma molto magra.
Era quasi convinto adesso, pensò, scoprendole il collo. Chiederle di diventare Charles.
Chiederle di diventare quello che voleva davvero, solo per un po’, solo per qualche ora…  Non sarebbe stato così terribile, non sarebbe stato così….
Incrociò ancora i suoi occhi e vide che erano di nuovo gialli, oltre le palpebre abbassate. Non ci sarebbe riuscita. E lui, nemmeno lui.
Alzò la testa e si fermò.
“Che c’è?”
“Non mi va.”
"Cosa?"
Erik la guardò ancora per un momento, poi rotolò giù, sospirando di rabbia, ricadendo di fianco a lei. Era tornata sé stessa e forse era una fortuna, a pensarci.
Restarono a fissare il soffitto, finché Erik non si passò le mani sul viso, sospirando. Non voleva dare delle spiegazioni, aveva solo un po’ di timore a come giustificare questo a Raven. Ma lei non disse niente, non chiese nulla. Le era vagamente grato. E non era stanco.
“Sono stanco.”
Raven gli passò una mano sul braccio, accarezzandolo piano.
“Mi hai sentito?”
“Sì.”
“Vorrei che te ne andassi.”
“Erik…”
Lentamente, lui si girò e le sorrise. Sperò di essere convincente.
“Non è colpa tua.”
Lei gli restituì lo sguardo, spostandosi appena su di lui. “Portami con te.”
Erik la guardò a lungo, poi scosse la testa.
“No. Se vorrai, potrai seguirmi. Ma io non ho intenzione di portarti da nessuna parte, Raven. Sei tu che scegli.”
A quelle parole, Raven sorrise. Augurandogli la buonanotte, uscì silenziosa dalla stanza, la figura blu inghiottita da uno spiraglio d’ombra.
 
 

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“Sai… A volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita, se quella sera non mi avessi trovata.”
“Scusa come … ah…”  con una smorfia, Charles si girò distrattamente verso la voce e poi si girò di nuovo, quando la vide in controluce.

“Per l’amor del cielo Raven” le disse, chiudendo il frigo e distogliendo lo sguardo.
“Dove sono i tuoi vestiti? Mettiti qualcosa addosso.”
Distolse ancora la faccia, cercando di non guardare nella sua direzione. Era davvero a disagio. Avrebbe dovuto bere whiskey, whiskey e basta, non volerlo con l’acqua. Non aveva voglia di parlare.
“Non hai detto questo la prima volta che mi hai vista… Ma gli animali domestici sono sempre più carini da cuccioli, vero?” rispose lei, sedendosi al tavolo.
“Non so cosa ti prenda da qualche tempo” replicò avanzando verso di lei a testa bassa. Non aveva voglia di litigare anche con Raven, aveva già abbastanza pensieri per la testa. Meglio risolverla subito, un conflitto già in corso era sufficientemente stressante.
“Pensavo fossi di buon umore...” cominciò sedendosi e guardandola ostinatamente in faccia. “Hank mi ha detto di aver trovato una soluzione al tuo problema… estetico.”
Lei rimase in silenzio.
“Vuoi dirmi cosa ti preoccupa, o devo leggerti nel pensiero?” le chiese pacatamente.
“Mi hai promesso che non l’avresti mai fatto” replicò Raven piano, un po’ incattivita.
“Fino a oggi, non ho mai dovuto usare il mio potere per capire che cosa pensassi.”
Lei scoprì appena i denti e si protese verso di lui, le mani intrecciate sul tavolo.
“Sai Charles, ho sempre pensato che tu ed io saremmo stati insieme contro il mondo, ma per quanto il mondo diventi cattivo, tu non vuoi metterti contro di lui, vero? ...”
“...Tu vuoi farne parte!” sibilò, alzandosi di scatto e dandogli le spalle, si allontanò.
Charles si allungò sulla sedia, guardando verso la soglia vuota e attese. Sbuffò ancora, alzò gli occhi al soffitto, guardò ancora verso il corridoio e poi si alzò a sua volta.
“Raven? Raven… fermati.”
La raggiunse nell’ingresso. Lei era già sulla scala e la sua pelle blu, risaltava nel colore indaco della notte che entrava dai lucernari. Inspirò appena. “Qual è il problema?”
Lei scosse appena la testa. “Sei così cieco, Charles.”
“Non parlare così.”
“Perché non dovrei? E‘ vero. Sei incapace di capire quello che sta succedendo.”
“Non devi parlare così…” Charles fece un paio di passi sul pavimento a scacchi. “Perché questa non sei tu.”
“Mi stai leggendo nella testa?” chiese lei, inclinando la testa, il bianco degli occhi che risaltava nella penombra. “Non ti azzardare…”
Charles rimase in silenzio. Le mani incrociate dietro la schiena, le sentiva formicolare. In realtà avrebbe voluto prenderla a schiaffi, prenderla a schiaffi e farla rinsavire.
Era suo amico, perché le parlava così? Non aveva bisogno di altre persone arrabbiate con lui.
“Possiamo parlarne, Raven?”
“Mi stai leggendo nella testa?”
“No.” Scosse la testa. “Non m’interessa. Voglio che me lo dica tu.”
“Non parlarmi come se fossi…”
“Se fossi… cosa?”
“Vecchio. Vecchio, ingenuo e umano, Charles, esattamente cose che non sopporto.Vorrei solo che tu capissi, ma tu non riesci ad andare oltre te stesso, vero?”
Charles rimase interdetto. Cercò di trattenersi mettendo le mani in tasca. Aveva una strana sensazione, un brivido gelido che risaltava nelle ossa. Era un gran brutto presentimento, ma riusciva solo a fissare gli occhi di Raven, brillanti nella notte. Quel color ambra.
Non conosceva più bene quegli occhi.
“Non voglio litigare anche con te, Raven.”
“Non è Raven” affermò lei testardamente. “ E’ Mystica.”
“Che? Oh, … Santo Cielo”, sbottò Charles, avanzando verso la scala. I suoi passi risuonarono appena sul pavimento lucido.
“Perché hai in testa certe sciocchezze? Chi…”
Poi però si zittì e lei lo guardò appena, parlando a voce più alta, facendolo tacere.
“Io sono così, Charles, vado bene così, sono stanca di dover… di dover essere normale. Non vogliamo essere tutti come te, Charles. Pensaci. Non puoi credere ancora che sia ancora tanto semplice.” Strinse il corrimano e sali un altro paio di scalini. “Noi siamo perfetti così. Non siamo noi a doverci adeguare” aggiunse in tono gentile, e Charles si accorse che il suo stomaco  era orribilmente contorto e che non riusciva a risponderle perché aveva la gola bloccata. Era così teso, ed era tanto vicino alla soluzione di come e perché Raven parlava così e non voleva pensarci, perché se fosse stato vero sarebbe stato solo orribile e lui sarebbe stato solo.
Restò in silenzio.
La sentì augurargli la buonanotte e lui la guardò salire le scale, cercando di non pensare a niente. Era così concentrato a fissarla che ci mise qualche secondo a realizzare che era comunque scivolato nei suoi pensieri e che lui era rovinato, perché ora capiva.
La vera Raven… Perfezione. Perfetta così. Straordinaria. Charles capì ogni cosa e si ritrovò a fissarla con gli occhi sbarrati. 
Diventa lei. Se vorrai, potrai seguirmi.
Charles si riscosse. Era terrorizzato, più che furioso, poi tutto sembrò sparire e divenne insensibile. Come aveva potuto? E lui non se n’era nemmeno accorto…
“Charles.. Mi hai letto nella mente?“
Raven si fermò e si girò lentamente, gli occhi famelici. “L’hai fatto?”
Lui le restituì uno sguardo incerto, ma rimase in silenzio. Non era arrabbiato, non era offeso, non era triste.
Non sentiva assolutamente niente.
Lei capì; lo guardò con l’odio vivo nelle iridi d‘oro. Poi gli diede di nuovo le spalle e si allontanò in fretta, sparendo sullo scalone, nelle ombre.
 


 

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Un po’ di tempo fa, Monroe’s Motel.
Savannah, Georgia.

