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Autore: Dante_Chan    04/03/2012    1 recensioni
Mi è venuta l'ispirazione stamattina, mentre facevo volontariato all'Oasi WWF degli stagni di Casale. Sono in fissa, ma perdonatemi: ho il cuore infranto.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La prima volta che da adulta mi è tornato con forza il ricordo di quelle sere è stato in automobile, sulla via del ritorno, dopo aver passato la prima notte con lui. Ci eravamo fermati a dormire dalle parti di Kanagawa, poi avevamo trascorso tutta la giornata a fare i turisti, e verso sera tornavamo a casa. Avevo una paura terribile che quella giornata finisse, ed ero disperata. Dentro l’auto maledicevo ogni semaforo verde, mentre ogni volta che eravamo bloccati al rosso mi abbandonavo al sollievo e alla felicità. Non riuscivo ad accettare il fatto che ognuno di noi due sarebbe tornato alla propria quotidianità. Forse ero ancora turbata per aver fatto per la prima volta l’amore con lui e soprattutto dalla storia di sua moglie. Non mi ero mai sentita così nervosa. Se pensavo al momento in cui, tornata a casa, sarei rimasta sola, venivo assalita dal panico.”

Meraviglioso. Mi ci ritrovavo perfettamente. Adoravo lo stile intimo e profondo della Yoshimoto e il modo in cui riusciva ad esprimere emozioni e stati d’animo che sentivo miei ma a cui non riuscivo a dar voce.
“Sonno profondo”, poi, era un po’ quello che stava cogliendo me, oltre che la protagonista: passato il periodo di tempo in cui non riuscivo a chiudere occhio pensando alla mia finita storia d’amore,ero ora  giunta ad una fase di torpore perenne, in cui l’unica cosa che avevo voglia di fare era stare accucciata sotto le coperte o sul divano e, pensando e sognando sempre alla e della mia finita storia d’amore, abbandonarmi ad un caldo ma solitario sonno. D’altra parte, la tristezza quand’ero sveglia mi sfiniva; avevo iniziato ormai a non farci più troppo caso ed era diventata una quotidiana compagna, ma era, nella mia indifferenza e nel suo doloroso silenzio, in grado di lasciarmi senza forze ancora prima che io mi fossi alzata, alla mattina. Tanto che, se fosse stato per me, non mi sarei alzata mai.
Quella piccola parte della narrazione mi aveva particolarmente colpita, perché ricordavo che esattamente così mi ero più volte sentita quando avevo dovuto salutare Anna per tornarmene a casa dopo aver passato con lei una sera o un pomeriggio; la quotidianità, in quei lassi di tempo, era sembrata tanto, troppo lontana ed irreale perché io potessi ricaderci, così, dopo un semplice “ciao”.
Ora tutto ciò era finito e non sarei stata più in grado di provare qualcosa del genere, almeno non più con lei (anche se una flebile lucina di speranza brillava ancora con coraggio -o stupidità?- dentro il mio cuore). E mi risuonava improvvisamente in mente: a cosa stai pensando?
Smisi di leggere, perché dal cantuccio buio sulle scale del centro visite nel quale mi ero riparata dal mondo esterno sentii che il cielo plumbeo aveva finalmente deciso di scaricarsi con un pianto scrosciante. Andai alla porta e guardai le gocce d’acqua scurire la terra ed inquietare i due piccoli stagni didattici all’entrata, mentre il vento suonava una sorda melodia utilizzando gli alberi e i fili d’erba.
Banana Yoshimoto mi piaceva davvero tanto. Era stata proprio Anna a parlarmene, quando ancora ci stavamo conoscendo meglio, io non l’avevo mai sentita nominare; qualche giorno prima, invece, mentre cercavo su una delle tante librerie che ho a casa un nuovo libro da leggere, avevo notato il suo nome: avevo tre libri di quest’autrice e nemmeno lo sapevo. Tre libri col prezzo ancora in lire. Avrei tanto voluto dirlo all’Anna, dirglielo e ridere insieme a lei di me e del fatto che non sapevo nemmeno che libri avevo. Ma ormai non mi era più possibile farlo, così mi limitavo a godermi i racconti il doppio di quello che, probabilmente, normalmente avrei fatto.
Già. Era normale che ad Anna fosse piaciuta la Yoshimoto: così profonda, così vera. Come lei. A volte, stando con lei mi sentivo quasi stupida, tanto profonda e seria poteva essere. Era per questo che non sopportavo il suo a cosa stai pensando?
