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Autore: _Lightning_    04/03/2012    8 recensioni
-Ha ragione, dobbiamo parlare. Entri.-
-Entro? Ma lei è...-
-... nudo, sotto la doccia e totalmente invisibile ai suoi sensibili occhi; avanti, non voleva parlare?-

[post-Afghanistan // pre-Iron Man // Serie: Newborn]
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tony Stark, Virginia 'Pepper' Potts
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Newborn'
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It's Just My Phosphorescent Shampoo



Lo scroscio della doccia risuonava nel bagno, dove volteggiavano dense volute di vapore che rendevano nebbiosi e indistinti i contorni dei mobili.
Tony rivolse il volto al getto d'acqua bollente con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, sentendo la stanchezza svanire a poco a poco. L'acqua e il calore della doccia erano il Paradiso, dopo tre mesi passati in una grotta lurida e gelida, e si stava completamente abbandonando a quella vecchia e così estranea normalità che solo adesso riusciva ad apprezzare appieno. Poggiò la fronte contro le piastrelle, lasciando che le gocce gli picchiettassero sulla schiena e sui capelli, scorrendogli sul corpo e lambendogli le numerose ferite e lividi che lo costellavano. Tastò cautamente il braccio contuso, avvertendo un'ondata di dolore sordo, ma sopportabile. Continuò a tenere gli occhi chiusi: non voleva vedere il bagliore azzurrino irradiato dal suo petto, nel quale si concentravano delle fitte acute e incessanti. Aveva la netta percezione delle schegge che puntavano verso il suo cuore, reale e perenne minaccia tenuta a bada solo da quel cerchietto metallico.
Sapeva di dover perfezionare al più presto il reattore arc, ma era profondamente riluttante ad abbandonare quel piccolo attimo di quiete dopo tutti gli scossoni della giornata.
Fuori di lì lo aspettava la ramanzina di Pepper, e lui aveva intenzione di ritardarla il più possibile...
«Signor Stark! È ancora lì dentro?»
... a meno che non fosse stata lei a cercarlo, come da copione.
Non si degnò di rispondere e gli sembrò di sentire i suoi sogni di riposo andare in frantumi con un sonoro crack.
«Avanti, è mezz'ora che sta sotto la doccia. Non pensi di poter sfuggire al suo dovere: noi due dobbiamo...»
«Parlare, lo so, non deve ricordarmelo... ma tre mesi di vita all'aperto e dieta spartana sono duri da lavar via.» la rimbeccò sarcastico, sorridendo al pensiero di quanto gli fossero mancati quei battibecchi.
Il silenzio di Pepper lo convinse che la sua preoccupazione per lui – e probabilmente per il suo stato mentale – superava di gran lunga quella per le sue recenti riforme delle Stark Industries. D'altra parte, lui stesso si sentiva preoccupato per se stesso, se non altro perché aveva un pezzo di palladio nel petto e una buona parte della sua mente oppressa da ricordi della sua prigionia.
«Ha ragione, dobbiamo parlare. Entri.»
«Entro? Ma lei è...»
«... nudo, sotto la doccia e totalmente invisibile ai suoi sensibili occhi; avanti, non voleva parlare?»
«Ma io non... ah, e va bene, ma non si azzardi a uscire!» lo ammonì con tono seccato, e Tony sentì la porta che si apriva.
Attese di udire lo scatto della serratura prima di chiedere:
«Di cosa voleva parlarmi, Pepper?»
«Lo sa benissimo, ma non credo si possa affrontare l'argomento... qui. Insomma, è...»
«Più intimo? Più soft? Meno stressante? Ha perfettamente ragione: trovo che le brutte notizie dovrebbero sempre essere date sotto la doccia.»
«... inappropriato.»
Colse distintamente il sospiro di Pepper, che probabilmente si stava trattenendo dallo spegnere la caldaia e farlo morire congelato. Socchiuse gli occhi e distinse la sua sagoma smerigliata dal vetro che si sedeva sul bordo della vasca.
«Cos'è quella luce?» gli chiese all'improvviso, e Tony coprì subito il reattore col palmo della mano, smorzandone il brillio.
«Quale luce?» ribatté innocentemente.
«Quella azzurra.»
«Azzurra? Oh, nulla solo un... uno shampoo fosforescente.» inventò sfacciato, voltandole le spalle e addossandosi al muro per nascondere meglio il lieve riverbero.
Percepì un senso d'oppressione al petto che non aveva nulla a che vedere col congegno impiantato in esso.
Lei non sapeva ancora nulla.
«Sa mentire meravigliosamente.» sbuffò Pepper, con un velo di perplessità.
L'uomo si augurò che non volesse indagare oltre, e infatti lei cambiò argomento:
«È sicuro della sua decisione?»
«Ho preso decisioni?»
«Le armi, signor Stark.»
«Perché me lo chiede?»
«Si limiti a rispondere.»
«Sono perfettamente convinto. Al cento per cento.»
«Questo l'avevo capito, ma è sicuro che sia la scelta giusta per l'azienda?»