 
.... Ma io non ti guardo come se fossi solo mio amico.
Charles contrasse le mani sulle ginocchia.  “Se tu fossi solo il mio migliore amico, non vorrei mai.. Non dovrei mai… Cazzo.”
“Se non vuoi parlarne, non parliamone” tagliò corto Erik.
A lui sarebbe piaciuto però, pensò. Parlare e parlare ancora. E magari tornare a letto. Non era arrabbiato. Non si era arrabbiato nemmeno prima, in realtà, provò a convincersi. Non sul serio. Charles sembrava pensarlo, da come continuava a parlargli, con quella voce bassa, come se si sforzasse di essere gentile.
Aveva fatto male ad aspettarsi chissà cosa, che sarebbe andato tutto bene. Non era così che funzionava. Non era così.
“Io non ci riesco.”
Erik non lo guardò nemmeno. Charles insisté.
“Non doveva andare così. Tu sei il mio migliore amico. Io non posso... non posso volere, nemmeno tu vuoi... Questo.”
Erik sentì le mani formicolare. Stava scherzando o era davvero serio?
“Charles, smettila di ignorarlo. Il tuo migliore amico? Non mi conosci da nemmeno un mese. Chi credi di essere per ..”
“Sto' solo dicendo che.. Che dovresti esserci abituato. Quindi perché tocca a me decidere cosa fare?” Charles gli sorrise un poco divertito, le palpebre leggermente abbassate. “Mi chiedo come ho fatto a non vederlo. A non capirlo. Di solito… Se l‘avessi visto…”
“Avresti preso delle precauzioni?” chiese Erik a mezza bocca.
Il sorriso sparì.“Mi sarei… Mi sarei solo comportato diversamente.”
“Charles.”
“Scusa. Volevo solo..”
“Cosa, cercare di capire? Non farlo.”
Perché lo faceva sempre, sempre arrabbiare? Non erano già stati cinque giorni difficili? Non voleva litigare con Charles. Come quando era solo suo amico e non aveva ancora l’abitudine di guardarlo strano e di dirgli quanto lo trovasse attraente, per poi toccarlo e confonderlo e tutto questo assieme e lasciargli credere che...
Come se avesse quasi bisogno di lui. Quando era Charles e basta, lo desiderava così tanto. Non che adesso volesse il contrario, però non poteva non sentirsi in colpa.
Forse Charles non lo faceva apposta. Probabilmente era così.
“Io non ci riesco, Erik. Mi dispiace, credo che sia stato…”
Erik lo fulminò con lo sguardo. Non lo sopportava più. Fu quell’occhiata cattiva, a far diventare risoluti gli occhi di Charles.
“Credo che sarebbe successo comunque, in verità.”
“Non è vero.”
“Perché?”
“Perché io non mi sarei mai comportato come te” disse Erik freddamente.
Charles arrossì violentemente, ma gli occhi s’incupirono. A dispetto di tutto, sembrava più alterato che imbarazzato. 
“Ah, certamente. Ne sono sicuro.”
“Non mi riferisco a quello che è successo adesso” continuò Erik, ignorandolo. “Se tu non avessi… A Washington… Io non ti avrei mai detto nulla. Non mi aspettavo niente, Charles.”
“Quindi è colpa mia?” chiese Charles.
“Non sto dicendo…”
“Ma lo stai pensando.”
Erik alzò gli occhi al cielo. Intercettò quasi per sbaglio lo sguardo di Charles e si accorse che sorrideva. Sentì che gli sorrideva a sua volta. Charles allora rise brevemente e lui si limitò a distogliere lo sguardo, verso la ringhiera.
“Stupido” mormorò.
“Dicevi sul serio prima?” chiese Charles dopo un altro po’, tornando serio.
“Quando?”
“Quando hai detto che non era importante se io… Se noi non avessimo…”
Erik guardò fisso nella massa nera davanti a lui. “Sì.”
“E ci.. Ci credevi?”
“Per un momento” disse lentamente. “Per un momento ho voluto crederci.”
“Perché… Perché non… Non mi è dispiaciuto, se è quello che pensi, ma…”
“Immagino tu sappia benissimo, cosa sto pensando.”
Charles si ricacciò indietro i capelli. Con quella luce arancio sembrava  più vecchio adesso, aveva un reticolo di piccole rughe vicino agli occhi. Forse perché teneva la fronte contratta, forse perché in realtà Erik lo vedeva sempre in un altro modo.
“Giusto. Posso sapere qualsiasi cosa.”
Forse stava cercando di scherzare, ma il tono era troppo serio e lo innervosì ancora di più. Non ne poteva più, erano così tante parole. Tutte così inutili…
“Che cosa pensavi?” continuò Charles. “Pensavi davvero che sarei stato…”
“Che stai…”
“Io non sono come te, Erik. Non così, almeno.”
“Sta’ zitto.”
“Non è così semplice, se solo lo fosse… Io…”
“Charles.” Si girò verso di lui di scatto, insofferente. Avrebbe voluto ucciderlo davvero.
Perché non stava zitto?
“Non credo che sia una buona idea.”
Erik alzò gli occhi al cielo, passandosi una mano sulle tempie. Così fastidioso era…
“E’ semplice, Charles!” sbottò infine, gli occhi fissi nei suoi. “… Prima è stato semplice, sei tu che complichi ogni cosa, ogni cosa! Perché devi farlo?”
Charles alzò le sopracciglia, interdetto. Sembrava dispiaciuto, ma anche troppo serio.
Erik inspirò. Ora era furioso; gli tremavano le mani.
“Credi che a me vada bene così? Quanto ancora vorrai andare avanti? Siamo venuti fino a qui, fino a qui… Solo perché a te fa’ tanto schifo, perché non è tanto normale. L’unico che può sapere tutto sei tu, se sei tanto stupido da pensare che io…”
Erik s’interruppe. Non funzionava, si accorse che era inutile. Charles era tanto sveglio, tanto acuto, tanto brillante… ma non capiva. Di nuovo, si sentì come se fosse lui, fosse lui quello poco normale. A giudicare da come lo guardava Charles, sembrava proprio così.
“Cancellalo” disse infine, piano.
“Cosa?”
“Cancellamelo dalla testa. Giochi con la mente, no? Sono sicuro che puoi farlo.”
Charles scosse la testa. “No.”
“Perché no? Perché tu lo sapresti comunque?” chiese Erik con voce fredda.
“Perché non voglio.”
“Dovevamo tornare subito a Richmond.”
“Non è colpa mia.”
“Charles…”
“Io non ci riesco. Non riesco ad essere così, ma non voglio nemmeno che sparisca.”
“Immagino che sia perché non sono una femmina” bisbigliò Erik rabbioso. Non voleva dirlo. Ma non ne poteva più di non dire quello che sapevano benissimo entrambi.
“Se tu fossi una donna non ti avrei nemmeno guardato” replicò Charles a bassa voce.
Erik che stava per alzarsi, rimase seduto. Non sapeva che dire.
Poi Charles parlò ancora, anche se non lo guardava.
“Non avrei mai… Non avrei mai fatto niente. Se tu non fossi… Se tu non fossi stato così, non sarebbe mai successo niente.”
“Se io non fossi cosa, Charles?”
“Lo sai.”
“Charles…”
“Non ne voglio parlare, Erik. E’ troppo…”
“Vorrei solo…”
“Non è tutto a posto, Erik. Non lo è.”
“Lo so. Vorrei solo che lo fosse per te.”
Charles fece un sorriso storto. “Questo non deve importarti.”
Erik tacque.
“Avrei dovuto chiedere a Moira di venire.”
Il sorriso di Erik fu più storto che mai. “Sarebbe stato meglio.”
“Questo non lo possiamo sapere.”
Erik gli si avvicinò, provando ancora a baciarlo. Durò poco, perché Charles distolse presto il capo, senza alzare la faccia.
Sotto la luce arancione riusciva solo ad indovinare che era arrossito ancora. Ed era sempre serio con lo sguardo così fisso e pensoso.
“Per favore, Erik. Io non sono così.”
“Allora dimmi di smetterla.” Non lo lasciò andare e nemmeno Charles lasciò lui. Lo stringeva solo per le braccia, ma era il modo migliore in cui avrebbe voluto stringerlo adesso.
“Non ho mai detto che tu debba esserlo. Quando dico che sei simile a me…. Charles, guardami. Io…”
“No.”
Interdetto, Erik lo lasciò andare. Mentre guardava Charles di sottecchi, cominciò a pensare a quanti problemi avrebbe avuto in meno se Charles non si fosse messo nella sua strada. Sarebbe morto nel porto di Miami. Morto. Niente problemi, niente Shaw, niente giochi mentali; una liberazione. Ma c’era una parte di lui, quella parte che l’aveva spinto a seguire Charles, a essere gentile, ad apprezzarlo, a essere d’accordo con lui, ad arrabbiarsi quando l’aveva visto in difficoltà…
Una parte che gli impediva di credere che quella sarebbe stata la scelta migliore.
“Charles, che cosa pensi davvero?” gli chiese, dopo un po’.
Lui -dopo un tempo esasperatamente lungo- finalmente si girò.
“Scusami?”
“Pensi davvero tutto quello che dici?” chiese Erik gentilmente.
Charles si morse appena il labbro, gli occhi vividi e i capelli appiccicati alla tempia. Poi scosse la testa, senza distogliere lo sguardo da lui. “No.”
Lo disse dopo un po’, dopo un po’ che era sceso il silenzio. Anche Erik aspettò a parlare, forse parlare non serviva più tanto.
Sono tutte scuse? Provò a pensare. Lo sentiva nella sua testa.
Gli occhi di Charles si restrinsero appena.
Sì.
“Sai anche che non l’avrei mai fatto se tu…”
Sì.
“Voglio solo che vada bene a te.”
“Non c’è niente di sbagliato, lo so” rispose Charles piano.Non c’è niente di sbagliato in questo. E’ così, e non riesco a non pensarci. So che è giusto,che va bene, ma poi? Ma non c’è una soluzione giusta... Non riesco a vederla. Non c’è…E poi cosa succede?
Erik contrasse appena la fronte. “Non devi… dobbiamo… Possiamo non pensarci adesso?”
Il cielo era scuro. Un uccello stridette, fra gli alberi. Gli alberi erano una massa nera e opprimente. II vialetto che portava al parcheggio, si perdeva nel buio, nel nulla.
Erano soli, per quella sera. Non sarebbe arrivato nessuno. Non sapeva come riuscisse a crederlo, con così tanta certezza.
E non aveva sonno, forse non avrebbe mai più dormito bene. Ora lo capiva, quando avevano detto che erano soli in Georgia.
Faceva parte tutto della stessa scusa. Come l‘essere ubriaco. E anche se erano lontani, da qualunque cosa opprimesse Charles, andava bene. Era sempre una scusa.
Ed Erik si sorprese, quando capì che non gli importava. La pioggia ricominciò a scendere, picchiettando più forte, sul tetto di lamiera.
Non si mossero, però. Erik capì che lo stava solo aspettando.
Allora, si girò verso Charles e lo guardò. Anche Charles lo stava fissando, non sapeva da quanto.
Per la seconda volta o terza volta, quella sera, fu Charles a baciarlo per primo.
Aveva la bocca fresca e dolce. Erik socchiuse le labbra volentieri, mentre lo prendeva per la nuca, tirandolo verso di sé.
Sentiva la sua lingua sfregare contro i denti, il palato. Sospirava raucamente, come lui. Come se dovesse sforzarsi. Charles, che lo baciava come se stessero litigando.La pioggia batteva più forte contro il tetto, e una mano di Charles gli accarezzava la gamba che teneva premuta contro la sua, sfregandola.
Ad Erik sembrava solo normale. Ma c’era da impazzire, a stare dietro a Charles. E poteva sembrare stupido, e inutilmente doloroso, ma era disposto a dargli tutto il tempo del mondo. A sopportare ogni cosa. E non gli importava che Charles lo sapesse, che adesso stesse nella sua testa. Erano abbastanza lontani da quello che costituiva davvero un problema per Charles, adesso.
Se non altro, aveva smesso di dispiacersi, di scusarsi. Forse, perché in fondo gli dispiaceva davvero, tanto da non volerne più parlare. Forse doveva andare così, prima. Doveva solo faticare un po’ di più.
Sentirono il rumore di una macchina, ma era lontano, e poi passò. Lo scroscio dell’acqua sulla veranda era più forte. Si staccarono appena, poi lo prese per le spalle, sbilanciandolo contro la parete, ricominciando a baciarlo, mentre Charles lo stringeva, tirandolo contro di sé.
Ad un certo punto, Erik sentì le dita schiacciate tra la schiena di Charles e il muro rivestito di assi. Si graffiò le nocche nella foga di trattenerlo, ma non gli importava.
Non voleva che fosse niente di calmo o dolce o carino. Non del tutto, almeno. Non era così che funzionava per lui.
La voglia che aveva di avere Charles era così accompagnata dall’idea di dovergli fare del male che in parte anche lui ne soffriva.
Gli spiaceva, ma era così che lo sentiva. Non c’era altro modo, gli disse. Non poteva fare altrimenti.
Lasciò che Charles lo accarezzasse. Che cominciasse almeno; aspettava solo il momento migliore, quello per dirgli di tornare in camera. Certo, lì fuori faceva un poco più fresco e l’odore della pioggia e del legno vecchio non erano così terribili, ma non vedeva l‘ora di chiedergli di tornare dentro. E poi era notte fonda e loro erano soli in Georgia, no?
Anche adesso che lo stava baciando, continuava a pensare a quello che avrebbero fatto dopo, a immaginarlo. Era per quello che erano venuti lì, il resto erano solo scuse, per quanto Charles fosse insicuro e temporeggiasse.
“Pensi ancora che io sia un deviato?” gli mormorò all’orecchio, prima di appoggiare le fronte alla sua. Charles sorrise e non rispose.
Lo baciò ancora, profondamente assorto. Poi disse qualcosa d’indistinto. Disse che era un ipocrita. Che lui, Charles, era un ipocrita. Erik si sentì stringere le viscere.
Era ancora meglio di quando era arrendevole, pensò. Quando ammetteva di aver sbagliato…
“…Non l’ho mai pensato” aggiunse dopo. Poi rise. “Ho solo.. Solo dubitato di me stesso.”
Erik lo strinse ancora e gli chiese cosa avesse provato a Washington, a come si era comportato quando erano tornati in albergo, se ci pensava e Charles glielo disse con la voce spezzata, tra un bacio e l'altro. Gli disse che non pensava ad altro. Sapeva benissimo quello che faceva e ne era terrorizzato.
E più Charles parlava e più gli veniva voglia di baciarlo e si schiacciava contro di lui, quasi ad inchiodarlo contro la parete.
Non lo prese per mano. Non gli disse niente, e forse neppure lo pensò. Sapeva solo che ad un certo punto si erano alzati.
Non ricordava nemmeno il rumore dei loro passi sulle assi di legno, né se fosse stato lui o Charles a deciderlo. Forse era inevitabile.
Si erano come staccati, come se fosse tornato tutto normale. Charles davanti a lui, la pioggia che cadeva di traverso, colpendo secca il tetto, gocciolando incessante dalla grondaia. E il caldo appiccicoso, e un paio di strida tra gli alberi. Aveva pensato di prenderlo, farlo voltare e baciarlo ancora ma poi erano di nuovo alla 23, con la luce che filtrava dalle tapparelle abbassate. L’unica differenza con il solito era che tra loro adesso non parlavano più e lui faceva maggior attenzione persino al suo respiro.
Con uno scatto secco, la porta si chiuse dietro di loro e Charles vi si appoggiò con le spalle. Gli sorrise appena.
Ora che non c’era più quella luce arancione sembrava solo più pallido e la pelle un po’ più invecchiata. Teneva le mani appoggiate, solo con i polpastrelli, alla porta. Sembra molto più losco di quello che è in realtà.
Erik sorrise e abbassò la testa. Ora era in imbarazzo. Quel piccolo problema di Charles di pensare sempre…
“Non pensi mai che sia ingiusto?” lo sentì chiedere a voce bassa.
“Cosa?”
Io posso sapere tutto quello che pensi. Se voglio.
Erik reclinò un poco la testa contro la parete, trattenendo una risata. Si sentiva insolitamente tranquillo. Forse non era solo Charles a sentirsi calmo e pronto a parlare, stando rinchiusi da qualche parte, nella penombra.
“Sono attratto da te, Charles. Non mi interessa che tu lo sappia.”
Charles alzò gli occhi e con gemito rauco, si schiacciò contro di lui, lasciando che le mani di Erik si stringessero sul suo viso, fino a scendere e  stringerlo dappertutto, disordinatamente. S’inarcò appena e ne cercò la bocca, il naso premuto contro la sua guancia, respirando fin troppo affannosamente. Lo sentì infilare le mani sotto la sua maglia, sentirne i muscoli frementi, tirandolo contro di sè.
Era uno strano giorno, pensò Erik, assecondandolo. Il muro contro la sua schiena era ruvido, e non sembrava fornirgli un vero appoggio, mentre cercava di districarsi nel disordine di gambe. Cominciò a tenerlo per la vita, facendo scivolare le mani più in basso. Era molto meglio, stava così bene. Stavano così bene. 
Lo baciò ancora, poi Charles allontanò un momento il viso. “Magari…”
“C-cosa?…”
“Magari posso…” Charles gli slacciò lentamente il colletto. Aveva linee di concentrazione sulla fronte, lo sguardo fisso sulla sua gola. Charles, che prima lo baciava con foga e poi chiedeva permesso. Reclinò un po’ la testa mentre Charles si dava da fare, baciandogli la gola e risalendo lungo il collo, tenendo le mani premute sul petto. Era… Era così interessante. Non era ubriaco, e non era davvero in imbarazzo o a disagio. Tutt’altro, si disse Erik, come se avesse bisogno di convincersi che fosse vero.
Persino il suo respiro era più veloce, mentre fissava lo spiraglio di camera visibile dall’ingresso. C’era ancora il letto semisfatto e le lampade basse. Aveva pensato che farlo con Charles - puro egoismo- in un posto tanto malmesso sarebbe stato sicuramente il modo migliore per farsi odiare da lui. Non era…
Non gli sarebbe già sembrato abbastanza strano?
Anche se, mentre si avvicinavano a Savannah, sarebbe stato pronto  a chiedergli di fermarsi ovunque. Certe cose ... Non erano importanti, non andavano pensate.
Adesso decise che non importava affatto. Quella squallida stanza andava benissimo.
Aveva solo voluto che tutto fosse a posto per Charles, ma ora che lui era così, tutto il resto non importava. Poteva fare tutto quello che voleva. Aveva come il sospetto -sorrise- che Charles sarebbe stato perfettamente in accordo, a giudicare dal modo impegnato in cui adesso si occupava di lui.
Lo baciò ancora, tenendolo stretto per il viso. Peccato non averlo conosciuto un paio di anni prima; ma andava bene, andava bene anche così. Sentiva la pelle formicolare, percorsa da brividi, anche se faceva  così caldo. Avrebbero dovuto tenere la porta aperta, tanto non c‘era nessuno, erano completamente soli. Gli passò le mani tra i capelli, facendogli piegare la testa all’indietro e Charles rise e lo prese per i polsi, cercando di premerlo a sua volta contro la parete. Erik lo tirò contro di sé.
“E’ meglio se…”
Era ancora un po’ curioso, parlare standogli così vicino.
“Charles…”
“Sì… Sì, Erik, io…” Però scosse la testa e gli sorrise. “Solo… Ancora…”
Erik lo baciò di nuovo; non riusciva a farne a meno. Gli disse che voleva andare di là, di nuovo, che sarebbe stato meglio. Però continuava a tenerlo stretto, come se non riuscisse davvero a decidersi. Si sentiva bloccato. E Charles riusciva solo a dirgli che non pensava, che non avrebbe mai pensato di finire così con quel tono incredulo e gentile assieme. Erik per un momento, pensò che sarebbe finita esattamente nello stesso modo… Charles poteva tirarsi indietro e, ancora…
No.
Lo fissò negli occhi e lo sentì chiedere ancora se per lui fosse mai stato un problema.
No, mille volte no, rispose, mentre  teneva Charles contro di sé. Come a dirgli che andava bene. Aveva la faccia arrossata ed Erik riusciva a guardare solo quelle macchie rosse, anche mentre allungava una mano tra di loro e gliela spingeva nei pantaloni. Charles socchiuse appena le labbra, poi premette di nuovo la bocca sulla sua, sospirando. Era un po’ strano. Baciare Charles e sentirlo nella sua testa, vedere di sottecchi il modo in cui teneva la mano attaccata alla tempia.
