Salve a tutti. Sono nuova in questa sezione e
sinceramente non avrei mai creduto di postare una fanfic
qui e forse non lo avrei ancora fatto, se non mi fosse capitato uno strano
compito scolastico che mi costringesse a scrivere una storia originale.
Non è niente di particolare, ma mi sono divertita molto
a scriverla. Spero possa piacervi.
Fatemi sapere
Buona lettura,
Neko =^_^=
I
miei sogni andati in frantumi
Non credevo che la
mia vita sarebbe giunta al termine così presto. Sapevo di essere fragile e
delicato, ma nel profondo del mio cuore, speravo di vedere quelle cose del
mondo, che per sbadataggine mi sono state negate.
È proprio vero che
quando si arriva agli ultimi istanti della propria vita, si rivive ogni momento
della propria esistenza, come se si stesse guardando un film. Proprio ora mi
vedo trascorrere i momenti belli e brutti che ho vissuto. Risento addirittura
le stesse emozioni provate in quei momenti, riprovo l’entusiasmo provato a
scoprire nuove cose, per quanto banali potessero essere, e la paura avvertita
davanti a cose che non conoscevano e che mi sembravano pericolose e troppo
grandi per me.
Ricordo quando ero semplice
argilla di una forma insolita, lasciato dentro a un involucro di plastica,
insieme ad altri miei simili, tutti in attesa che giungesse il nostro momento…il momento di essere scelti, di essere lavorati e
di acquistare una qualsiasi forma che sarebbe tornata di qualche utilità a
qualsiasi persona, grande o piccino che fosse. Finalmente il giorno tanto
desiderato giunse. Ero felice e spaventato allo stesso tempo. Mi sentii
afferrare da due mani callose e venni appoggiato su di un supporto circolare girevole.
Venni ripetutamente bagnato, affinchè non mi
asciugassi e diventassi più facile da plasmare. Non era sufficiente la nausea
che provavo a girare in continuazione, ci si misero anche quelle mani
inopportune che presero a toccarmi ovunque, allungandomi, tirandomi,
appiattendomi più volte, finchè finalmente decise una
volte per tutte cosa sarei diventato: un piatto.
Ero sdraiato sulla
schiena e non sentendo più alcun rumore e alcun tocco, mi domandai cose mi
sarebbe successo da quel momento in avanti, ma il guardarmi intorno non era
sufficiente per trovare una risposta a questa domanda, poiché ero in grado di
vedere solo un soffitto sporco e scrostato.
Nell’attesa mi
addormentai, svegliandomi improvvisamente a causa di una forte fonte di calore
soffocante, che mi stava ustionando
ovunque. Dovetti perdere i sensi a causa di un malore, dato che quanto aprii
nuovamente gli occhi mi ritrovai appoggiato su di un tavolo, vicino ad altri
miei compagni dalle forme più disparate.
Ero sorpreso di
essere riuscito a sopravvivere a quell’arnese, che solo successivamente scoprii
chiamarsi forno. Dovevo essere cotto per essere finito e diventare ceramica.
Quante domande
ronzavano nella mia testa, molte delle quali rimarranno sempre senza risposta.
Perché cuocermi? Non andavo bene come ero prima?
Quella curiosità e
felicità che avevo sentito all’inizio era sparita, ora vi era solo la paura di
cosa ne sarebbe stato di me. Parlai con i miei compagni per non pensarci, ma
servì a poco, poichè tutti temevamo la stessa cosa:
l’ignoto.
Eravamo o siamo,
per chi non ha fatto la mia stessa fine, degli oggetti, quindi nell’immaginario
collettivo cose senza anima, inanimati, ma anche noi abbiamo sentimenti e dei
sogni da realizzare, molti dei quali impossibili. Anche io ne avevo uno. Avevo
trasformato il mio sogno, in base alla forma che mi avevano dato.
Ero un piatto?
Bene, il mio desiderio era quello di assaggiare tutti i cibi del mondo, ma per
quanto fosse abbastanza realizzabile, non mi è stato concesso nemmeno l’ultimo
pasto di un condannato a morte.
Quello che accadde
dopo, non fu spiacevole. Sentii improvvisamente un solletico percorrermi la
pancia e vidi un lungo bastone con dei peli alla punta, impregnato di colore,
colorarmi.