«Sa, ripensandoci, non si dovrebbero fare discorsi così seri sotto la doccia. Qui si fanno riflessioni filosofiche, domande esistenziali e roba simile; le questioni reali dovrebbero rimanere fuori da quella porta.»
«Signor Stark...»
«Perché non rimaniamo così, tranquilli e in silenzio? Per quanto ne sa lei potrei soffrire di stress post-traumatico.» buttò lì con apparente noncuranza.
Strinse il reattore in mezzo al petto, chiedendosi se fosse realmente così: i sogni della notte precedente erano stati abbastanza vividi da farlo preoccupare.
«Perché non ne parliamo tra un altro paio d'ore, quando uscirò di qui fresco e...»
«Perché io, in questo "paio d'ore" sarò impegnata a rimediare ai danni che è riuscito a fare lei in due minuti.» scandì esasperata Pepper.
«Non può essere clemente, per una volta?»
«È una questione seria, dobbiamo discuterne ora.»
«Benissimo, allora.» annunciò Tony, chiudendo l'acqua e aprendo il vetro della doccia.
Pepper si coprì all'istante gli occhi, cogliendo comunque una fugace visione del suo capo nudo e diventando subito rossa fino alla radice dei capelli.
«Tony! Torni dentro!» esclamò imbarazzata e furiosa, sentendosi le orecchie roventi.
Lui si prese tutto il tempo per indossare l'accappatoio e un paio di boxer, mentre lei gli intimava a intervalli serrati di sbrigarsi.
«Mi sto facendo bello solo per lei, signorina Potts.» la canzonò, allacciandosi l'accappatoio in modo che il reattore non fosse visibile.
«Lei è un...» ringhiò Pepper, lasciando la frase in sospeso e schiudendo con cautela gli occhi al segnale di Tony; constatò con sollievo – e con una punta di rimpianto improvvisa che annullò all'istante – che il suo capo era almeno parzialmente vestito.
«Ha ragione, dopotutto. Dovremmo veramente parlare.» esordì Tony, con una voce che non riconobbe come propria: per una volta, non c'era ombra di ironia o scherzo nel suo tono, e Pepper se ne accorse con una punta di disagio.
«Perché pensa che abbia preso quella decisione?» le chiese, scrutandola con strana intensità.
A quella domanda lei esitò, facendosi improvvisamente cauta.
«Tutti dicono che è ancora in stato confusionale, che risente del trauma subito e sciocchezze simili.» gli riferì, scettica.
«E lei non ci crede, giusto?» cercò conferma lui, tentennando appena.
«Sta scherzando. Certo che no. È ovvio che voglia stare lontano dalle armi per un po' dopo quel che ha subito. Ma...» fece per continuare, ma Tony la interruppe:
«Quello che sta per dire è sicuramente molto interessante, ma lasciamo per un attimo quest'argomento. Volevo solo essere certo che non considerasse questa scelta come un capriccio.» chiarì, alzando con fermezza il palmo come a frenare le sue proteste «Ora, per una volta, non parliamo di me come "Anthony Stark, figlio del grande Howard Stark e capo delle Stark Industries", ma come "Tony" e nient'altro.» proseguì di getto.
A quel punto Pepper rimase interdetta.
Forse era la prima volta che riusciva a parlare seriamente con il suo capo e soprattutto della sua vita privata. Era incredibile come conoscesse ogni singolo aspetto della sua vita e del suo carattere, ma non fosse mai riuscita a parlare con lui e di lui senza sarcasmo, allusioni o superficialità.
«Di cosa vuole parlarmi?» chiese circospetta, senza sapere di preciso cosa dovesse aspettarsi.
Tony sospirò e spostò il peso da un piede nudo all'altro, improvvisamente restio a parlare. Fissò il pavimento e si passò una mano sul volto, sfiorandosi il taglietto sulla tempia con un gesto assente. Si sentiva molto meno coraggioso di pochi minuti prima. Infine riportò lo sguardo su Pepper e scostò l'accappatoio, rivelando il reattore arc impiantato nel suo petto.
Vide gli occhi di Pepper sbarrarsi per la sorpresa e sentì salire un profondo senso di disagio, misto a vergogna e inadeguatezza.
«Di questo.» sussurrò, abbassando lo sguardo per non incrociare il suo, inorridito.
«Cos'è?» riuscì a chiedere lei dopo un lungo momento, tirando un respiro profondo per riprendersi dallo shock.
«Il mio cuore.» rispose ancor più piano Tony, e fu scosso da un brivido per aver espresso quel pensiero ad alta voce.
Pepper fece per dire qualcosa, ma la anticipò:
«Lo so, è innaturale. Ed è sbagliato e mostruoso ma... non l'ho voluto io!» si passò una mano tra i capelli, mentre il suo tono si alzava senza che se ne rendesse conto, ma non riusciva a stare calmo o fermo.
Le voltò le spalle e fece un paio di passi, solo per tornare indietro, abbattuto, senza riuscire ad esprimere la contrastante sensazione di disgusto e folle conforto che provava ogni volta che pensava a quell'oggetto estraneo ormai parte di lui.
«Tony...»