Lo distraeva talmente tanto da non rendersi conto che avevano varcato la soglia della camera, e che Charles l’aveva trattenuto verso il letto, che gli era bastato toccarlo a sua volta e che lui, Erik, non aveva voglia di trattenersi dal pensare dal  quello che avrebbe voluto fare con lui. Non era più così importante che Charles lo vedesse.
Quando si era sentito particolarmente porco, aveva pensato a come gli sarebbe piaciuto sbattersi Charles; veniva quasi subito se pensava a Charles con il culo sollevato e il suo cazzo dritto e dentro. Aveva pensato anche al senso di colpa e all'imbarazzo che ne sarebbe derivato se Charles l’avesse scoperto a fantasticare su cose del genere…
E ora faceva così ridere, gli disse, sentendo Charles gemere. Era viscido sì, continuò facendogli saettare la lingua nell’orecchio, le mani di Charles avvinghiate a lui, i suoi gemiti contro la gola. Ma non poteva farne a meno.
“Erik…”
Charles lo guardò e lui si zittì. Non riusciva ad indovinare cosa pensasse.
Era davvero strano. Aveva esagerato? Gli era successo raramente, di sentirsi in quel vago imbarazzo. Poi Charles arretrò, continuando a fissarlo e cominciò a svestirsi, abbassando il capo. Erik evitò a sua volta di guardarlo; era già abbastanza difficile così, nonostante la voglia di aiutarlo.
Non sembrava più davvero a disagio, pensò Erik, cercando di evitare di guardarlo direttamente. Charles finì di spogliarsi e s’infilò a letto, guardandolo di sottecchi. Aveva delle gambe ben fatte, notò. Probabilmente correva; forse non era poi solo un topo da laboratorio e libri. Prima non era riuscito nemmeno a dirglierlo, era stato troppo preso, concentrato solo sul fatto che lo voleva far venire, che dovesse sembrare a tutti i costi qualcosa di normale.
Forse perché Charles era la sua fantasia preferita. Sentiva il desiderio corroderlo dentro; quel corpo, Charles, adesso giaceva lì, a pochi metri da lui, nella penombra in cui erano solo loro. Lo poteva toccare, era bellissimo. Si spogliò a sua volta e s’infilò a letto, protendendosi verso di lui, cercando la sua bocca, stendendosi al suo fianco, accarezzandogli le gambe, risalendo il torace, lasciando che Charles facesse lo stesso.
Charles lo accarezzava incuriosito, sorpreso e interessato dal fatto che per la prima volta poteva toccare in quel modo un corpo così simile al suo. Sembrava persino concentrato e serio, osservò Erik. Ripensò a quando Charles gli aveva confessato di trovarlo attraente. Era quello ad eccitarlo tantissimo, gli disse, mentre lo toccava ancora, chiedendogli come facesse ad essere così.
Charles rispose che spesso faceva finta di niente finchè lo guardava, poi, appena si girava o si distraeva, era come rubargli il fisico, come se dovesse consumarlo in quegli istanti brevissimi e intensi.
Disse anche che era la cosa più spaventosa che gli fosse mai successa. Spaventosa ed eccitante.
“E prima?”
Charles capì a cosa si riferiva. Ma arrossì molto meno e lo strinse di più, lasciando che gli socchiudesse ancora le labbra con la lingua. Poi intrecciò una gamba alle sue, mentre cominciava lentamente a stimolarlo con la mano. Erik sospirò lamentoso, socchiudendo gli occhi. Gli disse quanto adorava giocasse con lui, che non voleva chefacesse altro. Poteva permetterglielo. Poteva essere indeciso e confuso e dubbioso, ma Erik avrebbe fatto ogni cosa purchè Charles gli prestasse attenzione.
Qualsiasi cosa, perché adesso, adesso…
Era incredibile. Non riuscì a trattenersi dall’ansimare. Era Charles, cristo. Charles che diceva che non era come lui, che non voleva, che gli diceva quanto fosse poco normale. Lasciò che lo toccasse ancora e gemendo, chiuse gli occhi. Gli era venuto davvero duro e lui era sempre più eccitato, dal modo in cui Charles lo toccava.
Immaginò  a quando si sarebbe abbassato, baciandolo e mordendolo dolcemente. A quando gli avrebbe chiesto di girarsi e sì, Charles l’avrebbe fatto, sentendolo risalire con la lingua dal basso, attraversando la schiena, arrivare al collo, convincendolo.
Erik pensò a come si sarebbe sdraiato su di lui, a come pian piano gliel’avrebbe affondato dentro, cominciando a pomparlo con delicatezza, afferrandolo per le anche. Non gli avrebbe fatto nemmeno male.
Ora era veramente in estasi e teneva solo le sue mani strette al viso di Charles. C’era una vena che pulsava, pompava sangue proprio vicino alla trachea. Charles lo stringeva, e lo accarezzava. Indugiava e ricominciava e sembrava concentrato ed insicuro assieme e questo lo faceva impazzire. Non era quello che si aspettava all‘inizio, a quello che sognava. Era molto meglio.
Mise la mano su quella di Charles, cercando di rallentarlo. Poi cercò anche di spingerlo, di farlo rotolare di lato, ma lui sembrò quasi sorridere, trattenendolo.
Charles smise e si spostò sopra di lui a cavalcioni. Erik si lasciò sfuggire un lamento d’insoddisfazione, sentendolo ricominciare a baciarlo, a morderlo sul collo, schiacciandosi su di lui. Gli disse che non gli bastava, di non smettere, e sentì Charles ridere piano, un po‘ incerto. Che bastardo. Non si sarebbe certo arreso così, anche se era sul punto di chiedergli di prenderglielo in bocca. Qualsiasi cosa, ne aveva così bisogno. Ma non c’era modo di dire una cosa del genere.
Lo aveva appena pensato che lo sentì arrossire, pelle bollente contro la sua, altrettanto accaldata. Charles si tirò su. Lo guardava, serio. Forse appena un po’ titubante.
Erik si sollevò appena sui gomiti, e poi lo tirò verso di sé, baciandolo.
“Scusami. Non importa, davvero.”
“Erik…”
“Non importa, non fare… Non ti fermare, Va… va benissimo così…”
 Charles lo fissò ancora. Aveva di nuovo le labbra rosse e gonfie. Poi, con quella strana espressione concentrata, Charles si allungò su di lui, cominciando a sfregarglisi contro, muovendosi come se lo stesse fottendo, strappandogli un gemito. Ora lo toccava solo con la sua erezione, proprio contro la sua. Ansimando, Erik lo agganciò con le braccia per le spalle, solo per tenerlo più vicino, per lasciare che ogni suo movimento fosse solo contro di lui. Gli prese la testa fra le mani, avvicinandolo a sè.
Voleva disperatamente che lo guardasse, mentre si muoveva. Si sarebbe fatto scopare da Charles, pensò. Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa con lui. O che Charles si sarebbe fatto scopare, ancora meglio.
Impazziva, sentendo i loro due corpi strusciarsi così. Avrebbe potuto continuare ad immaginarlo e non sarebbe mai bastato per eguagliare ciò che provava adesso.
Il corpo di Charles sprizzava eccitazione. Quel muoversi accelerato del suo respiro lo rendeva stupendo. Non ho mai avuto nessuno come te, disse Erik e Charles, curvandosi su di lui, gli spinse la lingua nella bocca, stringendogli la testa, come se volesse intrappolarlo, schiacciarlo nel cuscino. Non gli dava più fastidio che facesse così caldo, che Charles non fosse proprio del tutto perfetto. Era vero, e tanto bastava.
Credo che la cosa sia reciproca.
Charles cercò ancora il suo sguardo. Sembrava avesse frenato un gemito, ancora. Sembrava avesse un perenne gemito sulle labbra, pensò Erik eccitato e confuso. Era stanco di quello, voleva fotterlo davvero. Charles era una continua sorpresa; non credeva possibile che cambiasse tanto, da come era fuori, da tutte quelle costanti e contorte paranoie e come era adesso, così diverso. In imbarazzo e incerto, sì ma anche così…
Era perché poteva leggergli nella testa che riusciva a controllarlo così? Capiva così in fretta quello che doveva fare per eccitarlo? O era semplicemente l’attrazione convulsa che provava per lui, a renderlo tanto sensibile, tanto vinto, tanto debole?
Erik non ne aveva la minima idea. Debole. Aveva pensato che Charles lo fosse.
Forse non era poi così vero. Avrebbe voluto pensarlo, perché Charles poteva capirlo tanto bene.
Poteva controllarlo così facilmente, pensò, mentre Charles si sdraiava al suo fianco e ricominciava a masturbarlo, con movimenti più goffi ed indolenti, come se lui stesso non sopportasse più tutta quella tensione.
Erik fece scivolare una mano lungo il fianco, accarezzando quella carne morbida. Avrebbe voluto leccarlo, ogni centimetro di pelle, pensò, tirandolo contro di sé, accarezzandolo insistentemente. E non gli sarebbe bastato, rifletté, tornando ad accarezzargli il viso.
L’aveva solo potuto guardare, ma ora poteva essere tutto suo, ne era assuefatto. Sicuramente anche Charles voleva di più.
Non voleva venire così, non sotto gli occhi di Charles che lo fissavano, altrettanto eccitati e soddisfatti. Come se fosse compiaciuto di sé stesso. Era felice di averlo sorpreso, era così chiaro, pensò Erik, ma lui voleva solo che fosse diverso…
Trattenne un gemito e poi si tirò su. Con un verso soffocato, si spinse su di lui, ignorando le sue braccia strette alle sue, Erik lo fermò, bloccandolo per le spalle, schiacciandolo contro il materasso e quelle lenzuola ruvide. Charles cercò di spingerlo via e rise, ma lui riuscì solo ad articolare il suo nome, sentendo un rivolo di sudore colargli lungo la tempia, un altro sulla schiena.
Charles, sorpreso, rimase ansante a fissarlo, gli occhi spalancati. La sua espressione indolente era quasi un poco contrariata. Poi, dopo un tempo infinito, Erik lo vide rilassarsi e sorridergli disteso; l’attimo di smarrimento passò.
Erik gli rovesciò la testa all’indietro, cercando di tranquillizzarlo, baciandolo e sussurrandogli che non c‘era problema, andava tutto bene. Se fosse stato del tutto lucido si sarebbe disprezzato, ma Charles era sotto di lui, era così adorabile ed invitante e si accorse di capire molto poco, mentre scivolando fuori dal letto avanzava quasi intontito verso il bagno. Era la parte che odiava di più. Gli dette persino fastidio incrociare i suoi stessi occhi chiari negli specchi, e poi la sua faccia, così grande su quello più ampio ed incrinato. Vedere i capelli appiattiti sul cranio, disordinatamente spostati ad un lato della fronte,
mentre cercava qualcosa che andasse bene.
Era abbastanza strano così. Si sentiva stordito e agitato e le dita scivolavano sui ripiani plastificati e vuoti. Quel colore bianco sporco faceva male agli occhi e il ronzio delle lampadine troppo forte e aveva un‘orribile tensione nel bassoventre. Ci stava mettendo così tanto, odiava i motel, non c’era mai niente…
Davvero divertente, andare nel panico così. Era molto meglio quando accadeva nella sua testa, dove non c’era mai alcuna interruzione, dove Charles era così facilmente disponibile e lui non doveva preoccuparsi di niente, se non…
“Erik?”
Si voltò di scatto e Charles era a pochi passi da lui, sulla soglia. Erik cancellò in fretta  la più improbabile delle espressioni, sostituendola con un sorriso smorzato.
“Io…”
Charles lo guardò  ancora un po’ più intensamente e arrossì appena.
“Capisco.”
Poi batté appena la mano su uno degli specchi laterali.
“Si aprono.”
“Ah.”
“Dacci un’occhiata.” Charles gli sorrise appena. Come se avesse una paralisi per metà della faccia, in verità. Lanciò un’occhiata alla lampadina ronzante e come se si fosse reso conto di dove si trovava, con chi era e come era, arretrò rigidamente nella stanza, come se fosse scomparso. Scrollando la testa, Erik aprì lo specchio -era vero, aveva ragione- e trovò dei campioncini sparsi. Terrificante. Avrebbe dovuto davvero sapere cosa c’era nella testa di Charles, pensò, cercando qualcosa di passabile. Avrebbe voluto sapere anche cosa ci fosse nella sua, pensò aprendone uno, spargendone un po‘ sulla mano.
Gli veniva da ridere ed ebbe quasi l’impressione che quella risata riecheggiasse nella sua testa, da qualche parte.
Era tutto il contrario di quello che aveva immaginato.
“Dove hai…”
Cominciò, tornando nella penombra della stanza ma Charles lo abbracciò e sentì ancora le labbra sulle sue e non era davvero poi così importante. Era molto meglio così, pensò quando si fu di nuovo steso accanto a lui, ricominciando ad accarezzarlo, con un po’ più di urgenza adesso.
Charles, la sua fantasia preferita. Non doveva più immaginarlo fare delle smorfie di dolore e piacere, pensò premendosi contro di lui, chiedendogli solo di rilassarsi. Poteva guardarlo e parlargli quanto voleva.
Charles aprì di più la bocca, Erik ci appoggiò contro la sua. Lo accarezzò ancora sulla schiena, scendendo, aspettando, poi lo penetrò con le dita umide. Charles ebbe un piccolo sussulto e gemette appena, quando Erik mosse la mano.
Charles rovesciò gli occhi verso di lui e sillabò qualcosa mentre lo stringeva. La sua testa era affondata nel cuscino e aveva la fronte imperlata di sudore.
Erik le mosse ancora, un poco più a fondo e Charles, inarcandosi, si premette del tutto contro a lui. Lottò contro il desiderio di chiedergli se gli piaceva, se poteva continuare. Sentiva la sua eccitazione; duro e pulsante premeva contro il suo bassoventre.
Erik si sentiva proprio come lui. E poi non riuscì a trattenersi.
Si alzò un poco e lo afferrò bruscamente per la vita, tirandolo un poco su. Ansimando, Charles si girò sullo stomaco, sorreggendosi sui gomiti, mentre Erik si spostava dietro di lui. Gli accarezzò le gambe, erano così ben fatte, pensò, stringendogli le cosce.
“E-Erik…”
In risposta, gli disse solo di rilassarsi e Charles non insisté oltre, quando lui lo accarezzò, massaggiandolo tra le gambe, infine, cercandolo di nuovo con le dita.
Charles mormorò qualcosa che finì in un rantolo, poi ondeggiò contro di lui, la schiena umida. Forse era vero, Charles non era come lui. Era molto di più, pensò per un istante Erik.
Era bellissimo. Nudo e bellissimo sul letto, a pancia sotto, i muscoli tesi. Era indifeso, era suo. Era quello che voleva da lui. Cominciò a farglielo sentire, appoggiandoglielo vicino all’anello stretto del culo, poi entrò lentamente in lui.
Charles gemette, tendendosi in avanti e afferrando la spalliera del letto. Erik lo accarezzò ancora, si tirò indietro e si spinse dentro di nuovo, piano, pigramente, muovendosi lento, lasciando che si rilassasse. Lo stringeva già, era così stretto.
Sentì Charles respirare più forte. Voleva che godesse, non che gli facesse solo male. Gli allargò di più le natiche e lo sentì gemere mentre si spingeva ancora un poco dentro di lui. Cercava di pensare ad altro, ma era inutile.
Chiuse per un attimo gli occhi, ma riusciva a vedere sempre e ancora, solo la schiena, i muscoli tesi di Charles, piegato sotto di lui. Charles tremava e sospirava e digrignava i denti, ma non gli disse di smetterla.
Erik strinse quella carne bianca; aveva un bel corpo, meglio di come l’aveva immaginato. Rispondeva bene, sembrava fatto per fare sesso così. Entrò ancora di più, e gli si mozzò il respiro. Poi lo sentì iniziare a lamentarsi, mentre Charles si spingeva contro di lui e tremava, abbandonando la presa della testata del letto.
Le lenzuola sotto di loro erano tese, Charles le tratteneva nervosamente tra le dita adesso. Gli disse - a fatica- di stare tranquillo. Non voleva che si agitasse, anche se era una paura infondata e lui per primo se ne rendeva conto. Era così abituato all’idea che non sarebbe mai successo niente, che Charles non lo voleva, che anche adesso che lo stavano facendo, l’idea che Charles lo respingesse ancora sembrava ben più che plausibile. Poi quell’idea passò; era tutto suo.
Charles fece un altro verso strozzato e si piegò in avanti, abbassando la testa e scoprendo la nuca. Erik ne risalì la schiena con le mani, accarezzandolo insistentemente, poi scese di nuovo e lo strinse saldo per i fianchi.
Il respiro di Charles era un tutt’uno con il suo e lui non sentiva più la pioggia.
Non voleva più aspettare. Non voleva più che fosse lento. Lo voleva e basta.
Non riuscì a resistere. Ne aveva così voglia. Non immaginava che Charles, eccitato così, potesse fare gemiti del genere. Lamenti di dolore e piacere. Non voleva fargli male, proprio no, ma aveva così voglia. E faceva così caldo, e Charles era così stretto, ed era tutto così bello. Non riuscì a resistere. Glielo infilò dentro tutto, in un movimento deciso, gemendo e curvandosi su di lui. Charles sotto di lui sussultò. Erik vide un brivido percorrergli la schiena.
Charles sembrò scivolare in avanti, le braccia deboli di colpo, maledicendolo. Erik lo trattenne per i fianchi, stringendolo, accarezzandolo, piegandosi più che poteva per baciargli la schiena. Glielo stringeva in modo incredibile.
Erik si accorse di avere il respiro pesante. Si ritrovò a pensare a come sarebbe stato venirgli dentro. Charles si lasciò andare ad un
lungo, ansimante lamento. Per un attimo, credette che sarebbe finito tutto.
Poi però, sentì Charles spingere verso di lui, premere le natiche contro il suo inguine, invogliandolo a colpirlo di più, ad affondare del tutto in lui. Charles tremava per la vergogna e il piacere più assoluti, ma cominciò a muovere i fianchi contro di lui, gemendo, assecondandolo. Era molto meglio di quando accadeva nella sua testa.
Erik seguì un brivido percorrergli la schiena e gli ansiti di Charles divennero più profondi, il suo stesso respiro più roco. Iniziò a muoversi a sua volta, riuscendo appena a pensare, sentendo quei gemiti fitti, non importava più se imploranti e di dolore.
Gli disse che quello presto sarebbe finito, che non era solo così, che sarebbe andato tutto bene.
Con il viso contratto, la bocca umida, Charles si piegò ancora di più, abbassando le braccia, stimolandosi il membro turgido. Disse che gli piaceva, che voleva che continuasse, di colpirlo, di fotterlo. Aveva aspettato solo lui, lo desiderava così tanto.
Erik non capiva più se fosse tutto vero o se fosse quello che fantasticava di sentirgli dire nella sua testa; ma continuò a muoversi con decisi colpi di reni, sospirando rauco.
Charles ansimava più in fretta, il sudore che gli colava lungo il collo, la pelle madida. Come se lo stessero strappando a pezzi, pensò. Non che fosse un pensiero coerente.
Poi, Charles fu scosso da un altro lungo brivido. Erik vide la colonna vertebrale risaltare e immaginò di spezzare Charles seguendo quella linea. Di spaccare, squarciare il corpo di Charles come  se fosse un burattino. Ricomporlo e romperlo ancora, colpendolo così, un colpo dopo l’altro, facendolo sussultare ed implorare, incessantemente.
Strappargli le parole, renderle lamenti, rendere tutto solo bellissimo e semplice. Farlo godere e consumarlo, perché già lo adorava e si sentiva tanto sottomesso e legato a lui, che solo spezzandolo sarebbe riuscito a sfuggirgli. Ma non credeva che ci sarebbe riuscito, non con la testa sempre e solo piena dei suoi pensieri.
Non era vero che non poteva sapere cosa pensava.
 
