Libri > Black Friars
Ricorda la storia  |      
Autore: Lilith of The Thirsty    05/03/2012    3 recensioni
Haydan bramava la libertà ed il gioco e le feste alle quali era costretto a partecipare lo stancavano, in fondo aveva solo sei anni e non voleva continuare ad essere coccolato da varie signore che lui nemmeno conosceva ed essere oggetto dei loro pettegolezzi.
I bambini e le bambine che incontrava erano molto pochi e non si staccavano mai dalle loro madri e ubbidivano ai severi precetti di comportamento ma lui era diverso, si sentiva in trappola, quasi come se non riuscisse a respirare.
Le regole e il protocollo sembravano delle camicie di forza da indossare, così bianche da far venire la nausea per la loro stessa ripetitività ma così incontaminate da far venire voglia di strapparle a morsi.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

White roses also get dirty with blood...

 
Ciao a tutti questa è la mia prima FF su Black Friars! ^^
Ho trattato un argomento delicato e molto inusuale ma spero di riuscire ad emozionarvi.  Questa storia vuole essere un tributo a due personaggi, per me, molto importanti nel libro di Virginia De Winter: Adrian e Cain.
Grazie a chiunque leggerà questa piccola one-shot e a chi (eventualmente) commenterà!
(I personaggi appartengono esclusivamente a Virgina De Winter e non hanno nessun scopo di plagio)
Però, prima di iniziare, voglio dedicare questa storia a Panda_chan! ^^
A te, cara amica mia, perché cmq ti sento vicina anche se non ti vedo.
A te che mi scrivi e non mi dimentichi così facilmente.
A te che sai quando ascoltare e quando ridere.
A te che mi aspetti nonostante i nostri numerosi impegni.
A te perché chi potrebbe comprendere al meglio le mie idee "malsane" e i miei sogni?
A te perché sei e sarai sempre unica! ^^
Baci!!!!!^^
Grazie in anticipo e buona lettura
Lilith
 

 

 

  White roses also get dirty with blood...