«Non l'ho voluto io.» ripeté lui, interrompendola «Io non... non avrei neanche dovuto mostrarglielo.» concluse, e desiderò che lei sparisse all'istante per non farsi vedere mentre era preso dal panico e dal disgusto per se stesso «Non lo deve dire a nessuno. A nessuno, mi ha capito?» aggiunse concitato, improvvisamente apprensivo.
«Tony, come potrei...»
«Cosa succederebbe se si venisse a sapere che sono diventato un... una specie di fenomeno da baraccone?!» continuò senza ascoltarla, affannato.
«Se non si fida di me io...»
«Certo che mi fido di lei, ma il punto è che non può capire!» esplose infine, senza sapere perché se la stesse prendendo con l'unica persona che potesse aiutarlo.
«Questo perché non vuole farmi capire.» ribatté la donna, stranamente calma.
Forse pensava che stesse avendo una crisi isterica, ipotesi che non era del tutto da escludere, a giudicare dal battito impazzito del suo cuore. Lo sentiva pulsare violentemente nella gabbia toracica e riverberare nel cilindro metallico che la occupava.
«No, è lei che non vuole ascoltarmi.» riprese, rifugiandosi dietro quelle parole, desiderando solo di chiudere il discorso.
In realtà non voleva parlare, non voleva ricordare tutto quel che era accaduto, il dolore, la solitudine e quel profondo senso di confusione che ancora lo attanagliava. I suoi pensieri furono troncati da un improvviso dolore al petto che lo fece piegare in avanti, annaspando in cerca d'aria: agitarsi non era stata la mossa migliore e adesso il battito si era fatto irregolare, ogni contrazione era come una pugnalata nel petto.
Pepper gli fu subito accanto per sorreggerlo, la preoccupazione dipinta sul volto.
«Tony? Tony! Sta bene? Mi risponda!»
Per tutta risposta la abbracciò, sorreggendosi a lei, incapace di esprimere a parole il turbamento che stava provando, sia fisico che mentale.
Lei rimase sorpresa per un istante, poi ricambiò esitante l'abbraccio, se possibile ancor più preoccupata di prima.
«Pepper, non ha idea di cosa...» si bloccò, sospirò affranto e poggiò la testa sulla sua spalla, spingendo da parte ogni remora per quel gesto avventato nel sentirsi già più calmo, avvolto in quell'abbraccio.
«Io voglio ascoltarla.» mormorò lei, scostandosi appena per guardarlo negli occhi, più profondi del solito e venati di tristezza.
«Ha già abbastanza problemi senza doversi accollare anche i miei.»
Tony sembrava voler sfuggire a tutti i costi il suo sguardo, così gli posò una mano sul volto per costringerlo a fissarla. Gli scostò alcune ciocche di capelli umide dalla fronte e sorrise appena.
«Le ricordo che i miei problemi sono tutti suoi. Per un giorno posso anche lasciare da parte il ruolo di assistente e farle da confidente.»
«O strizzacervelli.» borbottò lui con un accenno di sorriso, ma il resto del volto rimase tirato.
Pepper non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire a sua volta un sorriso più ampio a quello sfoggio di sarcasmo e finta sicurezza, ma si accigliò di nuovo quando riportò gli occhi sul reattore. Si arrischiò ad avvicinare una mano al congegno, scrutando la reazione di Tony; lui non si ritrasse, così sfiorò con la punta delle dita la sua superficie lucida, senza poter fare a meno di notare la cicatrice ancora fresca che lo circondava e i numerosi tagli e lividi che gli solcavano la pelle dalla base del collo in giù.
«Cosa le hanno fatto?» chiese senza rendersene conto, e sentì montare dentro di sé una rabbia feroce per i responsabili.
Tony le prese il polso e lo scostò con delicatezza dal suo nuovo "cuore". Fece un sorriso triste prima di lasciarsi scivolare lentamente a terra: si sentiva ancora molto debilitato e il petto continuava a fargli male. Pepper si sedette accanto a lui, notando con orrore crescente altre ferite ed ustioni sull'addome di Tony, rivelate dall'accappatoio ora leggermente allentato. Non osò immaginare in che condizioni dovesse essere la sua schiena. Lui notò la direzione del suo sguardo e si affrettò a raccostare i lembi dell'indumento e a riallacciarlo strettamente in vita.
Poi cominciò a parlare, partendo da quella bomba maledetta che lo aveva privato di un corpo normale, passando a descrivere con inquietante schiettezza quei tre mesi di privazioni e prigionia.
Spesso incespicava nelle parole e si bloccava a lungo, incapace di rievocare quei momenti, ma non si astenne dai dettagli e più di una volta Pepper trasalì nel sentirlo raccontare con crudezza delle torture subite quando si era rifiutato di sottostare al volere dei terroristi.
«Anche quando ho accettato la loro proposta hanno continuato a picchiarmi, per sfregio e ripicca, credo. Ieri ho sognato di essere di nuovo là dentro, e ho avuto la certezza che questi ricordi non mi abbandoneranno mai.»