Non riuscii a
vedere cosa mi avevano fatto, ma un vaso, posto su di uno scaffale, mi disse
che mi avevano decorato come tutti i
piatti presenti in quella stanza piccola e piena di cianfrusaglie. Avevo dei
fiorellini sulla pancia di colore giallo
e fucsia. Rimasi deluso. Quei colori non mi andavano proprio a genio, volevo
anche io dei fiori blu o rossi come il
vaso che mi aveva parlato, ma non assolutamente fucsia. Sono un maschio e anche
io volevo la mia dignità, per quanto anche i fiori non mi si addicessero
proprio. Avrei preferito una decorazione semplice, costituita da linee che
percorrevano il bordo del mio corpo, ma sapevo che era inutile rimuginarci
sopra. Così ero e così sarei rimasto.
Venni messo ad
asciugare per un paio di giorni, i più lunghi della mia vita, quando finalmente venni posizionato
su di uno scaffale per essere venduto.
Avessi potuto avrei
saltato di gioia. Finalmente sarei uscito da quel posto dove ero nato e avrei
visto un po’ di mondo e avuto una famiglia con cui deliziare i palati, quando sarei
stato riempito di leccornie.
Ero posizionato
davanti all’entrata e vedevo ogni singola persona che entrava in quel negozio
di artigianato, vi erano persone di tutti i generi, dai più normali ai più
buffi e divertenti.
Adocchiai un paio
di persone che mi sembravano simpatici e sperai vivamente di essere acquistato
da loro, ma le mie speranze vennero infrante, quando vedevo le loro figure
oltrepassare la porta per andarsene.
I bambini che
venivano a fare visita con i loro genitori al negozio, erano molto carini, ma
avrebbero fatto meglio a stare alla larga. Infatti, cominciavo a sudare quando
vedevo un bambino allungare le mani verso di me, cercando di afferrarmi.
Rischiai un paio di volte, ma fortunatamente vennero fermati nel loro intento
dalla proprietaria del negozio. Le ero debitore, anche se non avrei mai potuto
saldare il mio debito.
Passò un mese
intero, senza che accadessero delle novità. Mi ero rassegnato all’idea di
invecchiare in quel posto o in uno scantinato dove venivano messi gli oggetti
invenduti, ma non accadde.
“Voglio quel piatto
con i fiorellini gialli e fucsia!” disse una voce di donna.
Sentendomi
interpellato guardai chi avesse parlato. Era una giovane donna dall’aria
simpatica, ma sembrava anche svampita e imbranata. Nel giro di pochi secondi,
aveva fatto cadere la borsa, il portafoglio e tutte le monetine rinchiuse in
quest’ultimo. Temetti per la mia incolumità.
La proprietaria del
negozio mi afferrò e guardandomi con orgoglio disse “Ottima scelta signora,
questo è proprio un bel pezzo di artigianato!”
Mi sentii orgoglio
al sentirmi chiamare in quel modo.
Venni sistemato in
una busta di carta senza alcuna
protezione , questo mi inquietò e una brutta sensazione si impossessò di me.
Finalmente misi il
“naso” all’aria aperta e quel gelido vento invernale, mi fece dimenticare per
un po’ quella sensazione di disagio che provavo.
Sentivo un sacco di
rumori intorno a me, alcuni conosciuti altri nuovi: migliaia di voci, rumore di
passi e altri a cui non saprei dare una vera e propria definizione.
La signora che mi
aveva acquistato, camminava a passo svelto, quando ad un tratto si fermò per
afferrarmi e osservarmi.
Mi sorrise.
Sembrava soddisfatta del suo acquisto, ma non fece in tempo a rimettermi i
nella busta che la sentii dire “Oh no, il tram!”
Prese a correre
velocemente, rischiando di cadere un paio di volte. Ecco che la mia sensazione
di disagio tornava a farmi visita. Sperai che si fermasse al più presto, ma ad
un tratto mi vidi arrivare qualcosa incontro, qualcosa di duro, che colpendomi,
mi fece provare un dolore inimmaginabile. Mi sentii il corpo andare a pezzi e
solo qualche istante dopo, quando vidi la signora guardarmi dall’alto verso il
basso con un aria dispiaciuta, compresi che quello che avevo provato non era
solo una sensazione, ma ero veramente andato in pezzi.
Ed eccomi qua! In
frantumi in mezzo alla neve a una fermata del tram. Vedo tanti piedi passarmi
vicino e vari occhi osservarmi, domandandosi come ci fossi finito in quel
posto. Tante persone e nemmeno una disposta ad aiutarmi. Sento le mie palpebre
sempre più stanche e arrendendomi al mio destino, chiudo gli occhi per sempre.
Fine