Uscii dal centro visite, decidendo di farmi un giro dell’Oasi: gli stagni sotto alla pioggia hanno un che di magico e la mia presenza lì era inutile, dato che nessun visitatore sarebbe arrivato, con un tempo simile. Mentre mi dirigevo verso il casotto per le osservazioni, il rastrellare di Fabio, che stava raccogliendo le vecchie foglie morte dal prato, si sentiva sempre più flebile e lontano.
E’ proprio bella, la pioggia, quando non hai paura di bagnarti. Quando ti lasci andare, quando non ti spaventa un eventuale raffreddore. Quando non hai nulla da perdere e ti accorgi che ogni paura non vale una passeggiata sotto l’acqua.
Immersa nel fango e circondata dal canneto, mi nacque nella mente l’immagine di un disegno che non sarei mai stata in grado di fare. Ma che se avesse trovato vita avrebbe espresso senza parole tutte le mie emozioni di quel momento.
Arrivata al capanno, spiai in silenzio la grande attività aviaria che percuoteva lo stagno, sperando nella fortuna di avvistare un tarabuso, che ovviamente non ebbi; dopodiché decisi di fare un giro verso la passerella, nella zona dell’Oasi che meno veniva frequentata.
L’odore di legno marcio -quasi di pesce- iniziava a mischiarsi a quello del gel che, inumidito, cominciava a colare assieme alle gocce di pioggia sulla mia fronte e sui miei occhi. Nel frattempo i miei pensieri avevano fatto un giro circolare e stavano tornando al fantomatico a cosa stai pensando? Odiavo quella domanda, non la sopportavo davvero; non perché proprio con quella Anna aveva iniziato il discorso col quale mi aveva lasciata, no. Il fatto è che è spiazzante. Quando mi si fa quella domanda non so cosa rispondere, mi dimentico cosa stavo effettivamente pensando: forse è una difesa che la mia mente attiva inconsciamente, una difesa che evita ai miei pensieri di venire allo scoperto. Se in quel momento un martin pescatore o un pettazzurro si fossero posati sulla passerella o se una nutria fosse sgusciata dall’acqua e mi avessero chiesto a cosa stessi pensando, probabilmente mi sarei bloccata e li avrei guardati con sguardo vacuo, per inventarmi infine una bugia o per rispondere la prima cosa che mi passava per la testa. Esattamente quello che facevo quando era Anna a farmi quella domanda che mi faceva sentire tanto idiota, dato che rispondevo sempre asinerie (inizialmente per evitare il problema rispondevo «A niente», ma era una risposta troppo banale per soddisfare quella tremenda ragazza e avevo capito presto che la cosa non funzionava). Non potevo farci nulla. Personalmente, ritengo che quella domanda possa essere benissimo comparata ad uno schietto «Spogliati.». L’effetto è lo stesso, il concetto anche. Una richiesta va a parare sul lato fisico, un’altra su quello psicologico, ma tutte e due toccano la sfera intima di un individuo. I miei pensieri sono coperti dagli sguardi altrui e decido io quando e a chi mostrarli, non mi va che mi si chieda di farlo. Sarò io ad essere strana. E’ probabile.
I miei pensieri giravano, iniziando un altro circolo. Sentivo gli schiamazzi dei germani reali, le risa sguaiate delle femmine e il sommesso borbottio dei maschi; e pensavo che fra un po’ di tempo le risate femminili non si sarebbero più sentite perché, come mi aveva insegnato Fabio, presto si sarebbero rintanate fra i canneti, a covare prima e ad accudire la prole poi. Certo, pensavo, è sempre così: le femmine si divertono a fare le oche e a farsi vedere dai maschi, esibendosi in mezzo allo stagno con le loro risatine odiose; finché non si fanno una famiglia e allora han troppi pensieri per ocheggiare ancora e se ne stanno in casa e stanno zitte. Ma è per caso possibile che, a volte, non avvenga così? E’ possibile che una giovane germana non esca dal canneto per esibirsi sul palcoscenico con le altre, una volta lasciato il nido? E se ne sta rintanata, vergognosa di se stessa, non sapendo il perché? E’ possibile tutto ciò? Io sono una di queste, pensavo. Si resta nascoste e non ci si espone. E se qualcuno non viene a cercare fra i canneti si resta sole. Io avevo trovato qualcuno, ma con un «quack!» quel qualcuno mi ha lasciata. Lasciata, per sempre. Sola.
Ed ecco che la mia mente ritornava a quel momento, completando per l’ennesima volta il cerchio infinito: a cosa stai pensando?...
   
 
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