 

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Westchester, New York, il presente.
 
Faceva vomitare. Era disgustoso, assolutamente disgustoso.
Cosa aveva fatto di male? Ce l’avevano con lui, complottavano alle sue spalle, volevano rovinare tutto… Ecco cosa stava succedendo.
Rovinare ogni cosa e lui lavorava con fatica e s’impegnava e loro.. Loro..Lui
Cosa doveva fare? Continuava a rivederlo nella sua testa. Malato, pensò, doveva avere qualcosa in testa che non funzionava. 
Cosa gli era saltato in testa, a lui e a Raven?
Li odiava entrambi, pensò. Li odiava davvero. Poi, cominciò a riflettere, ancora, capendo che non era colpa di Raven.
Non poteva essere lei…
Era diventata strana da quando lui era entrato nelle loro vite e anche lui, Charles, lo era… Non si riconosceva più.
Ripensò a Savannah e di nuovo il sapore acido gli salì alla gola. Un brutto sogno, un brutto e disgustoso sogno. Quello non era lui.
Lui era controllato e perfetto e in ordine e certo… Era solo sé stesso, prima di Erik.
Perché gli aveva concesso di venire a Westchester? Era a quello che portava la compassione? … Amore? Com’era stato ingenuo.
Era così che ci si sentiva, allora. Era deluso e ferito. Sconfitto. Era una mossa che avrebbe dovuto aspettarsi ma era stato così cieco… Quella era casa sua. Era stato gentile e ne era stato ripagato così.
Avrebbe sempre e solo fatto di testa sua, pensò sdraiandosi, il viso tra le mani.
Pensava ad Erik in continuazione, non riusciva a sbarazzarsene, aveva perso la ragione. Era qualcosa di così subdolo e terribile, da eliminare…. E... Poteva, ma non lo voleva fare.
Allontanare Erik era sempre stata la soluzione più ovvia, sempre. Ma come poteva farlo? Era tutto quello che aveva. Pensava sempre a lui anche se non era giusto. Cercava sempre di capire cosa volesse, lo lasciava fare, solo perché voleva che fosse sempre a posto. Faceva sesso con lui anche se da qualche parte una voce gli diceva che era sbagliato, che non era quello che voleva davvero.
Ma gli piaceva ed era sconcertante. E poi era l’unico modo per averlo davvero vicino.
E ora Erik lo ripagava così. Era a quello che portava la gentilezza verso gli altri? Gentilezza....
Faceva venire il mal di testa. Doveva calmarsi o sarebbe impazzito. Doveva calmarsi e fare finta di niente. Aspettare solo che Erik se ne andasse da solo da Westchester, che se ne andasse dalla loro vita. Dimenticarlo… Dimenticare ogni cosa…
Era la soluzione migliore...

 

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‘Cosa sei tornata a fare?’
‘Charles. Erik, non lo sopporto. Adesso credo abbia iniziato a guardare dentro la testa di tutti noi. Non è infantile? Probabilmente crede che cospiriamo contro di lui.’
‘Raven, torna nella tua stanza per favore. Adesso basta, non m’interessa.’

