- Watson, che ci fa Lei qui? - tono
sbrigativo, irritante.
L’imbrunire lo aveva colto solo,
immerso nella lettura di alcune tragedie shakespeariane trovate fra gli
scaffali polverosi.
- Venivo a controllare come stava,
l’agente di Lestrade mi ha informato delle condizioni
incresciose in cui è
stato trovato stamattina. – l’accento tra il
sarcastico e il contrariato lo punse
sul vivo.
– Almeno mi hanno ritrovato. Se
avessi aspettato di far impensierire Lei, probabilmente sarei ancora
ammanettato, nudo e con un cuscino fra le gambe. –
- Holmes la smetta con certe
immagini! –
Stranamente, il pensiero lo fece
arrossire. O forse non fu proprio il pensiero, quanto lo scoprirsi
incredibilmente abile nel figurarselo legato, senza vestiti…
- Che c’è, la imbarazzo, forse? O
sono sensi di colpa? –
Il dottore gli lanciò uno sguardo
di fuoco, senza rispondere. Gli si avvicinò a passi rapidi,
poi, costringendolo
a posare il libro che stringeva fra le mani, si chinò
sollevandogli le maniche.
– Faccia vedere – disse, con fare
burbero. I polsi, prima nascosti dalla camicia, erano circondati di
rosso e in un
paio di punti era evidente come la pressione del corpo nel sonno avesse
tagliato la carne.
- Cristo santo… - mormorò
sommesso sfiorandoli con le dita, sentendolo trattenere
un’imprecazione di
dolore – Holmes, perché non se li è
medicati? –
- Perché è Lei il medico, non io
- ribatté acido il detective - e se non erro al momento non
dovrebbe nemmeno
essere qui. Non sta forse tardando all’incontro con quella
‘leggiadra fanciulla
dai flavi capelli’ che tanto brama d’avere in
moglie? - ritirò le mani che fino
ad allora aveva lasciato fra quelle del collega e lo fissò
ostinato - Non si
compianga per me, guarirò ugualmente anche senza le sue
cure! –
Watson sentì un’ondata di stizza invaderlo
a quell’ennesimo commento. Fece per alzarsi, andarsene
mandandolo al diavolo.
Invece si bloccò. La figura del detective immersa nella
poltrona sembrava
incredibilmente fragile, le mani strette attorno ai polsi quasi a voler
celare
le ferite, gli occhi pieni di supponenza dietro i quali trapelava,
evidentissima, la rassegnazione. Improvvisamente gli parve
incredibilmente
solo, quasi smarrito in quell’abbandono.
Tornò a prendergli le mani,
incurante della sua riottosità, mentre sentiva montare
dentro qualcosa che non
riusciva a spiegarsi.
- Ha messo su un bel siparietto,
Holmes, davvero divertente – disse, a mezza voce –
ma è inutile, con me non
attacca. Crede davvero che penserò non Le importi di nulla
me? -
Seguendo l’istinto prese a
carezzare quella pelle martoriata dal metallo, delicatamente, come
pensasse di
curarla solo toccandola – …o a me di Lei?
–. Le carezze risalirono fino al
viso.
Ma fu Holmes a spingersi in
avanti per incontrare le sue labbra…
Erano
così diversi, opposti,
eppure riuscivano sempre, in qualche modo, a incontrarsi nel mezzo
delle loro
contraddizioni. E quando accadeva, diventavano identici. Inscindibili.
Tu, dio visibile, che fondi insieme le cose
impossibili, e le costringi
a baciarsi!
Quel frammento di brano emerse improvvisamente
nella testa del detective. E pensò che non vi fosse nulla di
più appropriato da
dire.
> La citazione in corsivo appartiene alla tragedia di Shakespeare 'Timone di Atene'