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Autore: Canada    07/03/2012    4 recensioni
"Into thy hand, my Lord, my soul I commend"
Everyman's death
Genere: Horror, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Huddle together into the common grave of mankind


Dimenandosi convulsamente, il giovane Edgar Wordsworth tentava disperatamente un appiglio per potersi sollevare e uscire da quella prigione soffocante. Eppure non si trovava tanto in profondità da non poter riuscire ad emergere da quel luogo oscuro e sempre più agghiacciante.
Le cose sarebbero state più semplici se non fosse stato avvelenato.
Mano a mano che i secondi passavano il ticchettio del suo orologio rimbombava ritmicamente nella sua mente, irritandolo senza alcuna pietà. Roteava e scuoteva il capo continuamente, incapace di contenere l’enorme dolore che si stava diffondendo in tutto il suo corpo. Sentiva ogni sua singola membra prendere fuoco e consumarsi lentamente nelle fiamme di quell’incubo che a fatica lo teneva in bilico tra morte e vita. E mentre perdeva il controllo di sé cercava disperatamente di emettere un suono; un flebile tentativo di comunicare con il proprio carnefice, sfortunatamente malriuscito. Aprì la bocca nella speranza che ne uscissero parole, ma l’unica cosa che fu in grado di produrre furono versi incomprensibili, suoni gutturali che riecheggiarono nel piccolo antro in cui era incastrato. Invano compiva i suoi sforzi e venne colpito da spasmi e da conati di vomito. Dalla bocca incominciarono a fuoriuscire saliva e schiuma, accompagnate da un grido smorzato. Si sentiva morire.
Ben presto i muscoli incominciarono ad irrigidirsi e a fatica riusciva a mantenersi padrone del proprio corpo. Le sue mani non rispondevano al suo comando, le gambe non si muovevano più, guidate dalla sua volontà. Il busto si irrigidì, il collo rifiutava di cambiare posizione. Restò disteso in modo scomposto, innaturale, con la sola possibilità di muovere a tratti i propri occhi. E più si bloccava più veniva preso dall’agitazione. Nel suo sguardo si poteva leggere l’immensa disperazione con cui vanamente cercava di opporsi agli effetti del veleno. Un veleno che gli stava annebbiando sempre più la vista, causando piccole emorragie nei globi oculari. Le cornee si tinsero di rosso vivo. Il viso divenne paonazzo e assunse una colorazione violacea.
Ma nonostante questo riuscì a recuperare un barlume di senno e pensò a l’unica cosa che in quel momento fosse in grado di fare: levò gli occhi verso l’uomo che sino a quel momento era rimasto immobile, ai piedi di quel sepolcro in pietra. Quando incrociò il suo sguardo incominciò a fremere, preso da un’improvvisa accelerazione del battito cardiaco. Il tonfo del suo cuore dilaniato dal terrore era insopportabile. Esso si era ormai sostituito al regolare scorrere delle lancette del suo piccolo orologio da taschino, e si era impossessato del suo udito, senza lasciargli via di scampo.
“Non disperare mio caro Edgar!” Esclamò improvvisamente l’uomo ai suoi piedi.
“L’umanità intera che fu attende il tuo trapasso, proprio qui, ora!”.
Trionfava dall’alto della sua postazione, occupando con la sua espressione sogghignante tutto lo spazio davanti agli occhi di Edgar. Quello sguardo, di pura follia. Quel sorriso, orribilmente disumano. Tutto di quell’uomo si stava facendo spazio nella sua mente, arrancando sulle sue pareti.
“Nella morte non siamo mai soli. Mai! Persino adesso, alla fine della tua esistenza, un corteo di anime reclama a gran voce il tuo ultimo respiro! Le senti? Riesci a sentire questo forte tremito, che ti colpisce proprio qui, in fondo al cervello. Nelle viscere delle tue sensazioni, dei tuoi desideri. Del tuo intelletto! Non senti questa forte presenza?! Sono loro! E hanno fame, credimi. Presto si sazieranno del tuo spirito.”
Il ragazzo lo colpì con tutto il suo disprezzo e tutto il suo risentimento, cercando invano di ribellarsi agli effetti del veleno. Ma ormai sentiva le forze che lentamente lo stavano abbandonando. Sentiva che non aveva più la volontà di restare a vita. Quel dolore straziante che pulsava in ogni singola fibra del suo corpo stava diventando troppo per lui. Troppo da sopportare.
“Non biasimarmi, mio caro Edgar. Dopotutto, cosa mai avresti potuto sperare di ottenere da un essere umano? Incolpa te stesso, piuttosto, della tua disfatta. Nel profondo del tuo cuore lo hai sempre saputo. Ne eri consapevole! Eppure hai sperato di potermi ingannare. Proprio io!
Io che ti ho insegnato ogni cosa che sai. Hai forse dimenticato che gli uomini sanno essere imprevedibili, a volte? Io, sono imprevedibile.”
Edgar non era più in grado di restare cosciente di quanto stava accadendo. Con orrore si accorse che all’interno delle pareti di quel tugurio si stava diffondendo sempre di più odore di orina. La sua orina. Non era nemmeno più in grado di tenere a freno i propri istinti primordiali. Era in un totale stato di umiliazione. E di questo, a malincuore, ne fu consapevole sino all’ultimo istante di vita.
“Nemmeno ora, mentre nuoti nel disonore e sei circondato dal tuo piscio riesco a provare pietà nei tuoi confronti. Mi hai deluso molto, mio caro Edgar.”
L’uomo ripose a fatica il coperchio della tomba del ragazzo, facendolo combaciare. Mentre ultimava la sua opera un ultimo suono provenne dall’interno, seguito da spasmi convulsi. Incastrò la pietra con un leggero sforzo e rimase per qualche istante ad ammirare il suo capolavoro: un sepolcro attorniato da fregi e rilievi dai motivi circolari. La tomba di colui che sarebbe rimasto ancora per pochi istanti il suo assistente.
“Cadrai insieme a loro. In compagnia di quelle anime”.
Si compiacque del frutto del suo ingegno, e con un sorriso ostentato si diresse verso l’uscita di quel piccolo santuario. Si sentiva davvero soddisfatto di quel semplice piano ben congeniato e altrettanto ben riuscito. Si ingloriò delle proprie gesta, a sua detta esemplari e impeccabili. Un atteggiamento totalmente privo di modestia, che era solito sfoggiare, come di consuetudine, al termine delle sue imprese.
 
Giunto alla porta dell’edificio si voltò un'ultima volta verso il loculo di pietra, prima di richiuderla alle sue spalle per non riaprirla mai più.
“Dopotutto, mio caro Edgar, tutti moriamo prima o poi. Ma alcuni prima di altri.”
  
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