 Invece gli interessava eccome, e non appena lei era uscita dalla stanza per la seconda volta in quella sera, era sceso al primo piano. Dov’era Charles? Voleva solo trovarlo.
Non ce l’aveva con Raven, ma se era vero, che cosa poteva aver pensato Charles, di lui, di tutto, di …. Il salone principale era vuoto, il tavolino degli scacchi era
sgombero i bicchieri e le bottiglie riposti in bell’ordine. Sembrava che non fossero mai stati lì, sembrava tutto così… finto. E Charles?
Sicuramente era in camera sua ed è lì che Erik si diresse, pensieri incoerenti ronzanti nella mente.
Che gli avrebbe detto? Cosa sapeva Charles?
Cosa aveva visto, nella testa di Raven?
Era nervoso e i corridoi bui sembravano infiniti, assorbendo il rumore dei suoi passi. Quella casa sembrava un mausoleo, riflettè. Gli sembrava così solo se era da solo.
Quando era con Charles, gli era apparsa la casa più sicura e migliore del mondo. Ora, con quella luce notturna era così… fredda.
Gli era ostile, ma lui non aveva fatto niente, aveva solo seguito il suo istinto. Lo avrebbe rifatto.. Ma avrebbe evitato che Charles lo vedesse. Avrebbe voluto scaricare la responsabilità su Raven; ne era tentato, ma non poteva. Se Charles aveva visto quello che era successo, lui non aveva giustificazioni.
Ci mise un’eternità,  poi fu davanti alla porta di Charles. Sospirò e non aveva ancora alzato il braccio per bussare, che sentì una ormai famigliare sensazione di leggerezza annebbiargli la mente. Era sempre così che si sentiva, quando Charles lo cercava. Lo sentiva sempre prima nella testa; glielo aveva raccontato un paio di giorni prima, un po’ al confine della proprietà…
Non credeva che Charles lo avrebbe trovato subito, non così semplicemente… Era stata una bella giornata.
Una delle tante, vicino ai laghi artificiali, sembravano così lontane…
“Erik.”
Aveva aperto la porta. Charles era davanti a lui e per un attimo, Erik si ritrovò incapace di parlare.
Cosa doveva dirgli?
Lo trovò ancora vestito. Solo il colletto della camicia era un poco fuoriposto, come se fosse stato indeciso se svestirsi o no. Aveva il cardigan blu sbottonato e i capelli lisciati all’indietro, come per mostrare meglio gli occhi stanchi.
Si osservarono per un po’. Charles non lasciava trasparire nulla. Più che mai, Erik desiderò leggergli nella mente, scoprire cosa pensava, cosa sapeva.
Sembrava tutto così normale…
“Charles.”
“Entra.”
Erik scosse la testa, poi lo guardò. Non riusciva a chiedergli niente. Non sapeva cosa fare.
Charles si scostò appena dalla porta. “Entra.”
Dopo un altro lungo momento, Erik entrò circospetto. Charles gli sembrava innaturalmente calmo. Forse Raven si era davvero sbagliata…
L’anticamera della stanza era in disordine. Sulla scrivania erano ammucchiati libri e blocchi di carta stampata e appunti e, in parte, anche sul divano. C’erano fogli di e grafici per terra, abbandonati. Come se avesse lavorato furiosamente, senza ottenere nulla.
Sentì la porta chiudersi dietro di lui e Charles lo precedette in camera. Erik lo seguì lentamente guardandolo aprire la finestra.
C’era un bicchiere semivuoto abbandonato tra le coperte ammonticchiate ai piedi del letto, notò Erik, e altri libri sul divano basso vicino alla finestra. Persino le bottiglie nel carrello, nell’angolo più lontano della stanza avevano una disposizione diversa. Doveva essere rimasto sveglio per qualche ora. Che ora era, a pensarci?
Dormivano così poco e ne avrebbero avuto bisogno, se domani...
Charles spostò un posacenere sporco dal davanzale, tirando le tende seccamente, dandogli ancora le spalle. Erik non ci fece caso. Rimase immobile a studiare la stanza, cercando di sgombrare la mente. Sembrava impossibile.
Charles doveva essere tornato in camera subito dopo la partita -non finita- a scacchi. Con tutta probabilità era rimasto lì in stanza, ad aspettarlo.
Quasi Erik ci credeva. Come ogni sera, come ogni sera a Westchester, ma quella non era una sera normale. Era tutto cambiato.
Lui, Erik aveva qualcosa da nascondere. Voleva dirglielo. Era giusto così, ma Charles sembrava così tranquillo e calmo e lui non sapeva se…
Credevo saresti venuto prima.
Erik lo guardò senza dire nulla. La voce di Charles aveva interrotto - come sempre- il corso dei suoi pensieri. Era vicino a lui adesso, e la tentazione di chiedergli -cosa hai visto?- e di spiegarsi e di chiarire, era molto, molto lontana. Era l’ultima sera e lui l’aveva quasi passata con Raven. Se solo Charles fosse stato arrabbiato…
Almeno avrebbe capito come comportarsi. Se solo Charles non si fosse mosso da quella stanza. Oh, vero.
Lui poteva essere ovunque.
Erik non gli rispondeva. Gli occhi di Charles si fecero un poco più cupi.
Credevo non saresti venuto affatto.
C’era ancora quell’atmosfera pesante, di quando si erano lasciati nel salone. Non avevano risolto niente e se ne avessero parlato di nuovo, tutto si sarebbe risolto in un altro litigio. E non era così che doveva essere. Non era così che doveva andare.
“Mi dispiace.”
“Perché?”
Charles non sembrava affatto arrabbiato, pensò Erik, abbassando appena le palpebre. Non gli era mai apparso così privo di preoccupazioni, pensò, mentre Charles si avvicinava per baciarlo, mettendogli le mani strette al viso. Fu un bacio lungo.
Erik avrebbe voluto che lo fosse di più, abbastanza da cancellare tutto.
Lo strinse per i polsi, abbassandogli le braccia, scostandosi un poco.
“Charles…”
Di nuovo l’espressione controllata di Charles, di nuovo i suoi occhi lucidi -aveva bevuto, ancora, ne era sicuro- gli restituirono lo sguardo.
Era bloccato; non riusciva a dirglielo. Voleva dire Raven, dirgli che non era stato niente, ma non ci riusciva se era così vicino.
La fronte di Charles si aggrottò appena. “Non è per questo?” chiese piano.
“C -come?”
“Non è per questo che sei qui?”
Erik rimase interdetto. Doveva dirglielo, doveva dirglielo e affrontare le conseguenze, ormai aveva già rovinato tutto, non poteva essere peggio di così...
Ma ignorò quello che avrebbe dovuto dire e fare adesso. Era l’ultima sera a Westchester e lui era stanco e non voleva che Charles fosse arrabbiato.
E nemmeno lui voleva esserlo.
Era stanco, stanco della rabbia. Non voleva associare la rabbia a Charles. Non se lo meritava. Charles era il suo punto tranquillo e lui non voleva rovinarlo, pensò baciandolo a sua volta. Cosa importava? Avrebbe potuto spiegarglielo dopo, rifletté, cominciando a spingerlo verso il letto, con le mani di lui strette alla schiena, obbligandolo a stendersi.
Charles arretrò in fretta, aggrappandosi ai suoi vestiti, tirandolo su di sé, circondandogli in fretta il capo con le braccia.
E’ questo che vuoi no? Ricordò. Sì, sì, sempre sì. Era una risposta così facile.
Molto più facile che dirgli di Raven e ritrovarsi a discutere, pensò Erik spingendosi su di lui. Charles fece un gemito soffocato.
E se lo avesse visto nella sua mente?
Nascose l’espressione atterrita nell’incavo della sua spalla, cominciando a baciargli il collo. Se lo avesse visto adesso, proprio quando… 
Charles cominciò a svestirsi in fretta e gli era un po’ difficile con Erik addosso, slacciarsi il cardigan e la camicia. Erik cercava quasi di tenerlo intrappolato.
Non voleva che lo guardasse in faccia ma non voleva nemmeno che smettesse di baciarlo, perché era sicuro che la colpa gli si leggesse negli occhi, almeno quanto il desiderio di fotterlo…
“Siamo passati da Shaw a questo?” bisbigliò Charles, allontanando appena il viso, scrutandolo. A Erik venne quasi da ridere, ma smise quando Charles gli chiese di svestirlo, perché con lui così non ci riusciva. Erik invece si sfilò la cintura, armeggiando con i pantaloni, cercando di mantenersi in equilibrio sulle ginocchia proteso su di lui, respirando pesantemente.
Voleva solo baciare Charles, non riusciva a pensare a nient’altro. Voleva solo Charles, che Charles avesse lui. Sentì le sue mani insinuarsi nei pantaloni e reclinò appena il capo. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza, pensò abbassando quelli di Charles con uno strattone e toccandolo a sua volta, sentendolo indurirsi.
Le labbra di Charles siarricciarono in un sorriso soddisfatto. Era leggermente sudato. Erik fece scorrere la mano libera sul suo petto bianco e si chiese perché, adesso, si sentisse vuoto. Era una sensazione strana, non ricordava di aver mai provato nulla di simile. Si sentiva calmo e tranquillo, come se gli avessero tolto un peso. Non ricordava più, non ricordava più con chiarezza che cosa doveva davvero dirgli… E lentamente toccava Charles… Ormai lo conosceva così bene…. Era più importante godersi Charles, in verità...
Charles aveva la faccia sgradevolmente arrossata. Gli occhi socchiusi.
“Perché?” lo sentì chiedere. Era una domanda criptica, ma la risposta sfuggi dalle labbra di Erik come se fosse sempre stata lì.
“S-sono affascinato da te… Nessuno si è mai innamorato di me…”
Rabbrividì  e sospirò. Non voleva dirlo davvero, ma non poteva trattenersi.
Il sorriso di Charles si allargò ancora, mentre si tirava su per baciarlo. Erik s’immobilizzò, ansimando. Sarebbe bastato che Charles lo guardasse e lui sarebbe stato bene, se Charles avesse avuto sempre solo tutta l’attenzione per lui, perché lui non aveva, non voleva altro. Non ricordava più cosa lo preoccupasse; forse non c’era mai stato nulla a preoccuparlo. C’era sempre stato Charles e adesso Charles gli stava dicendo che era innamorato di lui; lo disse più di una volta.
Erik si accorse che non lo toccava più, ma si era spogliato e ora era Charles ad essere sopra di lui e a dirgli che sì, era innamorato, che non c’era nient’altro all’infuori di lui eche non se ne sarebbe andato mai, e lo ripeteva, come una litania….
La bocca di Charles era di nuovo sulla sua. E poi sui suoi occhi. Sulla sua gola, mentre si lasciava scivolare al suo fianco. Ed era eccitato e anche calmo, perché quel peso che lo opprimeva -qualunque fosse-gli stava venendo strappato via, pezzo a pezzo e non ricordava bene… Non aveva mai pensato che sarebbe sopravvissuto.
E ora era lontano, in salvo…. Era sopravvissuto… ma da cosa? Charles lo aveva salvato, oh, era successo molto tempo fa’…
Aveva l’impressione che si fosse salvato nello stesso momento  in cui aveva incontrato Charles.
Ed era successo da così tanto tempo... Ricordava di essere sempre stato con lui, pensò cercandolo con la bocca, scendendo e baciandolo vicino all’inguine, accarezzandolo, andando con sicurezza su e giù con la mano, poi con la bocca. Sospirando, Charles gli toccò la testa e allungato sul letto, allargò di più le gambe, accarezzandogli la testa.
Lo guardava ed Erik guardò lui e non era più come la prima volta, adesso stava bene.
Charles socchiuse gli occhi, le sue labbra lucide dissero fatica di smetterla, di aspettare, non così adesso perché era troppo...
Erik lo assecondò, tirandosi su. Non poteva fare altrimenti, non era per quello che esisteva? Sempre e solo Charles… Aveva voluto dirgli qualcosa…
Era per quello che era venuto in camera sua…. Ma lui, lui e Charles non dormivano assieme? Non dormivano nella stessa camera?
Lo baciò con foga, le sue mani conficcate nelle scapole, la sua erezione pulsante e dura contro la coscia. Da quando era a Westchester… Ma lui aveva sempre vissuto a Westchester, con Charles, giusto? E sua madre… C’era una madre, pensò Erik? Mia madre? Ma se ci pensava, ricordava solo il suono di quello che sembrava uno sparo e un posto grigio…
Ma anche quelli, quei ricordi, erano così lontani… La lingua di Charles gli stava solleticando l’orecchio e con la testa stretta tra le sue mani sudaticce era così difficile mettere assieme i pensieri.
Aveva caldo, caldo come il sole dell’Argentina… Però… non sapeva se in Argentina facesse così caldo. Che ne sapeva, lui? Era solo un nome sulla carta geografica…
Forse se Charles avesse voluto andarci, solo così sembrava importante… Ma era sempre come se mancasse qualcosa, c’era qualcosa di sbagliato, non poteva essere così semplice, era andato da Charles per un motivo… Ma non lo ricordava più… Non più…
Guardò Charles negli occhi e per un attimo li vide colmi di una strana preoccupazione. Forse era solo la sua immaginazione, doveva essere così…
Era come essere ubriaco. Eppure lui non aveva bevuto tanto, Charles doveva aver bevuto di più, non doveva aver fatto altro, e forse era anche per quello che adesso aveva cominciato a baciarlo, scendendo lungo la linea dello sterno.
Continuando a fissarlo, Erik si stese meglio sulla schiena, con un senso di mollezza e di languore, allargando le gambe e cominciando a stimolarsi sotto gli occhi di Charles.
I suoi sospiri erano sempre più intensi e quando disse il suo nome, Charles gli si avvicinò di nuovo, la bocca semiaperta, ansimando.
Erik gli accarezzò i capelli, la la testa appoggiata a lui, sul suo stomaco e lo guardava distrattamente, come se dovesse decidere.
Come se fosse molto lontano da lui in verità, ed Erik sentì quella subdola frustrazione riprendere possesso di lui. Prendilo, chiese.
Non voleva forzare Charles, ma rese la sua carezza fra i suoi capelli più decisa e le sue mani iniziarono ad esercitare una certa pressione sulla sua testa. Charles allora unì la mano alla sua, finchè non preferì baciarlo ancora, profondamente.
“Cristo…”
Erik s‘inarcò appena, affondando la testa nel cuscino, poi rialzò il capo di scatto. Charles. Si domandò se mia qualcuno li avesse sentiti, ma che importava?  Ad un certo punto, iniziò a desiderare un contatto più intimo. Premette di più  la testa di Charles contro di sé. In fondo era naturale. Charles adesso era in ginocchio fra le sue gambe: il suo cazzo era a pochi centimetri dal
suo viso. Sarebbe bastato un niente per baciarlo. Istintivamente Erik cessò di masturbarsi; lo guardò e Charles, abbassandosi senza staccare gli occhi da lui, cominciò a lavorarselo con la lingua e la bocca, deciso e appassionato, accarezzandogli l'addome.
Erik si lasciò andare ad un lungo gemito roco, poi ad altri, più rapidi. Charles stava diventando gradualmente più sicuro di sè e sembrava perfettamente consapevole di quanto ad Erik piacesse osservarlo mentre lo faceva. Si allontanò un poco e le sue labbra si abbassarono fino a baciare e a leccare i testicoli e la carezza delle mani di Erik sui suoi capelli, si stava facendo ora più decisa:  tentava di spingergli nuovamente la testa, avvicinandoglielo alla sua bocca, accennando un sì quando Charles si decise ad ingoiarlo di nuovo. Erik, eccitato a dismisura, si ritrovò a guardare il soffitto, lasciando che Charles si desse da fare, a chiedersi che aspetto avesse con la bocca così aperta. Anche se era parte del gioco, vedere come reagiva. Sembrava tanto naturale adesso, Charles in ginocchio fra le gambe di un uomo, in atteggiamento di assoluta sottomissione,  prendendoglielo in bocca come se fosse la cosa più normale, eccitato persino dai rumori che faceva.
Charles gli stava procurando davvero piacere e nient’altro, non c’era nient’altro, pensò Erik, sentendolo riprendere
la masturbazione con la mano, afferrando la parte che non riusciva ad ingoiare. Erik iniziò a dondolare il bacino, inarcandosi come se non ne avesse abbastanza, accompagnando ad ogni sua spinta un gemito roco, desiderando che ne prendesse di più.
Charles si tirò appena indietro, e boccheggiando se lo tolse dalla bocca per masturbarlo teneramente, stando  attento a non farlo venire. Anche se avrebbe voluto farsi scopare così, Erik cercò ancora le sua bocca. Non c’era bisogno di parlare granché, si disse, tirandolo contro di sé e baciandolo sulle labbra rosse e gonfie. Era così diverso da quella lontana prima volta a Savannah, pensò, con Charles ansimante allungato su di lui, intento a strusciarsi lungo tutto il suo corpo.
Non sembrava nemmeno più lo stesso… Meglio così…
Tenne le sue grandi mani sulla schiena, poi le fece scivolare in basso trattenendolo sui reni e poi più giù, affondando le dita, cercando di rilassarlo, sussurrandogli che era perfettamente così che doveva andare, che era il momento migliore della loro giornata, quanto lo amava, quanto sarebbe stato con lui, non l’avrebbe lasciato mai…
Oh, Erik, oh, Erik…
Charles, si lasciò scivolare ancora accanto a lui e riprese fiato, accarezzandogli le tempie, fissandolo. Nonostante l’eccitazione, nonostante il desiderio fosse vivido e chiaro negli occhi di Erik e in lui stesso. Ora era così lontano, così lontano… Erik era felice, anche se si sentiva a pezzi. Si stava spezzando qualcosa e si ritrovò a strattonarlo, immaginandolo su di sè…
Perché no? Chiese toccandolo, leccando la sua carne morbida, abbracciandolo. Lo sentì gemere e dire il suo nome, ed Erik gli disse di come avrebbero dovuto rimanere intrappolati lì. Voleva solo l’attenzione di Charles e allora, con fatica ricordò che il motivo per cui stavano litigando era Shaw, però non ricordava cosa avesse fatto
Shaw. La parola vendetta aleggiò nella sua mente, ma non sarebbe mai riuscito a dirla, a identificarla…
Shaw… Non ricordava nemmeno la sua faccia….
“Erik! No!”
Erik spalancò gli occhi. Li aveva già aperti, ma ora fu come se vedesse per davvero. Tutto cominciò a tornare chiaro.
Non c’era più Charles a riempire il suo campo visivo; niente più labbra e muscoli bianchi e occhi azzurri e beffardi e dolci. Charles aveva finito di giocare con lui.
Erik era assordato dal suo stesso respiro. Abbassò il braccio con cui aveva allontanato Charles, spingendolo giù dal letto e si asciugò le labbra lucide di saliva. Con l’altra mano stringeva ancora il copriletto convulsamente, come prima aveva stretto Charles. E ora lo guardò ancora, e l’affanno lo rendeva debole e confuso ma sentiva la rabbia crescere dentro di sé ed era come se volesse esplodere e riversargliela addosso.
“Mi dispiace… Mi dispiace…” cominciò Charles a voce bassa e gli occhi sgranati. E forse nel vederlo a terra svestito, sorpreso e un po’ raggomitolato, Erik sarebbe riuscito a credergli.. Prima.
Era terrorizzato. Erik scosse la testa.
“Hai provato a…” deglutì. “Hai provato a cancellare…”
“Erik…”
Erik scosse ancora la testa. Aveva le mani scosse da un’incessante formicolio e l’adrenalina dell’eccitazione lo spingeva ad avventarsi su Charles e cancellargli quell’espressione di delusa sorpresa dalla faccia. Charles voleva che dimenticasse… Tutto? Sè stesso?
Erik si sforzò di pensare, sentendo i ricordi che tornavano piano piano al loro posto, rinsaldandosi. Più aveva baciato Charles e più aveva rischiato di perderli, in quella foga, per un po’ di lussuria. Come se glieli stesse asportando.
Charles si allungò verso di lui, in ginocchio vicino al letto, tendendo le braccia. Era abbastanza goffo. Era un brutto tentativo di supplica.
“Erik… ” disse piano. “Erik… Ti prego, Erik, io…”
Erik era talmente sconvolto da non sapere cosa dire. Il bravo e onesto Charles, non si era aspettato niente di così subdolo da lui… Niente di così….
“Sono innamorato di te, Erik, l’ho fatto per te… Solo perché… Così…. Io sono...”
Erik si ritrasse ancora e scese dall’altra parte del letto, cominciando in fretta a rimettersi e a  riallacciarsi i pantaloni, le mani tremanti e lo sguardo fisso.
Le parole di Charles morirono e lui ricominciò a vestirsi, infilandosi la maglia.
Nessuno mi ha mai amato, aveva confessato a Charles. E di certo, avrebbe voluto aggiungere adesso, non in un modo così deviato ed egoista. Era meglio non essere amati affatto. Non al prezzo di parlare di cose che lui voleva sentirsi dire. Era meglio…
“Se solo tu non fossi andato da Raven.”
Erik si girò di scatto verso Charles, finendo di allacciarsi la cintura. Ora Charles era in piedi e teneva gli occhi appena un po’ bassi e lo sguardo lucido.
Era più credibile di quel Charles supplichevole, ma sembrava sempre così debole.
“Quello che hai fatto adesso non è nemmeno…”
“Non lo avrei mai fatto se tu non fossi andato da lei.” Charles lo disse appena a voce più alta ed Erik capì, nonostante la sua rabbia, che almeno per quello aveva ragione.
Era stato lui, era sempre colpa sua, avrebbe sempre ferito Charles. Ma non riusciva ad esserne completamente dispiaciuto.. Non poteva essere sempre e solo colpa sua a rovinare tutto, non era così che doveva andare… Se solo fosse morto in Polonia.
Un pensiero rapido. Se solo fosse morto laggiù, Charles non avrebbe mai sofferto, non sarebbe mai diventato meschino. Sarebbe stato solo felice. Non lo meritava. era per colpa sua se Charles era così, ora.
“Tu hai fatto questo, non c’era altro modo…” disse Charles piano, ed Erik capì che era vero. Le accuse di Charles erano fondate; qualcosa Erik glielo aveva fatto davvero.
“Perché Raven?”
“Charles…”
“Perché?”
“Non è stato niente, Charles.”
“Non sembra nemmeno umana.”
Erik lo guardò appena, facendo finta di non averlo sentito. Quella frase lo sconvolse un poco. C’era qualcosa di sbagliato, nel sentirlo dire da Charles. Non sembrava falso, ma non era nemmeno giusto. Era solo perché era geloso, provò a dirsi. Era sicuramente così.
Lo sarebbe stato anche lui, come lo era quando vedeva
Moira troppo presente, troppo vicina a Charles. Quando la sera, Charles spariva per un po’ con lei, non per molto, ma c’era qualcosa….Solo che Erik stava semplicemente in silenzio. Chi era lui per impedire a Charles di fare ciò che voleva in casa propria? Bastava non pensarci…
Non credo di aver mai odiato nessuno. Ma è stato così deludente, Erik…
“Finiscila.”
Charles si tirò su. Aveva gli occhi arrossati dalla stanchezza, i tratti del volto irrigiditi. “Ho visto ogni cosa” disse a voce bassa, un po’ tremando, e con gli occhi bassi.
“E ti prego, non dire che sono solo io ad essere…. Così, perché… Non è… Non è…”
“Charles, lei era solo…”
“Cosa?  Era disperata?” Accennò un sorriso. “Cerchi tutti quelli che ti fanno pena?”
Erik rimase in silenzio. Charles era geloso, geloso e triste, anche se i suoi occhi erano vividi e decisi. “Stai cospirando contro di me o vuoi solo…”
“Charles” gli si avvicinò. Era tutto così confuso. Era arrabbiato con lui, ma non riusciva ad essere obbiettivo non riusciva a lasciarlo andare. E Charles glielo lesse negli occhi e la sua decisione svanì, così come era comparsa.
“Dimentica, Erik” bisbigliò afferrandolo per gli avambracci. “Per favore, voglio solo… Se te ne dimentichi andrà tutto a posto e potremo…”
“Charles, ma cosa…”
“Se te ne dimentichi, non succederà niente… Se..”
“Charles!”
Charles sembrò rinsavire. Sbatté appena le palpebre. Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, come se stesse cercando di capire perché fosse così, e dove si trovasse. Infine, si lasciò scivolare a terra, la schiena contro la parete. Affondò i palmi nelle orbite, le spalle appena sussultanti. Poi s’immobilizzò del tutto e rimase accucciato lì in silenzio, come se sperasse che tutto finisse. Rassegnato, Erik si sedette sul bordo del letto, un po’ curvo in avanti.
Per il bene di Charles, sperò che fosse così.
Solo per lui, ecco. Non desiderava più niente per sé.