 
Tre grandi lampadari a candele, appesi alle enormi volte del palazzo, illuminavano gioiosamente tutto l’ambiente circostante creando arcobaleni di luci meravigliosi sulle pareti dell’enorme residenza Blackmore.
Lungo le balconate, erano sistemati mobili pregiati e morbidi tappeti ricoprivano il marmo del pavimento, a tratti le pareti si aprivano per far scoprire agli invitati alcove sinuose che ospitavano piccoli divani e sedie monumentali.
Chiacchere e rumori di stoviglia si univano ai tintinnii di calici pieni di vino o acqua e alle risate allegre degli ospiti, tovaglie magnifiche scivolavano come acqua ai bordi di lunghissime tavolate imbandite a festa.
Tra quelle persone qualcuno non si stava divertendo e rimaneva rintanato in un piccolo angolo dell’enorme sala, i suoi capelli biondi brillavano di una luce naturale, come se i raggi del sole si fossero condensati in quella morbida chioma, mentre gli occhi verdi scrutavano annoiati l’ambiente circostante.
Le iridi color giada si posavano delicatamente su ogni persona e oggetto con disinvoltura ma anche con velata tristezza, stavano cercando qualcosa che non c’era.
“Haydan!” lo chiamò la voce familiare di sua madre ma lui non la sentì e corse via da quelle luci e da quell’atmosfera soffocante, il suono leggero dei suoi passi risuonava colpevole nei corridoi poco illuminati del palazzo.
Haydan bramava la libertà ed il gioco e le feste alle quali era costretto a partecipare lo stancavano, in fondo aveva solo sei anni e non voleva continuare ad essere coccolato da varie signore che nemmeno conosceva ed essere oggetto dei loro pettegolezzi.
I bambini e le bambine che incontrava erano molto pochi e non si staccavano mai dalle loro madri e ubbidivano ai severi precetti di comportamento che avevano imparato ma lui era diverso, si sentiva in trappola, quasi come se non riuscisse a respirare.
Le regole e il protocollo sembravano delle camicie di forza da indossare, così bianche da far venire la nausea per la loro stessa ripetitività ma così incontaminate da far venire voglia di strapparle a morsi.
Il figlio dei Blackmore giunse in giardino e si fermò per riprendere fiato, la notte scura lo avvolgeva con un mantello pesante e sicuro carico di profumi allettanti e proibiti per la sua coscienza; le piante alte e i vari cespugli di fiori danzavano insieme al vento che soffiava calmo e musicale.
Luisan si tolse la piccola giacca nera e la buttò a terra, tra la polvere e i petali caduti dai fiori, iniziando a camminare in quel bellissimo labirinto di sculture e vegetazione che circondava la dimora della sua famiglia.
Sentiva il frinire delle cicale e i gufi e le civette confondevano i loro suoni in una melodia cupa e malinconica, era strano come quel bambino si sentisse bene in un posto così curato ma anche selvaggio; la natura esercitava un fascino ribelle sulla sua personalità e non poteva negare di stupirsi di fronte a quell’immensità di luoghi e paesaggi che vedeva o sentiva nominare.
Un rumore improvviso lo mise all’erta, con abilità scivolò dietro il tronco di un albero e cominciò ad arrampicarsi con agilità fino a raggiungere un punto sicuro e aspettò, con il cuore in gola, che la causa di quel piccolo turbamento passasse.
Forse sua madre aveva incaricato le guardie di andarlo a prendere per portarlo a quella festa orribile ma lui non si sarebbe fatto trovare, ormai era diventato bravo a nascondersi da occhi indiscreti e si sentiva sicuro di sé e del suo vantaggio.
La luna fece capolino da dietro le nubi nere e illuminò la figura che si stagliava solitaria a pochi passi dall’albero dove si trovava Haydan e tutto il mondo sembrò fermarsi all’istante.
La sua pelle era soda e liscia, di una compattezza che non aveva l’equivalente nel genere umano, calda di un calore diverso, come marmo intiepidito dal sole.
Un ragazzo bruno stava immobile a pochi passi dall’albero, aveva movimenti tranquilli e uno sguardo sereno; i capelli erano di un nero lucido e la carnagione simile alla seta: bianca, luminosa, perfetta. Aveva due occhi verdi trasparenti, profondi come un mare d’inverno.*
Le ombre lo accarezzavano affettuose ma al tempo stesso timorose, era immerso nel buio di quel giardino e i raggi lattei lo sfioravano con reverenza.
Il cuore del bambino cominciò a martellare incessantemente  nel suo piccolo petto mentre le guance si imporporavano leggermente di rosso e un calore mai provato prima lo travolgeva insieme ad una cascata di emozioni confuse e scombinate.
Gli occhi dell’immortale si posarono nei suoi con gentilezza e con quella che al bimbo parve indifferenza ma non gli importava, non pensava che una creatura più bella potesse esistere in quell’universo triste e solitario.
“Haydan Luisan Blackmore vuole scendere da quell’albero?” chiese la sua voce, melodiosa come un limpido tintinnio di bicchieri di cristallo che ti spezzano il cuore, lo mangiano e lo disintegrano.
Il ragazzino non sapeva più cosa rispondere, le bocca non emetteva alcun suono mentre le gambe e le braccia erano paralizzate e fredde come pezzi di ghiaccio.
Il vampiro si avvicinò calmo all’albero e in quel momento le forze abbandonarono il corpo di Haydan che scivolò verso il soffice terreno, come un fiore di ciliegio, per atterrare tra le braccia della Morte.
Prima che gli occhi dell’erede dei Blackmore si abbandonassero al sonno fecero in tempo a vedere il viso perfetto ed etereo dell’essere che lo aveva salvato, il tocco gelido delle sue mani lo riscaldava e solleticava come un piccolo raggio di luce.
“Come ti chiami?” chiese Luisan stringendo saldamente la camicia bianca di pizzo di quell’uomo che sapeva di oscurità e tristezza.
“Sono Adrian Damon Mayfield Blackmore di Blackmore, il tuo custode…”
“Grazie… Adrian…” sospirò con pochissima voce il bambino stringendosi al petto del vampiro cercando di passargli un po’ di calore per confortarlo dalla notte e dal vento gelido che soffiava tra di loro.
Adrian fissò il figlio della casata che stringeva tra le braccia per poi girarsi e portarlo nella sua stanza dove avrebbe riposato, il pulsare regolare del piccolo cuore di quel dolce bambino era allettante ma l’immortale resistette all’impulso di bere il sangue umano.
In un attimo aprì la porta della stanza di Haydan e con delicatezza lo sistemò nel letto fresco e pulito della sua stanza, gli rimboccò le coperte e si girò per andarsene.
All’improvviso sentì la stoffa del mantello che veniva stropicciata e trattenuta leggermente da una piccola forza che corse inaspettatamente fino al suo petto inerte; Adrian si voltò piano verso il bambino che, ancora dormiente, aveva afferrato un lembo del suo mantello.
Le sue mani fredde staccarono ad una ad una quelle piccole dita calde e soffici mentre Luisan sorridendo sussurrava un solo nome.
“Adrian…”
La voce calda e sensuale del bimbo rimbombò nella sua testa e lo atterrì come mai nessuno aveva fatto prima, era un suono musicale anche se infantile ed insicuro.
Il primo incarico che la famiglia gli aveva affidato dopo la sua trasformazione era quello di badare all’erede della casata dei Blackmore ma mai si sarebbe aspettato di provare una forza così intensa per quel piccolo corpo.
Per la prima volta da dopo il suo risveglio Adrian sorrise teneramente e, prima di sparire, sussurrò “No, grazie a te…”.
La sua strada di morte ora aveva trovato una nuova fonte di luce perché se il sole non splendeva più per creature come lui, poteva farlo un piccolo raggio che quell’astro aveva lasciato sulla terra.
 
 
I raggi del sole filtrarono attraverso le pesanti tende della camera colpendo il viso dolce e tenero di Haydan che in quel preciso istante si svegliò dal suo sonno.
Preoccupato si guardò intorno cominciando a riconoscere i suoi oggetti e la sua stessa stanza mentre il cuore si calmava dopo quel brusco risveglio.
Le sue iridi furono attirate da un piccolo particolare della sua stanza: un vaso pieno di rose bianche dominava incontrastato sul mobile di legno antico della sua camera.
Solo una di loro era tinta di rosso sangue e regnava incontrastata in quel tripudio di bianco e verde.
Haydan si avvicinò piano e sfiorò quei petali delicati e solitari del fiore, sorrise e annusò l’inebriante profumo di quel vaso mentre il suo cuore cominciava a battere più forte.
Quel piccolo bambino non sapeva se quello che provava fosse innaturale e sbagliato però era consapevole di aver trovato qualcuno che lo potesse rendere felice e non gli importava se fosse giusto o sbagliato.
L’amore non deve essere necessariamente naturale perché amare è sempre giusto anche nelle condizioni più avverse o insolite.


 

Due vite che non dovevano incontrarsi…una si doveva spezzare prima…per gioco del fato non è successo e ora due anime si sono macchiate di rosso…

 
 
 
 
 
 
 
 
*Passo ripreso da “Black Friars: L’ordine della spada”.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Black Friars / Vai alla pagina dell'autore: Lilith of The Thirsty