Lei gli stringeva gentilmente la mano, scivolata con naturalezza nella sua, senza chiedere nulla né interromperlo mai, mentre lui iniziava a spiegare con forzato distacco la consapevolezza di doversi ora affidare a una macchina per vivere.
«Quando mi sono svegliato, ho pensato che mi avessero ucciso e che quello fosse un qualche delirio agonizzante, perché sentivo esattamente lo stesso dolore di quando ero svenuto. Invece ero vivo e avevo un magnete ficcato nel petto. All'inizio andavo in giro con una batteria per mantenerlo in funzione. Sapere che quell'affare poteva spegnersi o cadere da un momento all'altro, che la mia vita era collegata a una batteria... era terribile. È terribile.» aggiunse, picchiettando col dito sul dischetto metallico che riluceva di azzurro.
Pepper non commentò, ma gli strinse con più forza la mano e lui le rivolse un'occhiata colma di gratitudine. Non avrebbe mai voluto raccontarle nulla di tutto ciò, ma sentiva l'assoluto bisogno di farlo, di avere qualcuno accanto in quel momento così confuso.
Arrivato alla costruzione dell'armatura, si chiuse all'improvviso nel silenzio.
«Così sono fuggito. Ed eccomi qui.» terminò con fatica e a sguardo basso, ma Pepper capì che aveva omesso qualcosa.
«Quel dottore che l'ha salvata...» iniziò, aspettandosi già la risposta.
L'uomo sussultò e si fece scuro in volto.
«È morto.» rispose asciutto, e sembrò voler chiudere lì il discorso, ma poi continuò:
«Ha guadagnato tempo per me. Si è fatto uccidere perché io potessi fuggire.» continuò rabbiosamente, il volto distorto da un'espressione sdegnata.
«Tony, lo so cosa sta pensando, ma non è...»
«Colpa mia? Ho prodotto io le armi che hanno causato tutto questo. La famiglia di quel medico è morta per colpa mia, migliaia di persone sono morte per colpa mia, e non me ne sono mai reso conto finchè non ho rischiato io stesso la vita. Sono un egoista.» affermò, rialzando gli occhi per fissare Pepper, che non trovò argomenti validi per contestare quella conclusione.
Vide con sgomento la delusione negli occhi di Tony: delusione per se stesso. Conosceva il suo carattere, sapeva quanto amasse essere il primo, venire adorato e quanto soprattutto si tenesse in considerazione. Vederlo divorato da dubbi in proposito indicava quanto profondamente l'avesse turbato quell'episodio.
«Non ha scelto lei di produrre armi. Si è limitato a portare avanti l'azienda dopo suo padre, e può ancora farlo, se vuole.»
«Mio padre non è stato catturato dai terroristi, non è stato torturato per costruire le sue armi e non ha mai perso nessuno davanti ai suoi occhi. Ha fatto ciò che ha fatto perché era ignorante, perché non si rendeva conto che per ogni nuova arma che inventava si scatenavano guerre sempre più violente e sanguinarie! E soprattutto non gli è mai esploso un missile col suo nomesopra in faccia, che lo ha costretto a tenere il suo stramaledetto reattore in mezzo al petto per vivere!» terminò la frase quasi gridando, col volto acceso dalla rabbia: trovava sempre nuovi motivi per detestare suo padre.
Pepper non parlò, aspettando che fosse lui a farlo di nuovo per primo.
«Non voglio più produrre armi.» mormorò infine, e chinò la testa come svuotato.
Pepper lo prese per il mento e gli sollevò il viso, vincendo la sua resistenza.
«Ha sofferto troppo ed è cambiato troppo perché io possa dirle cosa fare. Faccia ciò che ritiene giusto, Tony. Io sarò con lei.» lo rassicurò, cercando di usare il tono più dolce che poteva.
Un lieve sorriso si formò sulle labbra di Tony, e a giudicare dal luccichio insolito dei suoi occhi Pepper avrebbe quasi pensato che si fosse commosso, se non l'avesse conosciuto così bene.
Sembrava un po' più sereno adesso, dopo aver finalmente confidato a qualcuno come si sentiva realmente.
«Quindi... ho vinto di nuovo io.» affermò di colpo, riacquistando il suo solito tono leggero, e il suo sguardo si ravvivò.
«Di nuovo? Non credo proprio, perché adesso andrà dritto filato in ufficio e...»
«Signorina Potts, sento un improvviso e violento malessere; lavorare potrebbe essermi fatale.»
«Correrò il rischio.»
«Vuole lasciarmi...»
Pepper mise a tacere le sue proteste con un bacio sulla guancia.
«Questo significa "per oggi la esonero dai suoi impegni"?» chiese lui, piacevolmente stupito e speranzoso.
Lo sguardo severo di Pepper lo convinse di aver mal interpretato il gesto.
«Allora lo prendo per un no... quindi potrei avere un altro "incentivo"?» continuò innocentemente con un sorriso accattivante, inclinando la testa di lato con fare giocoso.
Pepper lo baciò sull'altra guancia e Tony la avvicinòe a sé, sfioradole il braccio in una carezza.
«Sono finite le guance.» osservò ammiccando in tono di finto dispiacere mentre si avvicinava alle sue labbra socchiuse.
Si fermarono un soffio prima di incontrarsi e si scambiarono un sorriso complice.