 
 

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Un po’ di tempo fa,  Savannah, Georgia.
 

Charles ordinò prosciutto, uova strapazzate e del caffè. Erik, dall’altra parte del tavolo, guardava fuori dalla vetrina, oltre le scritte dipinte sul vetro. Erik col suo cazzo in mano e in bocca, coperto di saliva. Trasalì. Era disturbante. Distolse in fretta lo sguardo.
“Stavo pensando che forse dovrei guidare io.”
Charles cominciò a giocherellare con i tovaglioli, piegandoli in forme strane.  Si accorse di non avere nessun talento nel creare origami. Li accartocciò e li mise nel posacenere sporco.
“Sì. Forse sì.”
Erik rimase zitto. Avrebbe voluto chiedergli se era stanco. Se faceva ancora male -a rischio di sembrare indelicato-, e se aveva pensato a… Però stare zitto era meglio.
Charles sembrava sì stanco e di certo non era contento, e di sicuro stava ancora pensando -poteva essere altrimenti?- a tutto quello che era successo, perché ancora non riusciva a guardarlo. Si guardava intorno, concentrandosi sugli altri tavoli, poi lontano, verso il bancone. La cameriera era sparita chissà dove, mentre il ragazzo dietro al banco era uscito a scrivere i piatti del giorno sulla lavagna vicino all’ingresso. Erik lo stava guardando, oltre i vetri.
Era così preso a studiarlo che si accorse dopo che Charles, gli aveva parlato.
“Come?”
“Ne hai avuti altri?” Non lo guardava. Ma il tono sembrava quasi tranquillo.
Erik sorrise lievemente e scosse la testa. “Non quanti pensi.”
Charles inclinò un poco il capo. “A-ah.”
“Non erano come te, comunque.”
“Questo è sicuro” mormorò Charles.
“Se vuoi, potresti…” azzardò Erik battendosi un dito sulla tempia. Nemmeno lui ne era tanto convinto, ma Charles gli sembrava così scontento che per quanto riguardava, poteva anche sacrificare parte dei suoi ricordi privati. Non gli importava che Charles sapesse alcune cose, cose che a voce non poteva dirgli, anche se non costituivano nessun pericolo.
Charles scosse la testa con decisione, dopo un momento.
“Meglio di no.” Non specificò perché.
“Non mi darebbe fastidio.”
“Forse darebbe fastidio a me” disse Charles con scarsa convinzione. “Forse.”
Erik accennò una risata. “Ti darebbe fastidio?”
“No. Non so” Charles scosse la testa. “Non ho idea di come funzioni.”
“E allora perché…”
“Non lo so. Non è importante.”
“Sarebbe strano. Se fosse così, intendo.” Erik prese il bicchiere, ma poi lo riappoggiò senza bere. Che cercava di dire, Charles?
Che avrebbe dovuto essere cosa, geloso?
Però non lo era. Non lo era affatto. Forse il problema era del tutto diverso; era Charles che aveva scelto, nonostante tutto quello che provava, di portarsi a letto quella ragazza a Washington - e non era andata proprio così- e provarci di nuovo con quella cameriera, giusto la sera prima. Non certo lui. Non voleva ascoltare cose così inutili, non da lui.
“Charles, non cominciare. Sono sciocchezze.”
“Non sto cominciando niente” La fronte di Charles si contrasse appena. “Forse non è il posto dove parlarne.”
“Charles, non c’è nessuno. Non…”
“Mi sono sbagliato. Non voglio parlarne e basta.”
Erik sostenne lo sguardo serio di Charles, poi tornò a guardare fuori dai vetri, finché la cameriera non arrivò con le ordinazioni. Erik parlò solo per dire che no,
grazie, non c’era bisogno di altro. Se avessero voluto altro, l’avrebbero chiamata.
Charles sembrò astenersi dal guardarla, ostinandosi a fissare il suo piatto, almeno fino a quando non si allontanò, sparendo oltre una porta. Erik quasi ne sorrise. “Guarda che non è un problema per me.”
Charles alzò la testa, incuriosito. “Scusami?”
“Non è… A me non da‘ fastidio.”
Charles alzò appena le spalle. “Come preferisci.” 
Entrarono altri clienti, ma si sistemarono dall’altra parte della tavola calda, salutando calorosamente  il ragazzo, tornato al bancone.
“Cosa facciamo?” disse Charles dopo un po’, posando la forchetta.
Erik si schiarì la voce, poi bevve un sorso di caffè.
“Torniamo indietro. Non c’è altro.”
“E poi?”
“Possiamo…” Erik contrasse appena la fronte, guardandolo fisso. “Qualunque cosa vada bene a te.”
“Perché devo decidere io?”
Erik distolse la faccia, spingendo avanti il piatto. Non aveva affatto fame. Non sapeva perché avesse ordinato, in effetti. Poi, ricordò che l’aveva fatto per fare compagnia a Charles. All’inizio era sembrata una buona idea. Aveva pensato che gli avrebbe fatto piacere. Però anche scoparsi Charles gli era sembrata una buona idea, ma ora, trovandoselo davanti con la faccia stanca e lo sguardo un po’ abbattuto, non rientrava certo nelle conseguenze auspicabili.
Non riusciva a dispiacersi solo perché in realtà non lo era. Ecco tutto. Forse non era Charles l’unico egoista…
“Vorrei trovare una soluzione.”
“Adesso va bene però” obbiettò Erik. “Andrà bene.”
“Erik. Tu credi?”
Erik prese la forchetta. Piegò un momento quello strana omelette -lo era?- ma poi ci rinunciò. Allontanò a lato il piatto, appoggiandosi con i gomiti al tavolo, chinandosi un po’ di più verso Charles. Sembrava decisamente insofferente, così diverso dalla persona con cui si era svegliato appena un’ora prima…
“Charles, a me non dispiace che sia successo.”
Charles tenne gli occhi bassi, come se in realtà non lo avesse ascoltato.
“Questo l’avevo capito.”
Poi riprese a mangiare, ancora senza guardarlo. Passò ancora del tempo prima che si decidesse a parlare di nuovo.
“Di solito… Di solito come funziona?”
“Come?”
Charles parlò continuando a tenere il viso basso, concentrato sul suo piatto.
“Se ne hai avuti altri, immagino che… Vada tutto nascosto. Giusto? E che non è come se… Insomma. Cosa facevi? Finiva così o ne.. Ne trovavi uno… uno fisso?” Gli lanciò un’occhiata rapida. “Per, bè. Per un po‘? Ed erano… come te o più, ecco… Non so. Io credevo fosse un po‘ diverso… Non è che non ci abbia mai pensato, intendo... So che succede e… C‘era una ragazza Linda, e lei aveva, bè, era un po‘ bizzarra, insomma, però era molto bella e ci sono uscito un paio di volte, e…  bè… Non le avevo mai letto nella mente perché lei, lei mi piaceva davvero molto, Linda, e non volevo giocarmela subito, capisci? Infatti, quando poi l’ho fatto -a proposito chissà che fine avrà fatto adesso?- Comunque, bè, non ero io quello che cercava. Però è stato divertente, insomma, non dico fosse sbagliato, effettivamente è stato abbastanza triste per me, però…”
Charles prese un’altra forchettata di uova,  facendo stridere fastidiosamente la posata sul piatto. Gli tremava leggermente la mano, ma Erik era troppo atterrito per notarlo. “…Era davvero bella. Avresti dovuto conoscerla, piaceva a tutti, Linda. E’ stato questo che… Bè. Mi ha un po’… Un po’ sorpreso e, io, bè. Ci sono rimasto male. Non dico che non fosse normale, detto da me sarebbe terribile, insomma…” Charles sorrise tra sé. “Io non lo sono del tutto, vedo quello che pensano gli altri. Però era così curioso. Non capivo perché dovesse preferire… Altro a me, ed era… curioso. Se sì è così, così…”
Charles s’interruppe. Era rosso come il ripiano del tavolo.
“Charles. Che cosa stai cercando di dire?”
“Niente. Solo… “ Abbassò ancora la voce. “Un po’ di conversazione, io…”
“Conversazione?”
“Sì. Cosa.. Non va?”
Erik contrasse le mani a pugno e non disse niente. Charles divenne serio.
“Parlavamo” disse Charles piano, un po‘ contrariato. “Prima.”
“Non è cambiato niente.”
“Non è vero.”
“Prima non parlavamo di cose inutili” sbottò Erik, irritato.
“Non sono inutili.” Charles mise le posate ai lati del piatto e lo fissò.
“E’ evidente che c’è un problema e mi piacerebbe…”
Erik si allungò sullo schienale, squadrandolo con sospetto. “Un… problema?”
“Non volevo dire…”
“Oh, naturalmente. Charles, come ti piacerebbe chiamarlo? Malattia?”
“Non scherzare.”
“Sono più serio di te.”
“Mi dispiace.”
“Ti dispiace sempre.”
“Ed è divertente?”
Ora Charles lo guardava. Lo guardava fisso e lui non sapeva cosa rispondere. Era folle.
“Non posso farci niente.”
“Ma potevi fare finta di niente. Se tu… Lascia stare.”
Charles si morse le labbra, guardandolo, quasi arrabbiato. E stanco.
“Sei stato tu.”
“Non è una questione di colpa.”
“Se tu non fossi…”
Erik si accorse che gli avrebbe riso in faccia. Era assurdo. Però, forse non doveva aspettarsi che Charles diventasse subito così..
Disponibile e gentile, e pronto ad ascoltarlo e ad assecondarlo in tutto.
“Dico solo che…”
Erik abbassò le palpebre, guardando disgustato la sua colazione. “Non mi sembrava fosse un problema per te, non…” disse piano.
Charles lo guardò imperturbabile, anche se chiaramente aveva letto il resto della frase nella sua testa.
Sembrava quasi aspettarsi una battuta del genere.
Non era stato per niente come farlo con una donna. Era tutta un’altra cosa. Credeva di aver visto, di essere abituato a tutto, con un potere come il suo. Era successo solo perché avevano passato troppo tempo assieme, pensò, guardandolo di sottecchi, senza rispondergli.
Tornati a Richmond sarebbe tornato tutto a posto, ma non riusciva a crederci perché ormai era accaduto e anche se ne aveva il potere, non avrebbe mai voluto cancellarlo. Era colpa di Erik perché lo era così attraente ed era anche colpa sua, perché ora riusciva solo ad accettare che Erik gli piacesse e non pensare ad altro che a quello. Era lui ad avere qualche problema, pensò. Era successo e desiderava che succedesse ancora; non si era mai sentito tanto coinvolto ed era quasi disorientato, solo a pensarci.
Non era stato per niente come farlo con una donna. Per niente. Gli aveva fatto male e insieme, non aveva mai provato un piacere così grande; aveva supplicato per averne ancora.
Era colpa di Erik certamente. Ma era anche colpa sua.
Erik ora lo ignorava. Si rigirò il bicchiere fra le mani, tornò a guardare la strada fuori dalla vetrina.
C’era il sole, e le case dai colori chiari erano illuminate dalla luce.
Non sembrava minaccioso, tutto era molto diverso senza il buio, lo squallore e la pioggia scrosciante.
“Avrei voluto fare finta di niente” disse Erik cauto. “Stava andando bene. Era solo… troviamo qualcuno. Mandiamolo a Richmond e andiamo avanti, no? E quello che c’era in mezzo non doveva… Non doveva contare. Non era niente.”
Charles non rispose. Gli lanciò uno sguardo obliquo, poi si guardò intorno. Ma parlavano a voce bassa, nessuno poteva sentirli. Nessuno era interessato a sentirli.
“Sono sicuro che non lo fai apposta. Ma vorrei solo che la smettessi di preoccuparti. Non serve pensarci adesso, c’è ancora un po’ di tempo” abbassò ancora un po’ la voce. “Non ho intenzione di dire niente. Non sono fatto così. Voglio solo che vada bene a te, qualunque cosa tu decida, Charles. Non mi interessa nient’altro. Non voglio nient‘altro da te.”
Charles fece una strana faccia, a metà tra il divertito e l’imbarazzato. A parte me?
“Riguarda sempre quello che voglio io, vero?” ribatté Erik. Però non si sentiva più così nervoso. Forse…
Charles riprese a mangiare, un po’ più tranquillo. Sembrava ancora stanchissimo, ma la sua espressione non era più così scontenta. Non era ancora l’espressione che aveva avuto quando si era svegliato quel mattino, quando si era accorto di essersi svegliato sdraiato accanto ad Erik, ma poteva recuperare.
Occorreva solo un po’ di tempo.
“Non mangi?”
“No.”
Charles lo guardò, Erik si chiese cosa volesse ancora.
“Ah. Prendilo pure.”
Charles guardingo tirò il piatto verso di sé. Lo fissava ancora con circospezione quando disse: “Dovresti mangiare invece. Non ci fermeremo fino a Richmond.”
“Bene.”
“Ma non è quello che stai pensando.”
Erik pensò intensamente a tutto quello che aveva sentito uscire dalla bocca di Charles durante la notte. Charles cominciò a tossire, quasi strozzandosi. Si aggrappò al bordo del tavolo, facendo tintinnare la forchetta.
Quando si fu calmato, lo guardò malissimo. Strano, non gli era sembrato un modo brutto per farlo stare fuori dalla sua testa, ma l‘espressione di Charles era davvero risentita. Erik a bassa voce, si scusò. Ora era Charles ad ignorare lui.
Lo lasciò mangiare e andò a pagare, poi uscirono e ripresero la strada. Avevano lasciato la macchina al parcheggio del motel, e lì si diressero.
Non era un tragitto lungo, ma si sentì dispiaciuto nel sentire che Charles ora non gli parlava più e camminava lento e contrito, con le mani nelle tasche della giacca leggera. Non erano passate neanche due ore da quando si erano svegliati. Stentava a credere che Charles fosse di nuovo cambiato così, ma forse non era poi così strano, non fuori dalla stanza.
Si era svegliato e l’aveva guardato e Charles era stato gentile, forse persino contento.
E non aveva resisto e aveva dovuto chiedergli se gli era sembrato strano e Charles gli aveva detto che no, andava bene, lo sapeva se voleva stare con lui e che gli dispiaceva, perché non era semplice. Qualunque cosa intendesse.
Forse, però, gli aveva semplicemente mentito.
“Charles, guardami.”
“Cosa?” chiese voltandosi di scatto. “Perché?”
“Volevo solo sapere se…” cominciò Erik, bloccandosi.
“Smettila.”
“Charles, onestamente. A te è piaciuto?”
“Cosa?” Charles rovesciò gli occhi al cielo, fermandosi.“Oh, Cristo.”
“Charles.”
Charles cercò di evitare di guardarlo negli occhi. Era come se gli avessero preso a calci la pancia e lasciato dolorante sulla strada, oltre a quella -reale e tremenda - sensazione al fondoschiena a cui cercava di non pensare perché davvero, per adesso di imbarazzo ne aveva già abbastanza da provare.
Con che coraggio, Erik chiedeva se gli era piaciuto? Non era stato abbastanza chiaro? Charles aveva ignorato il rumore. Si era dimenticato dei suoni strani, del bruciore, del casino che dovevano aver fatto, della vergogna, del dolore. Degli insulti e di quel piagnucolio che non poteva essere uscito dalle sue labbra.
Ancora non ci credeva. Aveva cercato di mettere da parte il dolore e l’umiliazione. E anche se quando tutto era finito il primo pensiero era stato mai più, ora ne avrebbe voluto ancora. Gli era bastato guardarlo. Era quello che Erik intendeva con piacere?, si chiese, lanciandogli un’occhiata di sottecchi.
Avrebbe solo dovuto guardargli nella mente, sarebbe solo stato così facile…
Charles.”
Non era stato per niente come farlo con una donna. Per niente. Credeva di essere abituato a tutto con un potere come il suo, però per ora era meglio dare la colpa di tutto ad Erik. Era lui ad avere qualche problema… Però, ormai lo accettava. Accettava che gli piacesse perché anche per Erik era lo stesso -e sembrava così incredibile-.
Sarebbe successo ancora? La risposta era chiara, ma alla sola idea di pensarci, Charles si sentiva morire, perché lui non era così.
Era colpa di Erik, di Erik che era attraente e così affine a lui. Se non lo fosse stato…
Era successo perché avevano passato troppo tempo assieme. Tornati a Richmond sarebbe tornato tutto a posto, ma non riusciva a crederci davvero, a convincere sé stesso. Perché ormai era accaduto e anche se poteva cancellarlo, non voleva farlo.
Gli aveva mentito quella mattina. L’aveva sì trovato strano, l’aveva trovato…
“Charles?”
Charles tenne ostinatamente le mani in tasca. “Per piacere, Erik.”
“Voglio solo saperlo.”
“Non voglio che ne parli. Non devi parlarne… così” disse Charles sbiancando. “E’ disgustoso.”
Erik per un momento sembrò trasalire, ma Charles lo intuì solo perché era calato il silenzio. Forse non era quello che avrebbe dovuto dire. Ma in realtà non aveva la minima idea di cosa volesse sentirsi dire Erik. O di cosa bisognasse dire in casi del genere.
Appena sveglio era stato facile. Era ancora mezzo addormentato in sogni non suoi.
“Charles, io non ho altro modo per chiedertelo, se non così.”
Charles fece per andare verso la macchina, sfilando le chiavi, poi si bloccò, irritato.
“Secondo te c’è bisogno di parlarne?”
Erik allungò un braccio verso di lui. “Charles…”
“Non farlo” disse lui arretrando e guardandosi in giro nel parcheggio deserto. “Erik, non qui…”
Erik però lo ignorò. Lo trattenne e lo tirò con sé, al riparo della vecchia veranda, rimanendogli distante. Non sapeva se essere davvero felice che Charles l’avesse seguito, che non l’avesse respinto, anche se con un’ espressione ben poco contenta. Poi lo lasciò andare.
Charles continuava a guardare ostinatamente verso il parcheggio. C’erano altre tre macchine ora, ma nessuno in vista.
Il sole faceva luccicare le larghe pozze di pioggia che andavano lentamente rìtirandosi.
“Erik, non puoi chiedermi di pensarci adesso.”
“Sono sicuro” disse lui piano. “Che ci stai già pensando.”
“Possiamo parlarne in macchina?” Charles spalancò gli occhi, esasperato. Se proprio dobbiamo. “Per favore?”
“Charles, sono ancora tuo amico, voglio solo sapere se…”
“Se sto bene? Erik, hai intenzione di chiedermelo ancora? Per quanto?”
Erik rimase zitto, lo guardò solo come se lui stesso fosse smarrito, per la prima volta. Non voleva sentirsi così, non era giusto. Se solo Charles avesse capito…
“Ti ho detto che sto bene. Erik…” Si morse appena il labbro, abbassando la voce. “Sono stato bene, questo è il problema e non è stato… Disgustoso” disse Charles in fretta, tornando a guardare verso la Plymouth. “Ma non voglio essere come te. Non lo desidero affatto” aggiunse.
“Questo non significa niente” provò a dire Erik, ma Charles lo fulminò con lo sguardo.
Mi piace stare con te. Ma forse non abbastanza.
“Non è vero” replicò Erik dopo una pausa lunghissima.
“Fa’ almeno finta di crederci. Non rovinarmi tutto, Erik.”
Non era più esasperato adesso, era solo cauto e gentile. E fu allora che fece un errore.
Alzò gli occhi, ed Erik capì. Capì che non l’avrebbe lasciato andare. Comprese che per quanto ne parlassero, Charles ormai era coinvolto e anche se sarebbe stato difficile e avrebbero dovuto litigare ancora e ancora e forse sarebbe successo altro, ma per adesso, per adesso a Charles andava bene.
Lui era così, perché non poteva fare altrimenti. Non poteva fare a meno di parlare così.
E allora  Erik gli sorrise. Era un po’ come essere innamorati, forse. Innamorato di Charles. Sembrava quasi vero, una grande e disperata infatuazione. Un po’ dipendente e tremendamente stupido e desiderabile.
Charles lo squadrò, incuriosito.
“Cosa c’è?”
“Niente.”
Charles si sfiorò appena la tempia e il sorriso di Erik s’incrinò appena.
“Divertente, Erik.”
Adorabile.”
“Sai che non voglio pensarci adesso.”
“Charles, non voglio rovinare tutto. Non te.”