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Note Dell'Autrice

Buonsalve!
Questa è la prima FF che scrivo su Iron Man (e non credo sarà l'ultima), per cui sono un po' incerta sulla resa dei personaggi... mi sembra di essere sfociata nell'OOC (il fluff non è il mio forte), e vorrei un parere a questo proposito :)
Questa coppia mi ispira tantissimo e sono semplicemente perfetti insieme, anche se mi sembra tanto una relazione cane-gatto... Tony è il gatto u.u (E sì, mi piace lasciare ambigue le cose...)

Il titolo... eheh... sono negata coi titoli. Però questo mi sembrava strano, insolito e appariscente, come Tony, quindi l'ho scelto. No, non è vero, è tutto merito della mia Beta :3 <3
A parte i miei scleri, spero veramente che vi sia piaciuta e che lascerete un commentino ;)

Grazie alla mia Beta MoonRay, che in questo periodo sto sommergendo di lavoro dopo una lunghissima pausa ^^ 
E grazie a chiunque leggerà e/o recensirà!

-Light-

[Storia revisionata il 05/05/2018]: 
Devastata e imbarazzata dalla rilettura delle mie vecchie storie, mi dedico alla loro revisione in toto, correggendo per lo meno gli errori di battitura, grammatica e/o continuità con le mie altre storie, visto che mi piacerebbe rendere coerente il mio headcanon riguardante Iron Man. Questa storia in particolare stride in parte con la visione del reattore che do altrove, ma può essere considerata una reazione "a caldo" al trauma del rapimento e di ciò che ne è conseguito.
Per altri mirabolanti avventure nella psiche di Tony durante il trimestre formativo in Afghanistan, la storia fa parte di questa serie -> Newborn

 



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