 

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Westchester, New York, il presente.
 

Più tardi, quando il cielo fuori dalla finestra assunse una diversa gradazione di blu ed entrambi riuscirono a stendersi, staccandosi, Charles comprese che quella era davvero l’ultima sera a Westchester. L’ultima sera e lui era quasi riuscito a rovinarla del tutto… Notte, si corresse, notte. E stava finendo.
Tutte le notti finivano e così i giorni e così…
“Charles, smettila.”
“Non stavo….”
“Ti si sente pensare dappertutto ormai.”
“Ma non è…” Charles alzò gli occhi, vagamente esasperato. “Già. Succede.”
“Se succedesse solo più spesso…” replicò, tentando quasi di scherzare. Non era forse giusto, adesso? Non voleva pensare a niente che non fosse adesso.
Era solo gelosia, e non la voleva mostrare. Era qualcosa di così umano che solo il vederlo in Charles lo poteva affascinare. Più lo fissava, più desiderava capire a cosa stesse pensando. Charles scosse la testa.
“Oh, Erik, per favore. Non continuare a cambiare idea.”
“Non ho cambiato idea.. Charles, se tu l’avessi fatto prima, avresti visto che Raven…”
“Ne stai ancora parlando?” sbottò Charles, un poco irritato. Però adesso gli veniva anche da ridere; sembrava così sciocco ora, tutto quanto. Senza peso, senza importanza. Fece per allontanare il braccio di Erik intorno a lui, ma Erik lo strinse solo di più e non lo respinse, stavano bene così.
Charles lo sentì sorridere contro la sua testa. Anche lui si sentiva stranamente leggero. Tutto era lontano.
Era passata più di un ora da quando se ne era rimasto lì, imbambolato, contro la parete, incapace di combattere ancora.
Era stato tutto, un unico grande e lungo scontro e non sarebbe mai finito. Era rimasto seduto curvo per un tempo indefinito; se fosse stato qualcun altro, si sarebbe messo a piangere. Ma il suo viso era rimasto asciutto, le orbite aride, a guardare solo il buio. Aveva voluto che Erik se ne fosse andato ma lui era rimasto lì.
E lui era stanco e aveva vacillato. Allora si era alzato, Erik gli aveva fatto spazio e lui si era steso. E non era riuscito a lasciarlo andare via, dopo. Non era giusto.
Dopo un tempo interminabile Erik l’aveva  abbracciato. Gli aveva chiesto come stava e lui sì, era calmo era tutto a posto -per quanto potesse esserlo dopo quell’ intricata serata-. Poi gli aveva detto di rilassarsi e l’avevano fatto davvero e lui era quasi riuscito ad essere normale, a stare quasi fuori del tutto dalla testa di Erik, cercando di non sentirsi umiliato, di non pensare a quanto era successo, a Raven. Il dolore lo aveva eccitato; il modo in cui era dentro di lui, sì, era sempre umiliante e, certo, non era stato come al solito.
Aveva solo cercato di fare in modo che non notasse niente di diverso, di non crogiolarsi nelle parole di Raven ed Erik, nelle armi
che lei aveva dato a lui per farlo apparire più instabile di quello che già era.

Erik aveva cominciato a fotterlo, prima piano poi sempre più forte. Aveva sentito il dolore e il piacere crescere,  Erik si era messo a spingere, un gemito soffocato ad ogni colpo. Schiacciandolo a pancia sotto, allargandogli le natiche. Sentendo il suo respiro sul collo, Erik lo aveva fatto godere.
E nonostante fosse eccitato da quello strano modo di fare, Charles aveva cercato di soffocare la vergogna e l’imbarazzo; con Raven, Erik non si sarebbe mai comportato così. Era come se avesse voluto sfogarsi. E a Charles era piaciuto, ma era stato giusto?
Non lo sapeva. Che ne sapeva di come funzionava la testa di Erik, davvero?
Leggere i suoi pensieri non voleva necessariamente dire capirlo…
Ti piace, Charles? Prendilo, sei così stretto, se sei innamorato di me Charles, vuoi che lo sia anche io?… Lo imbarazzava. Erik  lo metteva a disagio e adesso non riusciva a dirglielo. non era come lui, era questo che aveva voluto intendere. Erik riusciva ad essere quello che lui non voleva diventare. Aveva desiderato zittirlo, mentre il piacere veniva meno. Aveva cominciato a sentirsi stupido. Si stava facendo umiliare e ne era innamorato. E lui non l'avrebbe mai capito. Erik gli aveva chiesto se gli era piaciuto prenderlo in bocca, che non l'avrebbe mai più obbligato, che non voleva nient'altro da lui, ma era stato molto meglio delle altre volte, no? No, non era stato come le altre volte; era stato squallido e lascivo e sapeva che Erik si stava comportando così, lasciandosi andare, dicendogli solo di farsi scopare, perchè in fondo era lui, era sempre stato lui ad allontanarlo da sè.
Voleva solo renderlo più semplice.
Poi, Erik aveva aumentato il ritmo della scopata ed era venuto mentre lui, muovendo un’ultima volta i fianchi sotto la sua spinta, aveva sporcato il lenzuolo. Si era chiesto a cosa pensasse Erik, se a lui o a Raven, o a quello che era successo prima, cercando di non entrare nella sua mente, nemmeno per errore. Charles si era lasciato andare ad ansimare e aveva cercato di star fuori dalla sua testa.
Ed era finito; erano rimasti sdraiati tra le lenzuola umide.
Conosceva tutte le fantasie di Erik, le aveva viste. Lo conosceva e diceva di esserne innamorato e per questo  non riusciva a credere di aver cercato di sopprimere i suoi ricordi.  Era stato così meschino. Era così innamorato da essere disposto a tutto… Ma forse, non era stato amore. Non solo. Gelosia, ecco.
Si era fatto trascinare e aveva rischiato di compromettere tutto. E adesso riusciva addirittura a riderne. Solo perché non c’era più tempo… Non c’era più tempo da sprecare con l’essere arrabbiati…
Capisco che tu abbia interessi e gusti particolari, amico mio. Ma preferirei che ti limitassi.
“A te?”
Charles sospirò. Finchè sei a casa mia almeno. Te ne sarei grato.
“E io ti sarei grato se non dicessi cose del genere” replicò Erik piano. “Non sono vere. Sai che…”
So che cosa? Che non farai quello che vuoi, indipendentemente da…
“Dal buon senso?” provò a scherzare Erik.
No.
“Da te?”
Charles rimase in silenzio. Voleva tirarsi su e vestirsi e andarsene. Tutte cose buone e giuste sì, ma Erik continuava a trattenerlo e lui non era poi così arrabbiato. Non più. Avrebbe voluto esserlo però, almeno avrebbe avuto il controllo di quell’intricata situazione. Era Erik che decideva, che controllava sempre tutto fra loro,
ricordò a sé stesso. Agli occhi di Erik, lui, Charles, contava molto poco.
Avrebbe contato sempre molto poco nelle decisioni che non riguardavano Charles strettamente. Però non sembrava nemmeno una considerazione spaventosa, adesso.  Era… Comprensibile? Non faceva così male. Perché non finiva tutto? Ora era il momento.
"Non andava bene?"
Charles distolse lo sguardo. “E’ tardi.”
Erik rovesciò gli occhi verso di lui, poi verso l‘orologio a colonna. La sua testa era ancora affondata nel cuscino. “Ora lo è di sicuro.”
“Ha sistemato tutto Hank per domani. Ma credo sia meglio se…”
Erik si passò una mano sul viso. “Ora me ne vado. Non preoccuparti.”
Charles corrugò impercettibilmente la fronte. “Non lo sono. Ma voglio che te ne vada” disse, cercando di mantenere il tono più normale possibile. Anche se fu lui ad alzarsi per primo; si avvicinò al carrello con le bottiglie, dall’altra parte della camera e si versò
del Goose Trip lentamente, senza ghiaccio, fissando la sagoma distorta di Erik che si rivestiva riflettersi sulle bottiglie.
In realtà non voleva che se ne andasse. Non l’avrebbe voluto mai, ma che scelta aveva?, si chiese.
Sarebbe stato bello se avesse dormito lì, ancora per una sera. Ma che scelta c’era?
“Rhode Island.”
“Come?”
“Non hai detto di avere una casa, lassù?”
Charles si girò lentamente verso Erik, il bicchiere ondeggiante in mano. “E allora?”
“Va bene anche un altro posto. Savannah, magari o… Atlantic City?” continuò Erik fissando assorto la notte chiara fuori dalle finestre, abbottonandosi lentamente la camicia.
“Un posto vicino all‘Oceano.”
“Erik, ma che stai…” poi Charles si toccò la tempia e vide a cosa Erik pensava e ne rimase triste e colpito assieme.
Fece lentamente qualche passo verso il letto, risiedendosi e avvolgendosi in un lenzuolo. Faceva così freddo adesso. E anche i pensieri incoerenti di Erik lo erano.
Strinse gli occhi nella penombra, come se dovesse metterlo a fuoco.
“Non mi piacciono molto  le spiagge. Belle, ma non ci starei. Troppi granelli di sabbia.”
“Dicevo solo…”
“Le alternative per te sono diventare una specie di leader mutante o seguirti da qualche parte? Che vorresti che facessi, Erik?” sorrise controvoglia, in modo beffardo.
“Che andassimo da qualche parte? Magari al nord, da qualche parte che somiglia alla Germania e che stessimo lì, finchè…”
Charles si bloccò e il suo sorriso quasi estasiato sparì, sostituito da un’espressione quasi dispiaciuta. "No. Non è per me."
Erik lo fissò, muto.
“Lo vuoi davvero?” insistè Charles. Ma non ce n’era bisogno. Lo vedeva così chiaramente dentro di lui…
“Se tu restassi con me, potremmo…”
“Non è credibile Erik. Non è possibile.”
“Allora non leggermi nella mente, Charles.”
Charles sollevò appena un sopracciglio. “Non quando non serve a te, immagino.”
“Smettila, Charles. Vivi nella convinzione che io non ti voglia mai dire nulla. Per una volta…”
Charles si rimise a sedere sul fondo del letto, ma lo ignorò.
“E Shaw?”
Trasalendo appena, Erik smise di scrutare fuori dalle finestre. Ancora mezzo svestito, si voltò, protendendosi verso di lui e cercando di assumere un tono pratico. “Charles, è solo un ostacolo, perché non riesci a guardare oltre? Concedimi di… ”
“Non c’è nessun oltre, Erik. Perché hai bisogno del mio permesso, se lo farai comunque?”
“Perché è importante.”
“Non abbastanza” replicò inflessibile. “Se fosse importante mi ascolteresti.”
“E’ al di là di una cosa così banale, Charles.”
“Banale?”
“Pensa a cosa potremmo fare. Insieme, tu ed io” disse Erik piano, avvicinandosi di più e  stringendolo per il polso. 
“Senza più Shaw di mezzo, io e te… Io e te…. Ogni cosa sarebbe diversa. Non dirmi che non ci hai pensato.”
Charles lo guardò a lungo. Poi scosse la testa. “Non ci penso.”
“Potresti avere tutto, Charles, ogni cosa.”
Charles scosse ancora la testa. “Non mi interessa.”
Erik rise e Charles lo squadrò.
“Non sto’ mentendo.”
“E’ proprio per questo che fa’ ridere.”
“Io non voglio vederti uccidere Shaw, Erik.”
Erik sorrise freddamente. “Non sei costretto a guardare.”
“Lo vedrei comunque.”
“Morboso.”
Charles aggrottò appena la fronte. “Non posso farci niente.”
“Non stiamo parlando di …”
“Non stiamo mai parlando” replicò Charles posando il bicchiere vuoto sul comodino. “Parliamo sempre di me, di quanto è importante che ti abbia trovato, di quello che
faremo, di… Di… Che importa? Va bene così.”
“Non stanno così le cose.”
“Infatti. Sai cosa sarebbe dovuto succedere?..  Avrei dovuto scegliere Moira. Fare ciò che era giusto.
Erik s‘irrigidì appena. Quant‘era odioso, quando cominciava con le scuse e le alternative. Quant‘era odioso e sciocco. Non lo sopportava. “Charles, perché stai parlando così?”
“Non voglio litigare, non fraintendermi, ma è così, avrei dovuto fare… Fare ciò che è giusto.”
“Per poi comportarti così?”
Sul viso di Charles prese forma un’espressione quasi crudele, crudele per quanto poteva esserlo il viso di Charles.
“Se uccidi Shaw non sarai più ben accetto a Westchester.”
Gli occhi di Erik si strinsero appena. “Vuoi rimanere da solo, Charles?”
Non lo pensava, ma quanto avrebbe voluto ferirlo…
Tuttavia, nell’ascoltare quelle parole, Charles sembrò quasi risoluto.
“Correrò il rischio” rispose, fissandolo con sufficienza.
“Da solo? Solo contro degli stupidi e sciocchi…”
Charles alzò gli occhi al cielo, stringendosi nel lenzuolo. Erik tacque. La sua espressione contrita si dissolse e solo guardando le pieghe del lenzuolo riuscì a dire piano, scegliendo con cura le parole, quello che davvero gli passava per la testa.
“Voglio solo che tu stia al mio fianco. E’ solo un piccolo prezzo, Charles.”
Charles sospirò, senza guardarlo più. “La vita di Shaw.”
“Non è niente d’importante.”
“Però, per te, vale tantissimo.”
“Solo se posso togliergliela” ribatté Erik impassibile.
“Porta Raven con te. Non ti basta?”
“Non è lei che voglio.”
Charles fece un sorriso molto vago. “Accontentati.”
“E non credo che non le impediresti di andarsene.”
“Non esserne così sicuro.”
“Charles…”
Per tutta risposta, Charles andò a versarsi ancora da bere, il lenzuolo drappeggiato attorno a sé, nella parodia di una toga. Si sentiva rilassato e innaturalmente calmo. E nonostante tutto sentiva il brusio inquieto ed ininterrotto dei pensieri di Erik scivolare fra i suoi, confondendoli e tentandoli.
Non sembrava così brutto il futuro che Erik prospettava…
Scivolò per un momento nella testa di Erik e si chiese come sarebbe stato. Immaginò la casa di Portland, grigia e grande.
Il vento freddo sul mare.
Sarebbe andata bene, no? Potevano essere normali, fare finta e ogni tanto… Ogni tanto…
Però… Però…. Non era giusto. Non lo era mai, non poteva esserlo. Sembrava così irreale. Stare sempre con Erik. Era qualcosa di così bello… Ma improponibile. Che rapporto era? Non era normale…non era per loro. Per lui.
Fece tintinnare il ghiaccio nel bicchiere. Era così fastidioso. Un rumore fastidioso, non adatto a quell’ora, in un così amabile posto.
Era tranquillo, lui era tranquillo ed Erik.. quello che pensava Erik erano minacce. Avrebbe rovinato tutto, stava rovinando tutto…
Con che diritto si permetteva di imporsi? Quella non era casa sua. Non lo era affatto.
“Charles, spiegamelo.”
 Charles piegò il capo e fece uno sbuffo divertito.“Perché dovrei? Ha importanza?”
“Non credere che non voglia quello che vuoi tu.”
“Pace e coesione fra i popoli? Non ne dubito… ” il sarcasmo però riuscì fiacco. Stava cominciando a venirgli mal di testa, ascoltando la voce di Erik fuori e dentro di lui. Strinse il bicchiere, trattenendosi dallo scagliarlo. Che fastidio. Sempre le stesse parole, all’infinito… non capiva, non si sarebbero capiti mai.
Non quando le cose diventavano davvero importanti, pensò Charles. Oh, sì, aveva creduto che  Erik fosse  uguale a lui… al contrario però. Non sarebbe mai riuscito a vedere la luce. Mai una soluzione onesta e giusta…
“… Dopodomani ci cercheranno, ci identificheranno…  inizieranno a cercare il modo migliore per ammazzarci tutti, devo dirtelo ancora? Perché sei così... Così cieco, Charles… Ascoltami. Siamo una minaccia, per loro….”
“Solo se ci comportiamo come tali, Erik. Santo cielo, non riesci ad andare oltre?” sbottò Charles, irritato, la bocca impastata di whiskey. La voce gli uscì aspra ed Erik s’interruppe. La sua faccia  allora divenne seria e cattiva.
“Tu non sei innamorato di me, Charles. Tu sei innamorato dei tuoi cari esseri umani.”
La fronte di Charles si contrasse appena.
“Vorrei fosse così, Erik. Lo vorrei davvero...” Con calma,  finì il drink con un ultimo sorso. “…Va’ via. Sono stanco.”
Era stanco davvero. Ma non per il sonno. Stava finendo, realizzò.
Qualunque cosa fosse stata ora finiva e lui era lì e poteva accettarlo, no? Non sembrava così spaventoso…
Oh, certo, era stato bello. Meraviglioso. E… sbagliato e lui si era compromesso e terrorizzato e scoperto e… Felice.
Non era mai stato tanto sé stesso.
Allontanarsi da Erik voleva dire allontanare tutto questo. Però poteva farcela. Erano già tanto lontani…
Charles si avvicinò a lui, lentamente. Lo vedeva così, chiaro, così semplice e lineare. Eliminare, estirpare, risolvere. Finire. Non ne poteva più.
Ne valeva la pena, lo sapeva. Avrebbe dovuto impegnarsi, farsi trascinare, supplicarlo, conquistarlo... Non arrendersi.
Erik avrebbe fatto di tutto per lui, a patto che gli concedesse quello che voleva…. Ma era una questione di principio, no? Erano migliori, ma non come lo intendeva Erik.
Erano migliori perché magnanimi e misericordiosi e in grado di essere… Perfetti?
“L’unico motivo per cui non ho cercato la risposta da me…” cominciò Charles. “E’ che io non voglio niente. Assolutamente niente.”
“Dagli umani o da me?” Erik non si fece impressionare; quasi sorrise. “In entrambi i casi, è qualcosa a cui non posso credere… Innamorato? No…”
Charles lo fissò impassibile.
“… E’ stato così egoista, Charles. Perché forse è questa la verità. In fondo, è l’essere egoista a farti muovere come un burattino. A dire le cose così, senza riflettere… Solo se suonano bene nella tua testa?” aggiunse Erik. Gli veniva da sorridere.
Era innamorato di Charles e non gliel’avrebbe mai potuto dire.
Da quando l’aveva incontrato. Innamorato tanto assolutamente ma…. Non poteva confermarglielo, mai dirglielo in modo chiaro…
E non perché non volesse. Ma perché Charles non l’avrebbe mai capito. Charles era innamorato di sé stesso, ecco la verità.
Ne era conscio? Capiva di mettere sé stesso, il suo essere davanti a tutti? A volte sembrava persino di no… Ne era ignaro?
E lui, Erik, lui era così sciocco e solo, perché avrebbe tanto voluto essere sempre e solo con lui…
“… Ma non m’importa. Non m’importa. Posso sopportarlo, Charles.”
Charles si morse appena il labbro. Poi socchiuse  gli occhi.
Aveva uno strano fastidio, come polvere negli occhi e continuando  a stare vicino ad percepiva solo un grande freddo. Sé stesso in trappola…“Va’ via.”
Erik si alzò, mettendosi di fronte a lui. Lo strinse per le spalle, scrollandolo un poco come se volesse svegliarlo.
Charles lanciò un’occhiata fuori dalla finestre,sorrise e tornò a guardarlo. Niente era importante, si disse. Nemmeno questo. Tantomeno Erik.
“Volevi davvero che dimenticassi tutto?” chiese, fissando gli occhi di Charles dilatarsi appena. Poi lo sentì rilassarsi.
“Mai.”
“Charles…”
“Mai…”
“E allora perché? Tu e io, Charles… Potremmo fare.. Ogni cosa, ogni cosa insieme… Non dovremmo preoccuparci di niente, ogni cosa.. Sarebbe nostra. Sarebbe tua.”
Charles gli rispose solo con quel sorriso. Quello gentile e beffardo. Era più lontano di lui. Più lontano della notte fuori dai vetri.
Alla fine, cosa contava? Erano sempre stati soli. Collisione planetaria. Ma non ci credeva, non poteva essersi arreso così, doveva esserci un modo…
Uno sciocco, singolo e chiaro modo per capirsi, per risolvere… non ce la faceva più.
Lo fissava e l’attesa lo distruggeva, voleva solo un cenno, una supplica, una reazione. Rabbia o tristezza, non solo..
Quello stabilire per forza una priorità così assoluta da schiacciarli. Quella resa.
Quello non poteva essere Charles, non così…
“Cosa vuoi che faccia, domani?”
Charles smise di sorridere
“Scegli.”
 
 
 
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Circa tre mesi dopo, Westchester, NY.
 
Faceva un po’ tristezza vedere il mondo sempre da seduti. L’orizzonte sembrava posto più in alto, come un muro da scavalcare.
Però, ormai era inchiodato lì; non avrebbe mai cercato di andare oltre, anche volendo, anche avendone il coraggio.
L’orizzonte era più su. L’orizzonte era un muro invalicabile che non aveva bisogno di filo spinato.
Tutto, effettivamente, sembrava un po’ più in alto adesso, un po’ più difficile da fare. Bastava adattarsi., si era detto.
Forse non era poi un passo indietro, forse era solo un’evoluzione un po’ diversa. Adattarsi.
Non lo spaventava nemmeno più tanto. Non quando era sveglio.
A volte, all’inizio soprattutto, rimpiangeva di aver lasciato andare Moira.
Nella sua testa, c’era stato così tanto senso di colpa da poterla tenere lì, a Westchester, per tutti i giorni a venire. Ma lasciarla restare, sarebbe equivalso ad un ricatto. Non sarebbe stato corretto.
Charles credeva che i giorni sarebbero diventati più lunghi e penosi. Si sbagliava. Certo, erano solo un po’ più tristi, ma le ore erano sempre le stesse. Forse, in verità, non era poi cambiato nulla. Forse era tutto nella sua mente.
Eppure, ultimamente, quando la mattina faceva capolino dalla finestra della sua stanza, Charles guardava tra la foschia che avvolgeva Westchester, quando l’orizzonte era invisibile, nascosto com’era dalla luce pallida e dal cielo bianco.
Si chiedeva se sarebbe riuscito a vedere Erik camminare verso il bosco, oltrepassando le vasche ornamentali, scendendo le scalinate che sparivano come trincee nella terra.
Si chiedeva se Erik si sarebbe voltato per salutarlo, sperando che lo raggiungesse.
 
 



FINE





Angolo delle cose a casaccio e dei panni sporchi 

 
 
E, sorprendentemente, siamo giunti alla fine di questa ultima parte dell’ultima FF dedicata a Charles ed Erik. La mia incursione nel mondo slash penso si concluda qui, perché sono notoriamente una persona sfaticata e sono troppo pigra per cercare un altro fandom anche solo un decimo credibile rispetto a C\E su cui scrivere... Forse. 

Vi chiedo -al solito-  scusa per il ritardo. Sono sicura che mi leggeranno giusto 3 persone per un totale ottimistico di mezza recensione. Devo anche confessare che questa FF in sé un po’ una farloccata, ma ha avuto il merito di farmi trovare un’amica in più che non smetterò mai di ringraziare per questo e per altro. E’ solo Grazie a Bloody Very (e anche alla cara Tonie -grazie di aver risposto ai miei questionari a crocette sulla fame nel mondo- ) se questa FF è andata avanti e non si è arenata al capitolo 2, rimanendo spiaggiata come una balena in procinto di morire sotto al sole dei tropici eccetera eccetera.
Ah, oltre a coloro che mi hanno recensito in questi mesi, e sempre positivamente, con mio disappunto, ringrazio in particolare anche TheElektra, che mi ha supportato in più di un’occasione.
Bene. Se faranno un secondo film magari scriverò la 5’ parte, ma al momento, dato che spero già abbastanza di arrivare indenne al domani, non faccio progetti a lungo termine.


EXELLE
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